lunedì 24 ottobre 2022

A «SORRISI» CON ALDO VITALI, TRA MINACCE, INSULTI E VIOLAZIONI COSTITUZIONALI

 

SOPRA, IL VIDEO TRATTO DAL MIO CANALE YOUTUBE. QUI SOTTO IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO. TUTTI I SOGGETTI CHIAMATI IN CAUSA, CHIEDENDOLO, AVRANNO LA POSSIBILITA' DI REPLICARE - CHIEDO ESPRESSAMENTE A MONDADORI E AL SUO PRESIDENTE, MARINA BERLUSCONI, DI RISPONDERE ALLE DOMANDE CHE HO POSTO LORO PER FARE PIENA LUCE SUI GRAVI E INACCETTABILI FATTI CHE HO DOCUMENTATO. GRAZIE A CHI VORRA' CONDIVIDERE. STAVOLTA A SUBIRE SONO STATO IO. DOMANI POTREBBE TOCCARE AD ALTRI. 

Mi chiamo Franco Bagnasco, faccio il giornalista, e ho lavorato per 20 anni in Mondadori, a Tv Sorrisi e canzoni. A partire dal 2010 ho avuto problemi con l’allora vice-direttore, Aldo Vitali. Tutto iniziò con un episodio di minacce. In seguito ho promosso una vertenza che si è conclusa con una conciliazione. In quel contesto ho firmato anche una clausola di riservatezza che sto per violare e che prevede che io paghi 20 mila euro qualora racconti i fatti accaduti in passato. Ho deciso di violare quella clausola, e dunque è giusto che paghi questi 20 mila euro: 10 a Vitali, 10 a Mondadori. Lo faccio sia perché il peso di quelle che percepisco come ingiustizie è troppo grande per essere retto, alla lunga, da due spalle sole, anche se troppo larghe, ma soprattutto perché è fondamentale partire da questa denuncia giornalistica per fare in modo che ciò che ho subito io (e altre persone, come vedremo) non debba più ripetersi in futuro in un luogo di lavoro. Qualsiasi cosa mi accadrà – qualsiasi - dopo la pubblicazione di questo video la racconterò di volta in volta su questo canale, che vi invito a seguire. Statemi accanto e per favore condividete, perché gli atti di coraggio (soprattutto quelli un po’ costosi in questi tempi grami) secondo me meritano rispetto.

La vicenda iniziò quando sul mio blog pubblicai un commento su Enrico Ruggeri, che all’epoca conduceva «Mistero». Rilevavo come Ruggeri avesse scritto in passato alcune tra le più belle pagine della musica italiana, ma che condurre programmi in tv non fosse il suo mestiere. Vitali, che vantava una grande amicizia col cantautore, mi fermò in corridoio e al proposito mi intimò: «Non rompermi il cazzo, Frank, sennò fai una brutta fine!». Com’è stato poi accertato in seguito, con chiarezza, con testimoni, in Tribunale.

All’epoca io denunciai i fatti all’Azienda, ai sindacati e all’allora direttore di Sorrisi, Alfonso Signorini. Il quale mi ricevette dimostrandosi inorridito per un episodio dal quale voleva prendere totale distacco. Vitali negava tutto. Mi fu consigliato di soprassedere per non rischiare il posto. Per chiudere la vicenda, inviai una lettera all’azienda con la laconica frase: «Prendo atto che il vice-direttore Vitali sostiene di non aver pronunciato quelle frasi». Tutto lì per lì si concluse a mio danno (sono i paradossi aziendali) con un giorno di sospensione dal lavoro. Un giorno senza paga per aver subito minacce. Credo che Signorini, che conosco abbastanza e che ritengo una persona per bene, sia stato indotto ad accettare – come me del resto – questa evidente forzatura.

In Tribunale, in successiva sede di causa, i legali di Mondadori hanno cercato di confutare questo episodio portando un documento non firmato, una bozza totalmente priva di validità, che non poteva essere tra l’altro nella titolarità dell’Azienda ma che era custodita in un’armadiatura sindacale chiusa a chiave. Chiedo a Mondadori di spiegare per cortesia (questo spazio è a disposizione): 1) Da chi abbiano avuto quel documento. 2) Come se lo siano procurato e perché lo abbiano portato in aula pur sapendolo totalmente privo di validità. 

Dopo questo episodio, pensavo che i miei guai con Vitali fossero finiti. Invece erano appena iniziati, visto che non molto tempo dopo divenne direttore di Sorrisi. Col tempo iniziò a manifestare fastidio per la mia attività social (Facebook, Twitter, Blog), che peraltro si limitava in genere a innocui commenti o battute, anche sul mondo dello spettacolo (settore che fra l’altro e più di ogni altro, per definizione, si presta ai giudizi del pubblico e al diritto di critica). Nell’aprile 2015 mi vedo recapitare a mano questa raccomandata, su carta intestata di Mondadori, che guardo allibito. È il documento più inquietante e antistorico del mondo. Nel testo si ipotizza una mia violazione dell’articolo 8 del contratto di lavoro, quello che regolamenta l’esclusiva, e con tono perentorio («La invitiamo vivamente ad astenersi nel futuro…») mi si invita a sottoporre – attenzione perché questa cosa è stupenda – i miei post e tweet al controllo preventivo e all’autorizzazione «esplicita e per iscritto» da parte del direttore Vitali o del Vicedirettore. Una censura bella e buona in barba alla Costituzione. Cosa gravissima se non fosse anche ridicola per l’impossibile attuazione pratica. Pensate di trovarvi davanti al televisore, e voler fare un commento a caldo su Twitter sul Grande Fratello, ed essere costretti a dover mandare un’email con il testo del vostro pensiero e la richiesta di autorizzazione al vostro capo, attendendo la risposta. Poi tra l’altro nei miei scambi social non ho mai – dico mai - parlato male né del mio giornale né della mia azienda; in casi come questi trovo ragionevole anche il licenziamento di qualcuno. No, io ho sempre adorato Sorrisi e difeso la mia azienda in ogni modo. E aggiungo: in vent’anni non ho mai ricevuto non dico una querela da parte di un artista, ma neppure una telefonata di protesta. Ma non è comunque questo il punto.

Non avendo alcuna intenzione di soggiacere a sottili intimidazioni e censure incostituzionali faccio rispondere dal mio avvocato. Che scrive, in sostanza: non esiste alcuna violazione dell’articolo 8, perché si tratta di spazi personali che tutti hanno, figurasi i giornalisti (è ormai classica la dicitura «Qui solo opinioni personali»), e non c’è attribuzione di incarico; infine, soprattutto, c’è una cosetta da niente che si chiama Articolo 21 della Costituzione (finché c’è approfittiamone), che garantisce libertà di pensiero e di parola. «E ci mancherebbe altro», aggiunge il mio legale in coda alla lettera.

L’Azienda a questo punto si ferma, inevitabilmente. Ma Vitali rimane irrequieto. La mia presenza sulle pagine di Sorrisi, già rarefatta, diventa ancora più risibile su piano quali-quantitativo. E le notizie che procuravo sempre meno pubblicabili. Va bene, posso sopportarlo. Va meno bene quando un giorno, durante una riunione di redazione allargata a una pletora di persone il direttore dice di me davanti ai miei colleghi: «Bagnasco, parlandone da vivo». Una cosa che vi assicuro è molto sgradevole e che non auguro a nessuno. 

Ma Vitali non ce l’ha soltanto con me. Riporto un altro caso, un solo caso che riguarda un’altra persona perché estremamente significativo di uno stato di aberrazione. Un collega della redazione romana che evidentemente non godeva delle simpatie del Direttore chiese la paternità. Un suo diritto. Come la maternità per le donne. Vitali percorrendo il corridoio davanti a tutti (un gigantesco open space), urlando con la bava alla bocca disse: «Quel bastardo di … ha chiesto la paternità: gli venisse un cancro!».

Il collega era assente in quel momento, ma evidentemente la cosa doveva essergli riferita, e doveva servire da monito a lui e a tutta la redazione. Siamo di fronte, com’è evidente, a qualcosa di totalmente inaccettabile in qualsiasi consesso civile, che ci proietta indietro ai tempi delle caverne, o meglio agli schiavi nelle piantagioni di cotone nell’Alabama di metà di Ottocento. Non si può tornare indietro. Non si può pensare che in un luogo di lavoro accada qualcosa di simile e non deve più accadere qualcosa di simile. Io sarei sprofondato per la vergogna. Invece il signor Vitali, come si può notare da questa foto, andava a Roma, in Vaticano, in visita da Papa Francesco.

Del resto dopo minacce, tentate violazioni costituzionali, umiliazioni ai dipendenti, ingiurie e terrorismo psicologico per chi chiede la paternità, vuoi non farti una bella visita dal Santo Padre? Magari, se è in buona, ti confessa anche. Invece no, il nostro andava a portargli il nuovo numero de «Il mio Papa», giornale dedicato a Bergoglio che Vitali dirigeva con gran dispiego di miele e bontà a beneficio dei lettori.

Parliamo brevemente di artisti. Cito un solo caso, altamente simbolico. In una delle consuete riunioni show alla presenza non solo della redazione ma anche del marketing, della pubblicità e di collaboratori vari (nonostante mi risulta gli sia stato spesso chiesto dai sindacati di limitarsi a includere il solo corpo redazionale), Vitali disse: «Quel pezzo di merda di Ricci… Non vedo l’ora di potermi vendicare». Il direttore non spiegò i motivi del rancore nei confronti dell’ideatore di Striscia la notizia, ma la domanda è: come puoi far inviare ai giornalisti lettere incostituzionali pretendendo una censura preventiva su innocue battute sui social, e poi insultare, sempre in un contesto pubblico, anche se più ristretto, uno dei padri fondatori di Mediaset? Mah… Mistero.

Tutti fatti, questi, che ho sempre puntalmente, di volta in volta, segnalato ai sindacati e tramite loro all’azienda. Come lo stesso Vitali sa bene.

Ma adiamo avanti. In quel periodo si stava rilanciando il nuovo sito internet di Sorrisi e occorreva materiale sfizioso da mettere in pagina. Per un colpo di fortuna vidi Marco Mengoni, all’epoca al culmine del successo, alla cassa del mini-market sotto casa mia, a Milano. Girai con lo smartphone un video di poco meno di un minuto e mi presentai da Vitali orgoglioso della mia piccola chicca da mettere in pagina per portare fieno in cascina all’azienda. Non certo uno scoop ma un’innocua curiosità che avrebbe presumibilmente portato molti click, vista la popolarità del personaggio. Risposta di Vitali: «Manda il video alla sua addetta stampa, e se le va bene lo pubblichiamo». Come? Stiamo forse scherzando? È l’ABC del giornalismo. Da quando in qua un direttore di giornale (che per l’articolo 6 del contratto di lavoro ha pienissimi poteri e risponde di tutto cioò che accade) che si trova tra le mani una notizia portata da un giornalista, chiede all’ufficio stampa dell’interessato il permesso di usarla? È una decisione che spetta soltanto al direttore. Tra l’altro non si parlava di immagini scabrose o gossipare. Era Mengoni alla cassa di un supermercato. Rifiutandomi di violare la deontologia professionale dico a Vitali: «Io non lo faccio, perché non è corretto. Ti giro la clip nella tua cartella sul tuo Mac, e se vuoi fare questa telefonata, falla tu direttamente. Chiama tu l’addetta stampa e chiedile il permesso». Vitali insiste, alza la voce. pretenderebbe che lo facessi io. Ma figurati. Chiamo la rappresentante sindacale, e dopo un’animata discussione a tre il direttore decide di non pubblicare il video. Rinunciando quindi alle visualizzazioni che avrebbe portato.

Vitali si lamentava spesso degli aggiornamenti professionali, un tempo in voga in Mondadori. Si trattava di un periodo di tempo (due mesi ogni cinque anni di lavoro) pagato dall’azienda per consentire al dipendente di aggiornarsi su qualcosa. In genere la scelta dei redattori cadeva su corsi di inglese all’estero. A Vitali queste, che chiamava «vacanze», non piacevano. Allora lo accontentai: utilizzai il mio tempo chiedendo di fare una sorta di stage di tre settimane a Roma a Radio Rai. In via Asiago, a duecento metri da Viale Mazzini. Praticamente nel cuore dello spettacolo italiano. Incontravo personaggi di continuo, ogni giorno, avrei potuto tranquillamente lavorare per il giornale gratis avendo molto tempo a disposizione e gli proposi alcuni pezzi. Risposta di Vitali in una mail: «No, grazie. Aggiornati e basta». 

Eppure mi capitavano ogni giorno potenziali notizie tra le mani e facendo il giornalista mi spiaceva buttarle via. Feci allora comunque una breve video intervista a Ron, che non fu mai utilizzata, un’altra a Claudia Cardinale, che non fu mai utilizzata, e una sera andai a vedere la data romana del tour di «Capitani coraggiosi», con Morandi e Baglioni. L’evento andava in diretta in tv. Durante una pausa pubblicitaria, i due improvvisarono una canzone solo per il pubblico del palazzetto. Quindi una cosa totalmente inedita per l’Italia. La registrai col cellulare (la qualità dell’immagine vi assicuro, era più che accettabile) ed ero soddisfatto. Una chicca non da poco: Baglioni e Morandi, due personaggi che sono pilastri di Sorris, il core business. Un contributo perfetto per il sito, ritenevo. Invio la clip a Vitali, che mi risponde via mail: «Sì, carino, interessante ma purtroppo il video è girato troppo da lontano e non possiamo far vedere che un giornalista di Sorrisi era seduto così lontano». Mi scappa da ridere, perché sembra una scusa, ma la volontà del direttore non si discute. Ci mancherebbe. Pieni poteri. Bene, nel pomeriggio dello stesso giorno quella stessa clip di Morandi-Baglioni girata da me, accompagnata da un breve articolo viene pubblicata sul sito di Sorrisi firmata da una collaboratrice esterna del giornale. Scorrettezza estrema. Vitali sostiene che si sia trattato di un errore.

Nel perdurare per anni di situazioni conflittuali o grottesche (ne ho citate solo alcune in questo video) le mie condizioni di salute lentamente peggiorano. Avevo già avuto problemi di insonnia, di ansia e depressione. La fiduciaria sindacale, Fernanda Pirani, organizza così per me un incontro ufficiale a quattro con il capo del personale, Camera, e il suo vice, Camarotto. Camera mi accoglie dolendosi della situazione e mi dice: «Bagnasco ho letto le sue email, la capisco, sulla scrivania ho una pila così di messaggi che riguardano Vitali. Potrei anche scendere e fargli prendere un fottòne di paura, ma lo sa bene anche lei che quello fra un mese o due ricomincia più incazzato di prima».

La soluzione che mi propone il capo delle risorse umane è chiedere il trasferimento in un’altra testata. Cosa che non ho la minima intenzione di fare: ero troppo affezionato al mio giornale e dopo minacce, lettere incostituzionali, umiliazioni, non avevo la minima intenzione di andarmene altrove dandola vinta ai soprusi.

Entro in malattia. Avendo montagne di certificati di medici che attestano il mio stato di salute, chiedo all’Azienda di essere almeno lasciato in pace e distaccato a casa, con lo smart working. Per non patire se non altro il condizionamento ambientale, che in casi come questi è particolarmente nocivo. Poi è arrivato il Covid e sono finiti tutti a casa, ma sino a pochissimo tempo fa non era così.

Niente. L’azienda non accetta la mia richiesta, e alla fine di un tira e molla mi trasferisce a «Tu Style», un piccolo femminile di Mondadori. Giornale rispettabilissimo ma non era il mio, ho scritto di spettacolo tutta la vita, con un percorso professionale preciso e identificabile. Ero stato assunto a «Sorrisi» e lì dovevo restare. Resisto due mesi, poi le mie condizioni peggiorano ulteriormente e torno in malattia dando inizio a una vertenza di lavoro.

Il capitolo della causa è molto interessante, si presta a interrogativi e riflessioni su Giustizia e dintorni e c’è a chiudere una denuncia molto precisa.

Io come legale mi affido con fiducia all’avvocato Chiusolo, che faceva parte dello studio Fezzi-Borali-Chiusolo. Quello dell’Associazione dei giornalisti, che a Milano tutela la categoria. Mondadori si appoggia invece a un grintoso studio esterno, quello dell’Avvocato Conte, e i legali di Mondadori lavorano in piena e totale sinergia con Conte.

Il mio legale, Chiusolo, impiega ben sei mesi (sei mesi, è normale? Chiedo per un amico) solo per preparare e depositare il mio ricorso, mentre io sono a casa in malattia. Quando stiamo lavorando sull’atto, la praticante di studio che mi segue, candidamente, mi dice: «Sì, ma non si preccupi, perché l’avvocato Chiusolo è molto amico dell’Avvocato Conte». Io penso tra me e me: beh, un po’ mi preoccupo se il mio legale è molto amico del legale di controparte, però vabbè. Inoltre Chiusolo in fase poi di udienza mi ripeteva spesso: «Lei stia zitto che eventualmente parlo io, sennò magari rischiamo di fare danni».  Ok.

In compenso l’Avvocato Conte, per Mondadori, oltre a quel documento invalido di dubbia provenienza di cui vi ho parlato all’inizio (chiedo ancora a Mondadori di spiegare per cortesia da dove provenga), infila nelle sue aggressive memorie o nei suoi ricorsi contro di me sparati ovunque a nastro, balle diffamatorie come la sottile insinuazione che in passato avessi maneggiato armi in redazione. Cosa sgradevole e calunniosa. Non ho mai né avuto né usato armi se non durante il servizio militare. È vero però che quando eravamo ancora in Corso Europa un collega che stava di fronte alla mia scrivania che faceva ogni giorno di notte o all’alba il percorso in treno da Sestri Levante a Milano e viceversa aveva un coltello da difesa nella sua 24 ore.

Ecco, forse le armi si trasmettono per osmosi o sono una nuova forma virale. Inoltre, e fra poco concludo, una cosa di una gravità inaudita: l’avvocato Conte, per conto di Mondadori, ha scritto in ben due memorie e l’ha ripetuto nella requisitoria finale che io sarei rimasto al lavoro dopo il trasferimento a Tu Style soltanto tre giorni tra una malattia e l’altra, usando questo dato a fini strumentali e ancora una volta diffamatori agli occhi del Giudice. Peccato che  questi signori si sbugiardano da soli perché mi è bastato mandare una mail all’ufficio del personale per avere per iscritto la risposta vera: tra una malattia e l’altra sono passate 8 settimane, ovvero due mesi. Non tre giorni. E so solo io la fatica che ho fatto in quei due mesi. Non ho potuto neppure contestare con forza in aula questa vergognosa patacca perché va seguita un proedura e mi era stato consigliato di non parlare. 

Trovo semplicemente scandaloso che un’azienda come Mondadori, il primo editore italiano, non Canistracci editore, utilizzi mezzucci, calunnie, produca addirittura dimostrabili falsi per non soccombere davanti a un tribunale della Repubblica. Comunque sia, alla fine dei giochi (giochi a mio avviso quantomeno singolari), Mondadori e Vitali non hanno perso la causa.

Ora vorrei rivolgermi a Marina Berlusconi: Presidente, lei è al corrente di questi fatti, oppure no? Li avalla? Li considera accettabili? Li considera degni della sua azienda? Avrei la curiosità di saperlo. 

Mi rivolgo anche a Silvio Berlusconi, leader della forza più moderata, liberale e libertaria del Centrodestra: la sindacalizzazione esasperata nelle aziende è sbagliata, secondo me, ma anche il suo annullamento è – come abbiamo visto -estremamente pericoloso. Il mondo del lavoro sta precipitando nel Medioevo, e l’editoria in particolare. Si torna indietro. Vogliamo fare qualcosa? Vogliamo attivare, per esempio, degli osservatori permanenti e indipendenti per vigilare sugli abusi nelle redazioni, ed evitare che fatti come questi si ripetano? È una cosa fondamentale.

Chiudo dicendo a voi: non smettete di comprare Tv sorrisi e canzoni. Sorrisi è un giornale stupendo, la Bibbia dello spettacolo, da sempre, è fatto da persone meravigliose che nulla hanno a che vedere, se non incidentalmente, con ciò che vi ho raccontato.

Ora pagherò i miei 20 mila euro, quando mi saranno richiesti, perché è giusto così: ho firmato per tacere ho deciso di parlare, c’è una penale ed è giusto che paghi. E ripeto, tutto ciò che eventualmente mi accadrà da ora in avanti (tutto) lo racconterò su questo canale. Se volete seguirlo e condividere questo video, mi farà molto piacere. 

Ovviamente, qualsiasi soggetto citato qui avrà pieno diritto di replica, chiedendolo, in questo stesso spazio. Potrà spiegare e replicare e io controreplicherò. Possiamo anche organizzare un confronto. Sono pienamente a disposizione.

Voi commentate, scrivete qui sotto anche le vostre esperienze, se ne avete, ma fatelo per favore con educazione. Che è dovuta a tutti.

Grazie – davvero – per avere avuto la pazienza di seguirmi fin qui. A presto.

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