lunedì 31 luglio 2017

PILLOLE * DAI TRONISTI A KIM JONG-UN, PASSANDO PER SALVINI, LA ISOARDI E RENZI

Il dittatore nordcoreano Kim Jong-Un.
Si parte con una riflessione sul mondo femminile, con un invito al recupero del garbo anziché cedere alla sempre più diffusa propensione alla chirurgia estetica. «Rifatevi il senno, non il seno», diceva il grande Bergonzoni.
Poi volo radente su Matteo Renzi, di recente ospite di Enrico Mentana a «Bersaglio mobile», su La7.
La morte del regista capostipite del mondo zombie, George A. Romero (e di molti personaggi di spessore dello spettacolo mondiale, in questi ultimi anni) dovrebbe invece far riflettere su chi resta sulla scena. Una battuta sul dittatore nordcoreano Kim Jong-Un, un'altra sull'affaire Matteo Salvini-Elisa Isoardi, e un ammiccamento su Umberto Bossi e il figlio Renzo, condannati per appropriazione indebita.








mercoledì 26 luglio 2017

«DIECI PICCOLI INFAMI» * LA SENSIBILITA' SELVAGGIA DI UNA MISS PER SBAGLIO

Selvaggia Lucarelli e la copertina di «Dieci piccoli infami» (Rizzoli)
Si legge in mezza giornata e scorre via leggero, lasciandoti addosso il profumo degli Anni 80/primi 90; tra amorazzi, forme che esplodono, incubi tricologici, lupi nei boschi del civitavecchiese, Moncler, e reginette di bellezza del cuneese. 
«Dieci piccoli infami», il secondo libro di Selvaggia Lucarelli, è un florilegio di storie minimal tratte dalla vita dell'influencer-blogger-scrittrice più in voga. Che si porta appresso sacchi e sporte di estimatrici e di haters.
Il mio ritratto preferito è quello di «Mister Amuchina», un ex della protagonista patito per l'igiene e la cura della casa. Un Furio di Verdone che esiste per davvero. Ma anche «Il ragazzo gentile», nella sua breve, esplosiva costruzione con sorpresa finale ha il suo dannato perché.

A differenza del primo romanzo, decisamente più ponderoso, qui l'autrice è più vicina all'immagine ironica che da di sé su Facebook o sui giornali. I maestri (i debiti formativi, chiamiamoli così) sono quelli di tutti noi che facciamo questo mestiere giocando col sorriso: c'è un po' di Paolo Villaggio, il capostipite del genere, e un po' (lo si dimentica troppo spesso) di Luca Goldoni, altro maestro dell'ironia giocata sui luoghi comuni.
Full immersion nei ricordi e nella sensibilità Selvaggia di un'ex ragazzina (verrebbe da dire signora) che ne ha fatta di strada.


martedì 25 luglio 2017

DARIA BIGNARDI (POCHE NE FA, POCHE NE AZZECCA) LASCIA LA DIREZIONE DI RAITRE

«La Tv abbassa» - L'addio di Daria Bignardi a Raitre
La dama (im)bianca dei palinsesti lascia la direzione di Raitre. E pochi, immagino, la piangeranno. Dopo il siluramento del direttore generale Antonio Campo Dall'Orto, anche Daria Bignardi viene accompagnata alla porta dalla Rai di Matteo Renzi. Anche se il comunicato di Viale Mazzini parla di «Risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in corso con la Dott.ssa Daria Bignardi la quale ritiene ormai concluso il proprio percorso lavorativo nella società» (ma come, di già?), il profumo di arrosto bruciato si sente lontano un miglio. Corroborato anche - va detto - dagli ascolti spesso non lusinghieri di molti prodotti della signora, contestata anche per diverse scelte sui volti bandiera della rete. La Bignardi, prosegue la nota Rai, «non ha richiesto il pagamento di alcuna buonuscita». E ci mancherebbe altro, verrebbe da aggiungere, non fosse fresco il caso di Flavio Cattaneo a Tim.

Daria, la prima conduttrice del «Grande Fratello», l'eroina dell'innovativo «Tempi moderni», la sbarazzina padrona di casa de «Le invasioni barbariche», la scrittrice di romanzi familiari, sembra dimostrare nella gestione del prodotto televisivo lo stesso tocco di Mida (ma al contrario) che sfoggiò tempo fa nell'editoria di settore, alle prese con la breve direzione di un femminile, Donna, di Hachette Rusconi Editore.
Magari ora ritorna a La7, chi lo sa. Di certo la signora Sofri Jr. è battagliera e alla fine uno strapuntino sul quale piazzarsi, com'è, come non è, lo trova sempre.


giovedì 20 luglio 2017

GRAZIE AL «PREMIO CHARLOT» PER LA MENZIONE SPECIALE AL MIO «IL PEGGIO DELLA DIRETTA»

Franco Bagnasco e la copertina de «Il Peggio della Diretta»
Ringrazio di cuore l'organizzazione e la giuria del XXIX «Premio Charlot», il Premio italiano della comicità, che inizia in questi giorni a Salerno, per avere attribuito una «Menzione speciale» al mio libretto, «Il Peggio della Diretta» (Mondadori Electa). 
Come vedete dalla foto sotto, con l'elenco dei premiati, sono in ricca e buona compagnia (da Mario Luzzatto Fegiz a Laura Morante, passando per Milena Vukotic, Gaetano Curreri e Michele Placido), e ciò è molto bello. Purtroppo non potrò esserein Campania per premiazione e presentazione perché di fatto inizia a Milano la mia session tribunalizia per la causa di lavoro ed è un appuntamento al quale non potrei mai mancare.
Grazie a Gabriele Bojano e al Premio Charlot
Ci saranno (spero presto) altre occasioni per incontrarci.


lunedì 17 luglio 2017

ADDIO MARTIN LANDAU, SULLA LUNA DI «SPAZIO 1999» SEI STATO IL PIU' FIGO DI TUTTI

È morto Martin Landau, il Comandante Koenig di «Spazio 1999».
All'epoca circolava una battuta che aveva il suo perché: «Il comandante Koenig? Sì sì, è bravo, per carità, ma non è certo un'Aquila». Con palese riferimento alle suggestive navicelle della Base lunare Alpha di «Spazio 1999», la più intrigante serie tv vintage su spazio e dintorni, ideata nel 1973 da Gerry e Sylvia Anderson.
Adesso che Martin Landau se n'è andato, a 89 anni, in un ospedale di Los Angeles, e con lui una bella fetta della nostra adolescenza, possiamo dirlo: anche se all'epoca sembrava monoespressivo (ma le sue doti recitative si sono parecchio affinate col tempo, sino all'Oscar per il ruolo di Bela Lugosi in «Ed Wood», nel 1994), Landau è stato di gran lunga il più figo di tutti. 


Maya, Helen Russell e il Comandante Koenig.
Innamorato senza darlo troppo a vedere della dottoressa Helen Russell (Barbara Bain), Koenig, occhi blu e faccia sempre pronta al terrore, era protettivo nei suoi confronti e in quelli di tutto l'equipaggio della Base che dirigeva, finita a perdersi nello spazio dopo una devastante esplosione. Tra invasioni di mutanti, trasmutanti, creature aliene e quanto di più orrorifico gli effetti speciali dell'epoca consentissero, i nostri alla fine portavano sempre a casa la pagnotta e la pellaccia, finendo col bersi tutti insieme ridendo un bicchiere di sgravevole birra prodotta in cattività dal più creativo (e dileggiato) del gruppo.

Parliamoci chiaro: «Spazio 1999» è stato grande nella prima stagione, quella dove compariva il saggio e vecchio scienziato e dove la (pseudo)scienza e la credibilità avevano la meglio; anche la sigla originale era straordinaria. Nella seconda, all'arrivo di Maya, si sono persi rigore e pathos che contraddistinguevano la prima stagione, e si è finito con l'annacquare un po' il tutto. A me piaceva molto meno. Per non parlare della ridicola sigla italiana.
Per anni ho sognato di possedere la pistola laser a ferro di cavallo impugnata dal Comandante Koening e da tutti quelli della base lunare Alpha. Se arrivava il cattivo-cattivo, non serviva a niente. Ma per le piccole necessità, era una mano santa.



venerdì 14 luglio 2017

IL VIDEO DI CRISTIANA ROSSI CON LA MIA LETTERA AD ALDO VITALI RIPRESO DA NEWS24 (ALTERVISTA)

Aldo Vitali (a sinistra) con il conduttore Gerry Scotti.
Anche il sito News24 della piattaforma Altervista ha ripreso il video realizzato da Cristiana Rossi, che sul suo canale YouTube ha deciso di leggere e commentare la lettera aperta che alcuni mesi fa scrissi ad Aldo Vitali, direttore di Tv Sorrisi e canzoni, il settimanale mondadoriano dove ho lavorato per 17 anni, e de Il Mio Papa, nei confronti del quale l'Ordine dei giornalisti della Lombardia, come riporta il sito Spot and Web, ha aperto un procedimento per mobbing. Ecco il link con il video ripreso da News24 e, in fondo al post, l'originale pubblicato sullo spazio web di Cristiana Rossi, «L'angolo di Criss».
A questo link, invece, il più recente racconto di due aneddoti della mia vita di redazione, in particolare quando Vitali davanti a tutti disse di me: «Bagnasco, parlandone da vivo».


mercoledì 12 luglio 2017

AMBRA E ALLEGRI, ISOARDI CHE TRADISCE SALVINI: L'ESTATE BOLLENTE DEGLI SCOOP DI CHI

Gli scoop estivi di Chi: la Isoardi bacia un altro e Ambra con Allegri.
Dopo la doppietta, ora ci si aspetta il triplete. L'estate gossipara di Chi è iniziata col botto. Il settimanale mondadoriano diretto da Alfonso Signorini ha infilato, praticamente a inizio stagione, due colpi da manuale. Prima Ambra Angiolini, da qualche tempo orfana di Francesco Renga, tra le braccia di Massimilano Allegri, in una «strana coppia» senza precedenti. Poi, il tradimento di Elisa Isoardi al politico del momento, il leghista Matteo Salvini. La conduttrice è stata intercettata dai paparazzi del giornale (che ha appena lanciato Spy, la sua versione low cost) a Ibiza, mentre si baciava con un avvocato della Capitale.
Le battute sul web già si sprecano, come l'immancabile citazione di «Roma ladrona», e i riferimenti a Salvini, aiutato a casa sua. I maligni sussurrano che tanto ormai alla Isoardi il contratto in Rai per il prossimo anno è già stato rinnovato. Poi, si vedrà.
Io ho dato il mio modesto contributo notando che anche Elisa ha detto no ai respingimenti. Nel senso letterale del termine.


giovedì 6 luglio 2017

IN ATTESA DI GIUSTIZIA, MI TELEFONO DA SOLO

Franco Bagnasco

Sono tanti e impattanti. Ma tra i disagi più fastidiosi per lo svolgimento di una vita normale causatimi dalla forma ansioso-depressiva che mi è stata procurata, c'è la (quasi) totale perdita di concentrazione. Il pensiero torna continuamente a ciò che hai lungamente subito e a chi te lo infliggeva, i fatti e le modalità, in un loop che ha rari momenti di interruzione. E che reclama continuamente, implicitamente Giustizia ogni ora della tua vita. I tempi purtroppo, si sa, sono lunghi: il mio studio legale è in convenzione con l'Associazione Lombarda dei Giornalisti, sono persone molto in gamba ma c'è da mettersi in coda con altri che cronologicamente vengono prima di te. Le scadenze urgenti passano davanti, e la burocrazia fa il resto. Insomma, il labirinto mentale, la bolla nella quale vivi in attesa di Giustizia, fa sì che si stia come in una pentola a pressione che sta continuamente per scoppiare. Intanto benedico voi, i social (e alcune serie tv) che mi danno la possibilità di distrarmi un po'. Anche se poi la mente purtroppo alla fine torna sempre lì, inevitabilmente lì.

Tutto questo disordine mentale crea anche momenti involontariamente buffi. Vi racconto un aneddoto premettendo: non conosco il numero di telefono del mio fisso di casa. L'ho cambiato da poco e, non telefonandomi da solo, non lo conosco. L'altro pomeriggio da quel cordless fisso mi sono messo a chiamare a memoria il cellulare di mia madre, che è un 333 come il mio, e perso tra i miei nefasti pensieri ho chiamato invece per sbaglio proprio il mio cellulare, che era lì sul divano, accanto a me. Vedo comparire sul display un numero di Milano che non conosco, riaggancio e lo chiamo. Hai visto mai che sia lo studio legale che mi annuncia che il ricorso è pronto. Dà occupato. Amen. Riaggancio, riprendo il cordless e premo il tasto di richiamata dell'ultimo numero per tornare a mia madre. Di nuovo mi squilla il cellulare con sul display quel misterioso numero di Milano. Riaggancio. Torno al cellulare (che nel frattempo ha smesso di suonare) e chiamo l'ignoto numero milanese, riflettendo sulla bizzarria di «questo che mi chiama sempre mentre ho appena iniziato a chiamare di là». Occupato. Morale: ho impiegato una decina di minuti e tre telefonate a capire che mi stavo telefonando da solo. Vi prego abbiate pietà di me, sono frollo come un Galbusera nel thè.

mercoledì 5 luglio 2017

PILLOLE * AMBRA DIROTTA SU ALLEGRI E TONY HADLEY LASCIA GLI SPANDAU BALLET

Ambra Angiolini e Massimiliano Allegri sulla cover di Chi
Con i miei pensierini spazio dalla love story dell'estate, appena rivelata dal settimanale Chi, cioè quella tra l'allenatore della Juventus Massimiliano Allegri, che prende il posto di Francesco Renga nel cuore di Ambra Angiolini, all'addio di Tony Hadley agli Spandau Ballet.
Ma c'è tempo per una riflessione anche sul mondo femminile e la mania del Photoshop o di app analoghe da smartphone, usate e abusate anche da molte ragazze. 
A volo radente su frau Angela Merkel e il sistema elettorale alla tedesca, che a quanto pare sarà la base pizza le nostre prossime scelte politiche, per planare sul ritorno in tv di Enrico Papi con «Sarabanda».









martedì 4 luglio 2017

CARO SALVINI, SE AMA IL NORD PROMETTA (E MANTENGA) UN NUOVO PONTE DELLA BECCA

Matteo Salvini e il Ponte della Becca (Pavia).
Gentile Matteo Salvini,

le offro su un piatto d'argento l'occasione per fare un figurone sul piano politico. Di questi tempi, non è poca cosa.
Volevo suggerirle, dal momento che Lei è l'indiscusso leader della Lega Nord, e quindi al Nord dovrebbe tenere più di chiunque altro, di prendere a cuore (sul serio) il rifacimento del Ponte della Becca, in provincia di Pavia, fra i comuni di Linarolo e Mezzanino. 
Come probabilmente saprà, il ponte fu costruito nel lontano 1910 nel punto di confluenza fra Po e Ticino, fiumi cari anche alla mitologia leghista. Ha una storia gloriosa, è una costruzione persino suggestiva, a modo suo, ma ormai è ridotto a un ammasso di pericolosa ferraglia. Spesso viene chiuso, ogni tanto un pilone cede, si va avanti a salvataggi. Insomma, è una situazione di degrado non più sostenibile. Vogliamo arrivare al disastro?

So che il vostro capogruppo in Senato, Centinaio, se ne era già occupato ben tre anni fa. Pare fossero stati stanziati e poi bloccati 35 milioni di euro per costruire lì accanto un nuovo ponte, ma poi tutto finì in niente. Serve una mano forte, un uomo d'immagine.

Visto che Lei giustamente va un po' dappertutto, Salvini, percorra personalmente a piedi quel ponte, ci metta la faccia, prometta (e mantenga) un nuovo Ponte della Becca, simbolo forte del Nord che rinasce. Servono fatti. Lo dico da pavese (quindi direttamente interessato al problema), ma anche da italiano.
Faccia diventare il nuovo Ponte della Becca un simbolo per il Nord come è stato negli anni per il Sud il Ponte sullo Stretto di Messina. Quello, una fugace promessa ad effetto mai mantenuta. Questo, una promessa da mantenere. Perché è giusto così e perché ormai non si può più perdere tempo. La sua immagine politica se ne gioverebbe senza eguali. Anche perché se sul progetto dovesse mettere il cappello Silvio Berlusconi, appena rilanciatosi nell'agone politico, finirebbe per portarle via un sacco di preziosi voti. E poi come vi mettereste d'accordo sulla leadership del Centrodestra? Io la darei a chi ci fa il ponte.

lunedì 3 luglio 2017

ADDIO PAOLO VILLAGGIO, VORREI CHE MI RIFACESSI IL MONOLOGO DEL FRIGORIFERO

Paolo Villaggio
Da una vita aveva il vezzo di ripetere che sarebbe morto a capodanno. Non è stato di parola. Un 3 luglio qualsiasi, un gigante del suo calibro non se lo meritava.
Se dovessi indicare uno dei dieci punti di riferimento del mio percorso di cultore dello spettacolo e anche di cinefilo, ai primi posti metterei senz'altro quel genio pigro e compreso di Paolo Villaggio. L'uomo che con i ragionieri Fracchia e Fantozzi ha tratteggiato meglio di Leonardo Da Vinci e con una realistica spietatezza senza pari la figura del travet italiano e le meschine logiche della vita d'ufficio. L'attore ligure, 84 anni, si è spento al Policlinico Gemelli di Roma, dove era ricoverato da alcuni giorni. Con la morte scherzava spesso. Anzi, sempre. Per esorcizzarla e perché sapeva che mettendola in mezzo una risata cinica la strappava senza fatica. Mestiere.
Lascio ad altri ricordi più freddi, biografici e impersonali e mi concentro sul «mio» Villaggio, anche perché di recente mi ha fatto l'onore di regalarmi quello che credo sia il suo ultimo scritto: un capitolo impagabile, dettatomi tutto al telefono, del mio libro «Il peggio della diretta» (Mondadori Electa). È un pezzo di bravura sulla perdita di memoria dell'attore, vergato con la cifra fantozziana a lui così cara e congeniale.


Faccio un passo indietro per ricordare quando conobbi Paolo, una vita fa, al festival della tv Numero Zero, a Merano. Lavoravo per il quotidiano il Giornale e lui era ospite dell'organizzazione insieme con Neri Parenti, regista di riferimento degli ultimi capitoli della saga del ragioniere più sfigato d'Italia nata con Luciano Salce. Incontravo un mio mito durante il gala di chiusura, quindi mi tremava anche il colon. Nonostante tutto, ebbi il coraggio di «cazziarlo» per avere ucciso, con troppe repliche incolori e con la complicità di Parenti, la maschera più bella del cinema italiano. Rimase molto colpito da questa mia schiettezza, mi diede anche parzialmente ragione (alle necessità del portafogli spesso non si comanda) e ci lasciammo con un sorriso.
Poi lo richiamai per qualche sporadica intervista, e ogni volta era la stessa storia: non ricordandosi degli incontri precedenti, prima ti intervistava lui. Voleva sapere chi fossi, da dove venissi, molto interessato a provenienza e albero genealogico. Poi il mio cognome, Bagnasco, si associava volentieri a ipotesi di cardinalizie parentele. Magari tu avevi anche fretta, ma lui prima di parlare ti faceva un (legittimo) interrogatorio di 20 minuti. Una volta sciolto il ghiaccio, entrava in gioco l'istrione. Al telefono mi avrà fatto almeno tre volte il monologo del poveraccio a dieta che si alza di notte con i crampi, alla debole luce del frigorifero appena aperto, a caccia di trippa o qualsiasi cosa di edibile. E intanto ulula come i lupi della steppa. Una delizia di repertorio che non sarei minimamente in grado di riprodurre. Queste cose, lui e soltanto lui. Che in un libro (e in uno spettacolo teatrale) si era coraggiosamente autodefinito: «Vita, morte e miracoli di un pezzo di merda».


Nel libro, un capitolo scritto da Paolo Villaggio.
Per il suo capitolo nel mio libretto, «Il peggio della diretta», lo chiamai almeno cinque volte. Villaggio non aveva computer e non batteva manco a macchina (un po' se ne vergognava), quindi mi disse: «Ok, lo faccio. Senti, Bagnasco: non puoi farmi chiamare da un tuo schiavo, così detto tutto a lui?». E lo disse con l'inconfondibile voce bassa e impastata del Villaggio che simula cattiveria. «No Paolo, mi spiace, non ho schiavi, faccio tutto da solo. Ma non ti preoccupare, ci mettiamo il tempo che ci vuole. Per me è il più grande degli onori solo il fatto che tu abbia accettato». Si tornava indietro passo passo e si correggevano anche le virgole.

Grazie Paolo, per tutto. Per le risate, su carta e pellicola. Per il tuo genio un po' buttato via, a volte. Per un cinismo che era rosolio. Era miele. Perché la tua imitazione, che ho in repertorio da una vita, me la gioco sempre nei momenti migliori. «Fantozzi» è stata la tua Gioconda. E parafrasandoti lasciami fare per una volta la parte del ragionier Filini: «Muori, muori lei!». Che cosa fa, mi dà del tu?». «Mannò, è congiuntivo!».

domenica 2 luglio 2017

SKY APRE A TUTTI I CLIENTI I «BOX SETS» DELLE SERIE TV (DECISIONE STRATEGICA)

Il logo di Sky Box Sets
Sembra quasi che mi abbiano dato ascolto. E non è detto che non sia stato davvero così. Giusto poche settimane fa mi lamentavo del fatto che i «Box Sets» di Sky (ossia la sezione che contiene le stagioni complete delle serie tv già andate in onda) fossero considerate un extra da 5 euro al mese per un numero considerevole di utenti della piattaforma di Ruperth Murdoch. In particolare per quelli che possiedono solo il pacchetto dei telefilm e l'intrattenimento e non il cinema, per esempio. Un evidente controsenso e una bella zappa sui piedi, nella rincorsa alla parcellizzazione dei balzelli aggiuntivi. Soprattutto considerato il fatto che il principale concorrente, Netflix, mette tutto a disposizione senza sovrapprezzi.

Ebbene, con una mossa strategica, da oggi Sky ha aperto i suoi Box Sets a tutti i clienti, non soltanto ai possessori del pacchetto delle serie tv. Insomma, una conquista per i consumatori. Il prossimo passo intelligente (e vedrete che prima o poi ci arriveremo) sarà l'apertura anche all'estero dell'app di Sky Go, attualmente chiusa ufficialmente per questioni di diritti. Problema che non deve né può riguardare lo spettatore.


sabato 1 luglio 2017

MODENA PARK * VASCO ROSSI, NON IL PIU' GRANDE, MA IL PIU' TRASVERSALE

Vasco, 1 luglio 2017: il grande incantatore del Modena Park.
Vasco Rossi non è il più grande cantautore italiano, ma è riuscito a essere senza dubbio il più trasversale. Il più spendibile agli occhi (ops, alle orecchie) di tutti.
Lo dimostrano non soltanto le 220 mila persone che lo attendono al Modena Park per un live storico per la musica non solo nostrana (130 metri di palco, come un palazzo di otto piani, 26 telecamere, 1.500 metri quadrati di schermi in movimento); lo dimostra soprattutto la così ampia tipologia di pubblico che il «rocker» - più per definizione e convenzione che nella realtà, decisamente più sfaccettata - è riuscita a catturare.


La locandina dello show al Parco Enzo Ferrari
Vasco è sfottente, se occorre alza il dito medio in una trasgressione minimale che è più un complice ammiccamento al suo popolo, ma è anche inguaribilmente romantico. Di quel romanticismo struggente, inquieto, adolescenziale. Vasco è flippato ma anche filosofo, come quando con poche semplici frasi pennella le domande della vita sullo spartito in «Un senso». Vasco è «Albachiara» e i capolavori di ieri, i pezzi immortali, mescolati ai tormenti di oggi e di ieri. La malattia e il ritorno. Vasco da Zocca fa il divo perché c'è scritto sul copione, ma arriva con semplicità al cuore di ognuno di noi. È questo il suo segreto. Riuscire a essere introiettato da più generazioni. È diventato pian piano la pelle di ciascuno. È forte e debole. Come tutti. Che ci ritroviamo sotto il palco a cantare noi stessi utilizzando lui come pretesto. «Perché liberi liberi siamo noi. Però liberi da che cosa, chissà cos'è?». Già, chissà cos'è?



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