giovedì 29 aprile 2010

LOURDES & LAS VEGAS

D'accordo, non ci saranno le slot-machines, ma Lourdes in fondo è come Las Vegas: almeno una volta nella vita, bisogna andarci.

mercoledì 28 aprile 2010

AMADEUS * «SONO IL MIGLIORE, DOPO DI ME SCOTTI, CONTI E GIUSTI»

«E’ naturale che tra conduttori di quiz televisivi ci sia rivalità. Io sono competitivo, per questo dubito di chi fa troppi complimenti perché, o non è sincero, oppure ritiene che la persona che ha di fronte non sia da temere. E’quanto ha dichiarato Amadeus, ospite nella puntata di Victor Victoria in onda martedì 27 aprile alle 23:40 su La7.
Alla domanda di Victoria Cabello, che ha chiesto di dare una classifica sulla bravura dei conduttori televisivi,  Amadeus ha risposto sorridendo: “ Il numero uno sono io, poi metterei Gerry Scotti ma anche Carlo Conti e Max Giusti hanno fatto un ottimo lavoro. Facciamo così: Gerry Scotti lo mettiamo di fianco a me, a volte va avanti e a volte lo tiro indietro».

GOSSIP QUIZ * IL COCAINOMANE SENZA CORAGGIO

QUIZ SENZA SOLUZIONE PER UTENTI ESPERTI. STORIE RIGOROSAMENTE VERE DI VIP CHE (PURTROPPO) NON AVRANNO MAI UN VOLTO. CHI INDOVINA NON VINCE NIENTE E - SOPRATTUTTO - NON LO SAPRA' MAI.

Chi è il cantautore, grande amante della cocaina, che - arrivato al check-in in aeroporto - per il terrore di essere scoperto, spesso infila la bustina che scotta nello zaino del proprio assistente, e, dopo che il simpatico uomo di fiducia ha effettuato il controllo di sicurezza, recupera trafelato la bustina?

QUEL «MISTERO» DEL RAZ (DEGAN): SARA' UN PASSO AVANTI?

Mentre Carlo Conti resuscita il cabaret di Raiuno con «Voglia d'aria fresca» (troppe facce già viste, ma almeno molti sono in gamba), si perpetua il «Mistero» di Italia 1: da Enrico Ruggeri, un non bello che non sa condurre, a Raz Degan, uno decisamente bello che non sa parlare. Sarà un passo avanti?


martedì 27 aprile 2010

GIALAPPA'S BAND * NIENTE MONDIALI, MA NON METTETEVI A PIANGERE

Confesso di non riuscire ad appassionarmi troppo al «clamoroso caso» della Gialappa's Band privata del commento ai prossimi Mondiali di calcio in Africa. Non riesco a leggerlo come un atto di lesa maestà dopo 16 anni di onorato servizio, cosa che invece fa l'amico Marco Santin, uomo di punta del trio insieme con Giorgio Gherarduzzi e Carlo Taranto. Fino a prova contraria è diritto di ogni rete e di ogni direttore, non rinnovare un contratto. Gli accordi non sono un diritto ereditario, e qui non siamo certo all'editto bulgaro Biagi-Santoro-Luttazzi. Non c'è in ballo la libertà di stampa, ma al limite il privilegio di perpetuare la cazzata o, meglio, il cazzeggio. Cosa nobilissima, intendiamoci, ma non esageriamo con il vittimismo.
Già privati del commento all'ultimo Festival di Sanremo, ora i Gialappi lamentano di essere stati fatti fuori anche dal calcio Rai, piangendo lacrime amare. Un'indignazione eccessiva. Anche perché imperversano da alcuni lustri sulle reti Mediaset con un format vocale collaudatissimo ma che - come ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni - andrebbe quantomeno rinnovato. Per il loro bene.
Insomma cari Gialappi, «Mai dire Mondiali» stavolta sarebbe stato veramente il titolo giusto per voi.

RAIMONDO VIANELLO * LA MORTE DEL SIGNORE DELL'IRONIA

La vera «Casa Vianello» si chiama «Residenza Acquario». Un'elegante palazzina di otto piani adagiata nel verde di Milano 2, alle porte della metropoli. Nello stesso complesso abita anche Ennio Doris, il boss di Banca Mediolanum. Il settimo e l'ottavo piano sono appannaggio di Sandra e Raimondo. All’imbocco del vialetto che conduce alla porta d’ingresso, una grande magnolia diventa l'ultima barriera della loro privacy. Sotto i fiori rosa di quell'invalicabile pianta, il circo affannato dei media annunciava, giovedì scorso, la morte del Gran signore dell'ironia. Insufficienza renale dopo un lento spegnersi. Gli ultimi respiri in una stanza del vicino ospedale San Raffaele, con lei che gli stringeva la mano. Ora è rimasta solo Sandra a vegliare su quella privacy da lui sempre difesa. Senza protervia, ma con la naturale, sciolta fermezza dei grandi. Mentre sul prato bivaccano cameramen, fotografi e grintose inviate di tg che ripassano il compitino e si aggiustano i capelli, il portinaio Michele stoppa gli intrusi. «Mi spiace, la signora ha dato precise disposizioni: non vuole vedere nessuno». L’unico che passa, nel tardo pomeriggio, è Giorgio Restelli, capo delle risorse artistiche Mediaset. Una ventina di minuti per accordarsi sulla camera ardente, l’indomani allo studio 4 di Cologno Monzese (lo stesso dove debuttarono in Fininvest nell’82 con «Attenti a noi due 2»), dalle 11 alle 20, migliaia di persone hanno salutato il feretro di Raimondo. Sorprendente il ricordo di don Water Magni, parroco della bianca chiesetta di Dio Padre, a Segrate, dove sabato mattina sono stati celebrati i funerali. «In due anni e mezzo non ho quasi mai visto Vianello in chiesa, ma un mese fa mi chiamò a casa per l’estrema unzione. Era a letto ma ancora lucido, si rendeva conto di essere in punto di morte e ironizzava in modo sorprendente sulla sua condizione: “Padre, pensa che sia arrivata la mia ora?” disse. “Non so, ma se sono qui, un motivo ci sarà...” risposi. “Lo vede che allora è d’accordo anche lei con Quello lassu?”. Sandra lo fissava, tra lo stupito e il commosso. Il fatto che sia stato lui a chiamarmi lo considero importantissimo».
E mentre sotto la grande magnolia il circo sbaracca, par di vederlo spuntare, Raimondo, artigiano del disincanto. «Quanta gente, ma che è successo?» domanda. «È morto Vianello». «Peccato...» fa lui stropiacciando le guance e arrotando la vocetta sorniona: «Era così giovane...».

(TV SORRISI E CANZONI - APRILE 2010)

lunedì 26 aprile 2010

MILANO MARITTIMA * IL DOPO SPIAGGIA ALLO «ZOUK SANTANA», TRASPORTATI DALL'ONDA

Si fa presto a dire street bar. Un po' di gente per strada, da bere, quattro stuzzichini, le immancabili cubiste.
La storia diventa decisamente più complessa quando si parla di Zouk Santana. A Milano Marittima, quattro passi dal Pineta (per il Papeete cercate altrove) il divertimento diventa filosofia di vita. La nightlife è strategia commerciale che si mescola alla schiettezza romagnola. Come in un gioco di ruolo, tutto il personale dello Zouk, sopra un tappeto sonoro che fa pum pum ma (di norma e grazie a Dio) non rincoglionisce, ha un compito preciso. Le cubiste - tutto fuorché inavvicinabili - non sono modelle ma ragazze poco più che normali. La loro cifra è quella di avere l'aria della tipa che te la può dare da un momento all'altro, con constatazione amichevole. Poi magari non è così, ovvio, ma l'importante è crederci. Basta che il gioco (il sogno) regga. E i barman si alternano alle barwoman, scelte con cura in modo da essere se possibile più carine delle cubiste. Perché se tampini la cubista, non ci guadagna nessuno. Se tampini la barista, aumenta vertiginosamene il numero delle consumazioni (8 euro). Altro discorso meritano le vocalist, col bollino blu, stile «Antica Gnoccheria del Corso». Unica nota di demerito, il buffet un po' troppo salato. Perché se mangi, poi fai anche il piacere di bere (ancora) qualcosa. Vedi sopra. 
Tra bolle di sapone sparate nell'aria e ragazzotti a torso nudo che si arrampicano sui cartelli stradali, la serata vola. Io ho provato, dopo 3 cuba libre e un prosecchino, a lasciarmi trasportare dall'onda. Funziona. E adesso in strada, allo Zouk, ci torno col patentino.

PRETI PEDOFILI * ECCO LA SOLUZIONE AL PROBLEMA

Per risolvere il sempre più inquietante problema dei preti pedofili, la Cei propone al Governo di portare a 5 anni l'età molestabile. Ai cardinali che hanno "versato" almeno 10 anni di contributi, verrà dato in omaggio un bambino di colore. Il nero va con tutto.

domenica 25 aprile 2010

ROMA * L'HOTEL DOVE LA STANZA SINGOLA NON HA PIU' PARETI


ROMA - Stanotte ho dormito all'Hotel Giolli. No, non ho detto Jolly, ma Giolli. Con la G iniziale e la I finale. Al momento di prenotare non ho saputo resistere alla tentazione di questa stupefacente eco di sottomarca che rimandava quel nome nobile, ed è scattato il booking. L'hotel Giolli sta nel bel mezzo di via Nazionale (a due passi dal Quirinale e da Santa Maria degli Angeli), ha personale cortese e sfoggia tre stelle meritate. Né più, né meno. Ma la mia camera singola - quarto piano, stanza 414 - era la più piccola che abbia incontrato in tanti anni di viaggi. Così piccola che forse ci ha dormito il nano Ping Ping. Così piccola, che prima di addormentarmi mi sono messo a fare due veloci conti sulla cubatura per stimare se - dopo essermi addormentato - avessi ossigeno sufficiente per arrivare vivo alla mattina dopo.
Nel dubbio, ho dormito con la finestra aperta.

GIORGIO GABER E' GRANDE ED ENZO IACCHETTI E' IL SUO PROFETA

Gaber è grande, e Iacchetti è il suo profeta. Anche se mille, comprensibili timori lo accompagnano, il signor Enzino ha deciso di affrontare il cimento d’autunno: un disco di cover significativamente intitolato «Chiedo scusa al signor Gaber». «Quando sono andato a far ascoltare le canzoni a sua figlia Dalia e a quelli della fondazione a lui dedicata, mi tremavano le gambe» dice. «A ogni loro faccia strana, temevo il peggio. Invece, alla fine è partito un applauso. Ho preso i vecchi pezzi di Giorgio, quelli classici, e li ho riletti a modo mio con la triestina Witz orchestra. Eravamo amici, ci trovavamo a cena nel dopoteatro nei suoi ultimi anni e mi facevo piccolo piccolo davanti a lui; non amava alcune mie cose televisive, ma mi incitava a farle. Questo disco gli farebbe piacere, ma solo perché è mio. Fosse di un altro, mi sa di no». La giocosa rilettura iacchettiana, fra mille innesti e folli citazioni (dalla Carrà a Zucchero, da Jovanotti a Jannacci) diverte e convince. «Credo che questi tempi barbari, dove dilagano l’odio e le guerre per bande, non gli andrebbero per niente a genio. Spesso sento il bisogno di ascoltare il pensiero di Gaber» dice Iacchetti. «Ma purtroppo lui non c’è più e non c’è neppure un suo erede, anche se ogni anno al Festival del Teatro Canzone proviamo a cercarlo tra i giovani. Lì anche tutti i grandi hanno cantato Gaber, tranne forse Mina e Celentano, chissà perché? Vedo male lo stato di salute della musica italiana: con 1500 copie vendute vai in classifica, e i cantautori sono in crisi creativa: sfornano solo raccolte o live». Se il signor Enzino si dedica alla musica, significa che è stanco di tv? «Fortunatamente posso permettermi di cantare perché lo so fare bene, e mi prendo le mie distrazioni. Certo quel bancone di “Striscia” è un marchio difficile da cancellare, te lo porti sempre addosso. E non voglio neppure farlo, dal momento che a quel marchio devo tutto. Non sarei nessuno senza “Striscia”. Il mio piccolo sogno ora è Sanremo: ho già nel cassetto una bella canzone che sarebbe adatta. Se mi prendessero, potrei andare e fare anche la talpa di Antonio Ricci nel cast del prossimo Festival, ma proprio per questo motivo so che non mi prenderanno mai. A Sanremo deve ritornare Baudo, è l’ultimo grande rimasto, l’unico vero cerimoniere. Simpatici i vari Fabio Fazio, Paolo Bonolis, tutto quel ti pare, ma a Sanremo serve il classico, la pacca sulla sulla spalla. Insomma Pippo, il presentatore».

(TV SORRISI E CANZONI - OTTOBRE 2009)

ROBERTO PREGADIO * «IO, TOLTO DALLA CORRIDA PER ORDINI DALL'ALTO»

A deporre le armi, non ci pensa. Figurarsi. Lucido, pacato ma risoluto, Roberto Pregadio, tagliato fuori dall’ultima edizione de «La corrida» (con annessa sollevazione popolare sul web), mette ordine tra i pensieri dopo settimane da picco di pressione . La moglie Costanza, l’unica a essergli stata accanto più di Corrado, lo osserva amorevole. Insieme, notano gli ascolti non esaltanti del programma di Canale 5, ma giurano di essere «molto dispiaciuti».
È la verità, maestro?
«Certo. Mi fa male vedere l’audience in discesa, perché quello show è gran parte della mia vita».
Via lei, via il pubblico?
«Mannò, la mia assenza peserà per lo 0,1%».
Non faccia il modesto.
«È così. Però Vince Temera, persona che stimo molto, non è tagliato per quel ruolo: è statico, immobile».
Gli manca la sua verve?
«Non voglio essere immodesto, ma “La corrida” la conosco, la faccio da 40 anni: se l’orchestra non ti guarda mentre dirigi, non ti considera, è la fine».
E ora, che cosa faranno?
«Mah, non gli resta che mettere al piano Stevie Wonder... Non credo che Marina (Donato, la vedova di Corrado, proprietaria del format, Ndr) sopporterà a lungo un’audience così bassa. Piuttosto, chiude».
E se le proponessero di tornare?
«In quel caso non potrei che ribadire, a malincuore: “O io, o lui”. Ma non lo faranno, per orgoglio».
Chi l’ha fatta fuori?
«Non lo so. Forse sono arrivati ordini dall’alto».
È successo tutto all’improvviso?
«No, già alla vigilia dell’edizione 2008 ci provarono: vennero qui la signora Donato e un funzionario milanese proponendo l’affiancamento. In pratica dovevo fare il rimpiazzo di un maestro che poi ho scoperto essere Tempera. Dissi di no, e feci un’altra edizione».
Ma i rapporti ormai si erano guastati.
«Infatti. Quest’anno, la Donato mi ha fatto scrivere dal suo legale con la stessa proposta. Ho risposto ancora no, ed è finita».
Era proprio impensabile lasciarla a casa?
«È lecito decidere di farlo. Ma è anche mia facoltà non voler convivere due galli in un pollaio».
Due galli si beccano...
«E l’altro, forse, non era un gallo cedrone... Ma ripeto, ho stima di Tempera. Nella prima puntata però ho notato che se c’è un brano d’opera, passa la mano al pianista, che è un professionista che gli scrive anche molti arrangiamenti».
Circola voce che lei chiedesse il doppio per lavorare la metà.
«Chi l’ha detto? È da querela. Mai parlato di soldi. È vero invece che mi avrebbero dato - credo - la stessa cifra facendo la metà».
Corrado avrebbe rinunciato a lei?
«Credo di no. E comunque, anche messo alle strette, avrebbe trovato un modo più elegante».
Gerry Scotti ha fatto tutto quello che poteva per trattenerla?
«Non lo so. Lui arriva il venerdì a Roma, fa lo show e poi torna a Milano. Almeno mi ha telefonato per dirmi: spero di rivederti».
Com’era Corrado?
«Timido. Gli amici se li sceglieva: se non gli andavi a genio, eri fuori. Andavamo alle feste col buffet in piedi, si annoiava e mi diceva: “Robbè, annamosene ‘n cucina”».
 
(TV SORRISI E CANZONI - GENNAIO 2009)

giovedì 22 aprile 2010

BUD SPENCER * «TERENCE HILL E IO NON ABBIAMO MAI LITIGATO»

Metà intervista la facciamo seduti a un metro e mezzo dal set. Mentre l’assistente di scena, giustamente inviperito, ci intima ogni cinque minuti: «Silenzio!». Tu guardi l’intervistato implorandolo di spostarsi e lui ordina: «Non importa, continuiamo!». Alla fine abbozzi. Perché da che mondo è mondo, una penna e un taccuino non hanno mai avuto la stessa efficacia persuasiva di due ceffoni di Bud Spencer.

Scusi maestro, preferisce che la chiami Bud, o Carlo (Pedersoli, Ndr)?
«Bud solo quando recito, e Carlo quando vivo. Ma è indifferente».
Ok. Visto che è fermo da un po’...
«Ma quale fermo? Ho finito di girare tre mesi fa un film a Berlino: “Uccidere è il mio mestiere”, dove sono il tutor di un serial-killer».
Però: un Bud Spencer cattivo.
«Eh, può immaginare quanto: ero cieco. Ci sarà da ridere, piuttosto».
Sta facendo altro, oltre a questa nuova fiction per Mediaset, «I delitti del cuoco»?
«In Spagna stanno andando in onda i miei spot per una grossa banca. Anche lì mi adorano, come in Germania».
Lavora più all’estero che in Italia, mi par di capire.
«Ho fatto 104 film, 90 dei quali all’estero; 16 con Terence Hill; 30 negli Stati Uniti. Ho girato in tutto il mondo. Ora però prenda questo e se lo ascolti quand’è molto inc...».
È un cd singolo, «Futtetenne», scritto e cantato da lei.
«Bravo. La musica è la mia passione nascosta. L’ho autoprodotto. Ci sono 12 brani pronti e inciderò l’intero album l’anno prossimo. Con o senza un’etichetta che lo distribuisca».
Quindi lei, oltre a menare le mani, ha un animo sensibile.
«Sono iscritto alla Siae come compositore non trascrittore. Sa che cosa vuol dire?».
Purtroppo no.
«Che arrivi in una stanza, ci sono dieci esaminatori. Uno suona tre note sul pianoforte e tu continui. Se la cosa ha un senso, è fatta».
Lei è eclettico.
«Ho fatto tutto, tranne il ballerino d’opera e il fantino. Per ovvie ragioni. Ma potrei continuare l’elenco».
Continui.
«Ho avuto due linee aree, un marchio d’abbigliamento che ora non c’è più, Baltro, ho fatto rugby, pugilato, judo, e ovviamente nuoto».
Una vita sportiva ma tranquilla.
«Mica tanto: fra i 27 e i 30 anni, finito l’agonismo, non sapevo più chi fossi, i miei si traferirono in Brasile e io feci da solo tre mesi nella giungla amazzonica a cercare me stesso».
Si è poi ritrovato?
«Credo di aver trovato la mia strada nel cinema. Ma io mica sono un attore, non sono preparato per farlo».
Prego?
«Massì, in fondo sono solo un personaggio. Terence Hill è un attore».
Perché è finita tra voi?
«Non è mai finita: a volte cena da me e io da lui. Sono felice dei suoi successi con “Don Matteo”. Ha 11 anni meno di me. Tanti. All’epoca volle provare a fare anche altro. È giusto così».
Il vostro segreto?
«Ha presente Chaplin, Keaton, Laurel e Hardy? Niente battute. Noi, con quei finti sganassoni, abbiamo saputo reinventare la comicità gestuale».
Il suo segreto?
«Rubo una frase a Dino De Laurentiis: 'Nella vita servono tre C: cervello, cuore e coglioni'. Ne aggiungerei una quarta: serve anche culo».
È un’ottimista?
«Direi di sì, ma guardingo. Sui cancelli c’è scritto “Cave canem”, attenti al cane. Sul mio, “Cave Caesar”, attenti all’uomo, in questo caso. Mi fido molto più degli animali».
Il suo prossimo progetto?
«A parte la musica, ho tre brevetti nel cassetto. Uno di questi, è quello di uno spazzolino usa e getta, che contiene una sola dose di dentifricio. Staremo a vedere».
 
(TV SORRISI E CANZONI - GIUGNO 2009)

VLADIMIR LUXURIA * «SPOSARE ROBERTO SAVIANO? SE POTESSI, ECCOME»

Si scrive Guadagno-Radogna (sul citofono), si legge Vladimir Luxuria. Appena rientrata a Foggia dopo l’Honduras, la vincitrice de «L’isola dei famosi», ex parlamentare, alterna cellulare e coccole in famiglia. La trasgressione, se c’è, è altrove. Lì solo semplicità, cortesia, voglia di Mulino bianco.

Luxuria, se la classe operaia va in Paradiso, a quella politica che fa i reality tocca almeno il purgatorio?
«Sull’isola non ho mai parlato di politica: avevamo il divieto, da contratto. E poi, dai, basta...».
Basta cosa?
«Associarmi alla politica. Continuerò a dire la mia, ma non mi ricandiderò. Cominciai facendo spettacolo, e lo lasciai per la politica: polemica. Torno allo spettacolo: polemica. Boh...».
Ma sull’Isola è stata la stratega, la grande burattinaia...
«La più grande strategia è non fingere. Ho solo ravvivato il clima quando si ammosciava, quando stava diventando l’isola dei lamentosi».
Di solito vincono i belloni muti. Stavolta lei, ben poco muta e discussa, e poi Belen Rodriguez, splendida, quasi nuda e grintosa. Che cosa succede a questo Paese?
«Siamo due donne molto diverse: io anagraficamente, lei geograficamente. Anche Belen ha vissuto il problema del permesso di soggiorno. Gli italiani sono brava gente: dopo una settimana hanno smesso di pensare: “Vlady è un trans” e hanno giudicato il comportamento».
Denunciando la scappatella Belen-Rossano Rubicondi ha fatto la figura della bacchettona...
«Poteva restare solo una cosa loro, senza scandalo né spiate. È che mi avevano isolato, c’era una congiura, e intanto Belen veniva da me piangendo: “Ho paura di perdere Marco”. Hai questo problema? Te lo risolvo io. E così ho risposto a chi mi accusava di essere troppo diplomatica. Loro due però non si sono calmati neppure dopo la mia esternazione».
Riempia di politici «adatti» l’isola 2009.
«Perfette Alessandra Mussolini e Daniela Santanché: sicure. La seconda dimostrerebbe, in un mondo post-Flavio Briatore, che si può vivere anche senza borse firmate. Metterei Clemente Mastella, per dargli ancora qualcosa da fare e per farlo dimagrire. Poi Borghezio con un rom, Elisabetta Gardini con un trans, e Walter Veltroni e Massimo D’Aleama, per sperare in una convivenza possibile in spazi ristretti. Fassino no, non potrebbe perdere 16 chili. Sarebbe troppo. Vittorio Sgarbi lascerebbe dopo una settimana».
Sposerebbe Roberto Saviano, l’autore di «Gomorra»?
«Se la legge italiana me lo consentisse, subito. Lo ritengo una tra le persone più affascinanti e dotate di sex-appeal che abbia visto. Grande personalità e coraggio, il contrario di Rossano».
Belen Rodriguez dice che la sua in realtà è tutta invidia...
«Beh, una ora deve pure inventarsi qualcosa...».
Il podio dei tre più antipatici dell’isola.
«Al primo posto Rubicondi: un finto simpatico, ridicolo, aggressivo, bello ma dalla cultura non pervenuta. Poi Patrizia De Blanck, che è come il suo titolo: una patacca. Infine Quintale: da comico, speravo fosse simpatico, invece era un po’ depressivo».
Ora che cosa farà?
«Mi piacerebbe fare un programma su Raidue, e intanto ho pronto un libro di fiabe transgender per bambini».
Fiabe transgender?
«Massì, che raccontano il cambiamento nelle persone: Pinocchio, La Sirenetta e tre inedite scritte da me».

(TV SORRISI E CANZONI - NOVEMBRE 2008)

ALESSIA MARCUZZI & DEBORA VILLA * «A LETTO SIAMO MOLTO DIVERSE»

Donne. Fortissimamente donne. Alessia Marcuzzi e Debora Villa, sul set di «Così fan tutte», nuovo sit-show di Italia 1, danno sfogo alla loro ironia confezionando brevi sketch al vetriolo su tutto: uomini, sentimenti, sesso, carrierismo. E l’autocritica? «Tranquilli, ce n’è per tutti», dicono.

Qual è la cosa più cattiva che hai fatto in vita tua?
Alessia: «Da piccola, tirai un banco a una compagna di classe che copiava. Anni fa, sono stata infedele».
Debora: «A vent’anni, le corna a un fidanzato. Se non lo fai a vent’anni...».
La peggior malignità detta da una donna su di te.
A.: «Leggo anche il labiale, sono implacabile: quella delle gambe storte, l’avrò sentita mille volte».
D.: «Che sono falsa e bugiarda. Un’assurdità».
I tuoi difetti.
A.: «Disordinatissima. E attacco pallini incredibili».
D.: «Molto prepotente, anche senza accorgermene. E massacro gli zebedei».
I limiti degli uomini.
A.: «Si prendono sempre troppo sul serio».
D.: «Non sono consapevoli di averne. Da lì in avanti, è tutto più difficile».
Qual è l’uomo che scarti a priori?
A.: «Il playboy sbruffone con me non ha storia».
D.: «Quello che recita una parte: il simpatico a tutti i costi, il sempre macho...».
Il nomignolo che ti dà il tuo lui nell’intimità.
A.: «Cru, e non lo spiego».
D.: «Musetto o Paperina».
È vero che l’uomo è ormai più romantico della donna?
A.: «Restiamo in testa alla classifica delle maggiori consumatrici di kleenex».
D.: «Forse sì. Noi siamo ormai disilluse. Anche perché abbiamo capito che voi dopo due cene e tre fiori pretendete fedeltà cieca e assoluta, schiavitù legalizzata e persino i brufoletti schiacciati la sera».
«Così fan tutte» è anche il titolo di un film di Tinto Brass. Lavoreresti con lui?
A.: «Assolutamente. Ma solo se c’è anche Debora».
D.: «Ma neanche morta!».
Sei sempre: sovrappeso, ansiosa o rompiscatole?
A.: «Molto rompiscatole».
D.: «Sovrappeso: ho 13 chili di simpatia in più con rotoli di ciccia dappertutto».
Lui ti detesta quando...
A.: «Ogni tanto mi raffreddo e divento un ufo. Sto zitta, mi estraneo e non spiego il motivo».
D.: «Con lui do il meglio quando rompo le p... E poi lascio scarpe in giro, armadi aperti, e mio marito è un pignolino».
La prima cosa molto strana che ti viene in mente.
A.: «A quattro anni, con la mia bisnonna Anna detta “Ntum Ntum”, abbiamo visto gli extraterrestri. Ad Anzio, vicino Roma».
D.: «Sul set di “Così fan tutte”, ho visto i tecnici mettere una griglia su un faro di studio, potentissimo, e cucinare caldarroste».
La categoria femminile che più detesti.
A.: «Le gatte morte».
D.: «Quelle che rinunciano a essere se stesse, privilegiando un’immagine impostata».
Il regalo più bello che ti ha fatto un fidanzato.
A.: «Un pacco gigante di digestive al cioccolato».
D.: «Per chiedermi di sposarlo, Mirko ha organizzato una caccia al tesoro nel mio monolocale. Alla fine c’era una scatolotta con un anello e un biglietto».
Tu e il tuo lui insieme al «Grande Fratello». Accetti?
A.: «Non se ne parla. Ma manco da sola! Il “GF” lo conduco e basta».
D.: «È impensabile. Non potrei mai sopportare tutti quegli occhi e quelle orecchie addosso».
Sesso. Come ti definiresti sotto le lenzuola?
A.: «Un luna-park».
D.: «Un monastero».

(TV SORRISI E CANZONI - LUGLIO 2009)

SALUTE * «MI HANNO DIAGNOSTICATO UN TUMORE PER SBAGLIO»

Ero in vacanza e mi hanno diagnosticato un tumore di quelli che non danno scampo. Non vi dico il sollievo quando ho scoperto che i medici - bontà loro - si erano sbagliati. Riuscite a immaginare quale scossone abbia preso la mia vita passando nel giro di 15 giorni dallo stato di pre-morente a graziato dalla sorte?

Mi chiamo Giacomo Beltramini, 60 anni, milanese, divorziato, una figlia, ex professore di storia e filosofia. Subito dopo la pensione, parto per tre settimane di vacanza in America con la mia nuova fidanzata. Sulla carta (anche quella topografica), una meraviglia: Chicago, New England, cascate del Niagara. A quattro giorni dall’arrivo, di notte, su un pullman, una preoccupante emorragia intestinale mi spaventa e fa scattare l’allarme. Ricoverato d’urgenza al St. Vincent Mercy Medical Center di Toledo (Ohio), i medici provvedono alla colonscopia di rito e mi fanno una diagnosi fulminante: «Probabile tumore intestinale al colon discendente con varie lesioni a danno del tessuto epatico». Quel probabile si trasforma in certezza durante il colloquio con i luminari americani, che mi danno non più di tre mesi di vita. Proponendomi - senza neppure fare una biopsia - un intervento urgente: il taglio di un pezzo dell’intestino. Costo: 200 mila dollari. Mentre mi crolla il mondo addosso, dico che preferisco rientrare di corsa in Italia e farmi operare là. Loro mi avvertono del rischio che corro: potrei morire in aereo, nel caso fossi colpito da un’altra emorragia. Pazienza, decido di sfidare la sorte. Tanto, ormai...
Sul lungo e affannoso volo per rientrare in Italia, che fa scalo a Parigi, mi tormento. Per una decina di giorni non ho fatto altro che pensare a quanto mi rimaneva da vivere, a ciò che mi restava ancora in sospeso. Al tempo buttato via, a ciò che avrei potuto fare altrimenti. Avrei voluto rivoltarla, la mia esistenza. A Milano, mi precipito all’I.E.O., l’Istituto Europeo di Oncologia, e dopo la colonscopia con biopsia i medici mi spiegano che avevo soltanto alcuni polipi benigni che andavano asportati. Un intervento molto comune dopo i 50 anni e per chi è geneticamente predisposto.
Uscito dall’incubo, oltre a rivalutare la sanità italiana, faccio la conta dei danni: una vacanza completamente rovinata, 5000 euro in fumo per spese mediche - e per fortuna la mia fidanzata aveva con sé la Carta oro del padre, altrimenti avrei dovuto farmeli mandare dall’Italia - e il costo del volo urgente di rientro, recuperato al 50% grazie alla Regione Lombardia. Mia figlia, che ha un amico avvocato negli Usa, ha verificato anche l’ipotesi di intentare una causa ai medici americani, scoprendo che avremmo avuto appena il 25% di probabilità di vittoria; ho preferito lasciar perdere.
Il team di sanitari americani voleva operare in tutta fretta solo per poter fare cassa? Non ho prove per dirlo, ma il sospetto è lecito. Fatto sta che me la sono cavata con mezz’ora di polipectomia ambulatoriale invece dell’asportazione di mezzo intestino e la prospettiva di avere la “cagarella” per tutta la vita. Spero che Obama faccia davvero qualcosa per la Sanità americana, perché là sono messi davvero male. Mentre aspettavo in emergenza ho fatto tre ore di attesa e alcuni homeless sono stati mandati via in quanto privi di assicurazione. Io, graziato dalla sorte, ho avuto la psiche scossa per sei mesi e per un anno almeno mi sono comportato meglio. Poi la vita riprende, la memoria è corta e tutto torna come prima. Ma oggi non mi stanco di consigliare a tutti la prevenzione e una colonscopia ogni tanto.
Giacomo Beltramini
 
(SORRISI SALUTE! - SETTEMBRE 2009)

«POVERI CON LA GRIFFE» * E BOGGI SPARA SUL MONDO DELLA MODA

Italiani sempre più poveri, ma pur sempre “griffati”. Nel pieno di una crisi economica globale, l’italiano permane un cultore della propria “immagine”, da addobbare con quella rosa di status symbol che da almeno tre decenni ne condiziona l’immaginario. E’ il mercato del “lusso” da ostentare, divenuto criterio unico di affermazione sociale. E questo panorama falso e patinato contribuisce a nascondere la realtà di un paese sempre più incattivito, corrotto e moralmente devastato. Quali sono le cause di questo degrado? Chi ha fomentato la perversa ideologia del “lusso per tutti” che da un certo momento in poi si è impadronita del paese?

Paolo Boggi, 80 anni, noto imprenditore del tessile, dà alle stampe «Poveri con la griffe», un pamphlet che è una dura, lucida requisitoria contro i falsi miti di un progresso che appare oggi una nave impazzita, che naviga senza bussola. E la sua voce si leva in particolare contro il fashion system e i suoi tanti cantori, fabbriche di modelli irraggiungibili, da cui è discesa soltanto frustrazioni e infelicità per le masse.
Quale è stato – si chiede l’Autore – l’impatto “culturale” della moda italiana? Può essere un caso se l’affermazione del settore abbia caratterizzato uno dei periodi di maggior decadenza nei costumi degli italiani? Siamo proprio convinti che i brand e le grandi maison abbiano dato lustro al Made in Italy e non piuttosto soffocato la creatività di un’industria tessile che fu fiorente e all’avanguardia fino agli anni ’80? E poi: per quanto tempo ancora parleremo di “Made in Italy” a proposito di prodotti realizzati nelle fabbriche di Pechino e rivenduti in Europa con rincari del 1000%? Quando industriali e pubblicitari si accorgeranno che, in particolare oltreoceano,  il vento sta cambiando e che è giunto il momento di fare autocritica?

«Abbiamo legittimato - dice Boggi - tutto ciò che riconduce un uomo al sottosviluppo mentale, alla regressione, fino al paradosso di provare vergogna a sentirsi galantuomini ... E’ stupefaciente assistere alla meraviglia con la quale i sacerdoti del lusso si sorprendono del calo delle vendite, come se la corsa agli acquisti e soprattutto i meccanismi che reggono il loro mondo, dovessero necessariamente perdurare all’infinito…».

CALCIO * MARIO BALOTELLI: NEGRO, BRESCIANO O INTERISTA?

Il caso di Mario Balotelli disorienta i razzisti di tutto il mondo: non sanno se prendersela con lui in quanto negro, in quanto bresciano o in quanto interista.

mercoledì 21 aprile 2010

BANNER GOOGLE * URLIAMO INSIEME: «FINALMENTE BASTA ALITOSI!»

Molti mi chiedono informazioni sui banner Google che compaiono in questo blog. Che cosa sono? Come vengono generati? Perché a volte strane campagne promozionali (casinò on-line, mangimi per uccelli, giubbotti antiproiettile) si associano ad articoli totalmente fuori contesto? Trattandosi di uno dei misteri della fede, non posso che rispondere: boh...
L'unica cosa certa è che non sono io a sceglierli. Teoricamente i suddetti banner dovrebbero - con un sofisticato sistema algoritmico - identificare le parole di titolo e testo e trovare inserzioni pubblicitarie strettamente legate ai medesimi. In realtà, non sempre è così. Tu parli di Brad Pitt, e compare il link da cliccare del sito «Finalmente basta alitosi». Discetti di Maria De Filippi e «Italia's Got Talent» e fa capolino «Finalmente basta alitosi». Straparli di Tiziano Ferro, Laura Pausini o Davide Mengacci e si impone prepotentemente «Finalmente basta alitosi». E un po' qui puoi anche capirlo.
Resta il fatto che l'alitosi sta diventando - mio malgrado - un serio problema (se ne soffro qualcuno mi faccia la cortesia di dirmelo), e ho cliccato per imparare a risolverlo. Il nuovo mantra del millennio, urliamolo tutti insieme, è «Finalmente basta alitosi!». E poi un lungo (mortale?) respiro.
Attenzione: i banner Google sono talmente infidi che forse attorno a questo articolo dedicato al «Finalmente basta alitosi», probabilmente non troverete neanche un link dedicato a questa nuova, inquietante piaga sociale.
Così imparate a fiatare.

martedì 20 aprile 2010

PAOLO CORAZZON * «FACCIO IL PAGLIACCIO PERCHE' I TEMPI HANNO CAMBIATO IL METEO»

Noi siamo figli delle stelle. Lui, delle isobare. «La verità è che devo tutto a Barbara D’Urso» dice Paolo Corazzon (nella foto), l’uomo che su Canale 5 fa il bello e il cattivo tempo. Quasi sosia di Amadeus, 1.60 di carica vitale, il meteorologo balzato a improvvisa notorietà grazie ai botta e risposta con la conduttrice di «Mattino 5», ora è una mezza star.



Corazzon, fa il meteorologo perché non ha trovato posto a «Zelig»?
«Mannò. Pensi che i siparietti con Barbara sono tutti improvvisati. Funzionano. La prossima stagione mi vuole a “Pomeriggio 5”. Certo, c’è anche chi mi critica...».


Chi? E perché?
«Gli appassionati della meteorologia pura. Dicono che faccio il pagliaccio, e un po’ è vero, lo riconosco. Ma i tempi sono cambiati: c’è lo show, ma piazzo anche tre minuti di previsioni come si deve. Se perdo un seguace, ne guadagno cento».


Dal Colonnello Bernacca a lei: una rivoluzione all’americana.
«Bernacca sbagliava una previsione su due ed è un mito; noi, oggi, una su dieci, ma ricordano solo quella. La verità è che la gente non tollera più che si facciano errori sul meteo. E non so perché».


Su di lei nemmeno una nuvola?
«Da quando è scoppiata questa popolarità, sono felice. E ho una famiglia splendida: Matteo e Filippo, cinque e due anni, e mia moglie Sabrina. Ci siamo conosciuti in piscina, facevamo gli istruttori di nuoto, e si è innamorata prima lei di me che il contrario. Mai successo in vita mia».


Il suo capo, il tele-colonnello Giuliacci, sarà un po’ invidioso...
«Oddìo, spero di no. Gli sono riconoscente. E poi le previsioni spettacolarizzate in tv le ha inventate lui».


Meteorologicamente, come si definirebbe?
«Un temporale. Ma quelli passano subito. Io spero di durare».

(TV SORRISI E CANZONI - LUGLIO 2009)

FARE LA SPESA * TRUCCHI E CONSIGLI PER SPENDERE MENO

Riempire il carrello della spesa? È un’operazione che, in questi tempi di crisi, va fatta con molta accortezza. Tenendo conto di alcuni trucchetti a volte elementari, a volte dettati dall’esperienza. Per risparmiare e - possibilmente - evitare di farsi turlupinare.

RIMBORSI IN CASO DI ERRORE
L’ultima iniziativa che tutela i consumatori viene dai 25 ipermercati della catena Finiper, all’interno dei quali, da non molto, campeggia un cartello che riporta una strana avvertenza: «Hai pagato più del prezzo esposto? Ti rimborsiamo cinque volte la differenza». Può capitare, infatti (se ne era occupata anche «Striscia la notizia»), che l’acquirente trovi battuto sullo scontrino di cassa un prezzo diverso da quello al quale aveva creduto di acquistare il prodotto. Le promozioni che si accavallano, errori umani e distrazioni, sono fonte di guai. Ma non diventa «pericoloso» istituzionalizzare ciò che non dovrebbe mai esistere, ovvero un errore di questo tipo? Non si costringe il consumatore a diventare lo Sherlock Holmes della propria spesa? «Non credo che così si generi diffidenza e allarmismo» dice Roberto Polloni, direttore marketing di Finiper. «Purtroppo questi sbagli nei cambi dei cartellini dei prezzi sugli scaffali, possono capitare. Molto raramente, ma succede. A volte li inverte anche qualche cliente in vena di scherzi. E noi andiamo incontro al consumatore. Nel dicembre scorso abbiamo contato solo una cinquantina di casi segnalati, su milioni di clienti». «Tutto ciò che va a favore del consumatore ci vede favorevoli» commenta Liliana Cantone, di Altroconsumo. «D’altra parte ricordiamo che chi compra ha sempre diritto a pagare il prezzo esposto. E può rivolgersi alle autorità se ciò non avviene».

AVVERTENZE PER COMPRARE SPENDENDO MENO
In linea di massima, per acquistare in modo assennato, bisogna tenere presente che il miglior prezzo si trova quasi sempre negli hard discount. Tant’è che anche i supermercati, per reggere la concorrenza, si dotano ormai di apposite corsie dedicate alla spesa a bassissimo costo. Passati di moda i 3 X 2 (la crisi spinge il consumatore a fare poche scorte e ad acquistare al momento del bisogno), restano sempre in auge le promozioni. Alle quali ci si deve approcciare con cautela, dal momento che spesso valorizzano non tanto il prodotto più economico, ma quello che il supermercato vuole spingere. Occhio quindi anche alle date di scadenza degli alimentari.

ATTENZIONE AL PREZZO AL CHILO
Vale la pena prestare molta attenzione anche al prezzo al litro o al chilo, perché spesso a confezione più piccola corrisponde un minor costo apparente ma non sempre un reale risparmio. Per il resto, bisogna ricordare che i supermercati tendono ad esporre in alto, ben in vista, i prodotti più costosi, e a mettere in basso i più economici o i cosiddetti «primo prezzo».

SERVIRSI DA SOLI
Lista della spesa alla mano (mai acquisti d’impulso), si risparmia molto, infine, servendosi da soli e acquistando caffè, cereali, pasta, legumi, riso, vino, latte e detersivi dai cosiddetti «dispenser» posti nei punti vendita. Si riducono al minimo i costi di imballaggio.

(TV SORRISI E CANZONI - FEBBRAIO 2009)

PIERO MARRAZZO * IL DOLORE DEL RIENTRO IN RAI

Ragionamento a posteriori: molti a Viale Mazzini si chiedono se - alla luce dei trascorsi - il rientro di Piero Marrazzo in Rai sarà o meno indolore.

RAIMONDO VIANELLO * UNO CHE HA FATTO TANTO PER I «BEAGLES»

Non credo che Raimondo Vianello avrebbe gradito la pacchianata che è stata allestita in morte di Raimondo Vianello. Chi lavora nello spettacolo ha qualche prezzo da pagare alla popolarità, d'accordo, ma il Signore dell'ironia aveva sempre cercato di evitare tutti i pedaggi. Schivo e inarrivabile, con quel sottofondo di umorismo nero e la zampata cattiva capace di stenderti senza che te ne accorgessi.
Senza nulla togliere a Sandra Mondaini, per me Vianello è sempre stato sposato con Ugo Tognazzi, nella coppia che ha (re)inventato il varietà televisivo. Sandra è stata la seconda parte della sua carriera,  fortemente voluta, e la prima l'aveva in qualche modo quasi rimossa. Non si capisce bene perché. 
Chi conosce bene Sandra e Raimondo riferisce che in realtà - a dispetto della fiction - era lui a comandare. Aveva gestito e indirizzato con rigore ogni passo della carriera della coppia, nella quale aveva il ruolo del dominatore assoluto. Lei aveva dovuto piegarsi, forse persino rinunciare a qualcosa per amore suo e della Ditta.
Il mio personale ricordo di Raimondo Vianello è tenero e grato. Quasi vent'anni fa, giovane cronista de «La provincia pavese», lo incontrai per la prima volta a una conferenza stampa Fininvest. All'epoca mi davo parecchio da fare per promuovere i «Beagles», stravagante formazione pop dialettale dell'Oltrepò Pavese nella quale militavo, e convinsi Raimondo ad aggiungersi all'elenco dei prestigiosi testimonial che avevo già intercettato. Si trattava di registrare solo una breve frase di saluto alla band, da piazzare all'inizio del nastro. Lui accettò di buon grado, con una leggera diffidenza iniziale, guardandomi strano con i suoi profondi occhi azzurri. «Ma devo proprio?» disse stropicciando le guance. «Mi farebbe un grande favore». Lo fece. Così come lo fecero altri che conoscevo da tempo, come Gene Gnocchi, Antonio Ricci, Gerry Scotti, la Gialappa's Band e Teo Teocoli. Ma persino Eros Ramazzotti e Marco Masini. Grande Raimondo. Grazie anche per questo.
L'unico che rifiutò, poco collaborativo, con una punta di supponenza, fu Red Ronnie. All'anagrafe Gabriele Ansaloni. Perché? Sarebbe bello domandarglielo, ma di lui disgraziatamente non esiste quasi più traccia.

P.S.
Ho il sospetto che questa chiosa sarebbe piaciuta a Raimondo.

lunedì 19 aprile 2010

LA PUPA E IL SECCHIONE * BUONO IL CASTING, INQUIETANTE LA GIURIA

Troppo lungo, mal tagliato (chi ha curato la post-produzione andrebbe fucilato all'alba), un po' finto in alcuni espedienti narrativi. Eppure «La pupa e il secchione - Il ritorno» si conferma una tra le poche cose gradevoli e autoironiche dell'ultima televisione. Il giocoso trionfo dello stereotipo che - però - male non fa. Una specie di «Uomini e donne» denuclearizzato.

I conduttori, Paola Barale ed Enrico Papi (l'ex pupa e il furbacchione) fanno il loro dovere, perfettamente calati nel contesto, e asciugando un po' il programma si potrebbero fare miracoli, anche se la deriva in terza serata consente in effetti l'esposizione morbosa di seni e glutei; rimandi hot e fantasie nude all'amatriciana che stanno fra «La bustarella» e «Colpo grosso». Un plauso a chi ha effettuato il casting dei brufolosi e delle super gnocche dalla tetta allegra, perché anche stavolta (ma di tempo per selezionare ce n'è stato parecchio) non mancano i tipi umani singolari.

Due parole le merita l'inquietante giuria, presieduta da un Vittorio Sgarbi finalmente attento al prodotto (dà a Vittorio un po' di figa e vedi che finalmente la smette di spedire sms durante le trasmissioni alle quali partecipa come ospite a gettone). Oltre all'innocua e stravista prezzemolina Alba Parietti e al misurato Claudio Sabelli Fioretti, spiccano una Platinette alla ricerca ossessiva della polemica (ha aggredito una povera pupa dandole intuilmente dell'anoressica), e la fondamentale Angela Sozio, avanzo del Grande Fratello che fu, la quale, dopo aver sbraitato nei pollai pomeridiani della tv, ora tenta di accreditare una nuova immagine pseudo sofisticata.
Che è come usare il metanolo per ottenere un chianti d'eccelenza.














domenica 18 aprile 2010

LA3 PARTY * ANCHE CLAUDIA GERINI (NEL SUO PICCOLO) S'INCAZZA

Attimi di "panico" all'esclusivo party de La3 che si è tenuto nei giorni scorsi a Roma, per scaldare gli animi (e la voglia di promozione) degli addetti ai livori della capitale. L'operatore telefonico ha fatto le cose in grande, ma qualcosa è sfuggito all'organizzazione: il gran saluto dell'amministratore delegato è stato tutto per la siciliana Teresa Mannino, conduttrice e cabarettista di Zelig, da poco entrata nel novero delle testimonial reclutate per gli spot. Peccato che Claudia Gerini fosse in sala, non notata e neppure ringraziata. Apriti cielo. La nostra, inviperita, avrebbe abbandonato il parterre con tasso d'ira oltre il tollerabile. Proprio come avrebbe fatto uno dei suoi personaggi nei "Viaggi di nozze" verdoniani. Risulta sia stato negato l'accesso alla cena anche a Umberto Pizzi, il magico fotografo dei "Cafonal" di Dagospia. Pessima idea. Ora Roberto D'Agostino come minimo passerà a Tim o Vodafone. L'azienda ha compensato con un regalo davvero niente male ai 100 invitati (quelli rimasti sino alla fine, s'intende): un Blackberry nuovo di fiamma e una tessera che consente a due persone di entrare gratis per un anno, una volta alla settimana, al cinema. 
A me, per la cronaca, non è arrivato niente.

mercoledì 14 aprile 2010

NASCE «TACTILE MIND», LA PRIMA RIVISTA PORNO PER CIECHI

Il sogno di Woody Allen (se non ricordo male) si è avverato. Ed ecco che sul mercato spunta «Tactile Mind», il primo libro porno per non vedenti. Altrimenti detti ciechi, nella versione - non si capisce bene chi l'abbia ipocritamente stabilito - politicamente scorretta. L'idea è della canadese Lisa Murphy, che per la cronaca non è quella delle famose leggi di.
Indispettita perché i ciechi/non vedenti non hanno il piacere di gustarsi immagini sexy o pornografiche, urla al mondo «È un'anomalia nell'epoca del porno» e lancia la sua rivista. Il primo numero contiene 17 immagini in braille ad alto contenuto erotico. Per sfiorare - è il caso di dirlo - il piacere. Il prezzo non è proprio popolare: 150 sterline.
Inquietante, a questo punto, l'interrogativo di fondo: ma per farsi le pippe e provare più godimento, occorre dotarsi anche di pene in Braille?

NICOLA SAVINO * LO SBAGLIO DI PASSARE A MEDIASET

Fresco di feroce stroncatura da parte di Aldo Grasso (cose che fanno male al calcio), Nicola Savino ha chiuso ieri il suo «Matricole & meteore» al 9,07% di share. Un fiasco da Guinness dei Primati, non fosse già in lizza Paola Perego per l'ambito titolo.
Savino - da tempo televisivamente sopravvalutato - è un simpatico light che necessita di guida forte per emergere. Da solo «gnàa fa», come avrebbe detto l'indimenticato Funari. 
In questi ultimi anni ha sbagliato soprattutto lasciandosi tentare dalla remunerativa sirena di Mediaset. A «Scorie» su Raidue aveva una dimensione artistica notturna ma paradossalmente più riconoscibile e che più gli apparteneva. Un ironico salotto che gestiva con maggiore scioltezza. Su Italia 1 è finito nel tritacarne di altrui produzioni (dai comici che non fanno ridere di «Colorado» alle frattaglie televisive di «Matricole & meteore», la fiera del già visto) e ha annacquato un brodo già fatto - peraltro - col dado.
Quest'ultimo programma - riconosciamoglielo come attenuante generica - è stato troppo strapazzato in palinsesto: continui rinvii, stop improvvisi, spostamenti, certo non hanno reso la vita facile a Savino e ai già confusi telespettatori. Che per ritrovare lui, Juliana Moreira e Digei Angelo dovevano spesso tirare a casaccio sul telecomando.

L'IMPROBABILE «TIRATURA» DEL PLAYBOY HUGH HEFNER

A 84 anni, circondato da una pletora di sexy conigliette e dalla nuova compagna Crystal Harris, Hugh Hefner, il fondatore di «Playboy», da tempo ormai apparente caricatura di se stesso, ha festeggiato al The Palms di Las Vegas il suo compleanno. Miracoli del Viagra, forse. Di solito a quell'età per un anziano editore l'unica cosa che tira sono i giornali.
E di questi tempi neppure su questo si può mettere la mano sul fuoco.

martedì 13 aprile 2010

«FROM PARIS WITH LOVE» * UNA BUONA SPREMUTA DI ADRENALINA

Il giovane agente segreto James Reese (Jonathan Rys Meyers) lavora sotto copertura come assistente dell'ambasciatore americano a Parigi. Ogni tanto riceve telefonate da una voce misteriosa (Luca Ward, non ancora fagocitato dall'Isola dei famosi) e corre a destra e a manca a seminare cimici. Intese come microspie. Un giorno, per sgominare una banda di finti ristoratori cinesi spacciatori di droga, è costretto ad accettare la collaborazione con un nuovo partner, lo svitato Charlie Wax (John Travolta), più avvezzo a maneggiare mitra e bazooka che a discutere col prossimo. Per stare appresso a lui, deve persino lasciare sola la bella Carolina (Kasia Smutniak), un fiore di devotissima fidanzata. Insieme ammazzano una media di un cattivo all'ora. Occhio perché sta arrivando in città una delegazione di diplomatici, presi di mira da una cellula di terroristi islamici, e la trama - si fa per dire - s'infittisce.

La mano (sinistra) di Luc Besson dietro le quinte si nota assai in questo più che discreto action spy movie di Pierre Morel. In una Parigi autunnale, novelli Bud Spencer e Terence Hill a mano armata, i due protagonisti gigioneggiano. Soprattutto Travolta, che pare persino un filo dimagrito rispetto al pallone aerostatico degli spot Telecom con Michelle Hunziker. Lo script è molto esile, ma si compensa con ritmo, ironia e ammazzamenti a mille all'ora che faranno la felicità degli appassionati del genere. Anche se va detto che Bud e Terence erano un'altra cosa. Menzione d'onore per la brava Kasia Smutniak, alla quale si può rimproverare (per invidia) solo di stare con Taricone. VOTO: 7.

NINA ZILLI * «NON SONO IL CLONE DI GIUSY FERRERI»

Se Mina avesse 27 anni, la coetanea Nina Zilli, ragazzona piacentina imbevuta di talento, carisma e consapevolezza, le darebbe qualche grattacapo. Dopo Sanremo 2010, l’immancabile album, «Sempre lontano», scala le classifiche. E il pezzo che nel luglio scorso le regalò la prima, forte visibilità, «50mila», rientra dalla finestra, come colonna sonora di «Mine vaganti», di Ferzan Ozpetek.
Nina, ascoltandolo sembra di essersi persi una hit degli Anni 60...
«Sì, il gioco è un po’ quello, e quelle le atmosfere, che riportano al soul».
Lei è molto giovane...
«Ma vecchia dentro: me ne sento 48».
Perché Ozpetek l’ha scelta?
«Dice che ascoltava tante canzoni, e su tutte “skippava” alla successiva. Su questa non riusciva a non fermarsi».
Piacentina di dove?
«Gossolengo. Me ne sono andata da casa a 10 anni, in Irlanda, quand’ero ancora brutta e portavo l’apparecchio».
Perché?
«Mia madre era fissata con l’indipendenza della donna e voleva che andassi a studiare l’inglese. Aveva e ha ragione, siamo messe male, soprattutto in Italia: pezzi di carne al servizio della tv».
Ci torna ogni tanto a Gossolengo, la patria del gnocco fritto?
«Lo adoro, ma cucina nonna, che mi fa il pollo, ripieno di tacchino, ripieno di cinghiale, ripieno di...».
Dalla Tigre di Cremona, alla Faraona di Gossolengo.
«Lei scherza, ma io ogni volta scopro nuovi tipi di selvaggina primordiale».
Il suo pezzo di Sanremo, «L’uomo che amava le donne», clona «Non ti scordar mai di me», di Giusy?
«Piano, non offendiamo. È roba che c’è da 50 anni. Se un piano in battere e un timpano fanno dire che ho clonato la Ferreri, siamo messi male».
Davvero?
«Essì. C’è Amy Winehouse di mezzo. Se vogliamo ci sono Martha Reeves e le Vandellas. C’è tutta la Motown con la loro anima, i Funk Brothers. La verità è che “Non ti scordar mai di me”, che hanno scritto per Giusy, è il plagio di “Back to black”».
Lesa maestà o nervo scoperto?
«No, è che io non spunto così, da un talent, ma da dieci anni di festival beat e Northern Soul».
E lei, è una donna che ama gli uomini?
«Uno per volta, direi. Ora c’è il mio fidanzato: si chiama Jeeba e suona con me, fa il trombettista».

(TV SORRISI E CANZONI - APRILE 2010)

lunedì 12 aprile 2010

IPAD * COMPRARLO O NO? PRO E CONTRO DEL NUOVO APPLE SENZA USB

13 millimetri di spessore, 24 centimetri d'altezza e 19 di larghezza. Vale la pena di comprare l'iPad (nella foto), il nuovo oggetto del desiderio tecnologico firmato dalla Apple di Steve Jobs?
Giudicate voi soppesando pro e contro. 
L'oggettino, che arriverà in Italia entro la fine di aprile, costa in America 499 dollari (nella versione con 16 giga di memoria) e 829 dollari (in quella da 64 giga). Salvo sorprese, il prezzo italiano dovrebbe essere lo stesso, trasformato in euro.
La durata reale della batteria pare sia davvero molto elevata, attorno alle 10 ore a piena carica; è leggero e di facile trasportabilità e sullo schermo (ovviamente tecnologia touch screen) si possono leggere libri.
Tra i punti a sfavore, c'è l'assenza di porte Usb e dunque di memoria extra per i dati. E' un sistema non proprio chiuso ma quantomeno non implementabile. I notebook si comportano molto meglio. Altro inconveniente è che non consente il multitasking: in pratica va tenuta aperta un'applicazione alla volta. Un po' limitativo.
Ovviamente si tratta di un prodotto molto facile da usare, come nella tradizione della casa (si pensi agli iPhone 3Gs) ma non supporta al momento la tecnologia Adobe Flash, non ha fotocamera né porte per l'alta definizione. Lo schermo è 4:3 e non effettua chiamate telefoniche.
E' invece adattissimo per navigare sul web col wi-fi (in casa, ma in Italia quante reti aperte disponibili ci sono in giro per le città e la provincia?), per guadare le foto e inviare la posta.
Per i più critici è soltanto «un grosso iPod touch». Fatto sta, che è il gadget del momento. Ora avete tutti gli elementi per decidere se comprarlo o no.

domenica 11 aprile 2010

«GREEN ZONE» * UN MATT DAMON DA VEDERE A COLPO SICURO

2003. Arrestato Saddam Hussein, gli americani occupano l'Iraq. Ma la squadra guidata dall'ufficiale Roy Miller (Matt Damon), incaricata di ritrovare le micidiali armi di distruzione di massa, gira a vuoto tra un sito e l'altro imbattendosi solo in cianfrusaglie e vecchi cessi staccati dal muro. Colpa dei servizi segreti, nelle cui fila si scannano due partiti: uno che cerca la verità; l'altro che inquina le acque, segnalando ai militari falsi obiettivi. L'informatore segreto è tale «Magellano». E chi l'ha mai visto?
Inizio a spazientirmi, dice Miller, quando sulla sua strada spunta un mutilato iracheno che diventa prezioso informatore, utile alla cattura di buona parte dello stato maggiore del governo di Saddam. Un generalissimo sfugge, ma se lo becchiamo vuoi vedere che si sbroglia la matassa?

Con mano da grande mestierante, Paul Greengrass confeziona un action thriller guerrafondaio di assoluta qualità, dove spari e combattimenti non sono mai fini a se stessi, ma funzionali al racconto. Teso, drammatico. Un processo impietoso (e fatto a cadavere ancora caldo) agli interventi americani in Iraq. Per il Vietnam, il cinema Usa ha impiegato molto più tempo a metabolizzare. Date una mitraglietta e una divisa a Matt Damon, e farete di lui l'uomo e l'attore più felice e redditizio del mondo. Purché non si trombi. Che volgarité. VOTO: 8

sabato 10 aprile 2010

DAVID * VERDONE, NON PIAGNUCOLARE: ERA UN FILM DA 6 (NON DI PIU')

Che profonda tristezza vedere Carlo Verdone, il grande Carlo Verdone, che piagnucola per non essere finito nella rosa delle candididature ai David di Donatello con «Io, loro e Lara». 18 a Paolo Virzì per «La prima cosa bella»; 15 per «Vincere» di Marco Bellocchio; 14 a «Baarìa» di Giuseppe Tornatore; 13 alle «Mine vaganti» di Ferzan Ozpetek.
E Verdone, che cosa fa? Sullo sfondo, frigna come un bambino: «E' deprimente, sono molto dispiaciuto perché lo ritengo uno dei miei primi quattro film ...  Mi è sembrato un atteggiamento oltre lo snobismo, quasi che il grande incasso, 16 milioni e mezzo di euro, fosse un problema. Come a dire: tanto il premio l'ha già avuto. Fortunatamente, 3 milioni di persone che hanno visto il mio film non la pensano come i 1592 componenti della giuria».
Qui l'Enrico Lucci de «Le iene» probabilmente esclamerebbe, in loop: «Ma si rende conto? Ma si rende conto? Ma si rende conto?».
Caro Carlo, a parte il fatto che «Io, loro e Lara» è una fragile commediola da sufficienza risicata (troppo poco per ambire a quello che in teoria è l'oscar italiano), accontentati di fare l'attore, il regista, lo sceneggiatore. Senza sbatterci in faccia i tuoi milioni di spettatori. E lascia ai critici l'ingrato ruolo di critici. Oppure i premi e le candidature vanno assegnati per diritto divino? Esiste un decreto legge anche per questo?
Spiegacelo, fra una polemica (inutile) e l'altra.

venerdì 9 aprile 2010

PRIMO MAGGIO? NO, 28 APRILE: ESPOSITO E DELOGU INFIAMMANO ROMA (PER IL DARFUR)

In attesa del maxi-concerto del Primo maggio (condurrà Sabrina Impacciatore, sul palco star come Irene Grandi, Simone Cristicchi, Vinicio Capossela, i ricostituiti Litfiba, Nina Zilli e Paolo Nutini), Roma apre alla musica con un altro evento certo da non perdere. 
L'appuntamento è per il 28 aprile alla «Stazione birra» (luogo cult per la musica nella Capitale) per una serata d'appoggio alla Giornata mondiale per il Darfur e i progetti umanitari in Sudan di 'Italians for Darfur'.
A condurre sarà la promettente Andrea Delogu (nella foto), già fresco volto di Match music e cantante delle "Cinema2". In scena, Tony Esposito, musicista e cantante molto legato all'Africa e testimonial italiano del progetto. Insieme con il Quintetto di Ottoni dell'Orchestra di Santa Cecilia e un gruppo di percussionisti africani, si produrrà in un live da pelle d'oca.

La struttura ospiterà anche una mostra dei disegni dei bambini del Darfur (la guerra vista con i loro occhi) e delle foto che mostrano la vita nei campi profughi della regione. L'evento è inserito
nell'ambito di una campagna internazionale partita il 9 gennaio: Sudan365, promossa, tra gli altri, da Amnesty International, Human Right Watch e la stessa Italians for Darfur. 
In tutto il mondo musicisti famosi (in particolare percussionisti e batteristi del calibro di Coppland dei Police e Mason dei Pink Floyd), per tutto il mese di aprile (dedicato al Sudan anche perché in questo mese si terranno le prime elezioni multipartitiche da 24 anni e il rischio di brogli fa temere possa scoppiare una nuova guerra civile) saranno i testimonial delle iniziative di Sudan365.
La Giornata per il Darfur, prevista invece il 2 maggio a Roma al Colosseo, ha il patrocinio delle Presidenze della Repubblica, del Senato e della Camera.

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