venerdì 19 febbraio 2010

SANREMO * MA COME SI FA SENZA «DOPOFESTIVAL»?

Sarà autolesionismo, sarà che al Pippone ormai ci avevamo fatto il callo, ma come si fa a cucinare un Sanremo senza Dopofestival? E come lo cucinava lui, Baudo da Militello, con i suoi anatemi, con le polemichette montate ad arte, non l’ha mai cucinato nessuno. Non c’è Clerici (e neppure Bonolis, perché in fondo non ci crede) che tenga. Con un po’ di sangue e una spruzzata di democristianissimo volemose bene, altrimenti i discografici – lo sai - vanno in paranoia. Un Sanremo senza Dopofestival è come un Santoro senza Travaglio: manca la manciata di pepe. E pazienza se va in onda all’una di notte e finisce alle tre e mezza di mattina. Una volta l’anno, si può fare.
 
Ora che mettiamo in archivio gli amabili resti del Sanremo dell’austerity (la depressione che regna nel Paese si combatte a colpi di canzonette), pensate che cosa avrebbe potuto combinare Pippo al Dopofestival con l’eliminazione e il ripescaggio del terrificante pezzo di Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici, «Italia amore mio», fischiato dal pubblico più di Jennifer Lopez e Michelle Rodriguez nude davanti al Casinò. Peccato. Peccato persino per l’assenza dei pur inflazionati Gialappi. Quest’anno a Sanremo è mancato il controcanto.
In compenso Simone Cristicchi ha firmato lo sferzante, stordente controcanto a tutto il sistema Italia, regalandoci con «Meno male» la perla rara di questa edizione. Tanto di cappello.

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