giovedì 11 agosto 2011

TELEFILM * CHE NOSTALGIA PER I GOLIARDI DI MASH E HAPPY DAYS

A trent'anni, sono già orfani. Li vedi fare zapping tra un canale e l'altro (quando sei in crisi d'astinenza alla fine guardi di tutto, anche roba tagliata male, come i Film-tv del sabato di Raidue, quanto di peggio esista in natura) ma sono come zombie. Manca loro qualcosa. Una famiglia. Non una famiglia qualsiasi, va da sé, quella ce l'hanno più o meno tutti: la famiglia Cunningham, la combriccola di Happy days, Milwaukee, Usa. Se potessero resuscitarla, i trentenni italiani incollati al video - quelli che Gianluca Nicoletti con lucido e impietoso realismo chiama «i giovani vecchi» -, darebbero quanto di più caro. Futuri clienti del Paolo Limiti anno di grazia 2040, i non più ragazzi sulla trentina, quelli che non vogliono crescere, quelli un po' in carriera, quelli che qualche annetto fa si emozionavano, sorridevano, partecipavano alle avventure della banda di Fonzie e compari, cercano in realtà un ritorno agli anni belli. O meglio, non li vogliono mollare. Ora si illudono di aver trovato in Friends l'unico surrogato possibile a quelle goliardiche, amicali emozioni mai più ritrovate in video: anche lì si sorride, anche lì c'è cameratismo, anche lì c'è atmosfera. Epperò non è la stessa cosa. Epperò se nasci con Attenti a quei due (The persuaders, 1971, Tony Curtis e Roger Moore in stato di grazia) cresci con Happy days (dal '78) e ti fai il carattere contemplando la magia di M.A.S.H. (dal '79), tutto il resto poi ti sembra sbiadito come un programma di Luca Sardella. All'epoca, nell'inauguranda fascia preserale di Raiuno, c'era il rito: ti sedevi a tavola all'ora di cena e Arnold's serviva caldi caldi gli amorazzi Usa e getta di Fonzie e dei suoi timidi emuli. Ritchie il saggio, Potsie l'imbranato, Ralph la testa matta. Tutti bravi, tutti in parte, tutti irresistibili. Come quella volta che Ralph, pur di fingere un flirt con l'inesistente biondina di turno, si incastrava di spalle fra gli armadietti di una palestra e abbracciava voluttuosamente se stesso. Mano sinistra e mano destra incrociate che si auto-strusciavano sulla schiena in un inequivocabile impeto passionale e il gioco era fatto: qualcuno poteva cascarci. Non lo scafato Fonzie, naturalmente, che - Hey! - riportava subito tutti in riga. Tutti tranne mamma Marion, l'unica ad avere il sublime potere di ridimensionarlo insieme con papà Cunningham, dall'imbarazzante cappellone della Loggia del Leopardo. Perché alla fine, l'unica ad uscire vincente da Happy Days era la famiglia. La grande, pasticciona ma rassicurante famiglia americana. Che entrava in azione tutti giorni, alla stessa ora, sulle note di quella musichetta (alzi la mano il giuda che sostiene di non averla imparata a memoria) che faceva sognare e ti frullava in testa, come il 45 giri sul piatto del juke-box. Così, fra sorrisi, canzoni, moto, ammiccamenti, pomiciate, storie possibili e amori impossibili, volava via l'adolescenza di quei tanti che si specchiavano nel video. Ai ragazzi anni '90 le repliche di Happy Days non dicono nulla, o poco più. Tanto che le reti nostrane lo trattano spesso come il peggiore dei riempitivi. Ma per i trentenni, no. Per i trentenni è oro colato. Giù la maschera, non ce la faccio più, sono uno di loro, un reduce. Lapidatemi, ma ridatemi Danny Wilde e Brett Sinclair (Curtis e Moore). Ridatemi M.A.S.H., McIntyre, Pierce e Labbra di fuoco. Lo so, merito la pensione d'accompagnamento. A Milwaukee, naturalmente.


(IL GIORNALE - AGOSTO 2000)

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