lunedì 30 dicembre 2013

TERRA DEI FUOCHI * LE DOMANDE DI «SERVIZIO PUBBLICO» CHE ESIGONO UNA RISPOSTA

Se fosse tutto vero o anche parzialmente reale (ma non ho alcun dubbio!) quanto riportato nella puntata speciale di Servizio Pubblico del 29 dicembre (ieri), il 2013 si chiuderà con un grande quesito ed una profonda tragedia: quanti abitanti dovranno ancora morire prima di prendere atto che nella “terra dei fuochi” si è verificato il più grande disastro ambientale italiano degli ultimi 30 anni (e dei prossimi lustri purtroppo …)?
I numeri che emergono dal servizio intitolato “inferno atomico” fanno rabbrividire in termini di concentrazione tumorale tra gli abitanti, ettari di coltivazioni inquinati, tonnellate di rifiuti sversati e/o interrati, milioni evasi o risparmiati per mancato smaltimento dei rifiuti stessi.
Forse ce ne siamo dimenticati troppo velocemente (presi come siamo a parlare ancora di primarie, legge elettorale e di stabilità, decreti attuativi ed altri tecnicismi), ma la tragedia campana è stata più volte oggetto di denunce mediatiche nel corso del 2013 (ricordo tra tutte, le puntate de Le Iene).
Nel tanto contestato messaggio di fine anno spero che il Presidente della Repubblica ci spieghi le motivazioni per le quali dal 2007 (e per 15 lunghi anni) è stato secretato il rapporto sui rifuiti tossici e le deposizioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone (all’epoca Napolitano ricopriva il prestigioso e delicato incarico di Ministro dell’Interno).
Messa da parte la rabbia e l’incredulità, mi piacerebbe iniziare il 2014 con la massima trasparenza (e certezza del diritto alla salute) e quindi a coloro che dicono di avere a cuore il futuro dell’Italia chiedo, è possibile conoscere (e perseguire penalmente in tempi brevi, ove necessario):

  • Chi era presente in commissione parlamentare quando si è cominciato a parlare del dossier Schiavone?
  • Chi erano i magistrati che hanno indagato, ma non hanno fatto il loro dovere fino in fondo?
  • Chi erano i consulenti delle varie agenzie / autorità pubbliche (ASL, Autorità servizi idrici, …) che hanno omesso o alterato i controlli sanitari?
  • Chi erano gli imprenditori che hanno prodotto e inviato poi in Campania i rifiuti tossici?
  • Chi erano gli autisti dei camion che trasportavano non certo in buona fede gli scarti radiottivi?
  • Chi erano gli ufficiali di polizia, GdF e altre autorità di pubblica sicurezza che non hanno controllato scrupolosamente ogni denuncia o hanno condotto superficialmente le indagini della magistratura?
  • Quali famiglie dei grandi e illeciti affari campani sapevano ed hanno taciuto mettendo in pericolo anche la vita dei loro parenti affiliati?
  • Quali le aziende della filiera alimentare che nel tempo (e forse ancora oggi) hanno comprato, lavorato o distribuito i prodotti coltivati irresponsabilmente nella terra dei fuochi?
Una volta fatta luce sulla lista dei “cattivi” (a memoria dei posteri o dei parenti delle vittime o semplicemente per ricordare a tutti chi è veramente dalla parte del bene pubblico) è altrettanto urgente un piano d’azione perché è doveroso e possibile intervenire oggi con le bonifiche (anche se costoso per la collettività Italia).

Non dimentichiamoci infatti che nel 2015 si terrà l’EXPO il cui tema principale è il cibo (sano), infatti sotto il logo appare la scritta “Nutrire il pianeta – energia per la vita” … Buon cenone del 31 e buon inizio 2014 a tutti i lettori!                   
Lorenzo Sulmona

domenica 29 dicembre 2013

CENONE DI SAN SILVESTRO * ATTENZIONE AL C.D.C. (CAZZARO DI CAPODANNO)

Siamo nel bel mezzo della settimana dedicata al Cazzaro di Capodanno Il Cazzaro di Capodanno è una specie straordinaria a pelo fulvo che non rischia mai l'estinzione. Vediamo le sue abitudini. Mentre tu ti spendi per organizzare qualcosa per San Silvestro (non vorrai mica finire in uno squallido locale con un'ostia di pandoro stantìo e il prosecchino in mano?), il CdC ti avvisa che sarà presente alla festa, e continua a ripetertelo incessantemente sino all'ultimo, se necessario. Non si fa il minimo scrupolo. Ovviamente, così come l'ha detto a te, ha "prenotato" anche altre sei-otto cene, occupando posti a tavola che potrebbero andare ad altri. Ma il CdC è astuto, li vuole tutti per sé, con l'obiettivo di scegliere solo alla fine la soluzione che considera migliore. E rigorosamente, la mattina del 31, ti pacca. I CdC più professionali, confermando decisi, buttano lì a bassa voce una mezza parola che potrebbe, dopo un'attenta analisi semantica successiva, lasciar pensare a vaghezza decisionale. Che in realtà non c'è. Ma la strategia è utile per salvare le natiche al momento del fattaccio.
Non bisogna essere particolarmente severi con il CdC, perché un po' tutti lo siamo o lo siamo stati, soprattutto durante il periodo dell'adolescenza. E il Capodanno, ammettiamolo, è una brutta bestia. Se però le caratteristiche del CdC continuano a manifestarsi nel soggetto anche in età che si ritiene matura, sarà opportuno tentare un correttivo somministrandogli qualcosa per bocca. Per esempio un pratico flaconcino di Guttalax (ricordiamolo, è inodore e insapore) nel bicchiere di vino alla prima occasione di reincontro. Al terzo-quarto anno di disdetta il 31 mattina seguita da cena riparatoria lassativa, il soggetto probabilmente inizierà a legare il volto dell'organizzatore al travaglio intestinale subito, smettendo le abitudini da CdC o rivolgendo ad altri le proprie attenzioni.

giovedì 26 dicembre 2013

UNO SPOT CON TOGNAZZI SPIEGA COME STARNUTIRE (ATTENDIAMO ISTRUZIONI PER LA CACCA)

Santo Stefano aiutami tu. Ma stavolta metticela tutta: serve impegno. 
Sulle prime non ci credevo perché, dopo l'indigestione natalizia, il rischio di essere vittima di una forte allucinazione, era altissimo. Eppure, giuro, ho appena visto in tv Ricky Tognazzi che, in uno spot del Ministero della Salute, spiega all'Italia come starnutire. Per filo e per segno. Perché questo mica è un Paese di cazzari...
Lo so che mentre leggi non ci credi; lo so che mi stai dando del pazzo; lo so che stai pensando: dai, su, fatti vedere da uno bravo che ti metta la camicia di forza. Eppure l'ho visto, giuro che l'ho visto. Ricky (babbo Ugo lo perdoni perché sembra faccia solo pubblicità, e dai tempi della Peperlizia e dell'aceto balsamico non ne imbrocca una) dice che devi metterti la mano (anzi il braccio) davanti al naso, che non è carino spargere germi, che è meglio vaccinarsi per non prendere l'influenza. Insomma, quelle cose lì. Che non c'è più la mezza stagione lo dico io, così ci togliamo il pensiero.
Lo so che stai pensando: peccato, di solito d'inverno - ai primi sintomi - vado in giro a sputazzare in faccia alla gente; non sarà mica finita anche questa cuccagna? Del resto, il Paese di Bengodi non perdona. C'è la crisi, e tutti i vizi sono al capolinea. Ma che dovessero insegnarmi anche a starnutire, forse è un tantino troppo, no? Invece, sei in errore. I Ministeri italiani, che uno spot a cappella non lo negano a nessuno, garantendo quantomeno la salvaguardia di alcuni posti di lavoro, con questa trovata sono arrivati forse al capolinea.
Ora attendo a piè fermo l'ingaggio della Cuccarini che ci insegni a limonare come si deve, di Max Giusti che ci ricordi che quando si fa pipì è meglio alzare la tavoletta del water (sono gradite anche istruzioni per l'uso), e di Luca Barbareschi che puntualizzi che per la cacca bisogna spingere un po'. Ma alla fine, vedrai, (ce) la si fa. Houston... Pardon, Conte Mascetti, abbiamo un problema.

martedì 24 dicembre 2013

NATALE * ENRICO LETTA, MA E' TIMIDA RIPRESA, O RI-PRESA PER IL CULO?

Ogni due giorni Enrico Letta, qualche esponente del Governo o di organismi economici collegati ripetono che in Italia si vedono "i primi timidi segnali di ripresa", che "stiamo uscendo dal tunnel", e luoghi comuni conseguenti. Comprendo la necessità di diffondere un po' di ottimismo per smuovere i consumi e per tentare di restare in sella e mantenere lo stipendione (da sempre, la principale preoccupazione politica nel nostro Paese), ma se sto alla mia modesta esperienza diretta o riportata da amici, rilevo che: nelle aziende è stato il Natale che ha segnato la quasi totale scomparsa dei regali in entrata e in uscita. Il deserto dei tartari dell'omaggetto. Persino peggio dello scorso anno, che già fu tragico; i negozi mi paiono tutt'altro che pieni. C'è movimento nei supermercati, ma i carrelli li vedo carichi soprattutto di alimentari. Il resto mi sembra sia soprattutto voyeurismo dell'acquisto. Quindi, a meno che non comprino tutti sul web (cosa che non escludo, visto che io prendo quasi tutto lì, per esempio), o che attendano con ansia il 4 gennaio per tuffarsi su saldi o finti saldi, quelle di mister Letta mi paiono soprattutto panzane. Notevoli. Più che timidi segnali di ripresa, vedo forti segnali di ri-presa per il culo. Detto questo, buon Natale a tutti.

giovedì 19 dicembre 2013

LA NUOVA FUNZIONE «MODIFICA» NEI POST DI FACEBOOK DA' UNA MANO AL COGLIONE

La nuova funzione "modifica" nei post di Facebook, se da un lato è benedetta perché consente all'autore di aggiustare qualcosa in presenza di refusi, dall'altro si sta rivelando un formidabile assist per i Coglioni che popolano la rete. Iniziare una discussione è inutile ovunque già nella vita reale (in genere ognuno ha le proprie opinioni e se le tiene, quindi perché perdere tempo con parole al vento?), ed è sommamente inutile imbastirla con un Coglione (da qui in poi, C.) nel quale ti imbatti su Facebook.
Eppure può capitare di esserci tirati per i capelli, oppure di leggerla così grossa da non riuscire a trattenersi. Così, post dopo post, tu ti metti lì e smonti il castello di deliziose idiozie del C. Lo prendi anche un po' in giro, se occorre, nei suoi deliri spesso carenti sul piano della sintassi, oltreché della logica. Fai dell'ironia, che è sempre l'arma migliore e che è in genere totalmente assente nel C. Quando ha finito il suo modesto repertorio, e non sa più che cosa dire (ieri uno ha concluso con un minaccioso "A buon rendere", manco gli avessi prestato qualcosa) tutto sembra finito lì. No, perché lo scaltro C. avvalendosi della nuova funzione "modifica", interviene sui propri post precedenti togliendo le parti che ti avevano consentito di dileggiarlo. Risistema alla fine la conversazione, insomma, lasciando ai posteri le tue parole o in sospeso, o prive di un'apparente giustificazione logica. Quindi, un paio di osservazioni:
1) Caro Zuckerberg, più che una nuova funzione forse ci hai regalato una nuova finzione. E non ne avevamo bisogno.
2) Quando Fruttero & Lucentini scrissero "La prevalenza del cretino" (oggi Coglione, perché c'è stato indubbiamente un upgrade) non sapevano ancora che sarebbe nato Facebook. Ma avevano già previsto tutto.

giovedì 12 dicembre 2013

«X-FACTOR», LA FINALE * LE PAGELLE DEI GIUDICI: MORGAN, VENTURA, MIKA ED ELIO

MORGAN
L’istrionico Marco Castoldi è sempre in bilico tra il (difficile) contenimento della propria follia, spesso strategicamente incanalata, e l’esibizionismo sfrenato, corroborato da una certa megalomania mista ad ambizione. Se ti fai quattro Long Island a stomaco vuoto, rischi meno. È più diplomatico di un tempo, anche perché quest’anno rischia grosso, ma fondamentalmente di lui non se ne può più.
In questa edizione, tra un’uscita dai binari e l’altra, si presentava (con effetti più comici di quelli di Elio in passato) agghindato alla maniera dei grandi del rock, per sopperire ai riflettori tutti puntati sul nuovo acquisto: l’invidiatissimo Mika. Deve essere una grande sofferenza ritenere di essere un genio della musica, e non averne i dovuti riscontri sul mercato e nel mondo reale. Se non altro ha limitato gli effetti nefasti della sua storica specialità: assegnare canzoni sbagliate ai propri artisti solo per dimostrare di avere una vasta cultura musicale personale. VOTO: 5/6

SIMONA VENTURA
Penalizzata dall’assegnazione dei gruppi (ovvero il segmento debole nella gara di «X-Factor») Lady Vaga quest’anno è stata – per gran parte dell’edizione – piuttosto nervosa. Con inattese reazioni piccate anche nei confronti del pubblico. L’elemento tradizionalmente intoccabile dello showbiz. Una Ventura che perde l’Abc del mestiere e si comporta come un Morgan qualsiasi? Strano a dirsi e a vedersi. Si è riscattata in parte con il lavoro fatto sugli Ape Escape, un piccolo gioiello di eccentricità musicale che potrebbe fare tendenza. Ma anche per lei – che pure è il testimone storico del brand - sarebbe giusto arrivare a un turn-over. VOTO: 6-

MIKA
Qualche milione di copie vendute, fresco, mai troppo partigiano, dichiaratamente gay eppure capace di conquistare, per simpatia e comunicativa innate, indifferentemente uomini e donne, Mika è stato la sorpresa di questa edizione. Si è messo a giudicare con la dovuta competenza senza il paraocchi e ragioni di scuderia. È l’unico che meriterebbe di tornare, eppure probabilmente non sarà così. Di impegni ne ha mille (ora «The Voice» in Francia, poi un nuovo album), e il ruolo di giurato in servizio permanente effettivo nei talent è una tipicità tutta italiana. In attesa dell’arrivo della pensione. VOTO: 8

ELIO 
Da almeno due anni non ne può più di occupare quella poltrona: è evidente. La svogliatezza impera, al punto che il nostro si risveglia dal coma solo durante l’Extrafactor, quando si ricongiunge alle folgoranti trovate dell’amico Rocca Tanica. Inoltre, quest’anno gli scontri con l’ego espanso di Morgan (i due non si sopportano, da sempre) si sono fatti al calor bianco. Elio è di gran lunga il migliore fra i giudici del talent di Sky, ma non ci sarebbe niente di male a dire: ragazzi basta, grazie. È stato bello, ma ormai già ho dato. VOTO: 6/7

«X-FACTOR», LA FINALE * LE PAGELLE DI MICHELE, ABA, VIOLETTA ED APE ESCAPE

MICHELE – È bravino e vocalmente attrezzato, anche se penalizzato dalla giovane età, che lo rende meno convincente quando interpreta pezzi intensi come il singolo che gli ha regalato il buon Ferro. Una discreta canzone, certo, ma non il Tiziano più ispirato, che altrimenti infatti l’avrebbe tenuta per sé. Giustamente. Michele è sicuro, tiene bene la scena. L’avrei visto meglio come outsider di «Io canto» che non a «X-factor», ma sono sottigliezze. Il massimo sarebbe stato trovargli una bella boy band prima della carriera da solista. Peccato che negli One Direction i posti siano già tutti degnamente occupati. Michele, ne sono pressoché certo, vincerà al Televoto la settima edizione di «X-Factor». VOTO: 7

ABA – Sicura, precisa, determinata. Si muove spesso dalle parti di Giorgia Todrani e dintorni (anche in materia di virtuosismi, non solo di stile), e avrebbe le carte in regola per imporsi visto che la voce c’è, ed è spesso tecnicamente impeccabile. Il suo limite è la mancanza di un’effettiva originalità che oggi è una skill indispensabile nel mondo della discografia. Forse potrebbe cercarla giocando un po’ di più sul look. Piace molto a Elio, che non ha tutti i torti. VOTO: 7 e ½

VIOLETTA – Già Viò, nome d’arte che poi Mika ha corretto strada facendo. Non toglietele mai di mano l’ukulele: è come se senza perdesse i superpoteri. Carina, un filo snob, voce interessante, è l’altra favorita, ma per lei la strada è più in salita rispetto a Michele. Ha un singolo orecchiabile, ruffianissmo, ma non vincente: purtroppo non arriva al cuore. Andrà meglio in radio e sul fronte degli spot, che stanno straziando la povera Chiara Galiazzo, bravissima ma ancora in attesa di qualcune che le scriva un vero pezzo indimenticabile. Violetta convince di più quando pascola in altre praterie, molto meno commerciali. VOTO: 8

APE ESCAPE – Nel loro mondo fatto di saltelli, ciabatte, mani alzate e tenero folklore, gli alfieri della Ventura sono riusciti a ritagliarsi un loro spazio. Con assoluta dignità e un mix di stili – non escluso il rap - che non trascura la qualità. Non riusciranno mai a vincere (come non ci sarebbe mai riuscito il povero Andrea, molto bravo e troppo sottovalutato), però hanno lottato con onore. VOTO: 7 e ½.

lunedì 9 dicembre 2013

"BLUE JASMINE", WOODY TORNA GRANDE, CON INQUIETANTE IRONIA

Come si finisce a parlare da soli su una panchina, dopo che la vita ti ha dispensato tranvate? Lo racconta Woody Allen, con garbo e sensibilità, in "Blue Jasmine". Un film che mi sento di consigliarvi. Dopo la clamorosa toppata di "To Rome with Love", ecco il riscatto con un lavoro ironicamente inquietante. La storia di una donna dell'upper class di New York che, tradita e piantata dal marito (su sua segnalazione l'uomo viene anche arrestato per frodi fiscali), rimane senza un dollaro e si fa ospitare dalla sorella - sono entrambe adottive - a San Francisco. La prima, raffinata e snob, è sempre stata abituata a una vita di agi e non ha mai dovuto preoccuparsi di nulla. La seconda, umile cassiera di supermercato, colleziona storielle con i più truzzi della città. Riuscirà la depressa e semi-alcolizzata Jasmine (abbandonata anche dal figlio) a rifarsi una vita cambiando la propria e aiutando la sorella a migliorare i propri gusti e la propria esistenza? Al netto dei cliché, che non mancano ma che non sono insopportabili, resta l'interpretazione di un'immensa Cate Blanchett che regge tutto il film. Che è tutto il film. Anche perché gli scoppiettanti dialoghi di Woody, stavolta, latitano un po'.

L'ARIA CHE TIRA E' GRAMA, "ALICE UNDERGROUND", MA (FORSE) SI PUO' CAMBIARE IL MONDO

Se ancora non vi siete stancati degli estenuanti talk show televisivi, fiction alla 5° serie e film replicati fino allo sfinimento, e avete ancora un risicato budget pre-natalizio che vi consenta di uscire la sera e andare a teatro, ecco come ripagare il vostro sforzo e la vostra voglia di sognare e cambiare il mondo, da “piccoli” esseri quali noi siamo: “Alice underground”, al Teatro Elfo Puccini di Milano (attori strepitosi e magnifica regia), vi apre le porte all’immaginazione che va oltre la “spread reality”, ai suoni e ai colori oltre il grigio dell’abito da lavoro; al mondo animale colto che si personifica oltre il “sardonico sorriso” dei mestieranti esseri umani, ai giochi di parole che tanto si scontrano con le parole giocate del nostro mondo reale.
Se Alice, tra le tante porte dei castelli e delle dimore cui va bussando nel suo sogno, si fosse trovata di fronte ai portoni lignei e alle sublimi scalinate della Reggia settecentesca di Carditello (Caserta) si sarebbe sicuramente risvegliata di soprassalto per lo scempio con cui la razza umana (italiana) ha abbandonato una dimora che neanche Carroll, anche sotto acidi, avrebbe potuto immaginare e costruire (la reggia è opera di un allievo del Vanvitelli).

Nel suo giro per l’Italia, come Alice, la conduttrice Myrta Merlino rivive una delle meraviglie decadute del Belpaese, raccontando una storia triste e reale, nella quale il pubblico televisivo si deve sforzare di immaginare il mondo intorno e nella Reggia, ai tempi delle battute di caccia dei Borbone.

Non restiamo indifferenti. Serve l'impegno di ognuno di noi, per riportare in vita i sogni. Alice docet.
Lorenzo Sulmona

domenica 1 dicembre 2013

ROMBONI DOPO SIMONCELLI * UNA CATENA DI MORTI ASSURDE "IN MEMORIA DI"

Sarà che le mie passioni sono molto lontane dal mondo dei motori, ma la tragedia di Romboni mi mette doppia tristezza. Pensare che un uomo debba morire stupidamente in una gara organizzata per commemorare Simoncelli, il Sic, morto due anni prima nello stesso stupido incidente, ha dell'assurdo, oltreché del paradossale. Immagino, il prossimo anno, un'altra corsa messa allegramente in piedi per ricordare il morto di ieri, e nella quale un altro ragazzo perderà la vita nello stesso modo, e così via. Senza fine. Non invoco chiusure di baracconi, circhi e (gran) premi, per carità. Ognuno vede quel che crede, e nei limiti del possibile vive e muore come crede. Ma almeno limitatevi alle corse ufficiali, non inventatevene pretestuosamente altre. Se proprio dovete ricordare un amico che non c'è più, andate ogni anno, la stessa sera, a ubriacarvi come un plotone di Marine. Almeno il giorno dopo sarete rincoglioniti marci, ma ancora vivi. Dice: tu non capisci chi ha il sacro fuoco delle due ruote. Chi ama correre, deve correre. Sempre e comunque. Sarà. A me sembra soprattutto business. E continuo a credere che sia meglio qualche bottiglia di rosso.

giovedì 28 novembre 2013

DIRE STRAITS LEGENDS * IL VECCHIO ROCK E' VIVO E LOTTA INSIEME A NOI

Toccando i miti a volte si fa danno, anche senza volerlo. Ma se sono i miti stessi a rileggere le pagine della propria leggenda, a volte torna la magia. E' successo l'altra sera al Live Forum di Milano per lo showcase (che poi è diventato un intero, fibrillante concerto) dei Dire Straits Legends, stasera sul palco del Teatro della luna, e poi in tour. Il 30 novembre a Mantova (Gran Teatro Palabam), il 2 dicembre a Torino (Teatro Colosseo), il 3 a Genova (Teatro Politeama Genovese), il 5 a Roma al Teatro Olimpico e il 6 sempre nella Capitale al Vortex Live Club. Quasi tutte le date registrano l'esaurito, ma si parla già di un ritorno in primavera, per questa super-band composta quasi interamente da membri della formazione originale. Si va dalla chitarra di Phil Palmer, che è anche direttore artistico dell'operazione, alla solida batteria dell'eccentrico Pick Withers, passando per le percussioni di Danny Cummings, il ruffiano sax di Mel Collins, la voce e le chitarre di Jack Sonni. Il tutto amalgamato dal lavoro fluidificante dell'italiano Marco Caviglia, voce e chitarre, con la vita segnata dal suo mentore, Mark Knopfler (che ovviamente manca all'appello) e leader della più nota e premiata tribute band italiana dei Dire Straits. Con lui Primiano Di Biase alle tastiere e Maurizio Di Meo al basso.
Organizzato da We4show, il live è un'altalena della memoria. Si sale si scende fra Sultan of Swing, Money For Nothing, Tunnel of Love, Romeo and Juliet e Walk of Life, ma non mancano le chicche, come Down to the Waterline e Six Blade Knife.
E pazienza se alcuni leggendari testimoni hanno messo un po' di pancetta. Sul palco non ci sono fantasmi, ma gente che suona sul serio. Il vecchio rock è vivo più che mai, e lotta insieme a noi.





lunedì 25 novembre 2013

PIERO PELU' * PRIMA ATTACCA JOVANOTTI PER RENZI, MA POI FA DIETROFRONT

Ha sparato a palle incatenate su Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, ma ora fa marcia indietro.
Piero Pelù non aveva gradito l'endorsement del cantautore per Matteo Renzi, e in radio l'ha toscanamente sbertucciato. Ora però non sopporta il peso delle sue dichiarazioni, e a mente fredda fa dietrofront. Affidando le sue scuse a un comunicato pubblicato su Facebook e diffuso oggi dal suo ufficio stampa, Parole e dintorni:

«Ho offeso Lorenzo Jovanotti in una intervista radiofonica e mi scuso ufficialmente con lui. Ognuno è giusto che abbia le proprie idee nella vita, nella musica e in politica quindi non deve essere giudicato da nessun altro per il solo fatto di essersi espresso o schierato col bianco piuttosto che col nero o col rosso.
Giudicare le scelte degli altri è sterile e inutile come entrare in una discussione sulla soggettività della bellezza; a me interessa solo la purezza e ritengo che se Lorenzo ha fatto certe scelte lo ha fatto con grande onestà.
Purtroppo la critica a Renzi come sindaco di Firenze mi ha portato ad allargare "il tiro" anche su chi lo sostiene da artista; secondo la mia scelta di vita la posizione di un artista deve essere sempre scomoda e critica nei confronti di qualsiasi sistema che si impone sull'individuo e che lo illude ma ripeto, ognuno è libero e responsabile di esprimersi e rapportarsi come meglio crede con la realtà che lo circonda. Viva la musica! Piero Pelù»

sabato 23 novembre 2013

RENZI, CIVATI, CUPERLO * NARCISISMI, DIETROFRONT E VECCHI TRUCCHI DEI NUOVI DEL PD

In questi giorni (a Parte D'Alema che va in giro lanciando anatemi, e un po' lo capisco perché i dinosauri della nomenklatura stavolta rischiano davvero un'augurabilissima estinzione), ho visto:

1) Matteo #Renzi vestito da Giorgio Gori che si fa fotografare come un Raz Degan qualsiasi sulla copertina di Vanity Fair. All'interno, il sindaco di #Firenze noto per la sua somiglianza con Mr. Bean in pose da figo. Ebbene sì, avete letto bene, da fi-go!

2) #Civati che prima sostiene (giustamente) che la #Cancellieri debba andarsene a casa perché al telefono con i Ligresti disse cose incompatibili con il suo ruolo, e poi, alla prima riunione con Letta, dopo una strizzatina agli zebedei, rientra buono buono nei ranghi agli ordini del Partito.

3) Il tenero #Cuperlo che va in tv ogni giorno a dire: "Non crediate che i giochi per le Primarie del Pd siano già fatti. E' ancora tutto aperto, è ancora tutto aperto...". Come i vecchietti sulle panchine ai giardinetti. Non ci crede neppure lui, ovviamente, ma ripete ad libitum, sperando che qualcuno abbocchi. Metodo Silvio.

A questo punto, il candidato ha 60 minuti per rispondere: c'è su piazza qualcuno fra i nuovi del Pd, che non sia un allegro cazzaro?

giovedì 21 novembre 2013

POST «MASTERPIECE» * NELL'ITALIA CHE NON LEGGE, C'È BISOGNO DI ALTRI SCRITTORI?

Ogni tanto qualcuno che legge le mie cosette, qui o altrove, colto da inspiegabile entusiasmo, mi dice: «Dai, perché non scrivi un libro?». E lo dice con affetto, a volte con insistenza, o con ammirazione. Io ringrazio, ovviamente, sempre. E poi declino, ma mi fermo lì, non spiego; perché dovrei mettermi ad argomentare le mie tante perplessità. Lo faccio ora.
Non è escluso che prima o poi (siamo onesti, facciamo poi) raccolga qualche scemata o riflessione in un volumetto, ma la mia idea di libro, di vero libro, è un'altra. Per scriverne uno come Cristo comanda ci vogliono una bella idea, e un grande lavoro. Tempo e fatica. Tanto, dell'uno e dell'altra. Il primo, mi manca ma volendo si potrebbe anche trovare. La seconda, essendo pigrissimo, non ho granché voglia di sobbarcarmela. Soprattutto a fronte di un'incerta vendita. Perché non dimentichiamo che in questo Paese gli scrittori (vedi il bestiario di «Masterpiece») li trovi in offerta 3x2 anche nei cestoni degli Autogrill. I lettori invece sono specie prossima all'estinzione. Senza scomodare la crisi. Quindi, se l'offerta è largamente superiore alla domanda, ci insegnano gli economisti, non si delinea un grande affare. Dice: male, stolto: dovresti scriverlo solo per il piacere di farlo. Ma anche no, dico io. Perché buttare via carta ed energie? Solo per l'ego? Solo per poter aggiungere la parolina «scrittore» al mio curriculum? «Ma mi faccia il piacere...», diceva Totò. Al limite per saziare quegli appetiti da piccola pasticceria imbratto Facebook, Twitter o il mio blog.
In Italia vendono libri (non troppi, sia chiaro, pochini) solo le firme consolidate, quelli cioè che li piazzano a scatola chiusa solo in virtù della loro estrema notorietà, che a volte prescinde persino dalla scrittura. E nel 70% dei casi dalla qualità del prodotto. Oppure i bestselleristi internazionali ultra-pompati dalla promozione. Il resto sono briciole. Sabbia vulcanica nelle mutande. Ogni giorno transito davanti alla scrivania di una collega che al giornale si occupa della rubrica delle recensioni librarie, e mi viene un groppo in gola per gli autori. Soffro per loro. Le arrivano quintali - quintali - di robaccia che nessuno mai leggerà. Se non parenti seviziati e lobotomizzati e qualche editor di buona volontà che lo fa per lavoro. Forse li stampano facendo affidamento sulle copie omaggio per gli amici, come gli editori che ti pubblicano (a pagamento) se ne compri anticipatamente almeno 500-1000 copie da regalare. Una tristezza rara, che nella vita secondo me è bellissimo risparmiarsi.
Quindi, carissimi/e: accontentatevi di uno «scrittore» in meno, e di un cazzaro in più. 

Con il consueto affetto. 
Franco

mercoledì 20 novembre 2013

883, IL RITORNO: PEZZALI, REPETTO (E NOI DELLA MAFIA PAVESE)

883 is back. Tutto esaurito al Forum di Assago per l'ottimo Max Pezzali, che si è occasionalmente riunito al vecchio amico Mauro Repetto. Le ferite a volte si rimarginano, anche se per qualche sera, e i sogni su pentagramma restano lì, in fondo. Non credo siano possibili ulteriori sviluppi per il lavoro dello strano duo pavese (tante cose nel frattempo sono cambiate), ma l'importante è che migliaia di persone abbiano riascoltato "Gli anni", quella che ritengo l'assoluto capolavoro di Max, e lui quando glielo dico abbozza, un filo imbarazzato, ma concorda, lo ammette. E' lei la regina. Certo, c'è "Come mai", una struggente ballad strappacore, ma "Gli anni" è e resta un affresco generazionale indimenticabile. E non è indulgenza della memoria, la mia. Proprio ammirazione sincera.
Max e Mauro li ho seguiti maniacalmente sin dagli inizi, quando lavoravo per La provincia pavese. E loro da lì, da Piazza della Vittoria e dintorni, spiccavano il volo. Papà di Max fiorista, e lui volontario sulle ambulanze con un mare di nastrini e musica da lavorare in cantina. Ho seguito ovviamente anche il travaglio che ha portato all'addio di Mauro, che si sentiva goffo e inadeguato a ballare sul palco "Hanno ucciso l'Uomo Ragno", mentre l'amico cantava e si prendeva la scena. Avrebbe potuto resistere per soldi, ma l'orgoglio gliel'impediva, e ha fatto le valigie. Seguendo anche un amore di "Zucchero filato nero". Così almeno vuole la romantica leggenda. Oggi che si è riappacificato (soprattutto con se stesso) ed è passato da animatore a Event Manager in quel di Disneyland Paris (sempre con l'arte e la passione per il teatro in testa), è tornato a fare capolino. In omaggio ai vecchi tempi. E l'amico gli ha riaperto le braccia. In questa foto Mauro è con Luca Serpenti, prestato all'attuale band di Max e soprattutto l'altra metà dei "Serpenti" appunto, una tra le più interessanti formazioni della nuova scena musicale italiana. Perché a volte il cerchio si chiude, e si chiude bene.
Max "Con un deca" Pezzali, intanto, occhieggia dall'alto delle sue diecimila lire. Lo stesso Max che una volta s'incazzò con me "abbèstia", come credo si dica oggi, perché pubblicai il cachet di una loro vecchia serata. La fonte era ottima, non buona, caro Max, eppure lui ancora sostiene che avessi toppato. Mah...
La verità è che noi della celeberrima mafia pavese la sappiamo lunga. E abbiamo la testa dura.

lunedì 18 novembre 2013

«MASTERPIECE» * SCRITTORE, IL TUO ROMANZO FINISCE QUI

Belle immagini, patinate, «leccate» (come direbbe Antonio Ricci) ma troppi tagli e flash in post-produzione. Un'eccessiva foga di velocizzare che toglieva spazio allo sviluppo del racconto, alla parola. Perché comunque quella resta l'argomento base di un talent-show sui libri e il mondo degli scrittori. Per quanta spettacolarizzazione si possa ricercare. Inoltre, l'insistenza della voce fuori campo rendeva tutto troppo freddo.
«Masterpiece» è partito su Raitre con un ascolto più che discreto (689.000 spettatori, share 5,14%) per un programma tutto sommato di nicchia, ma è un prodotto vistosamente migliorabile. Tra «X-Factor» e «Masterchef», ma col retrogusto di un lavoro non totalmente finito.
Gli scrittori erano la fiera del caso umano, al limite de «I fatti vostri» di magalliana memoria: dall'anoressica al disadattato, sino al masturbatore seriale.  Quello che più che al Premio Strega, ambisce al Premio Sega. C'era persino un tizio dall'italiano incerto che elaborava temini dell'asilo e che a un certo punto ha parlato di un «Ragazzo affigàno» (afghano, Nda).
Tra i giudici, per misura e competenza spiccava Giancarlo De Cataldo (quello di «Romanzo criminale»), un po' troppo austero Andrea De Carlo e Taiye Selasi, con la parlantina americaneggiante alla Bastianich, pare già pronta per l'imitazione di Maurizio Crozza. Sfumato, invece, forse troppo, il ruolo del rigido coach Massimo Coppola, editore di Isbn. Uno zombie di The Walking Dead parla in media più di lui, in ogni episodio. E quando arriva il momento della silente Elisabetta Sgarbi, che blinda lo scrittore in ascensore e si fa raccontare il suo romanzo, ti aspetti sempre che da un momento all'altro gli urli: «La Capria! La Capria! La Capria!».
Alla redazione sono arrivati 5.000 manoscritti, speriamo non tutti lavorati dalla stessa mano del già citato onanista.

sabato 16 novembre 2013

«CASTA AWAY» * IL NAUFRAGO BERTOLINO FA A PEZZI L'ITALIA

Il comico da crociera Enrico Bertolino fa naufragio su un'isoletta sperduta nella quale già vent'anni prima stava per lasciarci le penne un pianista di piano bar che nella sua vita ha votato per chiunque, come quasi tutti, in questo Paese ostinatamente fiducioso. E gli racconta, con spietatezza, come (non) sia cambiata l'Italia di oggi. La base pizza di "Casta Away - La tempesta imperfetta", sino al 24 novembre al Teatro Nuovo di Milano, è semplice ma efficace. Grazie ai testi scritti con Luca Bottura, uno tra i migliori autori satirici su piazza (c'è anche un piccolo contributo di Curzio Maltese dedicato a Romano Prodi), e all'incalzante Bertolino style, che si sente a proprio agio nella sua città, si ride parecchio. E amaramente. I bersagli del resto sono tutti lì, pronti a farsi colpire: dall'immancabile Berlusconi, che spunta dopo una manciata di minuti ma che non è più la presenza dominante, alla strana coppia Grillo-Casaleggio, quella dei "Vaffanculo" un tanto al chilo. Il distratto Enrico dimentica che già da tempi non sospetti il nome che aveva scelto per la sua casella di posta elettronica era VDVC, ovvero "VaDaVialCü!", che però era servito in salsa ambrosiana. Ovvero meno invettiva e più sfottò. E soprattutto non serviva ancora a fini elettorali.
Visto l'orientamento politico della squadra, non si pensi che il Pd sia risparmiato: anzi. Il nostro gli leva la prima e la seconda pelle con un'analisi marketing-orientend sull'evoluzione del simbolo e del nome del partito. La ghignante ferocia bertoliniana (una gioiosa macchina da guerra) non risparmia praticamente nessuno. Canta "Stabilità" come Alfano e Romina e si scopre che cosa sia la vera macchina del fango (Sallusti permettendo), sino a piangere dal ridere dinanzi alla storiella milanese del vecchietto con problemi di cervicale andato a farsi manipolare in uno dei tanti centri orientali che popolano la città, dove ti fanno il “massaggio karaoke”. Naufragare a Milano val bene il biglietto.

venerdì 15 novembre 2013

LE RAGAZZE AI PARTY DI MILANO, FRA TIMING E COMMUNITY

Premessa. A Milano in molti ambienti fighetto-modaiol-para-lavorativi, com'è noto, l'uso e l'abuso dell'inglese sono considerati premianti. La stessa cosa detta in italiano, pare sia sconveniente. Allora, con gli anni, se non ti adegui, almeno impari a comprendere le tattiche del nemico. Per chiederti le tempistiche di un progetto o di una consegna, giusto per capirsi, ti dicono: «Hai il timing?». Tu vorresti rispondere: sì, ce l'ho, è di mio nonno, non perde un secondo, un caro oggetto di famiglia e non lo venderei per niente al mondo. Ma poi lasci perdere.
Ieri ero a una presentazione in un hotel molto chic. Quelle del genere a me tanto caro: "Segue buffet". Fra l'altro onestissimo, e provato per voi. Avvicino una tipa che avevo già visto di sfuggita in un'altra occasione, e scambiamo due parole. La classica conversazione da buffet, col piatto sul palmo della sinistra, e forchetta e bicchiere inclinato (impossibili da reggere contemporaneamente, se non dopo anni di studi) incastrati nella destra. Le chiedo, ovviamente: "E tu che lavoro fai?".
Lei, che qui si fa seria e molto compunta: "Io? Io lavoro in community". E io lì a pensare: beh, dai, guarda questa... E' proprio vero che l'abito non fa il monaco. Lavora in una comunità di recupero, magari confeziona borse con gli avanzi di stoffa, oppure collanine, eppure non è di quelle classiche un po' alternative che vedi in giro. Ne abbiamo conosciute tante, con l'aria vagamente tossica e fumata. Questa è elegante, carina, stilosa, apparentemente avvertita, e si dedica a lavori socialmente utili. È bello e giusto che qualcuno lo faccia ed è bello e giusto che comunque si conservi una certa eleganza. D'altra parte l'ambiente un po' lo richiede.
Ovviamente Community, scopro subito dopo, è una «società di consulenza nella comunicazione economico-finanziaria». Allora, primo - al limite - dovevi dirmi: "Lavoro A Community" non «IN community». Secondo, perché la gente dà per scontato che tu debba conoscere il posto dove lavori? Non hai detto Coca-Cola, Apple, Buitoni. Hai detto Community. E te le meriteresti, le collanine.

mercoledì 13 novembre 2013

MARCO PREDOLIN * «TUTTI MI RICONOSCONO, MA NESSUNO MI FA PIU' LAVORARE»

L'appello, decisamente accorato, che su «Lo spettacolo deve continuare» mi sento di raccogliere, viene da Marco Predolin, un decano della tv commerciale italiana: «Mi chiedono perché non mi si vede più in tv. Questo è il mio pensiero fisso: non riesco più a fare il lavoro che ancora oggi saprei certo fare. Forse ho troppi amici altolocati, che quando mi incontrano mi abbracciano e mi salutano come se fossi un extraterrestre che deve ritornare nella sua galassia... Ma io c... sono qui, sono un contemporaneo che non è ancora passato a miglior vita!».
62 anni, originario di Borgo Val Di Taro, nel parmense, Marco Predolin è stato il conduttore di programmi cult come «M'ama non m'ama» (1983, riproposto nel '94), «Il gioco delle coppie» ('85), classici di Retequattro e Canale 5, e rispolverato da Raidue per «La talpa» nel 2004. Guascone, fascinoso, noto al gossip per una vecchia storia con Michelle Hunziker nell'era pre Eros Ramazzotti, per qualche anno dovette subire – a suo dire - una sorta di ostracismo per sospetta sieropositività. Una maldicenza tanto diffusa nell'ambiente dello spettacolo, che fu costretto a girare per mesi con in tasca un certificato di “sieronegatività”, che un giorno mostrò anche a me, nel camerino di un teatro.

Oggi Predolin è titolare di un ristorante a Milano, «L'osteria dei Pirati», ma il mondo dello spettacolo gli manca parecchio. Tanto che rincara la dose: «Vi prego, non mi chiedete più perché non sono più in televisione: vi assicuro è veramente faticoso essere ancora riconosciuto per strada e ovunque io vada, senza poter tornare a fare il lavoro che so fare. Ho provato tutto, ho bussato a tutte le porte, anche quelle della radio. Niente. A volte non mi ricevono neppure. E pensare che sono miei amici. Amici un cazzo! Occhio agli amici... Non esistono più».

lunedì 11 novembre 2013

LA VOLTA IN CUI GABRIELE PAOLINI DISTRIBUI' PRESERVATIVI IN REDAZIONE

Era l'estate del 2001 quando incontrai Gabriele Paolini, «Il profeta del condom», all'epoca del suo massimo splendore. Sempre che si possa definire tale. Aveva già preso la leggendaria pedata in culo da Paolo Frajese, tutto il mondo catodico lo odiava - Mentana e Fede in testa -, e il suo ruolo di disturbatore televisivo, di scheggia impazzita del video, se non convinceva, almeno rappresentava un modello vincente di invadente, fastidioso presenzialismo.
E proprio in veste di tele-presenzialista lo invitai a Milano in redazione a Tv sorrisi e canzoni, dopo aver convinto l'allora direttore, Ronchetti, a passare un servizio trash sui prezzemolini del video: c'era Gigi Nardini, il sosia di Luciano Pavarotti; avevo reclutato Alessandro Cocco, nel Guinness dei primati con milioni di ore seduto in platea in qualsiasi programma televisivo di reti nazionali, regionali, provinciali e condominiali; c'erano l'immancabile Leone Di Lernia, serial-killer del pentagramma, e Gianluca Roncato, che aveva partecipato a più quiz tv che pranzi in famiglia. E poi lui, il pezzo ultra-pregiato della collezione: Gabriele Paolini, 39 anni oggi, di origine milanese ma trapiantato nella Capitale. Era lui il motore della mia curiosità, il vero motivo per il quale avevo riunito quell'armata Brancaleone. Li avrei intervistati uno a uno, e il ruvido fotografo Baroni era pronto in uno studio in periferia per un epico scatto collettivo.
In redazione era palpabile quel misto di attesa e diffidenza per l'arrivo del «profeta» Paolini, che (va detto con onestà) non deluse le aspettative. Si presentò elegantissimo, in doppiopetto blu, con una cravatta improbabile, e al collo una collana hawaiana di preservativi. Nelle tasche ne aveva a decine, e iniziò a distruibuirli a tutti, camminando nei corridoi come Gesù sulle acque: anziane colleghe, austeri caporedattori, fattorini, personale di segreteria. «Ecco, tenga: e non dimentichi di usare il condom», era la sua benedizione. Non so se avesse studiato formulette, ma l'eloquio del Paolini era fluente, alto, delirante ma ponderoso. Col sesso come unico e preciso riferimento mentale di sottofondo. Non certo uno stupido. Ovvero quello che mi appariva (faceva «capoccella», come dicono a Roma) in modo conclamato nei suoi offensivi blitz da disturbatore nei notiziari. Quelli che ti facevano esclamare: «Ma guarda 'sta faccia di c...».
Un impegno costante, il suo, apparentemente non redditizio, e anche piuttosto costoso, lavorando con impegno sulle trasferte. Cercai di capire come si guadagnasse il pane, e mi raccontò di decine di ospitate in giro per le discoteche d'Italia (gliela dubitai un po'), e se non ricordo male qualcuno dell'ambiente mi raccontò che un'anziana zia lo foraggiasse (questa mi pareva più credibile, ma forse è solo gossip). Poi sono venuti il finto annuncio del ritiro, l'ovvio ritorno sulle «scene», qualche liaison con Sara Tommasi (chi non ne ha avute?), e altri baratri. Ora che l'hanno arrestato con l'accusa di «Induzione alla prostitusione minorile e produzione di materiale pedopornografico», forse si trova qualche risposta in più alle mie vecchie domande. Ma il forse è d'obbligo. Finché sentenza definitiva non ci separi.

sabato 9 novembre 2013

«CI PENSA ROCCO» * OH, CIELO: SIFFREDI NON TIRA PIU'

Che Rocco Siffredi ci sapesse fare, era cosa nota: sia sui set praghesi dei suoi film (in modalità operativa) che in tv (anche se quasi sempre comparsa e non primo attore, se si eccettua un leggendario «Milano-Roma» con Luciana Littizzetto); sia in pubblico: sfilando persino sui tappeti rossi, ma mai sfilandosi in privato dai suoi inderogabili impegni sotto le lenzuola… Che però avesse il potere di farci cambiare canale, non se lo aspettava nessuno!
Non so se si sia stancato lui di stupirci (?!) o se si siano inaridite le fantasie televisive (e forse anche sessuali) dei produttori di format, il fatto è che dopo neanche un paio di puntate su Cielo di "Ci pensa Rocco", lo zapping è garantito: un bicchiere di rosso fermo è più sensuale e accattivante delle dritte del re del porno. E già le mie colleghe in banca non parlano più di Lui e delle sue leggendarie imprese nei gonzo movies... Lui, chi? Risultato: non basta parlare di sesso per invogliarci a farlo. E non è neppure sufficiente a tenerci incollati al televisore. Che noia Rocco maturo e al tramonto... Preferisco ricordarmelo da vivo.

Lorenzo Sulmona

venerdì 8 novembre 2013

NOLEGGIO AUTO * ATTENZIONE A «SIXT» E AGLI ADDEBITI IN CARTA DI CREDITO

Qui di seguito, la mail che ho inviato al servizio clienti di SIXT - RENT A CAR per un improvviso, tardivo (e a mio avviso immotivatissimo) addebito di carburante sulla mia carta di credito a seguito del noleggio di un'auto all'aeroporto di Brindisi. Sotto, la risposta di una responsabile dell'assisistenza, che mi ha poi rimborsato appena 21 euro («in ottica commerciale», dice, ma che cosa significa? O mi rimborsi tutto perché ho ragione, oppure non mi rimborsi niente... E giudicate voi chi abbia ragione o meno) per chiudere la questione, che mi era costata anche un altro paio di telefonate.
Quando noleggiate un'automobile, soprattutto con SIXT, fate molta attenzione agli addebiti successivi sulla vostra carta data in garanzia. Queste compagnie possono fare ciò che vogliono, a quanto pare. Senza neppure contestare qualcosa al cliente momento della riconsegna del veicolo. Lo considero un fatto gravissimo.

LA MIA CONTESTAZIONE
Buongiorno, SIXT mi ha ingiustamente applicato oneri per carburante (Vs. fattura di 47,19 euro nr. 01072) a seguito di un noleggio avvenuto all`aeroporto di Brindisi dal 6 al 13 luglio scorso. Come ho già spiegato al vostro operatore telefonico, che mi ha invitato a spedirvi questa mail di reclamo e richiesta rimborso, ho consegnato l`auto con il livello di fuel impercettibilmente sotto il pieno ed ESATTAMENTE come mi è stata consegnata al momento del ritiro. Al momento non ritrovo a casa il documento firmato al momento della riconsegna della Panda (non avrete nessun problema a reperirla in copia tra i vostri documenti), ma NESSUNA CONTESTAZIONE DI ALCUN TIPO mi è stata fatta verbalmente a proposito del livello del carburante, che pure è stato controllato insieme con tutta la vettura. Eppure a distanza di alcune settimane ho ricevuto a casa la sgradita sorpresa di una fattura di 47,19 euro, peraltro ovviamente già addebitate impropriamente utilizzando la mia carta di credito. Senza, ripeto, nessuna contestazione al momento della consegna. E con livelli di carburante, ripeto, ESATTAMENTE uguali a quelli dell`auto al momento del ritiro. L`impressione che si ricava a fronte di un comportamento così scorretto (mi auguro un errore) da parte di qualche operatore è quella di scarsa serietà di un`azienda che dovrebbe avere invece molto a cuore la propria clientela.
Cordiali saluti.

LA RISPOSTA DI SIXT
Facendo seguito alla Sua segnalazione, desideriamo informarLa che a fronte delle verifiche effettuate con lo staff di Brindisi è emerso che la vettura alla riconsegna, effettuata in data 13/07/13, presentava 7/8 di carburante (come si evince anche dal check in da Lei firmato e di cui alleghiamo copia).
Alla luce di quanto sopra esposto e della documentazione allegata,  siamo pertanto spiacenti doverLe confermarLe che l addebito di euro 47,19 risulta essere corretto ed in linea con quanto previsto da Termini e Condizioni Generali di noleggio di cui riportiamo un estratto: 

Servizio carburante:

Il Cliente è obbligato a riconsegnare il veicolo, a fine nolo, con il pieno di carburante e di farlo registrare dall addetto Sixt al momento del check in. In caso di mancato rifornimento il Cliente sarà addebitato del costo Servizio ripristino carburante costituito da un importo fisso e da un importo forfettario.

L'importo fisso del servizio pari ad euro 18,00 verrà addebitato al Cliente in aggiunta ad un importo forfettario applicato da Sixt per i litri mancanti, calcolato ad un prezzo maggiorato rispetto al prezzo di mercato.

Il prezzo del carburante è quello pubblicato al momento della riconsegna del veicolo con riferimento all ultimo aggiornamento disponibile, ossia:

Benzina: Euro 1,86 per litro | Diesel: Euro 1,82 per litro

Tuttavia, in ottica commerciale, siamo lieti di offrirLe un rimborso parziale della fattura  1072 AN  del 13/07/13 per un importo di euro 21,78 totali, corrispondenti al Servizio Carburante di euro 18,00 piu tasse.

La invitiamo a fornirci un riscontro per accettazione della suddetta proposta, al fine di procedere con l'emissione della nota di credito in Suo favore ed effettuare il relativo rimborso.

Cordiali saluti

Serena

giovedì 7 novembre 2013

INSTAGRAM È IL DEMONIO

Instagram è il demonio. È come rifare elettronicamente le tette a una realtà che non ci piace, che preferiamo piegare ai nostri sogni. Così abbiamo la pia illusione di avere vinto noi. A furia di abbellire tutto con luci e colori sparati, ficcanti o intriganti, non si trova più una foto in giro che non sia tarocca. Mi aspetto, a breve, anche lapidi cimiteriali e immagini votive mirabilmente instagrammate. I parenti del defunto a caccia di un bel punto di giallo. Perché d'accordo che il nero è sempre un must ma - perdìo - non sarà mica morto nessuno...
Cornicetta o no, poco importa: basta aumentare la luce e scegliere il filtro giusto, e il gioco è fatto. Il vantaggio è che chiunque può scattare una foto che sembra decente, o persino bella, ma che di fatto non lo è. Le più immonde ciofeche acquistano un'allure magica, e il risultato finale indubbiamente intriga, appaga. Ci caschiamo un po' tutti, nelle lusinghe del demonio. Finirà che entreremo dall'ottico fatti come un tossico, a cercare disperatamente lenti instagrammate, per guardare la quotidianità mettendo un additivo alla routine.

mercoledì 6 novembre 2013

LA CRISI STA UCCIDENDO I LECCACULO

Oggi vorrei spendere una parola per abbracciare la categoria forse più penalizzata dalla crisi: quella dei leccaculo. Il difficile momento che sta attraversando il Paese, rende la vita assai complicata ai piccoli-grandi ruffiani di ogni specie che quotidianamente tentano in qualsiasi modo di conquistare il posteriore delle loro prede. Quand'anche il lento spennellare di quel muscolo, che tengono sempre attivo, riesca ad estrinsecarsi perfettamente, i nostri devono purtroppo fare i conti con uno stato di cose che di fatto lega le mani ai beneficiari del loro vezzoso lavorio più o meno sotterraneo. Anche se gratificato da quest'azione malandrina, l'influente o il capo di turno si ritrova - causa crisi - nell'impossibilità di agevolare la carriera o le mire del soggetto leccante. Che così, spesso, lecca instancabilmente a vuoto, un po' alla 007 ("Mai dire mai"), confidando in una ripresa che difficilmente ci sarà in tempi ragionevolmente brevi. Il consiglio al leccaculo, quindi, a meno che non lo faccia per pura passione (non si può escludere a priori), è quello di dedicarsi ad altre e più proficue attività. Anziché srotolare pantaloni, per esempio, rimboccarsi le maniche.

martedì 29 ottobre 2013

E SE TORNASSERO DAISY E I TEMPI DI "HAZZARD"?

Bisognerebbe tornare per una settimana ai tempi di Hazzard. Di Bo e Luke cialtroni e guasconi che si schiantavano a terra col Generale Lee per aver affrontato testardamente un volo di 30 metri; e un secondo dopo che l'auto si era accartocciata al suolo, bastava uno stacco di camera ed era di nuovo rombante su strada. Mentre loro, perennemente in fuga, cialtroni e guasconi, alla fine dello scossone urlavano: "Yahuuuu!". Impastati e contenti. Erano i tempi dei sorrisi e delle curve atomiche di Daisy, che col suo stacco di coscia guariva anche complicate malattie degenerative; dell'infantile stoltezza di Roscoe P. Coltrane, mescolata all'innocua cattiveria di J.D. Boss Hogg, col sigarone sempre ben piantanto in faccia e un completo appena uscito dalla tintoria. Che si macchiava irrimediabilmente di fango appena i due contadinoni terribili ne combinavano una delle loro, salvati dal meccanico di fiducia. Trame semplici, elementari. "Hazzard" nel primo pomeriggio era sempre un ottimo motivo per non studiare. Mi dicono che su Iris le stiano ridando tutte. Non sarà la stessa cosa, ma sì: devo tornare per una settimana ai tempi di Hazzard.

lunedì 28 ottobre 2013

MISS ITALIA * CHI IMMAGINAVA CHE POTESSE FARE QUESTA FINE?

Televisivamente, l'idea vincente di Miss Italia 2013 (ah, il concorso l'ha vinto la bionda Giulia Arena, 19 anni, siciliana) è stata quella di affidare la regia a Jimmy il Fenomeno. Che ha regalato al pubblico - 970 mila spettatori, 5,5% di share - rarissimi stacchi di camera azzeccati, una generale approssimazione organizzativa tipica da selezione provinciale, gente inquadrata quando non parlava, e altri snobbati al momento di essere al centro dell'attenzione. Per tacere di altre piccolezze. Insomma, un must dell'inguardabilità catodica.
Dopo i giornali, la ricetta Cairo applicata a «Miss Italia» si conferma quella tanto cara al Conte Mascetti di «Amici miei»: «Pare che c'è tutto, invece 'un c'è nulla». Schierati in giuria tutti i recenti acquisti della rete, da Rita Dalla Chiesa a Salvo Sottile (che in tempo reale su Twitter manifestava la noia e tutto il suo disappunto per essere lì, si immagina costretto), Patrizia Mirigliani ha lasciato a briglia sciolta quei due irresistibili simpaticoni dei conduttori, Massimo Ghini e Cesare Bocci. Che prima di andare in pubblicità imbastivano siparietti attoriali alla «Muppets Show» degni di miglior causa. D'altra parte, forse è meglio così: invece di recitare in un cinepanettone, hanno presentato con piglio all'avanspettacolo il concorso di bellezza italiano per antonomasia. Un brutto film in meno in circolazione.
Scaricato prima dalla Rai e rifiutato da Mediaset, «Miss Italia» è approdato su La7 con gran scorno di Enrico Mentana, il quale pare che ieri sera, visti i risultati imbarazzanti, abbia festeggiato leggendo nudo a voce alta, al Colosseo, decine di lanci d'agenzia uzbeki.
Fra le incursioni di una Nina Zilli in playback (chiamare Nina Zilli e fara cantare in playback è come ingaggiare Rocco Siffredi per fargli mimare un porno), e un Max Gazzè (convocato solo perché anche lui, come le Miss, cura il contorno occhi) la serata scorreva via in tutta la sua pesantezza. Con un carico di break pubblicitari che neanche alle finali dei Mondiali. Il tutto mentre Bocci convocava le ragazze chiamandole prima col cognome e poi col nome (ma poi s'è corretto), e Ghini si vantava di aver lavorato con i più grandi registi italiani. Peccato che io mi ricordi soprattutto di un flop fatto con Neri Parenti...

giovedì 24 ottobre 2013

«MINUETTO» * UNO STUOLO DI VOCI PER IL TRIBUTO A MIA MARTINI E CALIFANO

Si intitola «Minuetto», ed è un omaggio, tardivo ma sempre assai gradito, a due grandi interpreti della musica italiana: Mia Martini e Franco Califano, autore maiuscolo e anticonvenzionale recentemente scomparso.  
Il tributo andrà in scena lunedì, 28 ottobre, alle 21, al Teatro Nazionale di Milano ed è intitolato in qualche modo a Mimì, la raffinata e sensibile interprete che ha subito in vita l'onta del sospetto della jattura. Una tra le più grandi ingiustizie dello spettacolo. A suo modo, Califano è stato un altro emarginato, dallo showbiz e dalla vita. Tanto che persino trovargli degna sepoltura non è stata cosa facile.
Sul palco del Nazionale saliranno diversi artisti: da Aida Cooper - corista e amica di Mimì - a Dario Baldan Bembo, autore di successi come “Piccolo uomo” e “Donna sola”. “Minuetto” invece è il trait d'union fra la Martini e Califano, che ne è stato l'autore. Toccherà poi a Fanya Di Croce, che ha già dato vita a molti tributi all'interprete di Bagnara Calabra scomparsa nel 1995. Alla voce di Fanya viene affidato un brano potente ed evocativo scritto da Enzo Gragnaniello: “Donna”.
Fanya sarà accompagnata da Paolo Costa (tastiere), Larry Mancini (basso), Saverio Gerardi (batteria) e Cristian Sementina (chitarre).
E ancora Monica Hill, corista nell' "Inedito World Tour" di Laura Pausini, Roberta Montanari, vocalist per Cesare Cremonini ed Elisa, le giovani cantanti Eleonora Mazzotti, Valentina Cortesi, Claudia Cieli, Federica Balucani (soprano pop lirico nel cast del programma della Rai "Pop! Viaggio dentro una canzone"), Gloria Turrini - uno degli astri del blues - e il gruppo MotelNoire . E infine Nicola Peruch, tastierista per Zucchero ed Eros Ramazzotti, e il quartetto d'archi Alter Echo String Quartet, in tour con i Pooh.  
L'evento è promosso dall'Associazione Culturale "George Gordon Byron" di Simone Ortolani e da Dieci.Com Entertainment. I Biglietti si possono acquistare tramite TicketOne oppure direttamente al botteghino del Teatro Nazionale.

martedì 22 ottobre 2013

AL BANO, ROMINA POWER E MOSCA * 10 COSE CHE NON DIMENTICHERO' MAI

Al Bano, Romina Power & Friends: 10 cose che non dimenticherò della città e della trasferta alla Crocus City Hall di Mosca.

1) La caparbia, superba, ammirevole ostinazione dei russi nel non capire una fava. O meglio, nel non voler concepire altro che la propria lingua. Il russo medio (spesso anche in giovane età, o persona che ha a che fare col turismo, quindi cosa doppiamente grave) prende in considerazione soltanto la propria. Se ti rivolgi a lui in inglese o in qualsiasi altro idioma, ridacchia, fa sorrisetti di superiorità o compatimento, e ripete severo la sua litania nella complicata lingua madre dando palesemente per scontato che tu debba conoscerla e - non si vede perché – comprenderla perfettamente. Sei guardato come un alieno piombato sulla Piazza Rossa. Oltretutto, alla terza volta che ripete la stessa cosa e non capisci, il russo medio tende ad alterarsi.

2) Se il russo medio non capisce una fava, il tassista moscovita è persino commovente nel suo stato di perenne annullamento del pensiero. I tassisti di Mosca si dividono in tre categorie: abusivi low cost con la App Tassametro (giuro, esiste, disponibile anche per Android) installata sul cellulare incastonato nel cruscotto; regolari iscritti all'albo e ladri conclamati. Il primo tipo viene chiamato dagli amici degli amici, ha macchinette anonime e sporche, arriva all'improvviso come l'attore coi baffi nei film porno quando c'è la scena clou, corre come Felipe Massa per dimostrare di essere migliore degli altri, e non rilascia ovviamente alcuna ricevuta; il secondo, quando viene chiamato dagli alberghi in modalità standard, ti fa pagare il giusto. Ma se lo prendi al volo per strada, o la sera per caso mentre ti aspetta all'uscita da un teatro, si trasforma immediatamente nel terzo tipo: il ladro conclamato. Il suo tassametro sale a botte di 50 rubli al secondo e in pochi chilometri vieni colto da tremori misti ad attacchi para-sgarbiani. Che devi trattenere perché sicuramente è armato. In ogni caso con uno di questi una notte mi sono concesso il lusso di litigare. E sono ancora qui a raccontarlo.

3) Ho il cavallo basso, e le scale della Cattedrale di San Basilio, peraltro splendida, non fanno per me.
 

4) Al Bano che imbastisce duetti con chiunque gli capiti a tiro. In particolare, costringe Pupo a un “Su di noi” contronatura. I due si guardano negli occhi amorevolmente per tutto il pezzo (attimi e si prendono per mano) intonando: “Noi due respirando lo stesso momento, per fare l'amore qua e là ... Ti porto lontano, nei campi di grano, che nascono dentro di me”. Altroché Romina (o Ramina, come si pronuncia in Russia): ad Al Bano serve un Pupo.

5) Andrej Agapov, il ricchissimo manager che ha organizzato l'evento. Sui 50 anni, strabico, misterioso, diversamente bello, veste casual, e in virtù del conto in banca si arroga anche il ruolo di direttore artistico. La scelta dei pezzi non è sempre il suo forte. In compenso fa cantare anche la figlia, e durante le prove sta sempre sul palco, dove si concede uno scazzo ogni tanto. Ma gli passa subito.

6) Umberto Tozzi che, seduto in platea accanto a me, guarda Agapov e dice: “Mi ha chiesto di fare Gente di mare e Gli altri siamo noi. Ma ti pare che io possa venire qui e non cantare Gloria? E' come andare al ristorante e ordinare pane e acqua”. Alla fine ha vinto Umberto.

7) La metropolitana di Mosca (la cosa più gigantesca concepita da essere umano), con scritte totalmente in cirillico (la cosa meno comprensibile in natura). Un dedalo inestricabile che è anche, dicono gli esperti, il luogo che ogni giorno, nell'ora di punta, vede la maggior concentrazione di persone al mondo. Se non capisci che cosa fare (e non capisci), puoi solo andare a tentativi. Oppure sederti e piangere.

8) Io che chiamo mia madre, classe 1942, e a tradimento le passo Gianni, il suo idolo da sempre. “Ciao Marilena, sono Morandi...” fa lui. Attimi di silenzio della matura groupie. “Stammi a sentire: mi dice Franco che hai un mio vecchio 45 giri, Ciao Pavia, di quando ho fatto il militare lì. Lo stampò la caserma in appena 5000 copie. Lo sai che se lo metti su Ebay, porti a casa 400-500 euro?”. Mia madre - svenendo - gli passa mio padre: “Ciao Gigi, ma di dove sei, di Cava Manara?”, e ride. “Ah, no... Di Santa Maria della Versa. Avevo cantato lì negli Anni 80? Non mi ricordo. Ah, sì, forse era una pomeridiana con Sergio Endrigo...”. Confermo, lo era. Gianni mi ripassa mia madre. Commento della matura groupie: “Ho sudato tantissimo...”. E io ho speso una cifra di telefono, Marilena.

9) Se provi a visitare il Cremlino, fai una coda di 2 ore per arrivare al metal detector all'ingresso, ma quando sei lì i militari ti spiegano garbatamente che il biglietto si fa dalla parte opposta della cittadella. Quindi dovresti percorrere almeno altri tre chilometri, trovare la cassa (kacca), procurarti il biglietto, tornare e rifare la fila. Trucco ingegnosissimo dei tempi della guerra fredda. Ecco perché nessuno che non conosca il cirillico ha mai visto il Cremlino.

10) Percorro un lungo corridoio nel backstage mentre quella canaglia di Pupo, che è lì con Agapov, intervistato dalla prima tv di Stato russa, mi afferra il braccio e mi trattiene sul posto, piazzandomi alla sua destra: “This is Andrej Agapov, the great manager, the creator of this special event. And he is Franco Bagnasco, the most important italian journalist”. Io vorrei scomparire. Abbozzo un sorriso, annuisco cialtronescamente (!) e faccio ciao ciao con la manina. Non mi arriva a casa un euro in più. In compenso da oggi, se decido di fare un tour a Leningrado o in Cecenia, c'è il tutto esaurito per settimane.

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