giovedì 30 settembre 2010

LINUS * «LO ZOO DI 105, CHE COSA SAREBBE SENZA VOLGARITA'? FABIO VOLO? BRAVO, MA CUCINA IL NULLA»

Dopo ogni maratona, prende appunti. Maniacalmente. E ogni tanto, lo confessa senza difficoltà, si sveglia in piena notte e compulsa quei dati per confrontarli con le performance passate. A seguire, un sacco di quelle che – giovanilisticamente - un disc jockey dei suoi definirebbe «menate». «Essì», spiega Linus «perché se impiego un certo tempo per percorrere 32 chilometri sul Naviglio che da Milano porta ad Abbiategrasso, voglio poi controllare se ho fatto un minuto in più o in meno di qualche anno fa. Se è un minuto in meno, la cosa mi rincuora, anche se magari sono arrivato al traguardo ridotto come uno straccio».
La passione del patron di Radio Deejay per le scarpinate è il cuore del libro autobiografico «Parli sempre di corsa» (Mondadori, 15,50 euro). «E poi se vogliamo non è neanche vero che ne parlo sempre; è che quando mi chiedono, apro il mio vaso di Pandora».

Linus, è passione o mania?
«Se mi chiamasse Claudia Schiffer per chiedermi un incontro galante giovedì alle 18.30, la prima cosa che penserei è: ma cavolo, proprio giovedì alle 18.30? Devo andare a correre… Rendo l’idea?».
Rende. Nel libro ha raccontato di quando il Trio Medusa de «Le iene» le mise alle calcagna un complice molesto, durante una maratona, e lei andò su tutte le furie?
«No, ho preferito evitare. La fecero veramente sporca: uno scherzo del cavolo. Mi misero alle calcagna un ragazzo di Roma, molto più preparato agonisticamente di me, col compito di infastidirmi per 20 chilometri. Questo li prese alla lettera. 20 chilometri, capisce? Andai in bestia. Poi non era una corsetta qualsiasi, ma una gara per la quale mi ero preparato. Avrei voluto vedere chiunque al posto mio».
Che cosa successe dopo?
«Minacciai di non dare la liberatoria, ma purtroppo lo scherzo era divertente, e alla fine andò in onda, in ossequio all’ingorda logica televisiva».
Lei è il re della radiofonia italiana, lo ammetta.
«Accetto la definizione, non foss’altro per una questione anagrafica e perché sono al timone della radio che da anni guida il mercato».
E ha anche un brutto carattere, dicono. Quantomeno discontinuo.
«No, è una leggenda metropolitana. Ho invece molte fidanzate virtuali deluse che non trovano di meglio da fare, per consolarsi, che pensare e dire in giro che sono uno str…».
Si confonde l’autoritarismo con l’autorevolezza?
«Ecco, se proprio devo riconoscere un mio tratto, è l’essere abbastanza determinato e risoluto nelle decisioni. C’è già troppa gente in Italia che non ne prende».
Qual è lo stato di salute della radiofonia nel nostro Paese?
«C’è una vivacità altrove sconosciuta. Nella maggior parte dei Paesi, anche europei, si cura a malapena la fascia del mattino, e poi gran musica. Anzi, a volte neppure tanto grande. Da noi c’è agitazione, competitività, fermento. Cosa che può essere anche positiva, ma ogni tanto viene da dirsi: potremmo anche darci  una calmata, sederci e prendere qualche accordo. O sbaglio?».
Perché ha mandato via Fargetta?
«Con Fargetta era finito un ciclo, non aveva altro da aggiungere. E comunque è rimasto nel giro. A volte mi accorgo di avere 40 elementi e 10 posti da titolare. Non posso sempre far giocare tutti… E poi, perché si accorgono solo di chi non fai giocare?».
Che cosa pensa di Fabio Volo?
«È bravo e si alza ancora presto per dedicarsi alla radio con passione, anche se potrebbe fare altro. Cucina un piatto succulento nonostante in realtà in genere cucini il nulla».
Chi prenderebbe facendo campagna acquisti fuori da Radio Deejay?
«Qualcosa di interessante c’è a “Lo zoo di 105”, ma anche lì mi piacerebbe capire quanta parte del loro successo sia dovuta alla volgarità che esprimono. Senza quella, ne avrebbero così tanto?».
Altri?
«Non c’è molto in giro: Rtl 102.5 e Rds, che sono rispettivamente seconda e terza come ascolti dopo Deejay, hanno un palinsesto che non privilegia le voci…».
Nota un imbarbarimento nel mondo radiofonico?
«Con le volgarità e alzando la voce si conquista più audience, è risaputo. La radio non fa altro che riflettere l’imbarbarimento del Paese».
Dopo la richiesta di un aumento delle royalties da parte dei discografici, i grandi network da mesi hanno smesso di mandare in onda i brani appena usciti. Lei il primo settembre ha rotto l’embargo, e li trasmette. Perché?
«La nostra protesta era giusta, anche perché in Italia la radio ha solo il 4% della fetta del mercato pubblicitario contro il 10% di altri Paesi e paghiamo le frequenze a caro prezzo, ma ormai questa cosa rischiava di danneggiare molti artisti. E poteva diventare autolesionistica anche per noi. Il messaggio era arrivato, poteva bastare».

(SORRISI.COM - SETTEMBRE 2010)

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