sabato 8 giugno 2013

"LA GRANDE BELLEZZA"? NO, LA MEZZA BELLEZZA, NON DI PIU'

"La grande bellezza"? No, dai, direi piuttosto La media bellezza: farcito di cliché (anche suggestivi, per carità), senza una vera storia, il film di Sorrentino è soprattutto un collage di situazioni, di momenti di alta poesia ben girati in location uniche offerte dalla generosa Roma. Ci sono citazioni felliniane, dalla giraffa circense all'opulenta e sfattissima Serena Grandi, c'è il solito, immenso Toni Servillo e una Sabrina Ferilli "artigggiana della qualidà" nella sua migliore interpretazione (e ho detto tutto) che avrebbe fatto meglio, però, a fermarsi alle più congeniali telepromozioni dei salotti; si riflette in pienezza su: presenze, assenze, valori, vuoti, senso della vita. 
Detto questo, du cojoni signora mia...

mercoledì 5 giugno 2013

I PIÙ FASTODIOSI? QUELLI CHE... LA LORO VITA È MEGLIO DELLA TUA

Ai primi posti nella speciale top ten di coloro che mi stanno sulle balle, da sempre, ci sono quelli che usano la propria vita come parametro per giudicare la tua. Se la tua vita somiglia alla loro, è perfetta. Altrimenti, andrebbe cambiata. Suggeriscono cambiamenti. In genere questi pericolosi soggetti, che tante volte sono in buona fede, non si accorgono o preferiscono non accorgersi di tutto ciò che nella loro vita non funziona (spesso cose macroscopiche); cose che tu eviti di ricordare loro perché non vuoi infierire. Ecco, ogni tanto faremmo bene - tutti - a infierire.

sabato 1 giugno 2013

MIAMI BEACH * LA DONNA DI COLORE NON CAPISCE LA TINTA UNITA


La donna di colore non capisce la tinta unita. Anzi, di più: la rifugge. La respinge con tutta la sua forza (che spesso non è poca). Non ne apprezza il fascino discreto e ammaliatore. La donna di colore sta alla tinta unita, così come l'uomo medio sta allo shopping compulsivo. D'altra parte, lo dice la parola stessa: essendo di colore, appunto, ai suoi occhi resta ben poco margine per ciò che a prima vista sembra monotono, monocorde, ma che in fondo non lo è.
Te ne accorgi soprattutto a Miami Beach, che è la città delle donne. Altroché Fellini e le sue proiezioni oniriche: questo è il vero circo pacchiano che non si ferma mai. Una passerella diurna e notturna di mezze nudità ostentate, di vestitini all'ultima moda, di fashion victim o di just victim, che basta e avanza, di Ferrari e Lamborghini a uso utilitaria, di Limousine da passeggio e piste di coca, di lusso indiscusso ma discutibile. Sarà anche un mondo a misura di sciampiste, sarà anche - mi spingo a dire - la città dove vengono a spiaggiarsi e a morire i Ricky Martin, ma passeggiando per Miami ti fai un sacco di risate.
E le donne sono protagoniste conclamate. L'uomo qui è un accessorio, spesso neanche griffato, e forse lo è sempre stato. Loro sono e si sentono giustamente padrone di casa. Calano da tutto il mondo: tante bambole italiane, moltissime francesi, meno russe del previsto. Ovviamente torme di squittenti americanine bionde modello B movie hollywoodiano. Il sesso è il richiamo costante sottotraccia per tutte e tutti, ma in città se ne fruisce molto meno di quanto si creda o si ami far credere. Se c'è, nella maggior parte dei casi è a pagamento o viaggia su circuiti surrogati che si appoggiano sempre a una carta di credito. Miami Beach è soprattutto una sfilata permanente, la voglia di mostrarsi non tanto per quello che si è, ma per come si vuole apparire agli occhi del mondo. E se la donna bianca, dal punto di vista modaiolo, è un copione già visto e stravisto (lo dico senza offesa, spesso amo le confortanti rassicurazioni), non si può non rimanere sconcertati di fronte al dilagare delle nere da combattimento. Galline in un enorme, concorrenziale pollaio, certo, ma quanta sfrontatezza e quanta maestosità sanno mostrare? Se tre americane dalla pelle chiara per strada sono un fastidioso rumore di fondo, e cinque un fastidioso, etilico rumore di fondo, tre negrette (in genere negrone, mi si perdoni la semplificazione gergale) sono un pericolo reale, e cinque possono diventare un problema per la sicurezza nazionale. Servono i corpi speciali per placare corpi molto, molto speciali. Soprattutto per le dimensioni. La formazione tipo è 3-5, come dicevo, e si spostano ai semafori in genere urlando o chiacchierando animatamente, con scatti inspiegabili e improvvisi avanti e indietro; scarti incontrollabili che a volte mettono anche in difficoltà chi è alla guida. Come se fossero possedute da un oscuro demone, perdono per un istante il controllo, per poi riacquistarlo di lì a pochi istanti. Ne ho viste alcune che sarebbero perfette per un remake de L'esorcista. Peccato non mettano i letti nei crocevia. E parlano gesticolando tutte insieme, non badando minimamente a ciò che le altre stanno dicendo. Fisicate quasi tutte in modo più che possente, spostano in scioltezza gambe, braccia e sederi apocalittici dal fast food o dal ristorante di turno, al marciapiede. E intanto discutono fra loro. Ne ho viste tre litigare, suppongo per questioni di corna (non ho un inglese fighting advanced, purtroppo) con una bambina presente, e il livello di inquinamento acustico era intollerabile.
La negrona media miamese è totalmente priva di gusto e senso estetico. Più che una critica, è una constatazione amichevole. La stessa che devi fare se ti scontri a piedi con una di loro, rimbalzando direttamente dall'assicuratore. La cosa che noti di più è che mescolano senza ritegno colori impossibili da abbinare in natura. Per noi sarebbe inconcepibile. E poi, vezzose come sono, perché ci credono davvero, impreziosiscono il tutto con un enorme fiore viola o verdognolo tra i capelli. Ovviamente abbondano le tonalità fluo, e maglione traforate sotto le quali ho intravisto cose che voi umani... Piazzano righe orizzontali - variamente distanziate anche nell'ambito dello stesso vestito - su corpi che si sviluppano orizzontalmente. L'errore del dilettante. E fiori giganti ovunque, lingue di fuoco che spuntano dal fondo dei pantaloni, strani disegnoni geometrici vintage, fantasie pitonate. L'altroieri ne ho intercettata una che sfoggiava una borsetta in plastica e pelo sintetico con un disegno così concepito: ai lati due strisce panterate (chi ha inventato il panterato secondo me andrebbe arrestato per crimini contro l'umanità) e al centro un'esplosione di rosso scozzese. Per non parlare delle unghie, alcune lunghissime ad artiglio, altre più semplici, ma comunque pittate più della più ardita miniatura. Con tutti i colori del pantone. La moda nails primavera estate 2013 prevede tutte le unghie dello stesso colore, tranne quella dell'anulare, che in genere stacca con una tinta completamente diversa. Ma uguale per entrambi gli anulari. Segnatevelo, casomai voleste fare bella figura...
Come dicevo prima, la donna di colore non capisce la tinta unita. Con la lodevole eccezione di alcuni esemplari straordinari, elegantissime, perfette dee, probabilmente modelle che si affidano a personal shoppers, oppure (e questo vale per tutte) quando presenziano a gala o eventi da gran sera. In questo caso i vestiti sono o totalmente neri - il famoso ton sur ton spinto all'ennesima potenza - o totalmente bianchi.
Ma per strada, dilagano cromaticamente e foneticamente come uno tsunami. Senza contare che gestire tutta quella carne che ballonzola gioiosa, può diventare complicato. Osservate posteriormente, le negrone si differenziano in modo netto dalla caucasica media. Mentre la bianca, europea o americana, in presenza di sedere rilassato, si sviluppa lateralmente, durante il camminamento, con accenno di pieghe stile muso di cocker, la Big Black gestisce il simultaneo movimento a pistone, totalmente verticale, di due immense natiche che - giunte a fine corsa - rilasciano la cellulite a elastico con forte tremolio modello grande sasso buttato nell'acqua. Ma sempre e solo verticalmente, mai orizzontalmente. Qualcosa di sorprendente, che sembra andare contro anche le più elementari leggi della fisica.
Capirete che in presenza di fauna di questo tipo, la single europea che si stende al sole in spiaggia con l'iPhone tra le mani (vista con i miei occhi, per tre quarti d'ora), spostandosi ogni 5 minuti dal telo mare al bagnasciuga dopo essersi più e più volte sistemata i capelli, per farsi da sola la foto perfetta con lo sfondo del mare di Miami da mettere su facebook, passa praticamente inosservata. Anche perché, genio che non sei altro, chi mi dice che non l'hai scattata a Celle Ligure?

martedì 28 maggio 2013

MIAMI BEACH * ABBORDATO DA UN CUBANO IN ACQUA DAVANTI A OCEAN DRIVE

Prima o poi doveva succedere. Ed è successo, alla terza settimana. Un pomeriggio qualsiasi, in spiaggia, fra la tredicesima e l'ultimo tratto di Ocean Drive. Ricordo con assoluta precisione la posizione perché queste cose noi ragazzi di campagna non le dimentichiamo facilmente. Ero entrato in acqua da poco, e nuotavo sbuffando placidamente vicino a riva, come un'otaria che cerca sane distrazioni. Confortato da quell'acqua così calda, nonostante le sue oceaniche pretese di grandezza, e dalla vista parziale dello skyline di Miami Beach: uno strano contrasto fra moderni, imperiosi grattacieli e timide case color pastello. Rannicchiato, mi concedo una mezza riemersione da quelle acque sulle quali sin da piccolo avevo sempre sognato di poter camminare. Pochi istanti di distrazione, ed ecco che mi si avvicinano due ragazzotti cubani sulla trentina. Entrambi non certo alti ma dal fisico prestante, uno pressoché muto, col capello lungo, l'altro ciarliero e dalla corta chioma. È lui che attacca discorso: "Meglio stare qui vicino a riva, no? È più sicuro", mi dice con un mezzo inglese-mezzo spagnolo stentato, che comunque capisco, anche perché se per anni ho capito quel che diceva Aldo Biscardi, non vedo perché non dovrei capire lui. "Oh, Yes", rispondo annuendo con un mezzo sorriso di circostanza e quella punta di diffidenza tutta oltrepadana. Il brillante interlocutore passa quasi totalmente allo spagnolo: "Ma tu, da dove vieni?", dice mentre il suo amico mini-pony lo guarda e mi guarda con un sorriso un po' ammiccante. "Dall'Italia", faccio io. "Ah, Italia, bella Italia. E dicono che tutti gli italiani sono sexy...". "Sì, può essere, ma non è sicuramente il mio caso", dichiaro, calando un rapido due di picche che in Florida farà molto parlare. "Eh, perché no? Perché no?", insiste Cuba libre con fare mellifluo. "Fidati, non è il mio caso", sono costretto a rimarcare mentre mi sposto a nuotare un po' più in là. "Comunque stai attento, perché qui in giro ci sono molti pescecani...", mi dice ridacchiando come monito di congedo. Rifletto sul fatto che tutto sommato due li ho appena evitati. E senza neanche vedere le minacciose pinne uscire dall'acqua.
Ora, chi mi conosce lo sa: sono sempre stato una persona disponibile e il più possibile educata. Ma non così disponibile e così educata da mettere a disposizione parti di me tuttora inviolate. A volte mi si chiede un po' troppo, perdio. Soprattutto all'estero.
Detto questo, mi piace notare come alla mia tenera età vada ancora via come il pane. Sono grosse soddisfazioni. Mi lascia un po' perplesso solo questo ampliamento della clientela. Chiederò agli americani, che sulla customer satisfaction la sanno lunga. Probabilmente meno lunga dei cubani.

mercoledì 22 maggio 2013

FRASARIO ESSENZIALE PER AFFRONTARE UN CORSO D'INGLESE IN AMERICA

Se hai già fatto almeno un corso d'inglese in America, lo sai perfettamente. Se non ti è ancora capitato, è bene che tu conosca il frasario essenziale per affrontare un'eventualità come questa, e tutti i suoi chiaroscuri.
I corsi d'inglese, a meno che non siano buone ma fredde e costose lezioni one-to-one, ti riproiettano immediatamente in un clima da tempi supplementari della tua adolescenza: classi miste, compiti da fare, piccoli jokes con i compagnucci, quella carina della classe, quello che sta sulle balle al mondo intero, e convenevoli mattutini che si svolgono secondo un rigorosissimo copione. Da non trasgredire mai, pena l'amputazione delle falangi e la gogna in sala computer. Peraltro sempre meno utilizzata perché tutti ormai sono provvisti di smartphone. Si cercano piuttosto ovunque, improvvisandosi rabdomanti, reti wi-fi aperte, come nei sempre ospitali caffè della catena Starbucks, dove allegri scrocconi bivaccano per ore navigando senza ritegno e telefonando in capo al mondo con Skype al costo di un solo cappuccino. Ask to your Barista.
Per ragioni ancestrali ignote a tutti ma accettate come convenzione, la prima, fondamentale domanda che tutti si rivolgono reciprocamente senza soluzione di continuità, nelle scuole d'inglese in America, è: "Where do you come from?". C'è qualcosa - forse un'antica maledizione - che impone agli iscritti di sapere e chiedere continuamente e ossessivamente al prossimo da dove provenga e, soprattutto, quanto tempo si fermi lì ("How long do you stay here?"). Questa chiave di lettura consente, da lì in avanti, di sfoggiare una miriade di sapidi lazzi e luoghi comuni sui rispettivi paesi. Dall'italiano che gesticola, al francese polemico e snob; dalla brasiliana di Rio che si distingue per l'accento unico ed irripetibile da tutti i brasiliani del mondo (quest'anno c'è una giornalista carioca che con questa storia ammorba chiunque incontri senza accorgersi di averla già raccontata più volte alla stessa persona; sembra il giorno della marmotta, e c'è già chi ha proposto di abbatterla alle macchinette con frecce al curaro), al tedesco un po' pirata, un po' signore, un po' Gestapo. C'è persino un kazako che ogni giorno maledice il giorno in cui nelle sale è uscito "Borat", giusto per capirsi.
Le due domande sopra esposte sono la base pizza di qualsiasi scuola, l'argomento principe di conversazione quotidiano, ed equivalgono al sorrisetto smorto e alle chiacchiere sul meteo in ascensore da noi in Italia. I più svegli le rivolgono con estrema velocità subito a chiunque, mettendolo al tappeto, oppure svicolano per corridoi aspettando che qualcuno li incontri e le rivolga a loro, in una sorta di duello modello far west. Vivere o morire a Miami. Sono consentite piccole varianti e aggiustamenti durante lo sviluppo del percorso di studi. Avremo per esempio: "How long do stay more?" che consente al "richiedente" di mettersi a posto la coscienza formulando la domanda obbligatoria, e al "rispondente" di aggiustare il tiro riducendo di volta in volta il numero delle settimane a disposizione. Il tempo scorre ingrato, non dimenticare di aggiungere opportuna espressione di disappunto, oppure parole come "Unfortunately", molto apprezzate per via del loro impiego infrequente. Si narra che il record, tuttora imbattuto dal '94, sia detenuto da un giovane tirolese che l'aveva fra l'altro proposto in inedita versione jodler: 1 secondo e 12, non omologato per assenza di testimoni.
Questi due certo interessanti ma incessanti interrogativi partono dal momento dell'arrivo alla school, quando vieni ricevuto al bancone dalla squittente segretaria americana di turno. Anche se l'anima dannata approfitta del suo inglese fluente per rivolgertele alla velocità della luce e a bruciapelo, dopo depistanti giri di parole con i quali medita di farti cadere subito nel suo tranello. I più scaltri sorridono senza parlare porgendo i documenti (sguardo di diffidenza). D'altra parte siamo gente di mondo e non sarà certo una post-pischella a stelle e strisce a metterci nel sacco. Quelli che ostentano maggiore confidenza con la lingua si spingono sino a varianti (peraltro sempre sconsigliate dal protocollo per via dell'aumento del livello di difficoltà) come "How long have you been here?". Lo fai a tuo rischio e pericolo, insomma. Può andarti di lusso, con ovazioni da stadio, oppure puoi rimediare una figuraccia meschina che ti accompagnerà per il resto dei tuoi giorni.
I meno avvantaggiati, per via delle difficoltà fonetico-grammaticali, sono gli studenti orientali, che devono la loro fama di persone più riservate e schive esclusivamente alla difficoltà di pronunciare le due domande rituali nelle scuole di inglese. Un annoso problema senza soluzione. Coreani, giapponesi e cinesi infatti sarebbero dei pazzerelloni irriducibili che manco a Zelig, se la loro immagine non venisse costantemente danneggiata da una vita da questa maggiore lentezza nell'apprendimento e nell'elaborazione delle due questions fondamentali. Non a caso compensano fermandosi in America a studiare per intere ere geologiche. Quando tornano in patria, la lingua non la sanno parlare e i parenti non li riconoscono più. Ma se ti sbagli a domandare loro da dove provengano e quanto si fermeranno ancora lì, tengono un discorso (totalmente a braccio) di almeno due ore.

martedì 21 maggio 2013

MIAMI BEACH * AMO L'AMERICA (ANCHE) PERCHÉ...


Amo l'America (anche) perché ha tanto da dire e niente da raccontare. Una rassicurante semplicità senza sfumature che si scambia facilmente per piattezza, e che forse lo è. Ma ha davvero importanza? Amo l'America perché non ha la pretesa di farti credere di essere qualcosa di diverso da questo. D'altra parte noi, a furia di complicarci la vita, come siamo messi? Amo l'America perché non si nasconde dietro un dito. E se lo fa al massimo è quello medio.
Amo l'America perché qui puoi permetterti il lusso di comprare un telo mare con impressa la bandiera a stelle e strisce e stenderti sul bagnasciuga senza sentirti (troppo) coglione. E se hai questa percezione, è solo un problema tuo, dal momento che tutti lì attorno lo considerano perfettamente normale, visto come si presentano in spiaggia. È il Paese dove stranezza ed eccesso diventano normalità conclamata. Proviamo a immaginare che cosa succederebbe da noi, ad Alassio o a Riccione, a Gallipoli come a Stintino, se chiunque, italiano o straniero, prendesse posto sulla battigia disteso su una spugna raffigurante il tricolore. Come minimo gli farebbero un Tso, o lo guarderebbero con la compassione che si riserva ai casi più disperati. Forse si beccherebbe anche una denuncia per vilipendio alla bandiera e poi finirebbe in uno speciale di Porta a porta con la Santanché, la Mussolini, Fassino e Mannheimer. Qui, no. Questa è la terra della stravagante normalità. Un posto che ti fa sentire anche maledettamente al sicuro, perché i guardaspiaggia di Miami, i famosi Baywatchers che stazionano nelle leggendarie torrette color pastello, escono preoccupati e fischiano appena un bambino si allontana anche di pochi metri dalla riva con condizioni di mare che da noi sarebbero ritenute di calma piatta. Il bimbo torna indietro ubbidiente. Il problema è che il servizio di guardaspiaggia finisce alle 6.30 p.m. precise. E se alle 6.35, mentre il bagnino sta smontando, lo stesso frugoletto affoga fra atroci sofferenze, beh, non è più un problema suo. Questa si chiama serietà. Altro che Pamela Anderson. Ci sono orari precisi anche per lasciarci la pelle, e vanno rispettati. È andata meglio - si fa per dire - a un ragazzo che l'altro pomeriggio percorreva il lungomare di Ocean Drive su un SegWay, uno di quegli strani trabiccoli elettrici a due ruote dove si viaggia in piedi, da soli, leggermente inclinati. Seguito dalla sua ragazza, anche lei motorizzata, stava facendo bonariamente il bulletto per farsi bello. Una distrazione, cade e si frattura la caviglia davanti ai miei occhi. Un massacro. I soccorsi arrivano dopo 10 minuti, ed è un camion dei pompieri. Però con tanto di barella.
La maggior parte della gente in spiaggia se ne sta appollaiata a ustionarsi sui teli mare. Pochi ricorrono ai lettini, e gli ombrelloni tradizionali volerebbero inevitabilmente via, a causa di colpi di vento frequenti e più o meno improvvisi. In compenso alcune diavolerie, come quella brevettata dai Boucher Brothers, vengono in aiuto. Questi sacripanti hanno concepito una sorta di semi-tenda (un po' come quelle piazzate all'ingresso di alcuni negozi da noi) che si apre a spicchio per proteggere dal sole: ha un'armatura in metallo, alcuni pesi che la ancorano alla sabbia, e si apre a 90 gradi preservando dal sole. Può coprire testa e busto di due persone coricate su un letto da spiaggia matrimoniale, che viene opportunamente incassato sotto questo trabiccolo, oppure può ospitare una persona seduta e una coricata, entrambe perfettamente all'ombra. E il vento viene gabbato definitivamente, grazie anche a una traforatura che evita l'effetto barca a vela. Ogni mezz'ora passa un aereo che fa garrire al vento tanto di striscione che informa meticolosamente sul Dj ingaggiato per la serata stessa da una delle tante discoteche locali. Come se in questa musica martellante, in questa marmellata di bassi senza soluzione di continuità, si percepisse qualche differenza.
In compenso, a South Beach, non intercetti un topless neppure col binocolo. Nelle spiagge più ricche, quelle dei mega hotel sul lungomare (come l'elegante Delano, a dire il vero più noto in Italia che in città, il Ritz o l'emergente Shorecrest), così come in quelle più popolari che si affacciano su Ocean Drive e i suoi vecchi, piccoli hotel più o meno ristrutturati, si fa uso solo di due pezzi o di costume intero. Non esiste compromesso. Puoi percorrere tutta la costa senza trovare uno straccio di scostumata con le tette al vento. E se ne trovi una, è protetta dal WWF più della foca monaca. Credo che l'amministrazione locale stia pensando di importarne una quota da Formentera. E immagino anche la straziante sofferenza delle nostre starlette che svernano a Miami finendo puntualmente - tutto l'anno - nelle fotogallery del Corriere on line, nel dover sopportare questa usanza locale così barbara. Magari erano rifatte di fresco, appena tagliandate, pronte per la copertina di una rivista di gossip. E invece niente: qui esibirle non è polite. Immagino sia davvero terribile essere florida in Florida e non poterlo mostrare...

giovedì 16 maggio 2013

MIAMI BEACH * UNA NOTTE DA LEONI FRA CATALINA, MANSION E BAMBOO


Che la serata potesse prendere una strana piega, ho iniziato a capirlo nel primo pomeriggio, dopo la fine delle lezioni, quando il mio collega mi ha avvicinato con aria divertita, dicendomi: "Che cosa si fa stasera? Andiamo a una festa con i pischelli della scuola? Sai, c'è un tipo tedesco simpatico, Alex, col quale parlavamo in pausa, che ha invitato anche noi a questo party; si va in un paio di locali, pare, saremo una decina... ci fidiamo?". "Ma è uno della tua classe?", gli dico. "No, l'ho visto oggi per la prima volta, ma sembra alla mano". Esprimo qualche perplessità (a scatola chiusa) per due ragioni: 1) l'ultimo tedesco più o meno simpatico che ricordi è Horst Tappert, l'Ispettore Derrick, che si è scoperto di recente essere stato una colonna delle SS. 2) istintivamente mi fido poco dei gentili senza apparente motivo; quelli che non ti conoscono neppure e ti invitano caldamente a una bella festa, per esempio. Ma voglio - devo - pensare positivo, come Jovanotti, e aderisco con entusiasmo. Seratona con i pischelli? Perché no!? L'accendiamo.
L'appuntamento è alle 9.30 p.m. sotto la scuola. Ci presentiamo in 8, compreso l'ormai leggendario Alex, trentenne mesciato che parla un discreto inglese, sorride molto e ostenta confidenza con tutti. Soprattutto con chi non ha mai visto. Il crucco dal cuore d'oro guida il piccolo plotone in una breve passeggiata lungo la Lincoln verso l'hotel Catalina, sulla Collins, la nostra prima tappa.
Il Catalina è un piccolo hotel ristrutturato che ha la fortuna di essere piazzato proprio di fronte al Delano, uno dei must della vita notturna di Miami. Posizione invidiabile, scarsa notorietà, vive inevitabilmente di luce riflessa. All'ingresso un tipo piccoletto che ha l'aria di conoscere Alex (da questo momento, per noi, "il tedesco napoletano") sin dalle elementari, spara il prezzo a cranio: 40 dollari. Senza condizionale. E poi ci piazza al polso un braccialetto rosso, come nei villaggi turistici. Il nostro disappunto per il prezzo, non banale anche per Miami, viene attenuato dalla lettura di un rassicurante cartello lì accanto: "All you can drink". In pratica, non c'è limite alle consumazioni al bar, dove veniamo presentati a una riccioluta mulatta filiforme che sarà anche carina, ma che sulle prime (e anche sulle successive) non pare ferratissima nella nobile arte di preparare cocktails. Ci viene affidato un bicchierino di plastica trasparente con micro cannuccia nera e alcune minacciose scritte sul banco avvertono: "Non perdere il tuo bicchiere o smetteremo di servirti da bere". Non si fa menzione della cannuccia. Rido amaramente, anche perché una scritta simile non la trovi non dico nei peggiori bar di Caracas, ma neppure nell'ultima discoteca di Rimini. Anzi, soprattutto a Rimini. Ma come, mi fai pagare 40 dollari d'ingresso in un posto di serie B e poi vuoi che adotti un bicchierino di plastica per tutta la serata? Tutto questo a Miami? Non mi parte un oltrepadano "vadavialcü" perché so che sarei capito solo da alcune minoranze oggi scarsamente tutelate. Ordino un Cuba libre, il bicchierino si riempie soprattutto di ghiaccio, ma la ragazza mi serve un drink più che dignitoso. Vabbé, dai, almeno si beve bene. Avevo parlato troppo presto: al secondo Cuba, che arriva di lì a poco, la Donna Summer del cicchetto mantiene la stessa Coca alla spina, ma passa a un Rhum di terza categoria. Trucchetti. Un Italian Job de noantri. Al terzo bicchiere le richiedo il primo Rhum, ma dolente mi spiega che quella marca è finita e che i superalcolici nella lista dell'all inclusive sono solo 7, come i peccati capitali. Tutto il resto al bar va pagato a parte. Mi consolo con una tequila e Coca sperimentale che non sfigura rispetto alla brodaglia spaccafegato dello step precedente.
Mentre con i ragazzi (una coppia di tedeschi e alcuni francesi davvero simpatici) ci intratteniamo su un balconcino affinando il nostro inglese, quasi allo scoccare della mezzanotte, arriva l'ora X. Di fronte al Catalina, sulla Collins, spunta un grande pullman scuro della South Beach Party Tours, già mezzo pieno di predestinati allo sballo. Gente tutto sommato elegante, non teppaglia. Anche noi otto pischelli saliamo a bordo baldanzosi. Le porte si chiudono. Enjoy. Non sapevo di avere appena iniziato un viaggio di 35 minuti che si sarebbe rivelato l'esperienza della mia vita più vicina all'idea di deportazione. Dopo altre due soste per caricare sventurati, il pullman - senza posti a sedere, luci interne soffuse rosse e blu, solo degli scintillanti pali modello lap dance per reggersi in piedi, e musica quasi a palla - risulta pieno all'inverosimile. Calca e sudore a livelli intollerabili e prime saracche in tutte le lingue del mondo sono il piacevole menù. L'autista ha anche una guida brillante che mal si concilia con la situazione di evidente precarietà. Io sono all'oscuro di tutto quel che succederà dopo, come un sequestrato ma senza cappuccio. Sdrammatizzo urlando ogni tanto: "Next stop, Auschwitz!", e asciugandomi il naso che gronda autentico sudore sul braccio di una ragazza americana che si regge al mio stesso palo (no allusioni, please) e che ha pensato bene di piazzarmi l'arto proprio davanti agli occhi. Errore madornale. La mia vicina d'oltralpe, fra un mancamento e l'altro, assicura che stiamo andando al Mansion, "la miglior discoteca di Miami". Dopo molti, interminabili minuti, il carro bestiame si ferma nelle vicinanze del Mansion, e quasi tutti scendiamo, grati ognuno alla propria divinità per il fatto di essere ancora vivi e a destinazione. Errore da pricipianti: non tutti vanno al Mansion. Buona parte di noi è costretta a risalire sul pullman per affrontare la seconda e ultima tappa: il Bamboo. Il premuroso Alex, in breve, ci aiuta a ritarare la classifica dei migliori club di Miami, che è stavolta - ovviamente - guidata dalla discoteca dove stiamo per andare noi, non gli altri sfigati. Il Mansion? Ma chi se lo fila? Bamboo tutta la vita.
Davanti all'ingresso, Alex ci fa aggiungere un braccialetto giallo fluorescente a quello rosso già in dotazione, e ci mostra l'accesso privilegiato. In pratica, grazie a quello entriamo saltando la breve coda. Sulla porta il buttafuori calvo squadra me e il mio collega e ci chiede in inglese l'ID, il passaporto. Lo vede, rosso fiammante, e aggiunge, in perfetto italiano: "Di dove siete?". "Di Milano...". "Ah, allora siamo vicini: mì su de Zéna"...
Superato in breve lo stupore per il buttafuori al pesto, entriamo nel magico mondo del Bamboo. Nonostante sia mezzanotte e mezza, praticamente apriamo il locale, popolato quasi solo da barwoman indaffarate. Il posticino è effettivamente ben tenuto, ricavato all'interno di un vecchio cinema da non più di mille posti. Maxi schermo led e banco del Dj al posto dello schermo di proiezione, ampio privée e zona bar sottostante, la platea trasformata in pista da ballo, e spazio per eventuali appuntamenti live nella piccola galleria. Che stasera rimane vuota, ma completamente attrezzata di strumenti musicali. Il volume è già altissimo, anche perché tutto il locale è disseminato di casse dall'inaudita potenza nascoste anche nei posti più impensabili. Mi sento come Wanna Marchi a una convention della Guardia di Finanza: un tantinello fuori posto. Ma la grande beffa continua, e l'ultima cosa che vorrei - a questo punto - è sottrarmi al finale.
Alex l'Ariete ci invita a esaminare la ricca lista (speciale, retroilluminata, ottima idea regalo) per ordinare eventuali bottiglie al tavolo. La più economica è un Rhum da 350 dollari; la più cara, un set da 6 bottiglie di una marca di "champagne" americano pressoché sconosciuto in Italia che ti assicuri alla miserabile cifra di 8.500 dollari. Se ordini una bottiglia sola, te la porta la super topolona del locale: una Venere nera in costume intero che lascia senza fiato. Si ferma un po' a fare pr, ti stappa la bottiglia, si fa fotografare e fotografa tutta la combriccola, e poi se ne va. Se ordini il fantozziano super set da 6 di champagne (c'è anche una versione per non abbienti da 7.000 dollari, praticamente regalata) arriva la Venere nera senza nulla in mano ma accompagnata da tre topoline di gran pregio recanti due bocce (si parla sempre di bottiglie) da litro ciascuna. Il quartetto entra in scena improvvisando un balletto. Se il titolare del Bamboo sapesse che per la stessa cifra, anche meno, potrei portare tutto l'ambaradàn da solo coreografando al contempo perfettamente "La morte del cigno", credo che mi avrebbe già arruolato in squadra. Lo considero comunque un ottimo piano B per chiunque, fateci un pensiero.
Facciamo capire ad Alex che tutte le proposte, compreso il taglio minimo da 350 dollari, ci sembrano - come dire?- un po' penalizzanti, ma quella generosa sagoma germanica ha già pronta la soluzione: "Non c'è problema, ragazzi: facendo il mio nome vi daranno una bottiglia di vodka a 150 dollari". Ovviamente a questi prezzi modello "chiude, liquida tutto" la topolona te la scordi, ma i ragazzi del gruppo accettano il deal. A me non piace la vodka. E neanche Alex, per dirla tutta. Quindi dopo aver ballicchiato un po' (il volume dellla disco-house-techno-progressive del Dj Captain of Industry ormai è insostenibile, su alcuni bassi vibra persino la cistifellea, tanto che alcuni ragazzi scafati in pista portano provvidenziali tappi per le orecchie) me ne sto appoggiato a un cancelletto che conduce al privée open air a bearmi di questa umanità in trappola. C'è un po' di tutto: dalla coppia chiattona/esibizionista che limona come se non ci fosse un domani (e forse non c'è), a una cubana sui 35 stimati, sesta di reggiseno, che fuma il sigaro maliziosa appoggiata al banco del bar. L'ammiccamento del sigarone devo ancora capirlo... E poi tanti pischelli, impegnati in pista nella legittima teoria dello struscio danzereccio. Che nasconde tante aspettative spesso disattese. Le cubiste sono quattro, autentiche professioniste del settore, che si muovono come automi, ma l'inquietante numero centrale della serata arriva verso le tre: in pista fra la gente trova posto un performer che indossa un costumone finto metallo laccato bianco stile Predator. Spaventa tutti per un po', poi viene cacciato da due pulzelle che salgono sui cubi imbracciando altrettanti enormi pistoloni che sputano fumo e coriandoli. Non si può riprendere la scena con lo smartphone perché i gestori del locale vogliono evitare che il mini show finisca su Youtube. Capirai...
Mentre contemplo il mostro che se ne va, succede il miracolo: all'improvviso mi transita accanto la Venere nera, l'inarrivabile regina del Bamboo; quella che non degna essere umano di uno sguardo a meno che non strisci la carta di credito almeno per il tappo da 350. La Naomi de-incazzosizzata passa, si volta, mi guarda reclinando leggermente il capino in un sorriso dolce e affettuoso, e mi sfiora il braccio delicatamente, per tre volte. Io la guardo, ricambio il sorriso, le faccio l'occhiolino e scuoto la testa in segno di diniego. L'invidia accanto a me è palpabile. Che cosa avrà mai più di noi questo buffo italiano sovrappeso per avere meritato tanto? Perché la magnifica preda dovrebbe interessarsi proprio a lui? Certo che la vita è ingiusta e ingrata... Non ha neppure un Rolex al polso, né un Ferrari o un Lamborghini parcheggiati all'ingresso. E poi, diamine, quali donne magnifiche frequenterà in Italia uno che si permette di dire no a una femmina di questa portata?
Li lascio macerare nell'invidia più cupa. Anche perché spiegare loro che quel sorriso e quelle languide carezze erano il risarcimento per un pestone non banale che la distratta dea aveva assestato all'alluce del mio piede destro, non farebbe curriculum. A volte le cose sono molto, molto più semplici di come ci sforziamo di interpretarle.

venerdì 26 aprile 2013

«MONTALBANO FUI» * IL COMMISSARIO FA IL BOTTO, MA LE STORIE SONO NOIOSE

I quattro nuovi episodi de «Il commissario Montalbano» stanno sbancando l’auditel, come sempre: il secondo, giovedì scorso, ha inchiodato (si fa per dire) alla poltrona 9,9 milioni di spettatori con il 35% di share. Risultati da partita della Nazionale. Peccato che in quest’ultima stagione, la serie non giri. Il prodotto sembra lento, sfilacciato, tirato via senza troppa voglia. Mi è capitato addirittura di sentire i commenti di alcune signore dall’ormone solitamente impazzito per l’uomo di legge siculo che non deve chiedere mai, che hanno inquadrato un Luca Zingaretti «un po’ appesantito, fuori forma». Qualcuna si è spinta più in là, parlando di «principio di senescenza».
Non so quanto ci sia ancora dei racconti di Andrea Camilleri (senz’altro la storia di base, non le sceneggiature e i dialoghi) nell’ultimo Montalbano, che gira per la solita Vigata semi-deserta e divora pesce e arancini nel mitico ristorantino sul mare. Di certo ci si annoia un po’, fra vendette pretestuose, qualche apparente distrazione in fase di scrittura, e alcuni apporti recitativi delle figure di contorno non proprio da Oscar. Persino Catarella, parliamoci chiaro, ha stancato, ridotto com’è alla macchietta di una macchietta. Speriamo non sia l’inizio della fine. Speriamo che che il «Montabano sono» non si trasformi, di questo passo, in «Montalbano fui». Sarebbe un peccato.

sabato 20 aprile 2013

BERSANI & BINDI * FUORI ALTRI DUE DINOSAURI DELLA POLITICA COME MESTIERE

Sarò anche un inguaribile romantico, ma pensare che altri due dinosauri della vecchia politica (della politica intesa come mestiere) come Bersani e la Bindi si siano dimessi (purtroppo solo dalle cariche di segretario e presidente del Pd) mi mette di buonumore. Qualche giorno fa ero perfino stato facile profeta su questo imminente crollo degli apparati. Andandosene, Pierluigi non ha tirato fuori uno dei suoi proverbi dall'indubbia efficacia (soprattutto per il repertorio di Crozza), ma ha detto: «Uno su quattro ha tradito, questo è di una gravità assoluta». La frase sui franchi tiratori conferma un'altra cosetta detta di recente, quando sentivo tanta gente ironizzare sui modi un po' sbrigativi di Grillo nell'orientare i suoi. Ogni partito esige disciplina al suo interno, e il Pd non fa eccezione. Si dirà: ma Grillo i non allineati li espelle. Può darsi (fino a un certo punto, e comunque non si può abusare di questa pratica). Ma il Pd, come il Pdl, li ha sempre ostracizzati, messi in panchina per buttarli fuori al giro successivo. Lo stesso metodo, ma facendo le cose in silenzio. Più mafiosamente. Quando sono pochi, ti puoi anche comportare così. Il problema si presenta quando diventano 101, come nel caso di Bersani. Allora te ne devi andare tu.

lunedì 15 aprile 2013

«THE VOICE OF ITALY» * LA NUOVA FASE, TRA BATTLES, LIVE E CURIOSITA'

• Finite le «Audizioni al buio»,  «The Voice of Italy» cambia pelle (e in parte lo studio, che si trasforma in una sorta di ring) per le altre due fasi, nelle restanti nove puntate.
• Nella seconda fase, quella dei «Duelli» (che dura tre puntate) ciascun coach sceglie due artisti della propria squadra e li fa scontrare duettando sullo stesso brano, per poi decidere chi merita l’accesso al segmento decisivo.
• Entrano in scena quattro «Special coach» per aiutare i coach ufficiali nel loro lavoro: Gianni Morandi (con la Carrà), Mario Biondi (con Noemi), Kekko Silvestre dei Modà (con RICCARDO Cocciante) e Cristiano Godano dei Marlène Kuntz (con Piero Pelù).
• L’ultima fase sarà quella dei «Live», dove ciascun cantante (8 per ciascun «allenatore») si esibirà da solo, con gli stessi coach o con ospiti internazionali. Solo in questa occasione verrà attivato il Televoto. Anche in questo caso, la scenografia dello studio sarà modificata adattandosi alle nuove esigenze dei protagonisti. L’appuntamento con la finale è fissato per il 30 maggio.
• Tra gli imminenti ospiti, sembra che la produzione sia riuscita a reclutare il coreano Psy, che lanciò il «Gangnam Style».
• Nel corso di tutto il programma, gli interpreti si esibiscono non su base preregistrata (come avviene in altri talent), ma accompagnati da una band dal vivo diretta da Leonardo De Amicis. Gli elementi di questa formazione aumentano di volta in volta nelle tre fasi: inizialmente 4, attualmente 6 e infine 12.
• Le mascotte fra i cantanti in gara sono tre sedicenni. Il veterano è il 52enne barese Vito Ardito, avvistato nel musical rock «Dracula».
Savio Vurchio, 44 anni, a Trani non si perde un matrimonio: si esibisce in media a 250 cerimonie l’anno. 
Marsela Cibukaj, che oggi vive a Roma, ha già partecipato a «The Voice of Albania», e Michelle Perera, originaria dello Sri Lanka, è stata fra i concorrenti di «The Voice of Germany».  
• Tutto bene per Veronica De Simone, 23 anni, di Massa Carrara, che però dichiara: «Non sopporto chi non si fida ciecamente di me». Nella vita, può essere un problema.

(TV SORRISI E CANZONI - APRILE 2013)

venerdì 12 aprile 2013

FENOMENOLOGIA DELLE PERSONE NEGATIVE

Le persone negative sono quelle che gestiscono malamente il loro piccolo potere, quando l'hanno. Avrebbero grandi opportunità, potrebbero dedicare il loro tempo a fare squadra, unire le persone, valorizzarle, premiarle, capire con chi hanno a che fare e muoversi di conseguenza. Invece spesso, in preda a pericolosi (soprattutto per loro) deliri di onnipotenza, preferiscono seguire la logica del divide et impera, che funzionava giusto ai tempi dei romani, sui campi di battaglia. Oggi è impraticabile, se non in rarissimi casi e ambienti. Non bisogna giocare per stimolare assurde competitività, ma lavorare sugli entusiasmi dei singoli. Non bisogna comportarsi da stronzi solo per il gusto di farlo. E così le persone negative, credendo di fare del bene al proprio orticello, finiscono, senza rendersene conto (la più grande miopia), col danneggiarlo. Col conforto di pochi “fidati” costretti a incensarli. Finché non girano l'angolo.

mercoledì 10 aprile 2013

«THE VOICE OF ITALY» * I VOLTI (E LE VOCI) GIA' NOTE DEL TALENT DI RAIDUE

Certo, ci sono le commesse, l’ex donna di servizio, il panettiere, la poliziotta, tanti studenti, persino un «soccorritore in ambulanza» con la voglia di sfondare. Eppure molti dei 64 talenti (16 per ogni squadra) che si avviano ad affrontare la seconda fase di «The Voice of Italy», il giovedì su Raidue, sono artisti che spesso hanno già una loro storia. Le «Audizioni al buio», attraverso le quali i coach hanno potuto sceglierli solo in base alla qualità delle voci ascoltate, legittimano del resto la natura dei pre-casting fatti dagli autori, che hanno attinto a piene mani (e dichiaratamente) dal sottobosco musicale italiano. Facce più o meno già viste, non ancora approdate nell’Olimpo delle sette note, oppure capaci di vivere una o più stagioni di relativo successo, prima di sparire. Scopriamole insieme.
C’è la fiorentina Diana Winter, la cui voce finì in un cd di Giorgia del 2007, «Stonata», con tanto di seguito come vocalist nella successiva tournée della cantante romana. Esperienza ripetuta di recente. Ma anche Lorenzo Campani, di Reggio Emilia, che nel suo già corposo curriculum mette l’onore di aver aperto 26 concerti di Vasco Rossi, l’attività come cantante dei ClanDestino (ex band di Ligabue) e la collaborazione appena conclusa con il musical di Cocciante «Notre-Dame de Paris», dove ha vestito i panni di Clopin e Quasimodo.
Grande (ri)spolvero anche per la romana Jessica Morlacchi, già cantante dei Gazosa, portati al successo da Caterina Caselli e vincitori di Sanremo Giovani nel 2001 con «Stai con me (forever)». Jessica è tornata sul palco dell’Ariston altre due volte: come Big tra i Gazosa e in seguito per un duetto con Marco Masini. Il talentoso sedicenne trentino Mattia Lever è già televisivamente molto Chiara Luppi, Perpetua ne «I promessi sposi» di Michele Guardì e Nutrice in «Romeo e Giulietta» di Cocciante, che in quelli del romano Daniele Vit. Che ha partecipato nel 1997 e nel 2002 a Sanremo giovani, inanellando negli anni collaborazioni con Fabri Fibra, Gigi D’Alessio e Club Dogo. E non facendosi mancare neppure una partecipazione a «X-Factor», nel 2009. Se la romana (di Anzio) Silvia Capasso ha duettato con Ron ed è stata corista di Pupo, un’altra laziale, Denise Faro vanta una maiuscola carriera come cantante in Sudamerica (nel 2012 ha vinto il celebre Festival internazionale di Viña Del Mar) e una discreta come attrice in Italia, essendo già entrata nel cast della fiction «Benvenuti a tavola – Nord vs Sud», e del film «Come tu mi vuoi» (2007) con Nicolas Vaporidis. Un’altra vocalist è la romana Daphne Nisi, che insegna canto e fa parte di due gruppi: i The Session Voices e soprattutto i Baraonna, che le hanno dato modo di collaborare e duettare con Claudio Baglioni. Infine, si segnala il già maturo Danny Losito da Porto Recanati (Macerata). Il suo boom fu nel 2004, quando partecipò sia al Festival di Sanremo» che a «Music Farm».
esposto, con tre partecipazioni a «Ti lascio una canzone» e la vittoria dell’edizione del 2010. Altra buona visibilità nei trascorsi sia della padovana

(TV SORRISI E CANZONI - MARZO 2013)

lunedì 8 aprile 2013

PROVE GENERALI DI INCIUCIO PD-PDL (CON RENZI CHE SCALPITA E GRILLO CHE ESULTA)

Venghino, siòri, venghino: a quanto pare, l'inciucione Pd-Pdl, si (ri)farà. Del resto, di fronte all'irremovibilità di Grillo, e con la prospettiva di un nuovo voto che avrebbe spazzato via molte altre vecchie facce, le nomenclature dei partitoni si attrezzano per mantenere la poltrona ancora per un po'. Ora tireranno fuori nei Tg alcune delle classiche, meravigliose frasi di circostanza ("L'abbiamo fatto per il bene del Paese", "Ha prevalso il senso di responsabilità", ecc., ecc.), ma tutti sapremo che a prevalere è stato soprattutto il senso di non tornare a casa dalla moglie. O dal marito-moglie, nel caso della Santanché. E pensare che al povero Tafazzi-Bersani sarebbero bastati (stimo) ancora un paio di mesi di melina per riuscire a far crollare il muro del brancaleonesco Movimento 5 stelle. Alcuni mattoni si stavano già staccando. Al resto avrebbe pensato pian piano il venticello di Roma, che da sempre tutto divora e magicamente ingloba.
Nel non fare nulla, Bersani è unico. Dopo una non-campagna elettorale, si era già seduto placido sulle rive del Trebbia ad aspettare, bofonchiando un po' di proverbi piacentini. Quando stava per pronunciare il fatidico: "Uè ragassi, non siamo mica qui a pretendere che i salmoni percorrano i fiumi nella direzione della corrente", ecco che sono partiti gli attacchi del Pdl per non restare fuori dai giochi. Per giunta con un ostico Renzi (dai nemici mi guardi Iddio, che ad "Amici" ci vado io), la serpe in seno, che scalpitava ormai non più nell'ombra per soffiargli il posto. Al povero Pierluigi, nonostante l'appoggio mostruoso dei media, non è rimasto altro che abbozzare, abbandonare la non-strategia anti-pro-anti-pro-anti-grillina, e mandare avanti qualche colonnello del Pd per consumare l'abbraccio al Pdl. Giusto per non esporsi direttamente, visto tutto quello che aveva detto nel recente passato su di loro. Un abbraccio che qualcuno considera mortale. In realtà probabilmente ci saranno soltanto spaccature: visto che Renzi (il modello berlusconiano applicato al centrosinistra) è mal sopportato da una grossa fetta del Pd, sarà inevitabile una scissione. E il Centrodestra reggerà finché sulla scena c'è il collante (o collagene) Berlusconi. Sparito lui, liberi tutti. Nasceranno altri due tre partiti a contendersi i più o meno moderati.
Se va così, per Grillo è un lusso: non sarebbe riuscito a tenere insieme i suoi ancora per molto, e già spuntavano elettori delusi. Ma una cosa è certa: se punta al 40-45% alle prossime elezioni, è una pia illusione sua e (soprattutto) di Casaleggio. In Italia un Movimento fondamentalmente di protesta - o così percepito dai più - non può arrivare a quei numeri. Si accontenti del 25%, che è già un miracolo. Non dimentichiamoci che questo è un Paese dove, sotto sotto, la Dc non è mai morta.

giovedì 4 aprile 2013

A «THE VOICE» INIZIANO LE BATTLE: ECCO TUTTI I 64 CONCORRENTI IN GARA

Questa sera, in prima serata su Rai 2, per le 64 Voci di THE VOICE of Italy inizia la fase delle Battle (i “duelli”).
Dopo i quattro appuntamenti con le Audizioni al buio (Blind Audition) le squadre dei quattro coach sono al completo e il format televisivo, realizzato da Rai2 in collaborazione con Toro Produzioni, prevede le eliminazioni dirette.

Una fase molto dura per le Voci e per i coach: Raffaella Carrà, Riccardo Cocciante, Noemi e Piero Pelù, dopo averli allenati e preparati, dovranno infatti scegliere due Voci della propria squadra e farle duellare sulle note di una canzone. Le Voci dovranno cantare al centro del ring uno contro l’altro. Nel ring gli artisti si misureranno sullo stesso brano, cantando un inciso ed un ritornello a turno, e dovranno esprimere tutto il loro potenziale per cercare di avere la meglio sull’avversario e ottenere così l’accesso alla fase successiva.

Al termine di ogni Battle sarà lo stesso coach a decidere il cantante da premiare e portare alla fase Live.
Nei momenti di preparazione dei cantanti, prima dei duelli, i quattro coach saranno affiancati da altrettanti special coach: Raffaella Carrà da Gianni Morandi, Riccardo Cocciante dai Modà, Noemi da Mario Biondi e Piero Pelù da Cristiano Godano dei Marlene Kuntz.
Interpretazioni e performance di successi italiani e internazionali rigorosamente dal vivo accompagnati da una band di 6 elementi.

TEAM RAFFAELLA CARRÀ:
Stefania Tasca (Torino), Daniele Vit (Ostia – Roma), Michelle Perera (Roma), Denise Faro (Roma), Chiara Luppi (Padova), Vito Ardito (Noicattaro – Bari, vive a Cisterna di Latina), Veronica De Simone (Massa Carrara), Manuel Foresta (Cava de’ Tirreni – Salerno), Noemi Smorra (Roma), Chiara Papalia (Roma), Daphne Nisi (Roma), Emanuele Lucas Cazzato (Acquarica del Capo – Lecce), Matteo Lotti (Misano di Gera d’Adda - Bergamo), Marianna Barracane (Cellamare – Bari),  Pamela Lacerenza (Tivoli - Roma), Paola Licata (Favara – Agrigento).

TEAM RICCARDO COCCIANTE: Giulia Saguatti (Pesaro), Lisa Manara (Imola - Bologna), Francesco Monti (Reggio Emilia), Jessica Morlacchi (Roma), Samuele Spallitta (Torino), Mattia Lever (Trento), Federica Celio (Napoli), Lorenzo Campani (Reggio Emilia), Pasquale e Michele Tibello (Lucera – Foggia), Rosalia Davì (Palermo), Alessio Ranno (Mililli – Siracusa), Francesca Bellenis (Los Angeles – U.S.A.), Donato Perrone (San Giovanni Rotondo – Foggia), Elhaida Dani (Tirana – Albania), Gabriella Iandolo (Salerno), Mariateresa Amato (San Giorgio a Cremano - Napoli).

TEAM NOEMI: Flavio Capasso (Napoli, vive a Nettuno), Paola Gruppuso (Alcamo – Trapani), Martina Lo Visco (Mirabella Eclano - Avellino), Silvia Capasso (Anzio – Roma), Antonia Laganà (Reggio Calabria), Chiara Furfari (Campo Calabro – Reggio Calabria), Giuseppe Scianna (Castagneto Carducci – Livorno), Marsela Cibukaj (Roma / Albania), Diana Winter (Firenze), Francesca Monte (Giffoni Valle Piana – Salerno), Giuliana Danzè (Benevento), Jacopo Sanna (Tivoli - Roma), Silvia Caracristi (Trento), Teresa Capuano (Catania, vive a Napoli), Nausicaa Magarini (Solaro – Milano), Gabriella Martinelli (Foggia).

TEAM PIERO PELÙ: Roberta Orrù (Sanluri – Cagliari), Savio Vurchio (Trani), Francesco Guasti (Prato), Fabio Zampolli (Treviglio – Bergamo), Alessandra Parisi (Caserta), Paola Criscione (Vittoria – Ragusa), Yasmin Kalach (Roma), Cristina Balestriere (Ischia – Napoli), Marco Cantagalli (Roma), Timothy Cavicchini (Verona), Giulia Penza (Novate Milanese - Milano), Ilaria Deangelis (Spoleto - Perugia), Marica Lermani (Nova Siri – Matera), Tommi Gavazzi (Tivoli – Roma), Danny Losito (Gioia del Colle – Bari, vive a Porto Recanati – Macerata), Valentina Tramacere (Aprilia – Latina).

PAOLO RUFFINI * «PER 'COLORADO', AL POSTO DI BELEN, HO PRESO 6 TIPI IMPREVEDIBILI»

PAOLO RUFFINI
Paolo Ruffini, gongola. Dopo Belen Rodriguez, da metà aprile accanto a lui su Italia 1, non ci sarà il diluvio ma sei partner a rotazione, per altrettante puntate (già registrate) di «Colorado». Il che ci consente di mostrarvene alcuni scampoli in anteprima. «I volti
li abbiamo scelti con due criteri: imprevedibilità e personalità» dice il conduttore livornese. «Vaporidis non era abituato a presentare, sembrava un po’ bloccato, l’ho invitato a lasciarsi andare ed è uscito il suo lato goliardico; Federica Nargi è bellissima e si candida a diventare la showgirl del domani; Luxuria è stata perfetta e ha portato un tocco diverso, prestandosi a scherzare sia con me che con le battute dei cabarettisti, subito padrona di casa; Fabio Troiano, che ha la faccia seria anche quando scherza, ci ha consentito di ironizzare sul suo ruolo di attore da fiction; la Cicogna è stata carina, una buona compagna di giochi; e infine abbiamo trasformato in virtù il naturale spaesamento della Piccinini, che fa la pallavolista». Impegnato a teatro con «The Full Monty», Ruffini inizierà a girare a maggio come attore e regista «Fuga di cervelli», remake di un film spagnolo. «È la storia di cinque ragazzi pestiferi e sfigati. Tra “American Pie” e “Animal House».

FEDERICA NARGI
Che cos’hai tu che manca a Belen Rodriguez?
«Nulla! Non posso neanche più dire che io, a differenza sua, da italiana ho avuto un Papa della mia stessa nazionalità».
L’episodio di umorismo (volontario o involontario) più divertente della tua vita.
«Era un pomeriggio noioso nel camerino di “Striscia”; io e Costanza abbiamo avuto la brillante idea di dipingerlo con le bombolette spray senza dire niente a nessuno. Gli aeratori del camerino sotterraneo hanno diffuso l’odore delle sostanze infiammabili facendo scattare l’allarme antincendio in tutti gli studi di Milano 2 e costringendo a far evacuare l’edificio! È arrivata l’ambulanza poiché una truccatrice si è sentita male; Costanza ed io siamo state portate al pronto soccorso per una sospetta intossicazione. Dulcis in fundo, abbiamo dovuto pagare tutti i danni!».
Qual è il comico che da sempre ti fa più ridere?
«Da buona romana sono cresciuta con i film di Carlo Verdone! Li so a memoria!»
Il programma che hai sempre sognato di condurre.
«Uno show giovane, divertente e comico proprio come “Colorado” o “Le Iene”».
Dopo «Colorado», che cosa ci sarà nel tuo futuro?
«Tanto studio. Devo imparare a recitare per realizzare uno dei miei sogni: diventare attrice!».

VLADIMIR LUXURIA
Che cos’hai tu che manca a Belen Rodriguez?
«Solo qualche anno in più. Che comunque vuol dire più esperienza di vita!»
L’episodio di umorismo (volontario o involontario) più divertente della tua vita.
«Ero a Madesimo, il 6 gennaio, sulle piste da sci con mia sorella. Mi ero messa un cappello di lana che terminava con una punta all’insù, e un enorme cappotto nero lungo fino ai piedi. Passeggiando, una bambina chiede alla madre indicando me: «Mammina, ma è quella la Befana?». La mamma imbarazzata, mia sorella morta dal ridere e io... ho dato fuoco al cappello!
Qual è il comico che da sempre ti fa più ridere?
«Alberto Sordi».
Il programma che hai sempre sognato di condurre.
«Il mio ideale è “Striscia la notizia”, che adoro per il suo giusto mix di informazione, impegno sociale e divertimento per tutti».
Dopo «Colorado», che cosa ci sarà nel tuo futuro?
«Fuori di gusto», le domeniche mattina su La7, e un romanzo pubblicato da Bompiani... E poi spero ancora tante risate perché almeno su quelle non si pagano le tasse!».

FIAMMETTA CICOGNA
Che cos’hai tu che manca a Belen Rodriguez?
«A lei manca una cosa che ho io: la R moscia!».
L’episodio di umorismo (volontario o involontario) più divertente della tua vita.
«Più che umorismo, una strana epifania con il commesso di un mega-store: gli chiesi di consigliarmi alcuni film e, alla fine, ci siamo ritrovati abbracciati piangendo perché ci siamo messi a parlare di famiglia e affetti».
Qual è il comico che da sempre ti fa più ridere?
«Adoro il british humour, amo Mr. Bean, Rowan Atkinson. In Italia mi fa impazzire Maurizio Crozza».
Il programma che hai sempre sognato di condurre.
«Se esistesse ancora, “Fantastico”».
Dopo «Colorado», che cosa ci sarà nel tuo futuro?
«“Wild-Oltrenatura”; e non potrò non occuparmi di produzioni video con mio fratello Federico».

NICOLAS VAPORIDIS
Che cos’hai tu che manca a Belen Rodriguez?
«La barba».
L’episodio di umorismo (volontario o involontario) più divertente della tua vita?
«Quando facevo il cameriere in un ristorante italiano a Londra, ho rovesciato i piatti di una portata addosso a un cliente, sporcandolo dalla testa ai piedi. Oggi ci rido su, ma in quel momento...».
Qual è il comico che da sempre ti fa più ridere?
«Penso a classici intramontabili: Peter Sellers e Buster Keaton».
Il programma che hai sempre sognato di condurre.
«La notte degli Oscar».
Dopo «Colorado», che cosa ci sarà nel tuo futuro?
«Il cinema. Il 28 marzo esce “Outing, fidanzati per sbaglio”. A maggio, tocca a “Il Futuro”, che e’ stato in concorso al Sundance Film Festival».

FABIO TROIANO
Che cos’hai tu che manca a Belen Rodriguez?
«Lei ha tante cose che vorrei avere. Ma poi le restituisco!».
L’episodio di umorismo (volontario o involontario) più divertente della tua vita.
«Quei momenti in cui, durante le riprese di una scena, magari senza una ragione particolare, a me o a qualche collega viene da ridere fino alle lacrime per qualsiasi cosa senza riuscire a smettere. Quelli sono i più divertenti».
Qual è il comico che da sempre ti fa più ridere?
«Massimo Troisi».
Il programma che hai sempre sognato di condurre.
«Che domande?! Chiaramente “The Voice of Italy”».
Dopo «Colorado», che cosa ci sarà nel tuo futuro?
«Dopo “The voice”, la fiction “Benvenuti a tavola” e al cinema la commedia “Per sfortuna che ci sei” con Enrico Brignano.

FRANCESCA PICCININI
Che cos’hai tu che manca a Belen Rodriguez?
«Qualche medaglia e il fisico della sportiva. Ma anche lei non scherza!».
L’episodio di umorismo (volontario o involontario) più divertente della tua vita.
«Il backstage delle riprese di uno spot con Belen: è stato ricco di episodi umoristici e a tratti comici».
Qual è il comico che da sempre ti fa più ridere?
«I Fichi d’India. Mando un abbraccio particolare a Bruno».
Il programma che hai sempre sognato di condurre.
«Una rubrica sulla moda e lo sport all’interno di un programma come Verissimo».
Dopo «Colorado», che cosa ci sarà nel tuo futuro?
«Giocare e vincere! Poi ho appena inaugurato un negozio d’abbigliamento. E non disdegno lo spettacolo».

(TV SORRISI E CANZONI - MARZO 2013)

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