mercoledì 30 novembre 2016

RITA DALLA CHIESA * LE MIE FIABE CON FIORDALISO E LA MIA VITA NE «IL PEGGIO DELLA DIRETTA»

Per Rita Dalla Chiesa è un momento di fermento dal punto di vista editoriale. La storica e rimpianta conduttrice di «Forum», infatti, esce oggi in libreria per Melampo con un progetto alquanto singolare: un libro per bambini, «Il cacciatore di stelle e altre fiabe», scritto insieme con la cantante Fiordaliso. Rita e Marina sono amiche da anni, e sembrano il Diavolo e l'Acqua Santa, ma non si riesce mai esattamente a capire chi delle due rivesta i panni dell'Uno o dell'Altra. «Era un progetto all'apparenza folle o quantomeno bizzarro, diciamo così, al quale lavoramo da un po'»
dice Rita «incontrandoci o chiamandoci ogni tanto nottetempo durante la lavorazione, prese dall'entusiasmo per la scrittura. Credo ne sia uscita una bella cosa fatta da noi, così diverse, eppure così simili».

Intanto la Dalla Chiesa, che si è appena concessa un'intervista a cuore aperto su Libero fatta dalla collega Alessandra Menzani, compare anche in un succoso capitolo del mio libro, «Il
peggio della diretta», appena uscito per Mondadori. La signora della tv racconta alcuni imbarazzanti episodi da backstage della sua carriera. Da un malore che la colse a «Forum» e che fu nascosto al pubblico, ad alcuni dissapori dietro le quinte con lo staff, sino a quando fece valere una questione morale e d'immagine in un momento delicato per il Paese.
In attesa di tornare quanto prima in video, Rita consiglia «Il peggio della diretta» (in libreria e sul web) nel video che trovate qui sotto.


martedì 29 novembre 2016

LAPO ELKANN: HASTA LA FANDONIA, SIEMPRE!

Lapo Elkann
Dalla Grande Mela all'Enorme Pera. Mentre a Cuba Fidel Castro ci lascia e viene cremato, a New York Lapo Elkann per fortuna resta tra noi, ma viene arrestato. Con successiva scarcerazione. Attualizzando in modo rocambolesco uno slogan che ha fatto la storia: Hasta la fandonia, siempre!
C'è poco da fare, l'eccentrico rampollo di casa Agnelli non riesce a stare lontano dai guai: stavolta ci sono in ballo droga, un festino, due notti con un'escort transgender e un finto sequestro che ha inscenato per recuperare dalla famiglia i 10.000 dollari con i quali (rimasto senza argent de poche, pòra stella) avrebbe dovuto pagarsi gli sfizi. Sia chiaro, fatti suoi. Si potrebbe obiettare che un po' di roba e ottimi trans pare si trovino anche a Rozzano, praticamente a Km. zero, come le melanzane bio, ma sugli investimenti è sicuramente più ferrato il creatore di Italia Independent, già consulente di Ferrari e Brand promotion di Fiat Group, come ricorda Wikipedia.


La cosa più divertente è che prima di partire per Manhattan, Lapo nostro (in perfetta tenuta sgargiante da Lapo) aveva piazzato sul suo Instagram un bel video nel quale annunciava la sua partenza: «Vado per affari e progetti creativi», diceva gagliardamente. E in effetti la creatività, come sempre, l'ha dimostrata. Su quella è di certo campione europeo.
La storia newyorkese ricorda un po' il fattaccio del 10 ottobre 2005, a Torino, quando il nipote di Gianni l'Avvocato finì in overdose dopo una notte con il trans Donato Brocco, detto Patrizia.  E mentre la pruriginosa vicenda di Elkann su Facebook oggi ha spodestato persino il Referendum costituzionale del 4 dicembre (era ora, ha sibilato più d'uno), si sono scatenati sui social, gruppi di Whatsapp compresi, i professionisti della satira. Come «il Troio» (si suppone quello del Vernacoliere), che ha vergato una poesia per Lapo modello Dolce stil novo diventata immediatatamente virale. Sull'altro fronte, un po' indispettiti, ci sono coloro che sottolineano invece quanto sia evidente la solitudine e il disorientamente dell'uomo. Si salvi chi può. La vicenda, comunque, ha tutta l'aria di non essere finita.


lunedì 28 novembre 2016

PAOLO VILLAGGIO NE «IL PEGGIO DELLA DIRETTA»: «MI VOLEVA STREHLER MA PERSI LA MEMORIA»

Paolo Villaggio
Paolo Villaggio per me non è un semplice attore o (banalmente) un essere umano. Lo considero alla stregua di un dio pagano, di un'entità soprannaturale che ha condizionato la mia crescita e il mio modo di essere. Qualcosa che va oltre tutto e tutti, pur con i suoi umani difetti. Compreso un talento che spesso ha buttato via, in anni più o meno recenti, insieme con il suo personaggio, ma questa è un'altra storia.
Per questo quando ha accettato di scrivere di suo pugno un racconto per il mio libro, «Il peggio della diretta» (Mondadori Electa), in libreria e negli store on-line, ero felice come un bambino quando gli regalano la prima bicicletta.

Paolo ha scritto per me, anzi con me (lui non batte né a macchina né al computer, quindi detta «a uno schiavo», come dice lui, con attenzione al dettaglio), in una lunga, molteplice session telefonica un racconto in perfetto stile «Fantozzi». Un pezzo esilarante su una chiamata notturna da parte
di Giorgio Strehler (il sogno di ogni attore) e sulla sua perdita di memoria. Un Villaggio classico, quello dei libri e dei film che hanno segnato le esistenze di molti, con le loro frasi diventate marchio distintivo di una genialità assoluta e dell'asservito mondo impiegatizio.
Nota a margine: prima di congedarsi, Villaggio mi ha domandato: «Ma... Come va con la prostata?».

venerdì 25 novembre 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE * IL «NO» È IN VANTAGGIO, MA OCCHIO AL «SI'» SILENTE

In vista del Referendum Costituzionale del 4 dicembre, vedo il fronte del NO, sempre più agguerrito, a volte un po' troppo protervo (il che non gli giova, mio personalissimo avviso), spendersi a mille per una vittoria che sembra annunciata. E probabilmente lo è. Gli ultimi sondaggi prima dello stop, del resto, oltre a un'astensione molto alta, davano in testa di quattro punti la compagine che mette insieme Matteo Salvini, Beppe Grillo, il Silvio Berlusconi politico (perché Mediaset, per bocca di Fedele Confalonieri, vota in segno opposto), la Meloni, Brunetta, D'Alema, Bersani, Marco Travaglio, costituzionalisti vari e molti, molti altri esponenti politici. Quella che Matteo Renzi
ha chiamato «accozzaglia», dopo avere commesso il tragico errore di personalizzare troppo l'esito referendario. «Se vince il SI', me ne vado». Proprio in un momento in cui la popolarità del Presidente del Consiglio iniziava ad andare in picchiata. È chiaro come tutti gli anti-Renzi abbiano visto l'unico spiraglio di luce per poterlo abbattere prima del voto del 2018, e l'abbiano puntato come i Re Magi con la Stella cometa. Soprattutto Salvini, che si vede già leader del Centrodestra.


Il fronte del SI', a parte qualche artista, sembra un po' sguarnito di facce e testimonial; certo, c'è la sicumera spocchiosa di Matteo da Firenze, che si spende come nessuno e che gioca tutte le carte, compresa la poco gradita letterina a quattro milioni di italiani all'estero. Sono appena usciti, intanto, gli spot del Comitato per il SI', e puntano in modo martellante sull'unico slogan possibile e ragionevole: «Se vince il NO, non cambia niente!». Come a dire: non vi lamentate di un Paese che non va, se poi quando è il momento, non fate niente per cambiarlo. E questa è una motivazione molto forte.


Insomma, il NO ha buone ragioni e vanta una sterminata, compatta compagine. Forse più anti-renziana che anti-referendaria. Sembra molto sicuro di vincere e probabilmente vincerà. Il SI', Renzi a parte, è più dimesso e silente. Eppure io non credo che il NO abbia la vittoria così in tasca, come si tende a credere. In un Paese che ormai detesta visceralmente politica e politici, anche solo l'idea di ridurre considerevolmente il numero dei senatori, fa gola. E il segreto dell'urna da noi ha sempre fatto miracoli. Non dimentichiamoci che questo è il Paese dove per decenni ha governato la DC senza che nessuno dichiarasse apertamente di votarla. Meditate, gente... Meditate.

P. S.
In questa situazione il più felice di tutti (me lo immagino mentre saltella di gioia nella sua cameretta) ovviamente sarà Enrico Mentana, che potrà aggiungere tonnellate di pathos alla sua immancabile maratona referendaria su La7.

giovedì 24 novembre 2016

ANDREA MARIANO NE «IL PEGGIO DELLA DIRETTA»: «VI RACCONTO GLI ESORDI TORMENTATI DEI NEGRAMARO»

Andrea Mariano dei Negramaro (Foto di Flavio&Frank)
C'è anche Andrea Mariano, nome d'arte «Andro I.D.», fra gli artisti che si raccontano ne «Il peggio della diretta», libro zeppo di aneddoti di dietro le quinte strani e imbarazzanti di personaggi dello spettacolo che ho appena pubblicato per Mondadori Electa.
Andrea, che è una colonna dei Negramaro, rievoca in un capitolo
del libro gli esordi tormentati e minimalisti della band salentina, ovvero gli anni poveri ma belli di tournée con un furgone scassato su e giù per l'Italia. In una di queste spedizioni riuscirono a dimenticare all'autogrill persino il leader della formazione, Giuliano Sangiorgi. C'è affetto e ironia nel racconto di Mariano, il quale parla in prima persona di anni impossibili da dimenticare, sia per i membri del gruppo, sia per i fans. «Il peggio della diretta» si trova in libreria e nei principali store on-line.


mercoledì 23 novembre 2016

REFERENDUM * S'INVOCA LA NEUTRALITA', MA INTANTO SI MANDANO LE LETTERE

Chi va ospite nei programmi Rai in questo periodo, in qualsiasi contesto, anche a parlare di giardinaggio, oltre alla normale liberatoria, deve firmare un documento col quale si impegna a non dire nulla «che possa in qualche modo influenzare l'esito del Referendum». In pratica, una limitazione (per accettazione volontaria ma vincolante) dell'Art. 21 della Costituzione, al quale tutti dovremmo tenere in particolare modo.
 
Potresti parlare a favore del , potresti esprimere la tua opinione a favore del No, o dell'astensione, ma di fatto non puoi perché hai firmato una clausola che ti auto-censura. Neutralità totale. Poco carino, per niente libertario, ma ci può anche stare se è un'accettazione "volontaria".
Ma allora perché il Comitato per il Sì, che non in concreto ma di fatto è rappresentato dallo schieratissimo Presidente del Consiglio, che come la statale Rai dovrebbe essere super partes, ha attinto agli elenchi degli indirizzi di 4 milioni di italiani all'estero (custoditi dalla suddetta Presidenza) per mandare loro una lettera e convincerli a votare Sì? Da una parte s'invoca la neutralità, dall'altra si agisce in segno contrario.

martedì 22 novembre 2016

IL «SELFIE» SPIETATO DELLA VENTURA * QUANDO BUONISMO FA RIMA CON CINISMO

Se i buoni (veri) sono una benedizione, i buonisti nascondono quasi sempre le peggiori insidie. Partendo da questo innegabile presupposto di vita più che di tv, il nuovo «Selfie - Le cose cambiano» di Simona Ventura ha debuttato ieri su Canale 5 lasciandomi l'amaro in bocca. Poco da dire sulla conduttrice, che ha fatto la sua parte col compito di servire un menu dolce all'apparenza, ma spietatamente cinico nella sostanza. Il problema, stavolta, è il resto, visto da 4.183.000 spettatori con il 20,23% di share. Battuto di due punti e mezzo dal film di Pif su Raiuno, «La mafia uccide solo d'estate», ma di questi tempi un ascolto onesto.


Televisivamente il programma, apoteosi del già visto, è un mix fra «Extreme Makeover», «Il brutto anatroccolo» (Amanda Lear e Marco Balestri), «Bisturi! Nessuno è perfetto» (Irene Pivetti e Platinette) e altre frattaglie di genere, popolato da molti dei volti televisivi di Maria De Filippi, che con la sua Fascino PGT produce lo show. Dall'urlante Tina Cipollari («Uomini e donne»), andata in crash con Katia Ricciarelli, a Stefano De Martino, passando per Alessandra Celentano («Amici»). Poi i silenti Aldo Montano, Simone Rugiati, e la squittente Paola Caruso, Bonas di «Avanti un altro!», impegnata soprattutto a esporre la mercanzia. Tutti convocati col pretesto di fare da mentori dei casi più o meno umani reclutati per cambiamenti nella maggior parte dei casi estetico-chirurgici.

C'è il russatore incontrollabile, la ragazza di 25 anni che dopo il parto vuole rifarsi il seno cadente, e l'altra che ha bisogno di un tagliando complessivo; quello con le orecchie (anzi, uno solo) a sventola; la tipa con la brutta dentatura, un altro che crede di somigliare ad Al Bano e il tipo che sogna di diventare Massimo Ghini. Il povero che vuole regalare alla fidanzata le scarpe Converse e una notte speciale. Persino l'ossessivo compulsiva che si è lasciata andare e che (scommettiamo?) diventerà presto la principessa al gran ballo. Alcuni vanno spediti dal dentista, altri dal chirurgo, altri al trucco e parrucco, altri dallo psicologo senza passare dal via.


The Walking Dead
Ovviamente il compiaciuto ricatto è: tu vieni da noi, ti fai prendere un po' in giro davanti a mezza Italia, fai il numero da circo, ti compatiamo, ti tiriamo metaforicamente le noccioline ma senza esagerare che poi si nota (e in questo la Ventura è brava), e in cambio noi della tv, belli e ricchi, ti regaliamo l'intervento chirurgico che ti costerebbe una cifra. Ovviamente devi anche far finta di tenere lo stupore per il tuo cambiamento al momento del disvelamento in studio, quando ti toglieremo il mantello o la maschera di Hannibal Lecter. A casa non ci crederà mai nessuno, ma qui ci piacciono le favole. Ci stai? Ci sto. Dammi il cinque.
«Selfie - Le cose cambiano», regia di Roberto Cenci, come prodotto televisivo non è peggio di altra roba trash che circola in video. Ma è un programma spietatamente buonista. Intimamente violento, nella sua apparente leggiadria patinata. Mi fa più paura di «The Walking Dead», col quale pure si scontra in palinsesto.


lunedì 21 novembre 2016

DUCCIO FORZANO * «COME ROCKY BALBOA», IL ROMANZO DEL FURETTO DELLA REGIA

Sono stato a Milano, alla presentazione del romanzo autobiografico di un amico, Duccio Forzano, il furetto della cabina di regia. 
Regista televisivo tra i più affermati d'Italia, lanciato nel '95 da Claudio Baglioni, che l'ha voluto all'inizio per videoclip patinati e concerti, negli ultimi anni ha lavorato molto con Fabio Fazio a «Che tempo che fa».


Il libro, edito da Longanesi, s'intitola «Come Rocky Balboa», ed è stato presentato da Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu, liguri come Duccio e anche loro nella folta schiera di artisti finiti più volte (per esempio al Festival di Sanremo) sotto le maghiche lenti del regista. Il libro, lo ammetto, devo ancora leggerlo, ma la curiosità, presto appagata, che al momento mi rimane in canna, è sullo stile di scrittura. 

Essì, perché dovete sapere che Duccio, quando si chiude in quella stanza fra tecnici, mixer audio, video, luci, monitor ed effetti, è uno spettacolo della natura; si trasforma in una specie di spietato, inarrestabile e adrenalinico ufficiale della Gestapo. Per me, bisogna fargli l'antidoping. L'ho visto all'opera un paio di volte ed ero quantomeno estasiato.
Chissà se la stessa frenesia, il ritmo sincopato, lo stesso che ha nel lavoro, l'ha portato anche tra le pagine del suo romanzo, oppure se lo stile è pacato, delicato e scorrevole? Manca poco, e lo saprò.


sabato 19 novembre 2016

«THE YOUNG POPE» * PARTITO BENE, È DIVENTATO UN SUPPLIZIO

Paolo Sorrentino (foto di Gianni Fiorito)
L'idea forte, e fortemente intrigante di «The Young Pope» era portare in scena un Papa attraente (il bellissimo Jude Law), ma al contempo respingente (il Santo Padre cinico, antipatico e che non crede in Dio). Giocata questa carta in modo onestissimo nei primi due episodi, a partire dal terzo la serie non ha fatto altro che girare a vuoto precipitando via via nel baratro della noia. Di settimana in settimana, il grafico dell'apatia dello spettatore sembrava un crollo di Wall Street.

Il bravo Silvio Orlando ha cercato di reggere il peso di tutto per un po', portando sulle spalle il peso di una produzione esteticamente sfarzosa (per costumi e location vaticane), ma povera in quanto a sviluppo narrativo. Uscito di scena lui, il cardinale maneggione, si annaspava. Per fortuna qualche guizzo genialoide nei dialoghi («Santo Padre, qui tutti dicono che lei sia un Santo!» / «Calunnie») ogni tanto mi risvegliava dal sonno rem.

La grande bellezza papale di Paolo Sorrentino è svanita. E anche se il regista, durante il making of della serie mandato in onda ieri, ha già dichiarato di essere disposto a girarne una seconda, spero tanto che qualcosa, qualcuno (magari proprio lo Spirito Santo paraclito) posi una mano sul capino dei dirigenti di Sky Atlantic e li indica a desistere. Ma credo che l'abbiano capito. Anche se si sa, in queste cose a volte prevalgono logiche aziendali o d'immagine. Eppure fermarsi qui sarebbe una prova evidente dell'esistenza di Dio.

venerdì 18 novembre 2016

«X-FACTOR» * DAIANA LOU, QUANDO I BURATTINI DEI TALENT TAGLIANO I FILI

Daiana Lou, chi erano costoro? 
Due artisti di strada scopertisi (tardivamente) duri e puri che ieri sera hanno abbandonato «X-Factor» poco prima di una loro possibile eliminazione al Televoto, perché hanno scoperto di essere in un programma che mescola «la commemorazione di un ragazzo morto (il rapper Cranio Randagio, che aveva partecipato al talent di Sky alcune edizioni fa) e la pubblicità delle patatine». Intesa SanPaolo e Amica Chips ringraziano.

E se Bob Dylan, che pure è Bob Dylan, non va a Stoccolma a ritirare il Nobel perché ha forse il bonarda da imbottigliare, i pur artisticamente rispettabili Daiana Lou (che evidentemente prima facevano gli artisti di strada a Kyoto, ma senza seguire il protocollo) si accorgono dopo i casting, le home visit e innumerevoli puntate di essere a «X-Factor». Ebbene sì, signori. Calati in una logica televisiva, dunque commerciale. Orrore. Quindi abbandonano la gara, giusto per farsi notare (sottolineo, poco prima di una possibile eliminazione), mandando in tilt pure l'attento Alessandro Cattelan, che all'annuncio del loro abbandono prima non credeva alle sue orecchie, poi ha un po' stizzosamente confermato la loro eliminazione, salvo in seguito richiedere ai due di ribadire la loro intenzione di andarsene. Fedez li critica, Arisa li difende con qualche riserva, Alvaro Soler, come al solito, si imbambola, e persino Manuel Agnelli sembra in difficoltà.

Insomma, un casino. Tutto sommato evitabile. Che però è riuscito nell'intento di portare all'attenzione dei media due che altrimenti sarebbero stati soltanto ignoti concorrenti di «X-Factor» probabilmente dimenticati a due giorni dalla finale. Qui siamo oltre il «mi si nota di più se vado o non vado?». Siamo ai trucchi furbetti dello spettacolo che stanno sfuggendo di mano ai burattinai. Di questo passo al momento di firmare il contratto metteranno una clausola (a meno che non esista già qualcosa di simile) che impedisce ai concorrenti di ritirarsi se non in presenza di gravi e conclamati problemi di salute. Per il momento, DAIANA FU.


giovedì 17 novembre 2016

NICOLA SAVINO NE «IL PEGGIO DELLA DIRETTA»: «SCHERZAI TROPPO CON IL FIGLIO DI TOTO' RIINA»

C'è anche Nicola Savino, conduttore di «Quelli che il calcio», su Raidue, e (insieme con Linus) voce storica di «Deejay chiama Italia», in quel di Radio Deejay, tra i personaggi che si raccontano nel mio libro «Il peggio della diretta», appena uscito per Mondadori Electa.

Nicola racconta dello spavento che prese a metà degli Anni 90 a Corleone, in Sicilia, per essersi preso troppe confidenze (durante una serata con Amadeus) con il figlio di Totò Riina, il boss dei boss, balzato di recente agli onori delle cronache per la contestata intervista nel «Porta a porta» di Bruno Vespa.

Altro aneddoto che Savino affida alle pagine del mio libro è una folle nottata di capodanno a Riccione, in Romagna, insieme con gli 883, ovvero Max Pezzali e Mauro Repetto. Con un Repetto scatenatissimo e a caccia di fauna locale.
Fra i più di 100 aneddoti di momenti di imbarazzo di gente di spettacolo contenuti ne «Il peggio della diretta» ce n'è un altro legato proprio a Linus, il "socio" di Savino, raccolto durante un incontro tenuto da Marta Cagnola di Radio 24.


mercoledì 16 novembre 2016

«STASERA CASA MIKA»* LA QUALITA' TOTALE (E IL PROBLEMA DELLA LUNGHEZZA)

L'unico problema del notevole «Casa Mika» (premiato ieri sera al debutto da 3,3 milioni di persone con il 14.4% di share) è la lunghezza: qualsiasi virtuosismo, qualsiasi magnificenza stilistica, se spalmata su tre ore di show, alla lunga diventa un po' stucchevole. E costringe fra l'altro il protagonista e gli autori ad allungare con qualche espediente di troppo un ottimo brodo che andrebbe bevuto in purezza.

Detto ciò, averne di show come questo: un ritorno alla qualità totale, ai varietà leccati e curati della Tv che fu. Quelle cose che da spettatori ormai da anni ci sogniamo di notte, fra reality spazzatura e programmi un tanto al chilo, a meno che non entri in campo Fiorello. Mika (anzi, «Michael Holbrook Penniman», come lo chiama spesso la deliziosa Sarah Felberbaum), il talentoso anglo-libanese lanciato in Italia da «X-Factor», chiama a sé altri grandi: da Sting a Malika Ayane passando per Renzo Arbore, omaggia Ugo Tognazzi (Gianmarco e Francesco Montanari, che rifanno una scena de «Il Vizietto», regalano soprattutto un assist virtuoso al Libanese per liberarsi dal giogo d'immagine del personaggio di «Romanzo criminale») e invita persino Benji & Fede.

Lo studio è stupendo, un tripudio di colori, così come gli stordenti cambi d'abito del protagonista, che gioca a fare il tassinaro a Roma. Mentre floppano le novità della Raitre di Daria Bignardi, Ilaria Dallatana su Raidue mette a segno un altro centro pieno. Certo, il programma, fra orchestra, opiti, frizzi e lazzi, costa. Ma la qualità, è noto, si paga. Per la cronaca, quello della casa di Mika è soltanto un espediente per il titolo.

martedì 15 novembre 2016

SELVAGGIA LUCARELLI NE «IL PEGGIO DELLA DIRETTA»: «LA MIA ADDETTA STAMPA MI DIFFAMAVA»

C'è anche Selvaggia Lucarelli, blogger, scrittrice e opinionista di grido (ma quando occorre anche di sussurro, con un occhio di riguardo per il pubblico femminile) tra i personaggi che si raccontano nel mio libro «Il peggio della diretta», appena uscito per Mondadori Electa.

Selvaggia rievoca uno sfizioso aneddoto da dietro le quinte legato all'imbarazzo per avere scoperto (in modo alquanto rocambolesco) di essere stata diffamata dalla sua stessa addetta stampa. 

Grande ironia e penna a volte al curaro, a volte intrisa di sentimento, la Lucarelli, firma de Il Fatto quotidiano, è riuscita negli anni a costruirsi un'immagine solida passando dallo spettacolo alla carta stampata. Di recente, proprio sulla sua pagina Facebook popolata di frotte di fan adoranti e di haters in servizio permanente effettivo, ha raccontato di uno storico e infelice provino con Michele Guardì che apparteneva alla prima parte della sua storia professionale.

lunedì 14 novembre 2016

RENZI E COLDPLAY * FAZIO NON FA DOMANDE SCOMODE SOLO PERCHÈ NON GLI CONVIENE

La puntata di ieri di «Che tempo che fa», su Raitre, ha fatto vibrare lo scandalo del popolo del web e di molti opinonisti essenzialmente per due motivi. Anzitutto l'intervista prostrata del conduttore Fabio Fazio al Premier Matteo Renzi per la questione Referendum costituzionale, dimissioni e dintorni.
Poi «l'imbarazzante silenzio», come ha scritto qualcuno, di Fazio nell'intervista ai Coldplay, sullo scandalo di estrema attualità del cosiddetto (per dirla in modo elegante) «Secondary Ticketing», il bagarinaggio on-line che fa lievitare artatamente i prezzi dei biglietti per i concerti e la musica dal vivo, e che ha visto la band di Chris Martin al centro del primo servizio de «Le iene»; quello che ha aperto la botola su questa diffusa pratica che coinvolge agenzie e artisti.


Mai stupore fu peggio riposto. Sgomberiamo il campo dagli equivoci: pur essendo iscritto (per sua stessa ammissione) all'Ordine dei giornalisti, Fabio Fazio non fa domande scomode e neppure scomodine o scomodelle. Ma questo da sempre, dalla notte dei tempi: in anni e anni, se ti mette un po' in difficoltà, è solo per chiederti il codice fiscale. Non è una scusante, dirà qualcuno, con tutte le ragioni del mondo, ma è anche vero (si difende Fazio) che il suo non è un programma giornalistico. Allora non faccia interviste come un giornalista e restituisca il tesserino, ribatterà qualcuno. Con tutte le ragioni. Però, però, però... Insomma, non se ne esce.


Fazio non fa domande non perché ne sia incapace o perché pratichi lecchinaggio tout-court. L'intervista sdraiata gli consente di avere in studio sia Renzi che i Coldplay, i quali probabilmente avrebbero scelto altri pulpiti dai quali parlare. Garantendo il non-contraddittorio Fazio si assicura da sempre un parco ospiti gaudente, scalpitante e di ottimo livello. Puoi dirgli tutto, ma non puoi chiamarlo scemo.

venerdì 11 novembre 2016

DARIA BIGNARDI, LA DAMA (IM)BIANCA CHE NON NE AZZECCA UNA

Daria Bignardi
Bei tempi quando il suo spin-doctor era Giorgio Gori (detto nell'ambiente «The Smiling Cobra», attuale stratega di Matteo Renzi nonché sindaco di Bergamo), uno che ne sapeva di televisione. 
In quegli anni monna Daria Bignardi, la Dama (im)bianca dei palinsesti, oggi direttore di Raitre, conduceva su Italia 1 «Tempi moderni», un talk-show très chic che mescolava attualità e gente stravagante in un colorato mix che averne oggi, signora mia. Un giorno Gori, che all'epoca dirigeva Canale 5, propose a Daria nostra il primo «Grande Fratello» by Endemol, autentica rivoluzione televisiva e l'unico che avesse davvero senso. Tutti gli altri, dal secondo in poi, sono stati «la copia di mille riassunti», direbbe il poeta.


Luca Sofri
Lasciato il GF al suo truzzo destino, la first sciura ferrarese sposa dell'icona della sinistra Luca Sofri nel 2004 abbandona anche la troppo commerciale Mediaset e si dona a La7, dove con le «Le invasioni barbariche» rilancia il modulo dell'intervista faccia a faccia. Un po' smaliziata, un po' sfiziosetta, col perenne birignao e il sottotesto: «My God, quanto sono brava e intelligente». Le cose funzionano per un po', poi gli ascolti, fra una birretta e l'altra con l'ospite di turno, iniziano a calare.


Antonio Campo Dall'Orto
Nel 2009, con «Non vi lascerò orfani» (cosa che peraltro non abbiamo mai dubitato) Daria si scopre scrittrice. Poi ci prende gusto. Escono: «Un karma pesante» (ma anche i pistolotti, a voler guardare, non sono leggeri), «L'acustica perfetta» (l'udito con gli anni va tenuto sotto controllo) e l'ultimo, «Santa degli impossibili». Scritto pensando probabilmente agli ascolti della sua Raitre. Sì, perché nel frattempo alla first sciura ormai scrittrice affermata e snob, che abbandona le vezzose tinture per capelli, troppo in odore di vanità, puntando su un asciutto stile Maria Fida Moro, viene affidata da Antonio Campo Dall'Orto la direzione di Raitre.

Lì, mentre sparisce un po' di gente non allineata con Sir Matthew da Florence, cominciano i nuovi guai. Floppa il tenacemente voluto «Politics» di Gianluca Semprini. Il noioso nuovo «Rischiatutto» di Fabio Fazio, in anni di pubblico assai mobile fra le reti, passa dal 30% di share al debutto su Raiuno al 10% di Raitre, perdendo due terzi degli spettatori.  E affonda «Amore criminale», dal quale la nostra insiste per togliere l'apprezzata Barbara de Rossi,
Fabio Fazio
sostituendola con la sgradita Asia Argento. Sui social qualche maligno sostiene che monna Daria lavori per la concorrenza. Non è così. Semmai punta al modello BBC: tv di servizio senza badare agli ascolti, direbbe lei. Altri sospettano si vergogni persino del maiuscolo successo di «Chi l'ha visto?». Mioddìo, un format così pop-cheap...


La verità? Ve la dico io, che l'ho saputa dalla mamma del cugino di secondo grado dell'autista della signora Sofri. Daria sta già scrivendo il suo prossimo bestseller autobiografico; a metà fra il testamento spirituale e quello professionale, da lasciare alla Rai: «Non vi lascerò spettatori».


mercoledì 9 novembre 2016

I FURBETTI DEL CONCERTINO * FAN COSTRETTI A PAGARE I BIGLIETTI A PESO D'ORO

Esistono anche i Furbetti del concertino? 
Un encomiabile servizio di Matteo Viviani e De Vitiis de «Le iene» ha spalancato il vaso di Pandora sul sistema (già denunciato dal manager Claudio Trotta di Barley Arts) del secondary ticketing, ovvero il «bagarinaggio» che alcuni organizzatori di concerti (in apparente violazione di accordi di esclusiva con TicketOne) fanno cedendo una moltitudine di biglietti a siti di reticketing per - di fatto - moltiplicare artatamente il prezzo dei tagliandi.

Ecco il sistema, molto diffuso: gli ambìti biglietti vengono messi in vendita su TicketOne (se n'è parlato di recente per esempio per i Coldplay), ma dopo mezz'ora sono già esauriti. Risultano disponibili invece in grande numero, ma a prezzi moltiplicati dalle 10 alle 50 volte, su pagine web di società che li acquistano all'ingrosso direttamente dai promoter dei concerti. E che avrebbero l'impegno di restituire a chi glieli ha venduti sino al 90% del ricarico applicato. Per farla breve, un modo per salassare i fans, spesso disposti a tutto pur di avere il biglietto dello show del loro beniamino. Visto che ormai, tra l'altro, di cd non ne se ne vendono praticamente più e il business nel settore viaggia a rimorchio dei concerti.


Una pratica diffusa, e che secondo Roberto De Luca, amministratore delegato di Live Nation Italia, finita nel mirino de «Le iene», sarebbe per così dire, altamente caldeggiata dagli artisti stessi, i quali ovviamente non possono esporsi direttamente. De Luca non fa nomi, ma subito dopo l'uscita del servizio, Vasco Rossi si dissocia con questo comunicato su Facebook e sospende i rapporti con Live Nation: 

«Dopo aver appreso dal servizio televisivo de Le Iene di un possibile coinvolgimento di Live Nation nella rivendita secondaria di biglietti per i concerti in Italia, Giamaica Management comunica di avere attualmente sospeso ogni rapporto commerciale con Live Nation e si riserva di agire per vie legali essendo totalmente estranea a quanto emerso dal servizio giornalistico. Giamaica ritiene che l’attività di secondary ticketing, altamente speculativa, è da tempo riconosciuta come dannosa non solo per il pubblico ma anche per gli artisti che a loro insaputa e loro malgrado si ritrovano per errore coinvolti».

Il mondo della musica dal vivo è in subbuglio. Domattina al Westin' Palace di Milano, Ferdinando Salzano (Amministratore delegato di F&P Group, ovvero Friends & Partners, un altro gigante) e Claudio Maioli (manager di un altro artista amatissimo, Luciano Ligabue) terranno una conferenza stampa sul tema:  «Il problema del Secondary Ticketing nel mondo della musica». L'impressione è che la storia non sia affatto finita.

ELEZIONI USA * VINCE DONALD TRUMP MA PERDE MADONNA

Ridendo e scherzando, la vera sconfitta di queste Election 2016 americane è stata Madonna. Il suo sexy endorsement a favore di Hillary Clinton (lo ricordo: aveva promesso sesso orale a chi avesse votato la moglie di Bill, uno che in materia è un'autorità indiscussa) non ha portato bene né alla potenziale prima first sciura della White House, né alla stessa cantante. Il popolo Usa, infatti, o non ha creduto alla sua in apparenza allettante profferta, oppure (cosa ancora più negativa per la sua immagine), quella profferta non ha più il sufficiente appeal. Comunque la si metta, un disastro. Voglio lanciare l'hashtag #UnaDentieraPerMadonna.

Anche Robert De Niro si era schierato a favore della Clinton attaccando pesantemente il nuovo presidente Donald Trump. Ma la promessa di Madonna, che è andata come sempre oltre il limite del buon gusto, si è trasformata in un boomerang e ora la stagionata star rimane a bocca asciutta. È andata bene invece sia a Susan Sarandon e Gisele Bundchen, che all'anziano ma sempre muscolare Clint Eastwood; a rapper come Puff Diddy e Sean Combs, e a personaggini garbati come Hulk Hogan, Myke Tyson e Lou Ferrigno (l'attore che impersonava l'Incredibile Hulk), schieratisi apertamente a favore del magnate dal capello in lana di vetro arancione.
E mentre la Borsa di Milano apre con un poco confortante -2,22%, vorrei dedicare una prece alla carriera già appannata di Louise Veronica Ciccone in arte Madonna. La prossima volta, prima di aprire bocca, ci penserà due volte?


martedì 8 novembre 2016

DONALD O HILLARY? STANOTTE CI PENSA CHICCO MENTANA, IL FORZATO DELLE TELE MARATONE

La mina vagante Donald Trump (pare che lo staff gli abbia sequestrato anche Twitter per evitare danni) o la poco trasparente Hillary Clinton
Una cosa è certa. Voi siete lì che fate la vostra vita, che seguite il vostro tran tran, e magari non ci pensate affatto; eppure stanotte Enrico «Chicco» Mentana sarà impegnato nel grande cimento: da mezzanotte alle prime luci dell'alba, stile Fantozzi quando prende l'autobus al volo, imbastisce la maratona su La7 per le Elezioni Usa. Avremo momenti, verso le quattro-cinque di mattina, in cui davanti allo schermo probabilmente ci saranno solo lui e uno in cabina di regia (mentre i cameramen si rimboccheranno il sacco a pelo durante il primo sonno rem). E Chicco, nonostante tutto, o forse proprio per questo, farà comunque il 98% di share. A costo di parlare solo ai parenti più stretti.
Sì, perché lo stoico direttore del TgLa7 queste cose, al limite del masochistico, le fa. Gli piace da morire districarsi tra collegamenti, sondaggi, exit poll, inviati da perculare nobilmente (non sarà questo il caso). Un po' perché fa il tele-giornalista e la cronaca lo impone; un po' perché sotto sotto ama far intuire di essere sempre il migliore su piazza. E nessuno lo nega, tra l'altro. 
Forza Chicco, hai tutto il mio affetto e la mia solidarietà.

«GRANDE FRATELLO VIP» * VINCE ALESSIA, LA CIOCIARA (MANDATA IN FINALE DAGLI AUTORI)

Mentre il Paese fremente ancora si domanda se ci sia o ci faccia (lo capiremo forse col tempo), la Ciociara di «Avanti un altro!», Alessia Macari (nella foto) ha vinto la prima edizione del «Grande Fratello Vip» del duo Ilary Blasi-Alfonso Signorini.
Una sexy maggiorata dalla presenza defilata che gli autori avevano già spedito d'ufficio da parecchie puntate direttamente in finale. La prossima volta potrebbero comunicare il nome del vincitore già al debutto del programma, così si risparmia tempo.

Usciti di scena Valeria Marini e Stefano Bettarini (e prima ancora Laura Freddi, che molti non avevano notato fosse entrata nella Casa), il Televoto alla fine ha premiato non gli strateghi, più noti e litigiosi, ma i più giovani, simpatici e un po' anonimi. Mai al centro di battibecchi. Come Gabriele Rossi, arrivato a piazzarsi secondo senza manco accorgersene. È un classicone dei reality, bellezza, e dobbiamo accettarlo.
È stata un'edizione dagli ascolti di tutto rispetto, ben guidata dalla Blasi, con un cast trash scelto con discreta cura. Soprattutto se si considera che il materiale umano ormai scarseggia.


lunedì 7 novembre 2016

«FACCIA A FACCIA»: È TORNATO MINOLI, IL FORMAT VIVENTE * AL BANO CANTA PER L'ARMENIA

TORNA MINOLI 
E RASSICURA

Se c'è un format vivente, in tv, è Giovanni Minoli, tornato ieri su La7 con «Faccia a faccia». In pratica, il calco esatto del suo storico «Mixer», con l'aggiunta di qualche tocco suggestivo, come le parodie di Sora Cesira, e gli editoriali alti di Pietrangelo Buttafuoco, che fa dell'attualità letteratura giocando sul duello Hillary Cinton-Donald Trump.
La pungente scheda iniziale, le stesse, identiche inquadrature (totale intervistatore-intervistato, che compare anche sullo sfondo in primo piano, e ogni tanto stacco su Minoli per la domanda), in un rassicurante tuffo nella rigorosa scuola minoliana. Con quella voce incalzante e cantilenante del giornalista che è essa stessa, prima di tutto il resto, un format.
Ieri il protagonista era Matteo Renzi, il Presidente del Consiglio. E Minoli non gli ha risparmiato anche qualche domanda scomoda. Il momento revival era sulla vicenda Sindona. La7 insomma perde Crozza ma conferma la sua vocazione di rete all news, intesa in un'accezione un po' particolare.


CARRISI L'ARMENO

Al Bano, da sempre, non si fa mancare niente. Sabato 19 novembre, alle 18, sarà a Milano, alla Casa Armena Hay Dun di Piazza Velasca 4, per participare in veste di ospite alla serata «La storia dell'Armenia punteggiata da poesia e musica». Uno spettacolo di beneficienza (l'ingresso è 60 euro) a base di poesia e musica totalmente a tema curata da Federica Mormando. L'amico Al non è il protagonista, ma ovviamente sarà difficile trattenere l'ugola d'oro dell'uomo di Cellino. In chiusura, rinfresco a base di piatti armeni.

domenica 6 novembre 2016

RAITRE, FLOP DI «AMORE CRIMINALE» * ASIA ARGENTO NON VALE BARBARA DE ROSSI

Affidare la conduzione di un programma televisivo ad Asia Argento è come prendere Mike Tyson e fargli riscrivere il galateo di Monsignor Della Casa, a sua volta rieditato da Lina Sotis e poi da Cristina Parodi. Si può fare, per carità, ma qualcosa dovrebbe suggerirti che non è il caso. Sotis e Parodi ci stanno anche. Tyson un po' meno.

Daria Bignardi, direttore di Raitre con l'ansia di un rinnovamento che non paga, ha messo da parte la misurata, empatica (soprattutto) Barbara De Rossi preferendole il personaggio disturbante e un po' vagotonico della figlia di Dario, il re dell'horror all'italiana. Per la nota equazione: tolgo un'attrice un po' più agée e ne metto un'altra giovane e il risultato non cambia.

Il risultato, invece, sia in termini qualitativi che audience, è stato l'altra sera sotto gli occhi di tutti. Così come per il «Rischiatutto» di Fabio Fazio, i tabulati Auditel sembravano un bollettino di guerra: 2,96% di share con 731.000 telespettatori. Bottino magrissimo. Per l'Argento ci vorrebbe un bel reality: al «Grande Fratello Vip» una grintosa come lei farebbe la sua figura e sarebbe perfettamente calata nel giusto contesto. Per la soddisfazione di pubblico e autori. Messa lì il venerdì sera a condurre, non va bene. Perché l'amore sarà anche criminale, ma a volte anche il palinsesto uccide. 

sabato 5 novembre 2016

ETNOPAD E «RADIO CONDOMINIO», PER SALVARSI DALLA GLOBALIZZAZIONE

Maurizio Villa e Nello Sangiorgio
Non solo McDonald's, iPhone e Coca-Cola. Per uscire vivi dall'era della globalizzazione, si tende a valorizzare sempre più la dimensione local. È un antidoto efficacissimo e da sempre il credo degli oltrepadani Beagles, nei quali mi onoro di militare. Ma ormai l'hanno capito anche due ragazzoni ben pasciuti che bazzicano da tempo la musica e lo spettacolo.
Si tratta di Maurizio Villa e Nello Sangiorgio, in onda il giovedì alle 21 su Kristall Radio con il loro ruspante show «Radio Condominio».


La bancaria-autrice sui generis Monica Costantini
Così come Beppe Grillo diceva che quelli del Partito Liberale erano così pochi che organizzavano i congressi nelle cabine telefoniche, gli autoironici Villa e Sangiorgio giocano ammiccando ai loro ascolti - si immagina, ma senza prove - condominiali, e agli strani personaggi da palazzina pop-trash che popolano il loro programma, con uso di ospiti. Una galleria che in parte è supportata dai testi di Monica Costantini, serissima bancaria che ha rivelato in questo modo il suo oscuro ma intrigante B side.
Il mix stile «Alto gradimento» funziona, anche se (parere personale) nelle incursioni dei personaggi bisognerebbe avere maggiore cura nel non alzare troppo i volumi delle musiche di sottofondo, e preferire i brani strumentali ai cantati. Altrimenti la confusione è dietro l'angolo.

Villa e Sangiorgio sono anche validi intrattenitori, formando il duo Etnopad, che bazzica piano bar e locali dove si fa buona musica dal vivo. Che dire? Potremmo trovarci di fronte a un fenomeno che da local rischia di diventare glocal.


venerdì 4 novembre 2016

IL MAXI FLOP DEL NUOVO «RISCHIATUTTO»? ERA NELL'ARIA

Spiace dover ricordare che l'avevo scritto su questo mio blog in tempi non sospetti, ma il successo di «Rischiatutto» era difficile da mantenere. Ancora più difficile, però, era prevedere che si trasformasse in un flop così bruciante.
Dopo un trionfale debutto su Raiuno al 30% di share con 7 milioni e mezzo di spettatori, propiziato dall'effetto curiosità e da ospiti che pesano non poco, come Maria De Filippi e Fiorello, il freddo budino confezionato da Fabio Fazio è ripartito su Raitre crollando nella prima puntata al 13,82% con tre milioni e mezzo di seguaci, e sfracellandosi nella seconda al 10,9% con 2.828.000 teste.  
Non è servita a nulla la presenza tra gli ospiti di Fabio Rovazzi (quello di «Andiamo a comandare», l'amico di Fedez) nel vano tentativo di strappare un po' di giovani a «X-factor 10», su SkyUno. Che anche su Twitter spopolava con gli hashtag legati alle stroncature di Manuel Agnelli. 


La colpa del disastro, in tempi di pubblico infinitamente più mobile di un tempo, non può essere ricercata solo nel cambio di rete, ma in un difetto che sta nel manico. Riproporre un must di Mike Bongiorno nella rispettosa operazione nostalgia faziesca non si è rivelata una genialata, soprattutto perché non esisteva la necessità (il vero interesse, motore primario) di rispolverare un quiz della preistoria televisiva. Scemata la comprensibile curiosità dell'inizio, con gli ospitoni, gli ascolti ora vanno sotto la tenda a ossigeno, ridotti di due terzi. Soprattutto se nell'aria in studio aleggia parecchia noia. Nel Paese dei format viventi, insomma, si pensava che uno zombie in più in circolazione fosse necessario. Invece non era così. Mica siamo a «The Walking Dead».


Il super flop di «Rischiatutto» si inserisce nella prestigiosa sfilata di batoste glamour autunno-inverno della Raitre di Daria Bignardi, che con «Politics» di Gianluca Semprini aveva già fatto tanto. A proposito, in un ricordo personale a margine della presentazione alla stampa del quiz di Fazio, la Bignardi ha usato l'espressione «televisione» al posto di «televisore». Una è l'emittente, l'altro l'elettrodomestico. Te lo aspetti dalla casalinga di Voghera, ma santo cielo, non da una rampante direttora di rete!

giovedì 3 novembre 2016

ENRICO MENTANA SENZA VOCE SI RACCONTA NE «IL PEGGIO DELLA DIRETTA»

Enrico Mentana è il più noto (e anche il più professionale) tra i giornalisti televisivi italiani. Il mago delle lunghe dirette per referendum, elezioni, stragi, cataclismi «e quant'altro», come direbbe lui con un'espressione che gli è cara. Anche in occasione del terremoto che sta funestando il Centro Italia, con i maggiori danni fra l'Umbria e le Marche, devastate dal sisma, Chicco è sempre stato in prima linea. Con quell'adrenalina da maratona live news che solo lui sa dare.

A volte capita (è successo anche di recente in un paio di occasioni) che resti senza voce nel lungo standing che si è inventato per anticipare le notizie prima dell'inizio del suo Tg La7. Un momento seguitissimo in termini di share.

La più famosa di queste afonie, provocata da una corsa disperata sino all'ultimo secondo che lo lasciò più di un anno fa senza fiato, la racconta in prima persona nel mio libro «Il peggio della diretta», edito da Mondadori Electa. 50 big dello spettacolo italiano raccontano più di 100 storie di momenti imbarazzanti, difficili, bizzarri, a volte tristi vissuti in scena e soprattutto dietro le quinte. Il direttore con la sua consueta ironia (e autoironia, in questo caso) racconta il backstage di un silenzio che fece rumore.
Qui sotto, in un video, gli altri volti de «Il peggio della diretta», in vendita in libreria e on-line anche su Amazon.

martedì 1 novembre 2016

BENJI, FEDE E L'INVASIONE DI MILANO * «THE NIGHT OF» GIOIELLO DA RECUPERARE

«BENJIEFEDINE»
ALLA CONQUISTA DI MILANO

Anche i più diffidenti hanno dovuto ricredersi. È stata un'ondata travolgente quella che ha sommerso l'altra settimana il Mondadori Store di Piazza Duomo, a Milano, per il tour firma copie di Benji e Fede, ovvero Federico Rossi e Benjamin Mascolo (nella foto).
Il duo pop del momento ormai raduna folle oceaniche ovunque, e così è stato anche sotto la Madonnina, dove di fronte al grande negozio un lungo serpentone si è snodato paziente per gran parte della giornata. Risultato? Qualche malumore interno per i non coinvolti dalla pacifica invasione, difficile da gestire (sarà un Esercito quello di Marco Mengoni, ma le «Benjiefedine», se mi si passa il termine, non scherzano affatto) e gente sino a mezzanotte. Si vocifera di 4.000 copie vendute dell'album «0+», anticipato dal singolo «Amore wi-fi». L'ultima volta forse fu sottovalutato l'impatto dei due, ma a questo giro pare che tutto fosse pronto (anche un numero adeguato di cd) per accogliere la marea umana.


SI' A «THE NIGHT OF», 
NO A «LUKE CAGE»

Vi do un consiglio: se non l'avete già fatto, recuperatevi «The Night Of», una serie crime americana stupenda, con un cast di primo livello guidato da John Turturro, avvocato trasandato con un aczema che lo tormenta (va anche dagli eczemisti anonimi) alle prese con un caso di omicidio apparentemente molto chiaro. Purtroppo invece si sgonfia invece episodio dopo episodio «Luke Cage», la serie Marvel in onda su Netflix. Un prodotto purtroppo senz'anima, che non lascia il segno.

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