lunedì 29 febbraio 2016

LEONARDO DICAPRIO * IN (DITO) MEDIO STAT VIRTUS

«Finalmente Leo» rimbalza sui social. «Finally Leo». È Leonardo DiCaprio, attore di una bravura eccelsa (cresciuta esponenzialmente negli anni) che dopo essere stato snobbato per lustri dall'Academy, stanotte ha strappato il suo primo Oscar per «The Revenant»
E la sobria risposta dopo miliardi di prese in giro sui media mondiali è stata (giustamente) quella che ha dato sul palco, contenendo la gioia e sorreggendo busta e statuetta. Un dito medio appena accennato, con nonchalanche, il più classico dei «Fuck You» all'americana rivolto un po' a tutti. Alla platea infiocchettata, alla stampa. Ai gufi, come li chiamerebbe Renzi.

«The Revenant» è un film non facile. La storia di un uomo ingiustamente ferito, straziato, distrutto (nel fisico e nel morale) che cerca la sua epica vendetta. Si sviluppa lentamente, in un curatissimo crescendo, e ospita alcune scene, come quella dell'assalto dell'orso e la successiva agonia del protagonista, nelle quali DiCaprio raggiunge vette di gigionesca capacità espressiva mai toccate prima.
Bravo Leo. Bravo per aver portato a casa l'ambito soprammobile da libreria, e bravo per quel dito medio appena accennato. Che salva la signorilità ma dice tutto. Proprio tutto.

mercoledì 17 febbraio 2016

DARIA BIGNARDI, UN'AMBIZIOSA LADY BARBARICA ALLA DIREZIONE DI RAITRE

Conosco Daria Bignardi, nuovo direttore di Raitre, dai tempi della mia lunga collaborazione al Giornale di Feltri, quando la incontravo sul bus navetta che portava dalla metro verde di Cascina Gobba (quale gobba?) a Cologno Monzese per condurre «Tempi moderni», un talk di Italia 1 nel quale mescolava con una certa sapienza costume, attualità, un pizzico di cultura e fenomeni da baraccone, con il suo rinomato taglio un po' radical, un po' chic, e molto pop.

Era la cocca dell'allora direttore Giorgio Gori (attuale sindaco di Bergamo e spin doctor del Presidente del Consiglio), uno bravo davvero a fare tv, che le offrì poi la conduzione del «Grande fratello». Un'occasione d'oro che seppe cogliere al volo, anche perché acciuffare il clamore della prima stagione italiana del capolavoro di Endemol, «The Big Brother», il primo grande reality della tv, significava entrare di diritto nella storia. Il resto da lì in avanti era dimenticabile.

Ferrarese, 55 anni, sposata con Luca Sofri (quello che chiama «capo» Matteo Renzi, come ha rivelato un video del Fatto quotidiano), Daria è ambiziosa e ha portato avanti una lenta scalata televisiva culminata con le prime stagioni felici de «Le invasioni barbariche», su La7, e l'ultima, decisamente più affannosa sul piano dell'audience, che ha determinato il suo allontanamento. Da quando è scrittrice se la tiracchia un po', a dispetto dell'immagine sbarazzina, da pinta di birra con gli amici, che offre in video. Ma glielo si può perdonare.

Una volta ci beccammo per via di una vibrante presa in giro che fece su Vanity al nascente mondo di Facebook, dei social network, e di chi li frequentava. Per poi finire a mandare avanti con passione, come tutti, la sua brava pagina Facebook personale. Ma le contraddizioni sono il sale della vita.

Immaginavo che l'avrei rivista ancora in tv, ma non pensavo puntasse a una direzione di rete. L'obiettivo che ha mancato Simona Ventura, presto naufraga a «L'isola dei famosi». Qualcosa «la Bigna» (come la chiamo affettuosamente in privato, l'ultima volta ci siamo visti a Rimini) può fare, ne ha le capacità e conosce il mezzo. Ma la Raitre di Angelo Guglielmi, non illudiamoci, non tornerà più.

domenica 14 febbraio 2016

IL PROBLEMA DI CONTI È CHE ORA DOVRA' CONDURRE SANREMO PER 10 ANNI

La vittoria degli Stadio al 66° Festival di Sanremo non avrei mai potuto prevederla. Non tanto per il pezzo, buono ma non come quello di Patty Pravo o di Enrico Ruggeri, per esempio; quanto perché non li immaginavo forti al Televoto. Dove invece di solito vanno alla grande un Valerio Scanu o un'Annalisa finiti invece nelle zone più basse della classifica. Sarà stato l'effetto Lucio Dalla de «La sera dei miracoli», che ha dato la scossa il giorno delle cover. 
Bene per Francesca Michielin, invece, pulcino di ferro dal grande futuro, e per la coppia Caccamo-Iurato, con un pezzo classicamente e romanticamente sanremese. Negli Anni 90 avrebbe vinto. Oggi si è dovuto accontentare di una terza posizione.

Ciò che resterà in eterno del secondo Sanremo dell'era di Carlo Conti, è il conduttore stesso, che ha già annunciato una terza edizione e che se continua di questo passo ne inanellerà almeno una decina. A riprova (lui stesso lo ammette) che un bel po' del Dna di Pippo Baudo scorre nelle sue vene. In un certo senso si è fregato da solo. In bocca al lupo perché lo merita: veloce, preciso, capace di scegliersi i collaboratori (un Garko e una Ghenea che fanno parlare e una Virginia Raffaele a dispensare virtuosismi), e di mettere a segno un colpo straordinario con la maiuscola presenza sul palco di Ezio Bosso. Un Sanremo da vero servizio pubblico, sul quale si sono infatti precipitati a mettere la faccia il direttore generale Campo Dall'Orto e la presidentessa Maggioni.

Gli ascolti sono stati sempre molto alti. Anzi, nella media di tutte le serate i più alti degli ultimi 11 anni. L'anello debole di questo Festival sono stati invece i comici: già visti, inefficaci, oppure riempitivi. Da Aldo, Giovanni e Giacomo, a Brignano. Stanchi e freddi compitini. Tranne Nino Frassica, breve ma intenso, e le irrinunciabili divagazioni di Rocco Tanica. Sono lontani (forse anche per l'oggettiva mancanza di materia prima) gli anni in cui di grande comico se ne prendeva uno solo, come Beppe Grillo, e la sua performance-bomba era un imperdibile valore aggiunto.
Peccato, ma sono convinto che Carlo prenderà presto esempio da Pippo, e tutto si sistemerà.

giovedì 11 febbraio 2016

ALL'IMPROVVISO ARRIVA EZIO BOSSO A DARE UN SENSO A SANREMO

Arriva il giorno che non ti aspetteresti mai. Quello in cui al Festival esplode la scintilla Ezio Bosso. Uno che cambia tutto, ti strapazza l'anima e la ribalta. E ti fa persino venire voglia di pagare il canone in bolletta, a partire da luglio, in comode rate. 
In sedia a rotelle, malato di SLA e operato al cervello nel 2011, arriva carico di un'energia, un umorismo, e una vita irrintracciabili in qualsiasi altro essere umano. Con poche pennellate, il pianista torinese, 44 anni, uno tra i più grandi compositori contemporanei, riesce a dare un senso a tutto e commuove non solo la platea dell'Ariston, ma soprattutto a casa. Dove molti scoprono la grandezza di un artista che ha tanto da insegnare. Bosso conquista e zittisce per un attimo persino l'acidità che corre sui social. Un'epifania leggendaria per il Sanremo di Carlo Conti, che senza demagogia si appunta sul petto una straordinaria medaglia. Mai il Festival ha avuto un momento così alto.

A questo punto parlare di canzonette conta davvero poco perché scompaiono, ma va detto che anche il resto della serata, sul piano dello spettacolo, è stato di buon livello. Decisamente meglio del debutto, un po' sottotono. La grande Virginia Raffaele è riuscita a far ridere calandosi perfettamente nei panni di un'ingessata Carla Fracci alla quale ogni tanto scappava qualche «cazzo» a mo' di punteggiatura. E un maiuscolo Nino Frassica si è concesso una memorabile intervista doppia con Gabriel Garko. Si è scoperto che il marito di Nicole Kidman spende in Interflora quanto il Pil del Belgio ed Eros Ramazzotti ha fatto il suo dovere cantando da par suo una manciata di vecchie canzoni romantico-periferiche del suo repertorio.

Tra i pezzi in gara, mi hanno convinto la pagina solida di Francesca Michielin, la follia virtuosistica di Elio e le storie Tese, «Vincere l'odio» (il contrario di «Perdere l'amore»), e il divertissement di Neffa, che meriterebbe sorte migliore di quella che purtroppo avrà, se non altro a Sanremo. Meno convincenti Scanu e Annalisa, ma i più giovani, si sa, sono premiati dal televoto dei ragazzi, quindi non avranno problemi ad affermarsi. Patty Pravo fa il suo compitino, Dolcenera canta alla grande un testo che è messo insieme con il generatore casuale di frasi, però è interpretato con molta passione. Alessio Bernabei e Zero Assoluto non pervenuti.


mercoledì 10 febbraio 2016

CROLLANO LE BORSE, MA SANREMO TIENE: BENE ARISA, BLUVERTIGO, STADIO E RUGGERI

Il Paese è salvo: crollano le Borse europee, ma Sanremo, per ora, tiene: 11 milioni e 134 mila spettatori con il 49,5% di share (metà della platea televisiva, in media ponderata fra le due parti): poco meno dello scorso anno per il Festival di Carlo Conti, solito impeccabile cerimoniere di uno spettacolo che qualche noia l'ha data, ma non sul piano delle canzoni. Alcuni pezzi meritavano davvero, come quello dei Bluvertigo, che se fosse stato affidato non a Morgan ma a uno che sa cantare, avrebbe fatto miracoli. Anche la pagina intimista degli Stadio aveva il suo perché, pur necessitando di più ascolti per entrare in familiarità. Arisa (un po' malmostosa a quanto pare in questi giorni, come si è visto al Dopofestival) aveva una bella canzone, consolante panacea per la solitudine metropolitana d'oggidì, scritta come sempre dall'ex fidanzato Giuseppe Anastasi. E poi Enrico Ruggeri, che dimentica lo spot dei salumi e ci fa sognare per un attimo di essere tornato quasi il rouge dei tempi migliori. 
Pur con qualche sbavatura, anche il pezzo dei Dear Jack aveva l'impronta del classicone festivaliero degno di miglior critica, a mio avviso. Un recupero dell'orecchiabilità che si sta perdendo. E non sempre è un male, sia chiaro. Non troppo a fuoco, invece, Noemi, anche perché Quello che le donne non dicono è stata una pagina definitiva sull'universo femminile. Usare la metafora della borsetta per raccontarlo, fa un po' saldi di fine stagione. 

Le due vallette, Madalina Ghenea e Gabriel Garko, lei silente e statuaria con 15 cambi d'abito, lui macchina acchiappa audience femminile con un cambio d'espressione, hanno fatto quel che potevano per tenere botta, non essendo il loro mestiere. Strepitosa, come sempre, Virginia Raffaele, che ha fatto ridere calandosi nei panni della Ferilli. Già, perché se avessimo dovuto spanzarci con la gag stagionata come lo stilton di Aldo, Giovanni e Giacomo, si poteva stare freschi. 25 anni di carriera senza andare a Saremo, erano un traguardo che si poteva prolungare.

Laura Pausini sempre brava ma parla troppo, incartandosi nella consueta retorica strapaesana che tanto ama. Le è stato dato ampio spazio (fra un blocco pubblicitario e l'altro), e quando canta detta legge. Se fa la ragazza di Solarolo che ha conquistato il mondo, ci si diverte un po' meno. Prenda esempio da sir Elton John, che zitto zitto ha piazzato i suoi tre capolavori, lasciando perdere persino il traino di visibilità della step-child adoption, e ha guadagnato l'uscita rischiando quasi di cadere.


Al Dopofestival mi ha divertito soprattutto l'idea, molto faziesca (o chiambrettiana) di Nicola Savino di prendere Orietta Berti come commentatrice. E il mix con la Gialappa's band funziona.
Il resto, all'Ariston, è contorno festivaliero, piccole gag per liberare il palco, riempitivi. Conti sta facendo, come al solito, un buon lavoro. Non ci si accorge quasi di lui, e questo è il grande segreto di chi oggi fa (bene) televisione.

mercoledì 3 febbraio 2016

GIANNINI SI RIBELLA E LA BOSCHI CHE COMANDA DAVVERO NEL PD

Il collega Massimo ‪Giannini‬ (uno sempre piuttosto allineato, o comunque non ostile a chi comanda) che in diretta a ‪‎Ballarò‬ si ribella ai violenti attacchi del ‪Pd‬ per aver parlato di «legami incestuosi» fra politica e affaristica sul caso delle banche, è uno spettacolo da antologia. Una sua semplice espressione d'uso comune viene letta con malizia sopraffina in riferimento a Maria Elena ‪Boschi‬, e utilizzata per tentare di fare le scarpe a un giornalista neanche scomodo. Appena appena scomodino, se mi si passa il termine.

Ne emergono due considerazioni: nel Pd c'è la stessa libertà d'espressione che c'era in Italia ai tempi del Fascio, o giù di lì. Sono passati dalle 128 correnti al pensiero unico. E poi viene fuori chiaramente chi comanda lì dentro (qualora non si fosse già capito da un po'). Anche senza andare a‪ Firenze‬ a Pitti Bimbo, si capisce che in casa i pantaloni non li porta il signor ‪Renzi‬, ma la signorina Boschi. La versione gusto cacciucco white sensations dell'Olivia Pope di ‪«Scandal‬», per chi bazzica le serie tv. Perché paragonare la nostra misera politica alle trame sopraffine di‪ «The House of Cards‬», scusate, ma proprio non mi viene.


A questo punto, visto che la maschera è caduta, si dia al Generale Boschi direttamente la Presidenza del consiglio. Così il Paese sarà nella stessa situazione, ma avremo almeno qualcosa di bello da vedere. Perché Matteo, in tutta onestà, l'è scarsino. Ovvìa.

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