giovedì 11 agosto 2011

STORIA DELLA TV DELLA (FINTA) BONTA'

Quanta cattiveria nasconde la Tivvù dell'insistita bontà. Quanta perfidia si cela sotto una lieve patina di buonismo a prezzo di saldo. Lo schermo trabocca di esempi di questo candore al curaro e a volte - distratti - manco ce ne accorgiamo, accontentandoci di una lettura superficiale di ciò che ci viene ammannito dai signori dell'etere. Un po' per pigrizia, un po' perché in fondo è pur sempre solo televisione, intrattenimento. E forse non vale la pena scaldarsi più di tanto. Il primo a camminare, con acume e leggiadria, su questo sottile confine fu - ancora una volta - Enzo Tortora, che con il suo Portobello (Raiuno ha intenzione di resuscitarne quest'anno una versione edulcorata) pose le basi di gran parte della Tv attuale. Le rubriche dei Fiori d'arancio, con una varia umanità di bizzarri cuori solitari a caccia di anime gemelle, e il Dove sei?, che prevedeva il reincontro di vecchi compagni d'armi, sottintendevano maliziosamente ironia per i primi in scena e caccia alla facile lacrima per i secondi. La ruffiana abilità del Tortora conduttore, faceva il resto. La prima rubrica ha partorito lo spietato (ma apparentemente buonissimo) Agenzia matrimoniale di Marta Flavi, nonché i lavori di tutti i suoi emuli; il secondo è l'ossatura portante di Carràmba, che sorpresa!, il gioiello di madame Pelloni: tra gli otto e i dieci milioni di spettatori ogni sabato sera sulla prima rete. Ma c'è chi ha saputo fare di più e meglio. Ricordate Scene da un matrimonio, con Davide Mengacci? Il programma (da un'idea di Gianni Ippoliti) andava a sfruculiare, con sorriso bonario e intento apparentemente solo cronistico, le nozze degli italiani. Fra parenti pittati, mamme piangenti, cappelli, miti, riti e bomboniere, ne usciva il ritratto agghiacciante di un'Italia (vera, verissima) oltre i confini del kitsch. Un capolavoro di programma, apparentemente buono ma cattivissimo negli intenti. Eppure la lettura che ne fece il pubblico fu diversa: non gradì la presa in giro e lo seguì avidamente come una mini-soap «de noantri». Tanto che Mengacci e soci furono costretti a modificare il taglio stesso della trasmissione: più fotoromanzo e meno ammiccamenti. L'Italia vera davanti al video si specchiava in se stessa e non gradiva le prese in giro, anche se velate. In queste ultime stagioni alcuni guizzi in questo senso sono venuti dal rassicurante - solo in apparenza, va da sé - Meteore (Italia 1) e da tutti i suoi cloni (Ma che mu). Mandando in onda gli artisti che trionfarono per una stagione per poi sparire dalle scene, non si fa solo un'operazione nostalgia. In realtà il messaggio che il pubblico recepisce è questo: hai avuto notorietà e guadagnato centinaia di milioni, quando io faccio una vita anonima e piatta, con un lavoro malpagato? Bene, tu però poi sei scomparso, hai finito di cantare, mentre io - tutto sommato - sono ancora qui. Il retrogusto, insomma, è un mix di invidia e vendetta postuma. Però spacciata per sano revival di ieri l'altro. Da lustri resiste, infine, il cinico confessionale de I fatti vostri di Raidue, passato attraverso le conduzioni di Alberto Castagna, Giancarlo Magalli, Massimo Giletti e Fabrizio Frizzi, che se ne è chiamato fuori non avendo abbastanza pelo sullo stomaco per reggere un programma simile, cassonetto per la raccolta differenziata di casi umani tra un premio, una busta giusta e una canzoncina con l'orchestra. Di fronte a programmi come questi si arriva a rivalutare persino il Luca Barbareschi di C'eravamo tanto amati. Il che è tutto dire.

(IL GIORNALE - AGOSTO 2000)

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