giovedì 20 dicembre 2012

21/12/2012 * LETTERA APERTA AI MAYA

Cari Maya,
premetto che non vi conosco, se non per sentito dire. Sono stato in Messico una volta, e l’unica profezia che mi ha colpito nel profondo è stata la nota (forse più nota di voi) maledizione di Montezuma. Una vacanza passata sul water, si sa, è peggio dell’Armageddon.
Però complimenti, davvero: avete un ufficio stampa che neanche Lady Gaga, se siete riusciti a far circolare massivamente per almeno un anno - ovunque - una bufala planetaria. Vi confesso che un po’ mi fate simpatia, come tutti i testardi autolesionisti che si imbarcano in imprese più grandi di loro. Anche se è d’obbligo mettervi in guardia dalle figuracce, perché dopo aver montato la panna per mesi e mesi, se poi non succederà nulla, vi sarete giocati la credibilità per le prossime generazioni. Può non essere vitale per chi lavora nel ramo del nichilismo, ma fateci un pensiero.
Per il resto, egregi esponenti di una civiltà estinta ma più presente dei neuroni di Flavia Vento, guardatevi in giro. Senza andare lontano: basta questo vecchio Stivale rattoppato. Pieno di ladri, bugiardi, lecchini, troie di regime, giornalisti venduti. Uomini di potere e di partito capaci di pensare solo al proprio interesse e mai a quello della collettività che (teoricamente) dovrebbero rappresentare e servire. Un Paese finito e sfinito. Che la fiducia ormai la trova solo nel Galbani. Stordito dal gossip, schifato dalla corruzione, annientato dal nulla vestito a festa che l’ammanta da troppo tempo, come la neve d’inverno. Chi ha fra i 20 e i 30 anni e – potendo farlo – non stacca un biglietto di sola andata per qualsiasi posto civile, è un pazzo o un parlamentare.
Insomma, stimatissimi Maya, non c’è bisogno di strafare. A noi la Fine del mondo non è così utile. Ci serve solo la fine (più dolorosa e chirurgica possibile) di quest’Italia di merda.

martedì 18 dicembre 2012

ELENA SOFIA RICCI * «MIA SORELLA ELISA È LA VERA ARTISTA DI FAMIGLIA»


Attimi di relax in un luogo speciale per Elena Sofia Ricci, stella di prima grandezza della fiction di casa nostra. Capace di passare dal set de «I Cesaroni» di Canale 5, dov’è tornata nella stagione attualmente in onda per interpretare il ruolo dell’amorevole e (stavolta) un po’ fatale Lucia, a quello di «Che Dio ci aiuti», su Raiuno, dove nel 2013 tornerà a interpretare il ruolo dell’energica suor Angela. Inevitabili, i bilanci. «“I Cesaroni” stanno andando abbastanza bene» dice l’attrice «e a Mediaset sono soddifatti, anche se stavolta c’è qualche problema in più con gli ascolti, che sono però frammentati su ogni rete televisiva. Forse stiamo pagando un po’ il fatto di far interagire meno i ragazzi con gli adulti nello sviluppo del racconto. Ma è un discorso che riguarda soprattutto gli sceneggiatori, chi si occupa della scrittura degli episodi». 
Accanto ad Elena Sofia, per la prima volta, c’è sua sorella Elisa Barucchieri, danzatrice e coreografa con un vistoso curriculum ma poco nota al grosso pubblico. «Ci mostriamo insieme solo ora» prosegue la Ricci «perché il nostro è un rapporto speciale che andava difeso. Qualche giornale in passato ci ha proposto di fare foto modello “sorelline ai fornelli”. Non era roba per noi. Qui siamo al Teatro Valle di Roma, dove si è tenuto “Anima”, il nuovo spettacolo di Elisa, e dove io feci “Il bugiardo” di Goldoni. Un posto che ci accomuna. Siamo figlie dello stesso papà ma abbiamo mamme diverse. Io ho tenuto il nome materno. Di fatto ci siamo conosciute solo 20 anni fa. Elisa è straordinaria, la vera artista di famiglia, insieme con mio marito Stefano, compositore. Loro sono in grado di creare davvero qualcosa, io sono solo un’interprete. Certo, non risponde al telefono, le devo ricordare di andare a fare le visite mediche, è molto distratta. Ma dietro quest’apparenza di donna “sparpagliata”, si nasconde un tesoro».
Interviene Elisa: «Elena Sofia è splendida: onesta, integra, generosa, di una generosità che spesso le si ritorce contro. Difetti? Parla tanto, ma ora un po’ meno. Un momento che ci unisce? Anni fa: eravamo insieme sul lettone mezze addormentate a vedere in tv “Carràmba, che sorpresa!”. A un certo punto passa la storia struggente di due fratelli che non si vedevano da 27 anni. Ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a piangere a dirotto: “Ma è la nostra storia...” ripetevamo fra le lacrime abbracciandoci. Una cosa indimenticabile».
La passione per la danza di Elisa ha radici antiche: sin da piccola, cresciuta sulle Dolomiti. 
«Anche se un’insegnante» aggiunge «mi disse che avevo le ossa troppo grosse per ballare. E le credetti. Ma parlava di danza classica. Con la contemporanea, che viaggia su binari molto meno rigidi, si può spaziare molto di più. Ho scelto come base Gioia del Colle, in Puglia, dove ho per due anni la direzione del teatro locale, e la vicina Giovinazzo, dove c’è un altro spazio attrezzato. La mia compagnia si chiama ResExtensa, tra le pochissime al Sud riconosciute dal Ministero, tra le cosiddette Residenze di danza. Con lei e il gruppo Unità C1 ho realizzato “Anima - Il respiro del Mediterraneo”. È stato definito “spettacolo totale”, giocato sul corpo, la luce, il video, la musica, i costumi... C’è chi è tornato tre volte a vederlo e, giuro, non erano parenti! Ma in futuro mi piacerebbe fare qualcosa che coinvolga anche mia sorella e suo marito».
Elena Sofia la guarda con affetto, e annuisce: «In passato Elisa ha lavorato con me occupandosi delle coreografie di un mio spettacolo. Ma ha così tanto talento che può fare e ha fatto di tutto: dall’Erodiade di Testori alle collaborazioni con Carolyn Carlson. Allestisce spettacoli che neanche i Momix. Una volta per uno spettacolo sul lago di Monticchio, in Basilicata, costruì un galleggiante sull’acqua, con fontane di luce. Memorabile».

(TV SORRISI E CANZONI - DICEMBRE 2012)

mercoledì 12 dicembre 2012

IN MORTE DI J.R. * DA 5 BOTTIGLIE DI CHAMPAGNE AL GIORNO, A 5 FRULLATI

La sua filosofia, la sintetizzò in una frase: «Ho sempre trattato tutti allo stesso modo: dalla Regina d’Inghilterra, al lavoratore di fatica di un giacimento petrolifero a Dallas». Morto a 81 anni, il 23 novembre scorso, per le complicazioni di un cancro alla gola, Larry Hagman, per tutti solo «J.R.», di pozzi di petrolio texani se ne intendeva davvero, essendo nato a Fort Worth un lunedì di settembre del 1931, figlio di una cantante di Broadway. Il successo lo acchiappò nel 1965, grazie al ruolo del Maggiore Nelson nella sit-com «Strega per amore», con Barbara Eden. Il botto, però, fu alla fine del decennio successivo, quando dal 1978 al 1991 vestì i panni del cattivo dei cattivi: lo spregevole J.R. di «Dallas». Nel 1980, l’episodio in cui una misteriosa mano attentò alla sua vita, fu seguito da 83 milioni di spettatori in America e da 350 milioni in tutto il mondo. Negli anni d’oro, Mr. Hagman, oltre a bere cinque bottiglie di champagne al giorno, provando «Ogni tipo di droga, tranne l’eroina», guadagnava 100.000 dollari a episodio, e ne girò in totale 353. Il che gli consentì di accumulare una fortuna; tanto da comprarsi una villa a Malibù (Los Angeles) e un sontuoso appartamento proprio a Dallas, che aveva ovviamente ribattezzato «La mia città». La battaglia più grossa la dovette combattere nell’agosto del 1995, quando, dopo aver scoperto un tumore al fegato, subì un trapianto. 13 ore d’intervento. Il donatore era un 28enne che poi campeggiò per tutta la vita in una foto in bianco e nero su una mensola del soggiorno di casa Hagman, e che J.R. ogni giorno salutava e guardava negli occhi; piccola cerimonia di ringraziamento per la «seconda possibilità» che gli fu concessa. Spiritoso, eccentrico e nemico della finzione (una volta si presentò in un negozio di alimentari con un costume giallo da gallina, e un’altra fu sorpreso a giocare a freesbee in spiaggia vestito da karateka), Hagman a casa custodiva strani cimeli. Come un pezzo di carbone della sala macchine del Titanic, regalo di un fan, e una fialetta di sangue infetto da Hiv, che considerava «un’opera d’arte». Così come alcuni quadri dipinti da un amico. Tale Anthony Hopkins. Del suo cancro in gola parlava invece a lungo con un altro malato illustre: Michael Douglas. La domenica invece la consacrava al silenzio assoluto e alla meditazione, spostandosi con un micro-ventilatore a mano per respingere il fumo delle sigarette altrui. Pare sia stato pagato un milione di dollari per tornare a interpretare J.R. nel recente seguito della serie cult, che in Italia non ha avuto grande riscontro. Nell’ultimo anno era diventato totalmente vegano, tanto da trasformare le famose cinque bottiglie di champagne al giorno in cinque frullati di cavolo, cetriolo, fagiolini e avocado. Appassionato di energie alternative e materiali eco-compatibili (spesso girava l’America su una casa viaggiante a energia solare targata «Be Happy», ovvero sii felice, e aveva un caddy per giocare a golf alimentato con olio da cucina riciclato), quando si presentò in Italia l’ultima volta, esattamente due anni fa, a «Sorrisi», ebbi la fortuna di conoscerlo. Era testimonial di un’azienda di pannelli solari, e mi chiese il numero di cellulare di Zucchero, l’artista italiano che amava di più, deciso a complimentarsi per una sua canzone: «È un peccato morir». Sì Larry, è un vero peccato.

(TV SORRISI E CANZONI - DICEMBRE 2012)

martedì 11 dicembre 2012

GRILLO, CASALEGGIO, IL MOVIMENTO 5 STELLE (M5S) E LA DEMOCRAZIA INTERNA


Beppe Grillo ha detto in modo crudo ("Chi non è d'accordo, fuori dalle palle"), ciò che ha sempre professato nei fatti. Lui, Casaleggio e il M5S non sono immuni da difetti né saranno la nostra panacea, ma chiarezza e coerenza espositiva - a volte un po' brutale, ma d'altra parte questo Paese viene brutalizzato da una vita da politici di ogni colore che sono soliti inchiappettarci col sorriso e le menzogne, che cosa sarà mai un "fuori dalle palle"? - non gli è mai mancata. Le anime belle che ora si scandalizzano, o fingono di farlo per motivi propagandistici, per la sua "antidemocraticità", dovrebbero riflettere sul fatto che la Democrazia ha ragione di esistere soprattutto all'esterno, non tanto all'interno di un Movimento. Quando si è seduti tutti assieme sugli scranni a Montecitorio e si fa la conta dei voti su una proposta di legge, non quando si combatte per arrivare a sedersi su quegli scranni. La democrazia interna, quando esistono un leader e un progetto al quale si è data la propria adesione, è un aspetto - passatemi la semplificazione - "secondario". Dialettica, critiche e dissensi non possono arrivare oltre un certo limite per non danneggiare il percorso fatto sin lì. In questo senso, Grillo ha ragione ed è stato più che sincero. Chi non condivide, è libero di andarsene. Mi piacerebbe poter verificare quanti di coloro che si scandalizzano (in modo a mio avviso strumentale, perché il M5S fa molta paura), sarebbero disposti a concedere tranquillamente che altri venissero a comandare a casa loro. Secondo me, nessuno. Li accompagnerebbero alla porta, più o meno garbatamento. La democrazia interna, nei partiti, di fatto non è mai esistita. A meno che non fosse un (inconcludente) collettivo politico sessantottino. Il resto erano aspre lotte fra correnti, alle quali ci hanno abituato Dc e Pci, con qualcuno che poi teneva comunque le fila. Grillo almeno evita il minuetto delle prese per i fondelli dei finto-democratici, e dice chiaro: "Chi non è d'accordo, fuori dalle palle". Non mi pare una bestialità.

CHIARA GALIAZZO * LA BIZZARRA VITA DELLA VINCITRICE ANNUNCIATA DI «X-FACTOR»

«Dai, per favore, sono chiusa qui da settimane, non ci dicono niente: raccontami che cosa ha detto Mina di me!».
È molto difficile resistere al guizzo negli occhi, ai modi naïf e alla cadenza veneta di Chiara Galiazzo, 26 anni da Saonara (Padova), favorita tra i favoriti per la vittoria alla sesta edizione di «X-Factor». È molto difficile, ma devo farlo, dal momento che l’intervista, in camerino, è sorvegliata a vista da un’addetta stampa e da una redattrice. Inflessibili come istitutrici tedesche. Quindi il commento di Mina: «Quest’anno a X-Factor c’è una ragazza pazzesca» (quasi sicuramente riferito al suo talento), lo devo tenere per me. Pena l’espulsione.

Chiara, mi spiace ma non posso dirti niente di quel che succede fuori. Sono le regole del talent…
«Lo so, ma per me è troppo importante, capisci? E poi è stato Morgan stesso a fare un accenno durante una puntata, quindi che male c’è? Mina ha davvero parlato di me? Ha parlato bene?».
Non posso, Chiara, non posso. Piuttosto, sembri un po’ ansiosa sul palco. Dopo qualche settimana di rodaggio, ti è passata la paura?
«Non mi passa mai, non si placa per tutta la settimana. Martedì ho il top del buco nero, nerissimo. La cosa va avanti mercoledì, e poi sparisce giovedì, un secondo prima di iniziare».
È vero che in passato hai fatto l’animatrice?
«Sì, avevo 20 anni, in un villaggio a Grado… Seguivo i bambini. Sono un po’ bambina anch’io».
Poi è arrivata la laurea in Economia, 100 su 110…
«Sai un casino di cose… Quindi, su, è fondamentale: dimmi che cos’ha detto Mina di me! Capisci, se canti e la più grande cantante italiana, il tuo mito, dice qualcosa di te, è importante!».
Capisco, ma non posso. Cantavi anche quando, per sei mesi, hai venduto fondi comuni d’investimento in una società di Milano, prima di entrare a «X-factor», o ti facevano fare solo fotocopie?
«Mannò, lì mica potevo cantare. Ero stagista, non facevo fotocopie ma l’assistente di un trader; però mica c’entravo poi così tanto con quel mondo lì...».
Se ti dico: «Prendi una matita, tutta colorata…». Che cosa mi rispondi?
«Che sei ubriaco?».
No! È il ritornello di una famosa canzone di Mina. Non mi puoi cadere su Mina…
«No! Davvero? Non la conoscevo; osti, che figura… Ma di lei ho cantanto alcune cose soprattutto in passato. Di recente, solo “L’ultima occasione”».
Anche perché ultimamente ti esibivi con un chitarrista, Giuseppe, in alcuni locali di Milano… Perché solo chitarra e voce?
«Perché a me non piacciono troppi sghiribizzi, può bastare così. E poi parliamoci chiaro, è più semplice: non devi portarti altri strumenti».
Ora, dopo essere stata scartata da due edizioni di «Amici», hai in repertorio anche un inedito firmato Eros Ramazzotti…
«È una cosa stupenda, bellissima».
E se domani (e sottolineo se), come direbbe Mina, vincessi «X-Factor», che cosa faresti?
(Prima di rispondere, per farsi perdonare la gaffe di prima, intona tutto l’attacco di “E se domani”, Ndr). «Ringrazierei tutti quelli che hanno lavorato a questo programma, e mi toglierei le scarpe prima di lanciarmi dalla gioia sulla platea».
L’intervista si conclude con Chiara scortata fuori dal camerino che – muta – ogni 30 secondi elude la sorveglienza, spalanca gli occhi, mi fissa e sorride annuendo più volte, in attesa di un mio cenno del capo. Ovviamente a proposito di Mina. Alla fine, lo sventurato rispose.

(TV SORRISI E CANZONI - DICEMBRE 2012)

martedì 4 dicembre 2012

ARISA * «IL MIO ULTIMO X-FACTOR? SI VEDRA', MA STAVOLTA HO ESAGERATO»

Quindici paia di scarpe che neanche a «Sex and The City», sette abiti da sogno e il Teatro Litta di Milano che scintilla di luce. Alla fine del servizio fotografico, maglia e pantaloni neri, seduta a un tavolaccio dietro le quinte, impugnando una forchetta di plastica, Arisa si concede un’insalata, col mais «ma senza mozzarella». Polvere di stelle per la giurata di «X Factor», alle prese con gli alti e bassi di una vita da star e i postumi di una memorabile tele-sfuriata. Intanto, nei negozi esce «Amami Tour», il suo primo cd-raccolta live.

Arisa, lei è irrequieta: nell’ultima puntata del talent ha scatenato un putiferio sullo show, litigando con la Ventura ed Elio. Per poi scusarsi.
«Sì, sono irrequieta. E sono anche molto vera, fan della verità, e se m’infervoro, non è per finta. Lì ho esagerato. La tv non fa per me: c’è sempre un margine, più o meno alto, di finzione».
Però è strano vederla arrabbiata…
«Non so elaborare strategie, e non sono lì perché la gente dica: quanto è bella o brava Arisa! Sono lì per dare la miglior forma possibile al sogno di quei ragazzi. E sento questa responsabilità».
Sarà il suo ultimo «X Factor»?
«Non lo so. Quest’anno è particolarmente dura, ci sono state molte conflittualità. Però in genere alla fine le cose si risolvono. Staremo a vedere».
È passata da Calimero a sexy Rosalba…
«No, da Calimero a Calimero. Al massimo di diversi tipi: quello da sera, quello del mio paese, il Calimero di Milano… Sono come un iPhone, passo dal 4 al 5».
Si paragona a un cellulare?
«Massì, da un modello all’altro si aggiungono caratteristiche, si cerca di migliorare il software, perdendo qualcosa che non andava. Ma sempre un telefono rimane».
La vedo anche molto dimagrita…
«Neanche tanto, sa? Sembravo più in carne. Mi vestivo di più per schermarmi dal giudizio degli altri. Cercavo di non farmi giudicare al 100%. E mi piace sottolineare le cose che non amo di me».
Come ha scelto i brani del cd?
«Sono quelli del tour: un percorso obbligato. Ci sono le mie cover in finto inglese, libera interpretazione di una lingua straniera. Più due inediti: “Meraviglioso amore mio”, che a gennaio sarà nella colonna sonora del nuovo film di Brizzi, “Pazze di me”, e “Senza ali”, che ho scritto io».
Ora lo può confessare: gli occhialoni con i quali debuttò a Sanremo con «Sincerità», furono un’imposizione.
«Figurarsi se ci sono case discografiche oggi che fanno un progetto sul look di un’artista. Anzi, me li sconsigliarono. Poi provai le mie lentine a contatto, pian piano presi confidenza con loro e un giorno abbandonai gli occhiali».
In questi giorni esce il film d’animazione «Un mostro a Parigi», che ricorda «La bella e la bestia», dove lei doppia la cantante Lucille. Torna l’Arisa formato cartoon?
«Questo lavoro era di tale raffinatezza e intelligenza che non potevo non accettare. Il messaggio è non fidarsi delle apparenze, accettare le diversità. È vero, oggi c’è più tolleranza, ma quando si ragiona per massimi sistemi. Nel quotidiano le cose cambiano».
E come la mettiamo con il ruolo di una perpetua nel film di Natale di Neri Parenti, «Colpi di fulmine»?
«È una donna sanguigna, un personaggio che mi dà la possibilità di parlare praticamente il mio dialetto lucano. Ricostruisce un mondo che è quello di famiglia, a Pignola (Potenza), e ricorda una grande zia che fa inconsapevolmente ridere. Finalmente saranno contenti i miei compaesani».
Perché, si lamentano di lei?
«A volte dicono che li trascuro, ma non è vero. La mia terra è una delle sette meraviglie d’Italia».
Crede in Dio?
«Sì, è un’energia di cui ho bisogno tutti i giorni. La Chiesa invece è stata creata dall’uomo, quindi è imperfetta. Per cui non seguo tutto ciò che predica».
Quante storie ha avuto dopo la fine di quella con il suo fidanzato, l’autore Giuseppe Anastasi?
«Una, che continua tuttora e che mi fa essere felice quando devo esserlo. Sto con un produttore tv, che ha una piccola società indipendente ed è molto impegnato. Come me. Quindi ci concediamo l’amore quando possiamo».
Quale sarà la sua prossima trasformazione?
«Quando avrò il materiale per uscire con un nuovo album di inediti cambierò un po’ direzione musicale: vorrei puntare sull’elettronica, che amo tanto».

(TV SORRISI E CANZONI - NOVEMBRE 2012)

lunedì 3 dicembre 2012

ROUTE 66 * DA ST. LOUIS A TULSA, PASSANDO PER JOPLIN E L'ALTRA SPRINGFIELD


Il tratto di strada fra St. Louis e Springfield (l'altra Springfield, in Missouri, dopo quella cupa e simpsoniana in Illinois) si apre alla campagna ed è una parata di paesi più o meno identici che hanno come unica attrattiva le Caverns, ovvero le grotte. Attrattiva minimale per i turisti, ma anche unico divertimento per la gente del posto, pensionati e famiglie, che si trastulla tra visite guidat
e e weekend col pranzo al sacco in riva al fiume. Non c'è altro, manco a pagare in euro. Le Caverns più famose qui non sono quelle di Batman, bensì le altre, di Meramec, dove nel 1870 si nascosero Jessie James e la sua banda. Ma ogni piccolo centro ha le proprie, che custodisce gelosamente. Grotte, solo grotte. I bambini della zona infatti sono tutti sull'orlo dell'esaurimento nervoso. "Mamma, che cosa si fa questo weekend?". "Piccino, andiamo alle Caverns". "Ma come, ancora? Two Balls, mum!". "Daddy, mi porti al cinema stasera?". "No, serpentello, il più vicino è nell'altro Stato, a millemila miglia da qui. Vediamo... Potrei portarti alle grotte!". "Nooooooooo... (segue bestemmia) Ancora?! Ma che cosa danno?" "Stalattiti, lo sai, è un capolavoro". "Stalattiti lo so a memoria, l'avrò visto mille volte... Non ci si può spingere fino a stalagmiti, o al limite quarzo rosa o ametista?". "Non so, dai, poi vediamo. Ma lo sai che Stalattiti è meglio di Titanic!". E così, da decenni, la famigliola arriva sul posto e poi muta, in disperante, fantozziano silenzio, con coca cola e combo di pop corn, entra a vedere le grotte. Ogni volta come se fosse la prima.
Joplin, Missouri. In uno dei tanti fast food, troneggia un innovativo dispenser Coca-Cola touch screen. Partendo dalla Coke classica e da altri 20 marchi legati all'azienda, con relative varianti, ti consente di miscelare da solo - sul posto - piú di 100 bibite con acqua e ghiaccio. Una bomba. La fredda Joplin è l'ultimo sberleffo del Missouri (Mêsùri, come lo chiamano qui) prima di entrare in Oklahoma sfiorando un brevissimo tratto di Kansas. La temperatura in meno di un centinaio di miglia passa da 10 a 30 gradi, come nel pomeriggio di ieri. Inizia il caldo, e si "arroventa" anche la Route. Grazie alla provvidenziale Lonely Planet scopriamo un breve tratto ancora percorribile della vecchissima Route 66: due metri e sette centimetri in larghezza. L'Oklahoma è lo stato con più chilometri di strada sul tracciato più o meno originario della Mother Road. Tant'è che incrociamo un maestoso gruppo di ricchi pazzi australiani che fa lo stesso nostro viaggio, ma seriamente. Una colonna con 40 auto, alcune d'epoca, tutte con bandiera al finestrino, e 20-25 bikers rigorosamente in Harley Davidson. Quando sei qui, in queste distese sconfinate di libertà (ben vigilata, soprattutto per la velocità) capisci che la Harley, con la sua estetizzante poesia, col placido rombo dominante, sarebbe in realtà l'unico vero modo di intendere da Route. Premiante e contestualizzato. E la Ford Escape con la quale sino al giorno prima facevi lo sborone perché in fondo "quelli in moto si prendono la pioggia e il gelo", ti fa sentire improvvisamente uno sfigato. Un impiegato del catasto della Route. Pollo fritto per dimenticare in un localino che più americano non si può (quando le cameriere parlano velocemente non capisco una beata fava ma intuisco il senso e poi mi arriva comunque quello che hanno deciso loro), e via verso Tulsa, che ha poco da dare ma almeno un consiglio non lo risparmia. È per gli acquisti, e viene dallo studio di un legale: Divorce, 100 $. 80 euro per un divorzio. Se si sapesse in Italia, quanta gente prenderebbe immediatamente la residenza qui?

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