mercoledì 27 febbraio 2019

SALVINI E DI MAIO: I CAMPIONI DELLA DEMAGOGIA DESTINATI A RESTARE INSIEME

Da sinistra, i due vicepremier: Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Se è vero che tutti i Paesi (chi più, chi meno) sono sensibili alla demagogia politica, va detto che l'Italia manifesta da sempre un'ipersensibilità. Bastano un po' di promesse fatte a cappella sotto elezioni, e noi ci caschiamo. Anche se sono promesse che palesemente non si possono mantenere. Perché se non ci sono le coperture finanziarie, che cosa mai puoi promettere? Solo balle spaziali, per dirla con Mel Brooks.

Le due forze politiche dominanti (Lega e Movimento 5 Stelle), approfittando anche del momento di crisi che viviamo, si sono distinte per un uso generoso e sapiente della demagogia. Però, alla prova del Governo, Matteo Salvini si è rivelato un fuoriclasse in materia, anche grazie all'impiego massiccio e strategico dei social, oscurando Luigi Di Maio, che secondo me tra non molto dovrà cedere il passo ad Alessandro Di Battista, teatralmente molto più performante. Inoltre, il terreno di gioco demagogico scelto da Salvini (la cacciata dei migranti) è molto più facile perché non comporta aggravio di spesa. Quello sul quale si muove Di Maio (il Reddito di cittadinanza e altre questioni che prevedono l'impiego di denaro) è una strada tutta in salita. Perché il denaro non c'è. Inoltre, il M5S ha tradito e sta iniziando a tradire via via molte delle promesse di purezza iniziali. Meno MoVimento e più partito. Doveva succedere, prima o poi. In questo quadro abbiamo assistito negli ultimi mesi a una crescita costante della Lega, che rassicura facendo la voce grossa e chiudendo i porti, e a una progressiva, naturale perdita di consensi dei pentastellati. Il risultato sardo è frutto di questo, per quanto il voto locale non faccia sempre così testo. 

Non credo che Salvini menta quando dice che resterà con i 5 Stelle, anche se cadenti: primo perché se all'inizio tra loro se la giocavano alla pari, ora lui è il dominus della situazione. Li tiene in pugno. Secondo, perché se si rimettesse con Silvio Berlusconi, quest'ultimo vorrebbe avere più voce in capitolo su parecchie questioni, come ha sempre fatto. I Five Stars sono l'alleato più comodo che si possa avere, in questo momento di debolezza.
Sullo sfondo il solito Pd litigioso sottotraccia (e a volte anche sopra), pieno di primedonne, che se non si affretta a trovare un leader forte e credibile archiviando per sempre il Matteo Renzi che non se ne vuole andare, rischia di perdere per sempre il capitale elettorale del Centrosinistra. Obiettivo in gran parte già raggiunto.

lunedì 25 febbraio 2019

«OSCAR» SENZA ORECCHIE * TORPEDINE CONTRO ZUCCHERO * NON PERDERE «HOMECOMING»

«Polvere di stelle» - Rami Malek, Oscar come miglior attore per «Bohemian Rhapsody».
Francesco Castelnuovo.
Le grandi assenti alla Notte degli Oscar (super-duetto Lady Gaga-Bradley Cooper, e una pioggia di statuette a Rami Malek-Freddie Mercury e a «Bohemian Rhapsody», anche se come miglior film è stato premiato «Green Book») sono state le orecchie del simpatico Francesco Castelnuovo, commentatore dello speciale di Sky insieme con il critico Gianni Canova. Castelnuovo avrebbe da anni un vezzo da messa in onda molto noto fra le truccatrici della piattaforma di Murdoch. Una sorta di «Di me si veda tutto, tranne le orecchie», che vanno sempre (o quasi) coperte da abbondanti capelli. Anche se si cerca on-line, è difficilissimo trovare foto di Francesco con le protuberanze (che non paiono neppure così pronunciate) in bella mostra. Ma tant'è. Se le trovate, è un Gronchi rosa.

Zucchero Fornaciari.
Lo storico impresario Michele Torpedine, intervistato dal Giornale, coglie la palla al balzo per scatenarsi su Zucchero, un tempo della sua scuderia: «Sono anni che racconta bugie. Lui è stato uno dei motivi per cui ho fatto questo libro. Racconta episodi dove al posto mio con Pavarotti in America c’era lui. Oppure racconta che Joe Cocker è rimasto ammaliato dalla sua voce... E i soldi che ho speso io, non se li ricorda più? Allora il problema è che tutti possono anche far finta di non ricordare una cosa, ma così è impossibile. Tutti i duetti pagati senza mai ricevere un grazie. Una volta ti può anche sfuggire per sbaglio un ringraziamento, ma non puoi tutta la vita raccontare che i grandi artisti sono arrivati perché sentivano questa voce meravigliosa. Va bene Sinatra, Tony Bennett o Pavarotti, ma non credo che per una voce normale soul impazzisca qualcuno».

Adriano Celentano.
Alla fine di tutta la vicenda «Adrian» aleggia nell'aria solo un'inquietante domanda: perché Adriano Celentano ha voluto chiudere (perché immagino di questo si tratti) con un ostinato flop una pur straordinaria carriera?

Ivano Fossati.
Intervistato da Repubblica, Ivano Fossati spiega perché ha vietato che il suo nome venisse citato nella fiction «Io sono Mia», interpretata da Serena Rossi e dedicata a Mia Martini. «Il motivo serio che mi ha spinto a prendere questa decisione - dice Fossati - è che mi dispiace ma non metto a disposizione di un film la mia vita privata, magari anche con inevitabili inesattezze. Diciamo che non mi piace cedere pezzi della mia esistenza per farne tv».

Julia Roberts in «Homecoming».
Sul versante delle serie tv, mentre «Blacklist» (Sky) è diventata ormai inguardabile, segnalo l'estrema dignità e i buoni snodi nella trama della seconda stagione di «Suburra» (Netflix), dove lo zingaro Spadino e i suoi amici delinquenti si muovono sullo sfondo di una Roma politicamente corrotta, Vaticano compreso. Ci sono alcune necessarie ingenuità, ma il prodotto si lascia vedere. Attenzione anche ad Amazon Prime Video, dove svetta «Homecoming». È la strana storia di Julia Roberts, psicologa in un'unità segreta che cura con psicoterapia e farmaci sperimentali soldati con sindrome da stress post-traumatico. Anni dopo parte per caso un'indagine, ed emergono molte stranezze. Sviluppata su due piani temporali distinti da due diversi formati in broadcasting (la cosa più bizzarra è che il presente sembra passato), è un piccolo gioiello da vedere.

Gazebo.
Paul Mazzolini, in arte Gazebo (ricordate «Masterpiece» e «I like Chopin»?), ospite di un incontro organizzato dal quotidiano La Stampa, racconta di Luisa Ferrero, infermiera di Gassino, con il figlio di 17 anni battezzato Paul, in suo onore. «Una mia fan affezionatissima» spiega Mazzolini. «Quando nacque suo figlio mi telefonò suo marito, pregandomi di convincerla: voleva assolutamente chiamarlo Gazebo». Difficile non dare ragione al babbo: se ti nasce un figlio è una cosa che già ti spiazza. Se poi lo chiami anche gazebo, diventa un casino.

venerdì 22 febbraio 2019

MATTHEW LEE A MILANO * PIANO E VOCE ANNI 50, «MA IN CHIAVE ATTUALE»

Matthew Lee, l'artista italiano del pianoforte.
Reduce dal grande successo della sua tournée mondiale, arriva al Teatro Delfino di Milano Matthew Lee, il fenomeno italiano del rock’n’roll.
Dall’1 al 3 marzo salirà sul palco milanese con la nuova versione di Piano Man Live dove Matthew eseguirà le canzoni tratte dal suo ultimo omonimo album, uscito lo scorso anno per Decca-Universal, arricchito da nuove canzoni arrangiate esclusivamente per questo tour. Sul palcoscenico, accanto a lui, suoneranno Frank Carrera alla chitarra, Alessandro Infusini al basso elettrico e Matteo Pierpaoli alla batteria.

Lo spettacolo è un viaggio nel mondo musicale di Matthew, dove tecnica ed anima si fondono in maniera straordinaria, creando un inconsueto mix di divertimento e di emozione al centro del quale ci sono pianoforte e voce. Nello spettacolo convivono la musica classica, il pop, il rock, il soul, lo swing, il country, il blues, la melodia, la canzone d’autore e altro ancora.
Matthew Lee.
MATTHEW LEE
Da piccolo studia pianoforte presso il conservatorio G. Rossini di Pesaro dove viene radiato all’ottavo
anno per incompatibilità del suo stile “esuberante” con gli studi classici. Si avvicina al rock’n’roll ascoltando i dischi di Elvis Presley iniziando la sua carriera “live” sin da giovanissimo in importanti e famosi club italiani. Dopo aver percorso l'Italia comincia la sua attività dal vivo in Europa: si susseguono concerti in Inghilterra, Olanda, Germania, Francia, Svizzera, Slovenia, Belgio fino al 2010, quando debutta negli Stati Uniti.
Nel 2014 esce l’album “D’ALTRI TEMPI”, quello che Matthew Lee ritiene il suo primo “vero” lavoro discografico, che suscita da subito grande interesse fra gli addetti ai lavori tanto da regalargli la definizione de “Il nuovo fenomeno italiano del rock&roll”.
La sua passione e il suo amore per la musica portano Matthew a non resistere alla tentazione di
suonare ogni qual volta s’imbatte in un pianoforte regalando ai passanti esibizioni su palcoscenici
improvvisati fra cui merita una menzione speciale quella all'aeroporto di Brusseles Charleroi dove la
sua performance viene ripresa e pubblicata da importanti testate on-line tanto che la direzione stessa decide di nominarlo “Ambasciatore dell'Aeroporto”.
Nel 2017 anche la tv si interessa a lui ed è ospite, fra gli altri, di Gigi Proietti e Fiorello. Matthew Lee oggi è considerato fra i principali protagonisti di uno dei trend internazionali di maggior appeal: il rilancio delle atmosfere anni ’50, però rivisto in una chiave attuale, come lui sostiene «non un’operazione nostalgia, ma qualcosa che spero possa essere percepito come una novità».

giovedì 21 febbraio 2019

DRUPI SU «OGGI»: «CHE VERGOGNA: ORA SONO DIVENTATI TUTTI AMICI DI MIA MARTINI»

Da sinistra, Drupi oggi e Mia Martini negli anni del successo.
Sul numero di «Oggi» in edicola (in copertina la duchessa di Windsor, Meghan Markle) intervisto Drupi.
Il cantante pavese, all'anagrafe Giampiero Anelli, si scaglia contro i troppi personaggi saliti, a suo dire fintamente, sul carro della riabilitazione di Mia Martini, la popolare interprete uccisa dalle calunnie del mondo dello spettacolo. 
Il tutto a seguito di «Io sono Mia», la fiction di Raiuno interpretata dalla brava Serena Rossi, che ha raccontato la storia e le traversie di Mimì.
Drupi è un insospettabile sia perché difese l'amica in tempi in cui farlo era quantomeno scomodo, sia perché a lei (per una casualità) deve l'inizio del suo successo, quando debuttò a Sanremo con «Vado via».
Tutto questo (e molto altro) su «Oggi», il settimanale che va al cuore dell'attualità, e dell'attualità dello spettacolo.

mercoledì 20 febbraio 2019

TV * UNA COMPONENTE DEL CAMPIONE SEGRETO SVELA TUTTI I SEGRETI DELL'AUDITEL

Una famiglia riunita davanti al televisore.
«Lo vede questo? È la mia arma».
Mi accoglie così, Anna, aprendo la porta di casa mentre sogghignando brandisce uno strano telecomando, composto solo da due colonne di numeri e lettere separate da striscioline bianche.
È il telecomando Auditel, la Bestia Nera di tutti coloro che fanno televisione, e che ogni mattina alle 10 si trovano sulla scrivania i dati d’ascolto del giorno precedente. Star della Tv, dirigenti, pubblicitari, spettatori stessi; nessuno è immune dal giudizio delle tante Anna che ogni giorno alzano o abbassano il pollice facendo le loro scelte sedute sul divano.
Sono 16.200 le famiglie italiane, teoricamente «segrete», che ospitano le apparecchiature fornite da Nielsen, società che effettua le rilevazioni per conto di Auditel. «Oggi» ne ha scovata una con l’intento di raccontarvi, in modo neutrale e con alcune foto illustrative scattate sul posto, le sue abitudini. Ma anche per capire se questo strumento, che ogni giorno fa discutere e scannare su ogni mezzo punto di share commentatori e addetti ai lavori, sia davvero infallibile.
Anna (il nome è di fantasia, per tutelare la fonte) ha più di 40 anni, fa l’impiegata e vive in una grande città. Ha un figlio, Luigi (come sopra) che vive con lei e che ha più di 16 anni. Il nostro viaggio inizia da qui.

Signora, da quanto tempo fa parte del campione Auditel?
«Circa tre anni».

Li ha cercati lei o l’hanno reclutata loro?
«Curiosando in un gruppo nel quale erano iscritti alcuni amici scoprii che stavano allargando il campione, diedi la mia disponibilità, ed eccomi qui».

Fino a quando ne farà parte?
«Finché non comunicherò la mia decisione di uscirne».

Credevo ci fosse un periodico ricambio…
«Non so, non credo. Ma se ci sarà ne prenderò atto».

Parlando con me sa di commettere una violazione?
«Immagino di sì. La segretezza ha una sua logica: il campione non si deve conoscere perché non deve essere sottoposto a potenziali condizionamenti esterni. Devo anche dirle però che quando mi hanno installato gli apparecchi nessuno mi ha parlato di mantenere il segreto. Forse lo davano per scontato».

Come funziona Auditel a casa sua?
«Ho un telecomando, due scatolette piazzate dietro il televisore (una rileva in automatico i dati della giornata e l’altra li trasmette di notte), e una striscia led posizionata sopra il televisore. Accendo prima il telecomando Auditel, sulla striscia passa un messaggio di benvenuto e mi si chiede di digitare chi è presente davanti alla Tv. Solo questo. Poi prendo il normale telecomando Sky e da lì cambio canale come tutti».

Quindi lo zapping viene registrato in automatico. L’azione manuale è comunicare il numero e l’età di chi guarda.
«Sì, tenga presente però che io e mio figlio abbiamo un profilo già memorizzato nel sistema».

Si ricorda sempre di comunicarlo?
«Impossibile non farlo: se non immetto un dato entro due minuti, parte un fastidioso segnale sonoro, tipo cintura di sicurezza non allacciata, che non smette finché non l’ho fatto. Quando ci sono ospiti in casa o se mio figlio guarda e poi si assenta, ecco, quello spesso mi dimentico di segnalarlo».

Le spiacerebbe se le togliessero questo strumento?
«Sì, perché credo al suo valore civico. Credo che possa servire a migliorare la qualità, molto bassa, della Tv attuale. Oggi si ha l’impressione che il voto conti poco. A volte questo telecomando, sembra assurdo, mi dà la sensazione di essere utile al Paese più che con il mio voto».

Che cosa le piace guardare abitualmente e che cosa non sopporta?
«Vedo Tg5 e Tg1. Poi faccio scorpacciate di Techetechetè, un recupero intelligente e mai volgare degli archivi Rai. Guardo Fazio, mi annoiano i programmi usurati che vanno avanti da una vita, e credo che un po’ anche X-Factor lo sia: sempre gli stessi cliché. E poi detesto quelli del pomeriggio o del mattino di Canale 5. Andrebbero vietati o modificati: sono fortemente diseducativi».

Le capita mai di lasciare acceso il televisore senza guardare o ascoltare, mentre fa tutt’altro?
«Mi capita, sì. Quando cucino o faccio altri lavori in casa. Credo sia abbastanza normale per chiunque. Se mi ricordo, però, cerco di “regalare” audience a programmi di qualità».

Le è mai capitato di cercare di “fregare” la macchinetta in altri modi?
«A volte. Per esempio sono uscita a cena lasciando acceso il televisore sul programma di Mika, su Raidue. Non stava andando benissimo e mi sembrava decisamente di qualità. Volevo aiutarlo. La stessa cosa ho fatto un’altra volta quando da Fazio c’era ospite il mio idolo assoluto, Marco Mengoni, e io dovevo per forza uscire».

Taroccature dovute a gusto personale. Audience regalata, a suo avviso, a fin di bene. E azioni punitive?
«In occasione dell’ultimo Sanremo, quando scoppiò il caso della canzone di Ermal Meta, che sembrava fosse stata copiata: cambiavo canale ogni volta che appariva lui. Volevo dare un segnale preciso alla Rai perché puntavo alla sua eliminazione».

I suoi cinque personaggi preferiti della tv italiana.
«Fiorello, Fabio Fazio, Federica Sciarelli (non perdo una puntata di Chi l’ha visto?), Lilli Gruber e Alessandro Cattelan».

I cinque che trova invece insopportabili.
«Federica Panicucci, Alessia Marcuzzi, Barbara D'Urso, Filippo Bisciglia e Ilary Blasi. Alcuni più che altro per i programmi che fanno».

Avete un altro televisore oltre a questo in soggiorno?
«Anche in camera di mio figlio c’è il meter. Che io sappia registra tutto, anche se sta guardando il canale ausiliario con Internet, Netflix, Playstation o Xbox».

Vengono tecnici Nielsen per controllare le apparecchiature?
«Almeno due-tre volte l’anno, salvo anomalie eccezionali, e sembrano scrupolosi. Di solito sono sempre le stesse persone, trafficano un po’, forse installano anche aggiornamenti».

Per questa sua prestazione d’opera, chiamiamola così, riceve un compenso?
«Ogni anno, in corrispondenza della prima data d’iscrizione, su un catalogo di circa 60 oggetti, posso scegliere un regalo, tipo punti Esselunga, che mi viene recapitato a casa. In genere si tratta di piccoli elettrodomestici».

Le pesa fornire questo servizio?
«Non particolarmente, e diventa routine. Poi prevale la percezione che ho di fare qualcosa di buono, di utile».

E se va in ferie?
«Devo comunicare i giorni di assenza chiamando un numero verde o mandando un’e-mail».

(DAL SETTIMANALE «OGGI» - SETTEMBRE 2018)


LA RISPOSTA DI AUDITEL A CIO' CHE EMERSO DALL'INTERVISTA
Il campione Auditel è composto da 16.200 famiglie (pari a 30.540 rilevatori meter), sparse su 2.225 comuni italiani e rappresentative delle scelte di 40.000 persone. Le azioni e le abitudini d’ascolto della signora «Anna» consentono di evidenziare tre comportamenti (alcuni all’apparenza comuni) che, se replicati su scala più ampia, in qualche modo falserebbero i dati.

Ecco come risponde Auditel: «Il sistema italiano per la rilevazione degli ascolti si basa su un standard impiegato in tutti i Paesi evoluti. Si applicano due protocolli di “Controllo Qualità". Nel caso 1, (televisore rimasto acceso durante altre attività domestiche) e nel caso 3 (televisore lasciato acceso anche quando si esce di casa) viene applicato un protocollo che si chiama “Constant Viewing” . Il protocollo prevede che il meter possa rilevare puntualmente (secondo per secondo) anche l’attività svolta dalla famiglia sul telecomando. Nel caso di prolungata inattività o non collaborazione della famiglia per più di tre ore consecutive, non solo l’ascolto delle ore in questione ma l’intero ascolto della giornata di quella famiglia viene scartato dalla produzione. Ovviamente si tratta di una "convenzione” (le tre ore) che tuttavia interviene per eccesso (ossia in maniera più stringente sui dati rilevati) proprio per fornire un dato semmai più basso ma non alterato.

Quanto invece al caso 2 (aggiornamento degli ospiti o dei componenti non fedele) lo standard internazionale adottato da Auditel prevede un protocollo di validazione denominato “Indagine Coincidenziale”. Si telefona quotidianamente senza preavviso a un numero di famiglie ritenuto significativo, si chiede che cosa stanno vedendo in quel preciso momento e con quanti membri del panel presenti. Poi, il giorno successivo, si confrontano le risposte date durante l’intervista con i dati raccolti dal meter e si verifica il livello di corrispondenza. Sulla base di test svolti in Italia ma anche a livello internazionale, non è possibile che eventuali comportamenti come quelli descritti dalla signora possano influenzare i dati».


martedì 19 febbraio 2019

ZUCCHERO NON COPIO' ALBERT ONE: È LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO

Da sinistra, Zucchero e il dj pavese Albert One.
Nel 2014 il Dj pavese Albert One trascinava in tribunale Zucchero con l'accusa di presunto plagio di un suo brano di qualche anno prima, «Sunshine», nel quale ravvisava parecchie somiglianze con «Quale senso abbiamo noi», del cantautore di Roncocesi.
Arriva ora, dopo anni, notizia di come si sia chiuso l'iter processuale.

Nel marzo 2018 la vicenda, attraverso la sentenza n°6509 del Tribunale di Milano, si è risolta con la completa assoluzione di Zucchero, Tricarico (coautore del testo del brano) e della casa discografica Universal Music Group
In particolare il Consulente Tecnico d'Ufficio ha concluso «affermando l’insussistenza del requisito dell’originalità dell’opera musicale, trattandosi di un frammento del tutto comune e ampiamente sfruttato in ogni genere e ambito musicale». 

Il Tribunale di Milano, pertanto, ha ritenuto «non tutelabile il breve nucleo melodico, in quanto banale e diffusissimo (tanto da essere utilizzato anche da compositori classici oltremodo risalenti), risultando pertanto privo di effettiva originalità» e rigettando «la domanda attorea per la carenza di originalità del ritornello di cui si è lamentato il plagio e per la presenza di sostanziali differenze tra i due brani, in particolare, della componente armonica».

lunedì 18 febbraio 2019

ERMAFRODITO CON «D DI DONNE», CONTRO LA VIOLENZA FISICA E VERBALE DI GENERE

Francesca Giuliano, che partecipa al progetto «D di Donne».
Dalla bimba Ludovica di 6 anni a Nonna Nicoletta, 8 Donne romane che rappresentano le varie generazioni femminili si
La cover di «D di Donne».
uniscono per denunciare violenze e discriminazioni, verbali, fisiche e di genere. «Il  linguaggio universale della musica ha la forza di trasmettere con immediatezza il messaggio di tolleranza» così dichiara l'artista androgino Ermafrodito, interprete di "D Di Donne", che ha deciso di non mostrare il suo volto, ma di sfogare con la sua creatività la depressione in cui riversa da 8 anni a causa di offese ed emarginazione che ha subito e subisce per la sua natura che
Letizia Arcudi.
definisce semplicemente 'biumana': "In ognuno di noi coesistono un lato maschile ed uno femminile più o meno accentuati che delineano la nostra fisicità e la nostra sensibilità: chi può affermare che nei gesti del linguaggio del corpo o nella voce o nel modo di pensare questa affermazione non lo riguardi affatto? Accettarsi è il primo passo per rispettare gli altri: siamo tutti Ermafrodito". 


Le altre protagoniste del progetto "D Di Donne" sono Federica Lombardozzi Mattei mamma e blogger letteraria, Letizia Arcudi ballerina e
Martina Cassetti.
coreografa, Martina Cassetti studente e cosplayer, la cantautrice Nicole Riso (autrice di "Donna Roma"), Michela
Cozzolino
manager e Francesca Giuliano la ragazza anni '50 di "Avanti un altro" di Paolo Bonolis, modella curvy spesso bullizzata con parole offensive come "grassona, cicciona" per il suo corpo prosperoso.


L'EGO FERITO DI FEDEZ * MEDIASET CORRE AI RIPARI * FLAVIA VENTO CONTRO CELENTANO

«Polvere di stelle» - Dopo le critiche a «Paranoia Airlines» Fedez si ritira per un po'.
In America ci sono i rapper duri e puri, mezzi gangster e con la pistola sotto il cuscino. Da noi, si sa, è tutto più addomesticato. Teniamo famiglia. Qui il rapper ha il cuore di panna e può avere anche la mamma che fa da manager. Ci stato tutto. Siamo pur sempre italiani.
Anche per questo (ma non solo) non mi ha stupito molto l'annuncio di Fedez, che dopo le pressoché unanimi stroncature al suo ultimo album, «Paranoia Airlines», ha annunciato di volersi ritirare per un po' dalle scene. Per quanto? Non si sa. Certo, si è appena sposato con Chiara Ferragni e ha da poco avuto un bambino. C'è il mondo Ferragnez da mandare avanti. Vorrà dedicarsi alla famiglia, si dirà. Ma non è questo, secondo me, il motivo. Federico è un ragazzo sensibile, e i tanti machete caduti dalla critica (e non solo) sul suo lavoro devono avergli fatto parecchio male. I social sono utili per tanti versi, ma anche una trappola mortale. Se ti metti per settimane a giudicare tutti a «X-factor» con piglio professorale, e poi il tuo disco finisce pesantemente nel tritacarne, l'ego ne risente. Probabilmente lui non lo ammetterà mai, ma credo sia questo il motivo del ritiro (temporaneo?) dalle scene.


Barbara D'Urso e il selfie con Silvio Berlusconi.
A Mediaset devono gestire contemporaneamente la grave situazione dell'intrattenimento, dove si inanellano flop (anche se l'ultima puntata dell'Isola dei famosi è passata dal drammatico 13% circa di share al più rassicurante 18%), e anche quella dell'infotainment, che zoppica. Marco Ferrante è appena stato nominato vice di Mauro Crippa, direttore generale dell'informazione del Biscione, ma i fronti aperti sono tanti: da Celentano al nuovo serale dell'efficace Barbara D'Urso, «Live  Non è la D'Urso» (il titolo chi l'ha partorito?) la cui partenza è slittata a metà marzo.
Lo show dovrebbe anche traghettare Silvio Berlusconi e la compagine di Forza Italia sino alle Elezioni Europee di maggio. Inizialmente, stando alle mie fonti, il Patriarca avrebbe dovuto uscire allo scoperto in promozione diretta solo verso la fine, invece i recenti sondaggi l'avrebbero indotto a sedersi già due volte negli ultimi giorni sulla poltrona della sua conduttrice preferita, prima dell'inizio del serale. Del resto sono anche emersi temi politici caldi da affrontare, e il ferro va battuto.
Il tweet di Flavia vento contro Celetano
Questa è la seconda (e ultima) settimana di sospensione per Adriano Celentano e il suo floppato «Adrian». Ufficialmente per malanni stagionali del «molle agiato», ma pochi ci credono. Anche perché uno show al quale di fatto partecipi poco o niente, lo puoi realizzare anche da casa con l'influenza. In attesa del ritorno in onda per chiudere la partita, sui social si registra la vibrante presa di posizione dell'opinionista Flavia Vento, che su Twitter al signore di Galbiate non le manda certo a dire. Lo screenshot parla chiaro. E se ti stronca anche Flavia Vento, due domande fattele. Dalle ultime indiscrezioni, pare che Mediaset abbia deciso di sospendere definitivamente lo show per portarlo a chiusura forse in autunno, ma non si ancora con quali modalità, a che ora e su quale rete.
Sean Penn in «The First» ed Eric Bana in «Dirty John».
Tra le serie tv degne di nota appena uscite, mi piace segnalarvi «The First» (TimVision), storia psicologicamente tesa di un gruppo di astronauti della Nasa che programma il primo lancio verso Marte, con l'ottimo Sean Penn a tenere le fila, e su Netflix «Dirty John». Il protagonista della stroria vera è Eric Bana, nei panni di un truffatore-stalker-mentitore seriale che sposa una donna ricca e piacente che rimane in qualche modo plagiata da lui. Giusto per sgranchirvi gli occhi in vista della portata principale di Sky, che il 29 marzo scodella la quarta stagione di «Gomorra» e il 10 aprile la stagione finale de «Il trono di spade».


domenica 17 febbraio 2019

GIUCAS CASELLA SU «OGGI»: LA FENOMENOLOGIA DEL «GRAN FIGLIO DI PARAGNOSTA»

Giucas Casella ai tempi dell'Isola dei famosi.
«Paragnosta, gran figlio di paragnosta». Così lo chiamava Gigi Sabani, e lui all'inizio la visse male, malissimo. Poi se ne fece una ragione.
Sul numero di «Oggi» in edicola (in copertina Antonella Clerici) intervisto Giucas Casella, che autodefinisce «il più grande mentalista di tutti i tempi».
La carrellata di Vip che negli anni l'uomo delle camminate sui carboni ardenti ha tele-ipnotizzato va da Dario Argento a Orietta Berti, passando per Simona ventura, Mara Venier, Francesca Cipriani, i Pooh, Ciriaco De Mita, e mille altri. Con qualche rifiuto illustre, che il nostro racconta nell'intervista, insieme con molti aneddoti di una carriera iniziata a «Domenica in» nel 1979.
Giucas dalla A alla Z, insomma.
Sullo stesso numero del settimanale, che va al cuore dell'attualità e dell'attualità dello spettacolo, do spazio anche alle voci di Laura Pausini e Biagio Antonacci, che stanno per partire con il loro tour «Stadi 2019». È la prima volta che una coppia mista affronta i campi di calcio con una tournée sotto il segno della grandeur.


mercoledì 13 febbraio 2019

LA SALA STAMPA DI SANREMO: «SCUSATECI, MA RISPETTATE ANCHE LA NOSTRA PRIVACY»

La sala stampa del Festival di Sanremo, piena di giornalisti.
Quando i giornalisti fanno notizia. È successo all'ultimo Sanremo, finito sabato scorso in un mare di polemiche sia per l'uscita infelice di Ultimo, il favorito finito secondo, che ha attaccato la sala stampa del Festival, sia per alcune (altrettanto infelici) esternazioni di alcuni colleghi che hanno apostrofato in termini offensivi quelli de Il Volo piazzatisi terzi nella gara vinta da Mahmood. La storia è nota a chi ha seguito l'evento e non è certo edificante per la categoria.
Oggi un gruppo di colleghi che di quell'enorme sala stampa faceva parte ha diffuso attraverso i social un comunicato per scusarsi e fare alcune puntualizzazioni. Ecco qui sotto il testo.
Scuse in parte dovute, si dirà. Ed è vero. Al netto del rilievo che in questo mondo ormai iper social-izzato diventa difficile (impossibile?) fermare l'ondata di condivisione, che è diventata prassi e ossessione. E la verità, in fondo, anche se fa male, resta sempre la verità. Che chi fa il nostro mestiere è/sarebbe obbligato a onorare.
Peccato che moltissimi nella sala stampa dell'Ariston, invece, abbiano in gran parte glissato, come fa rilevare il collega Gigio Rancilio di Avvenire in questo bel post su Facebook, sulla questione Baglioni-Salzano, che era la vera notizia di quest'edizione. Una storia forse scomoda per i rapporti di molti che in questo mondo vivono. Ma scusarsi anche per questo non credo che in tanti sarebbero stati disposti a farlo.

martedì 12 febbraio 2019

ARRIVA LA VOCE «ARCOBALENO» DI CHARLOTTE FERRADINI

Un'espressione intensa Charlotte Ferradini.
Intensa, emozionante, affascinante. Tre parole che ben racchiudono l'essenza di Charlotte Ferradini e di “Arcobaleno”, il suo nuovo singolo in uscita il 22 febbraio per Ondesonore Records di Francesco Altobelli con la coproduzione di Valentino Forte.

Sia la musica che le parole portano la firma della cantautrice, che ha poi arrangiato il brano insieme al padre Marco Ferradini e a Valerio Gaffurini al Cromo Studio di Brescia.

“Arcobaleno è un brano che parla di quel fenomeno tanto diffuso ma spesso taciuto che è l'inquinamento emozionale” - spiega Charlotte - “A volte ci alziamo con la luna storta e magari trattiamo male una persona che non ci ha fatto nulla. Quest'ultima si sentirà aggredita e magari a sua volta si sfogherà su un'altra 'vittima innocente'. Si crea insomma una sorta di circolo vizioso che genera un ambiente emotivamente inquinato. Ecco perché il leit motiv sul perdono: abbiamo tutti qualcosa da perdonarci”.
La copertina di «Arcobaleno».
Il singolo è accompagnato da un videoclip di grande atmosfera, diretto da Namas.

“Arcobaleno” è frutto del talento di Charlotte, affinato in anni di lunga gavetta che comprendono prestigiosi progetti come la collaborazione con Bungaro, autore di fama nazionale e internazionale, con il quale ha composto diversi brani tra cui “Martarossa”, canzone che l’ha vista trionfare al Premio Bianca d’Aponte nel 2012.

Tra le varie esperienze, Charlotte ha anche partecipato in qualità di interprete al doppio album del padre, “La mia generazione: Marco Ferradini canta Herbert Pagani”, accanto ad importanti artisti come Ron, Eugenio Finardi, Alberto Fortis, Fabio Concato, Eugenio Finardi, Moni Ovadia.

TRANQUILLI, IL FESTIVAL DI SANREMO SVANISCE COMPLETAMENTE DOPO L'USO

Un'immagine del Teatro Ariston di Sanremo con la scenografia della 69' edizione.
Il Festival di Sanremo è come l'inchiostro simpatico.
È quella cosa di cui non si sente la necessità per un anno intero. Silenzio assoluto e disinteresse.
Se ne parla troppo, e spesso a sproposito, per una settimana intera, cioè quando va in onda, come se non esistesse altro al mondo in un Paese che due problemucci, diciamolo, li ha; poi (due-tre giorni dopo la finale) sparisce. Meglio, svanisce completamente, come se manco fosse stato trasmesso. Se provi a chiedere a chiunque, fra una settimana, chi c'era su quel podio (aggiungo: addetti ai lavori compresi), a malapena ricordano il vincitore, figurarsi secondo e terzo piazzamento.
Altroché sangue di San Gennaro: Sanremo è il miracolo più grande e imponderabile di quest'Italia eternamente provinciale.

lunedì 11 febbraio 2019

ROVAZZI: «FAREI X-FACTOR PRENDENDOMI INSULTI» * LA SATIRA WEB SU SANREMO 2019

«Polvere di stelle». Fabio Rovazzi farebbe il giudice del talent di Sky consapevole dei rischi.
Vive in un monolocale a Milano, ma sta per trasferirsi in un appartamento di 100 metri quadrati, Fabio Rovazzi. Ospite dell'ultimo Sanremo, ha punti di riferimento di spettacolo ben definiti, come Elio e le Storie tese, Fiorello, Frank Zappa e il produttore Calvin Harris. Alla domanda di Libero: faresti il giudice a «X-Factor»?, risponde con sincerità: «Non penso di essere all’altezza di chi lo ha fatto fino ad oggi, ma sì, lo farei, e sarei consapevole di dover incassare un bel po’ di insulti».
La foto polemica pubblicata da Gloria Guida su Instagram.
In tutto questo bailamme polemico, Mahmood, Ultimo e Il Volo a parte, resta il fatto che il Festival di Sanremo ha dimenticato di celebrare (o ricordare) Johnny Dorelli. E la moglie Gloria Guida non ha mancato di rimarcarlo con questa foto su Instagram accompagnata da un commento amaro. A seguire una risposta nella quale rilevava quanto i premi sia bello goderseli da vivi, invece delle celebrazioni post mortem. Che in effetti all'interessato arrivano pochino.

Fabio de Luigi.
Rassicurante, popolare, bonario, romantico, problematico, Fabio De Luigi (nelle sale con «10 giorni senza mamma») sta lentamente prendendo il posto che fu di Leonardo Pieraccioni nel cinema di commedia con venature sentimentali, che acchiappa il pubblico di coppia a trazione femminile. Il secondo sforna soltanto a Natale; il primo è in azione tutto l'anno, a cadenze diverse. Ma il cliché, tutto sommato, è lo stesso.


Carlo Faricciotti.
Bel colpo per Carlo Faricciotti. 49 anni, milanese, il giornalista (collaboratore di Novella 2000) è diventato direttore del settimanale Visto Tv. Finalmente un po' di movimento nel settore del giornalismo leggero. Faricciotti scrive di facezie, come tutti noi, ma ha nel cassetto una ponderosa laurea in Filosofia.


Morgan.
Intervistato da Libero, Morgan ironico va a ruota libera sulla politica: «No, cosa significa votare Salvini? Mica fa i talent show. Per me il concetto di voto è il televoto. Anzi, lancio l’idea di fare il televoto per la politica. Vedrei una serata finale dove ci sono Berlusconi, Grillo, Sgarbi e Salvini. Ovviamente Salvini con il tipico imbarazzo di chi dice: sono in mezzo a degli artisti. Per me vincerebbe Sgarbi perché quanto a retorica ci sa fare e piace più alle donne. Ma forse li voterei tutti, anzi sa cosa farei? Ricostruirei il pentapartito, fatto da loro però».

A seguire, e per gradire, un po' della fiorente satira apparsa sui social e sul web a proposito del Sanremo che si è appena concluso, fra Claudio Baglioni, co-conduttori, concorrenti e ospiti.













domenica 10 febbraio 2019

MAHMOOD HA VINTO (A SORPRESA) IL SANREMO CHE BAGLIONI NON DOVEVA RIFARE

Il vincitore del Festival, Mahmood e il direttore artistico Claudio Baglioni.
L'imprevisto podio dell'ultimo Sanremo (Mahmood, Ultimo e Il Volo) sembra spazzare via in un colpo decenni di Festival. Un cambio generazionale non comune che mette tanti artisti habitué dell'Ariston virtualmente in naftalina.
A voler essere maliziosi si potrebbe rilevare che, guarda caso, ha vinto un cantante Universal (uno che non fa parte della ricca scuderia festivaliera F&P di Ferdinando Salzano), allontanando così possibili, ulteriori polemiche di «Striscia la notizia», che sull'ipotetico conflitto d'interessi baglioniano quest'anno ha picchiato come fanno i fabbri sull'incudine. Facendo né più né meno il suo lavoro, intendiamoci.

E a voler essere ancora più maliziosi si potrebbe far notare anche che casualmente ha vinto un ragazzo nato a Milano nel 1992 da madre sarda e padre egiziano. Con nome e tratti somatici che paiono un inno al meticciato. Un dispettuccio a Matteo Salvini, dal quale si attendono tweet. Saranno sicuramente casualità, ma tant'è. A volte tocca essere didascalici.

Il pezzo di Mahmood a mio avviso era ordinaria amministrazione. Meglio strutturata la canzone del vincitore annunciato Ultimo, che nella conferenza stampa finale, nottetempo, scornato per aver perso, l'ha fatta fuori dal vaso scagliandosi contro quei cattivoni dei giornalisti, non si capisce bene per quale motivo. Più sportivi i ragazzi de Il Volo, i quali con la loro imbarazzante «Musica che resta» (sugli scaffali) devono ringraziare parecchie divinità pagane se sono riusciti a piazzarsi in terza posizione. Ma in fondo sono un'operazione commerciale internazionale, e va bene così.

Veniamo a Baglioni e allo show.  Claudio ha violato, consapevolmente e stupendo tutti, una regola non scritta dello spettacolo: non si rifà il Sanremo perfetto. Lo scorso anno riuscì a portarlo a casa, e stavolta ci è ricascato. Non entro nel merito delle ragioni (economiche? Amicali? Artistiche?), ma da uno che ha mezzo secolo di showbiz alle spalle una toppata così non te l'aspetti. Le polemiche sono fioccate, gli ascolti ne hanno lievemente risentito (a proposito, la serata finale ha chiuso con 10.622.000 spettatori e il 56,5% di share; lo scorso anno furono 12.100.000 con il 58,3%), e lui stesso, insieme con Claudio Bisio e Virginia Raffaele, ha finito col ritrovarsi spiazzato, mogio, nervoso, tirato come una corda di violino. La serata del debutto, tra freddezza, scarsa amalgama nel trio, e vistose carenze autorali, che hanno punteggiato tutto il percorso, è stata l'emblema della noia più totale.

Si vocifera di un Baglioni tris. Non ci crederò manco se lo vedrò. Ma se così dovesse essere, sarebbe solo un puntiglio del caparbio Claudione per farla ad Antonio Ricci e a tutti coloro che quest'anno hanno provato a mettere all'angolo lui e Salzano. Quindi un altro errore. E due sono troppi.

venerdì 8 febbraio 2019

SANREMO, TERZA SERATA * NUOVA FLESSIONE, MA SERENA ROSSI ILLUMINA LO SHOW

Serena Rossi commossa al termine della sua esibizione al Festival.
Serena Rossi, con la sua cover di «Almeno tu nell'universo» di Mia Martini in duetto con Claudio Baglioni, è stata il momento più alto, magico e intenso della terza serata festivaliera.
E guarda caso l'hanno piazzata a un orario da guardie notturne. Roba da far causa agli autori per mancanza di sensibilità artistica.
Serena, lo dico da anni (da quando, per intendersi, non se la filava nessuno, oggi son buoni tutti a far peana) meriterebbe di condurre il prossimo Sanremo, fuori da logiche spartitorie.
È un talento maiuscolo, in grado di condurre, reagire all'imprevisto, portare grazia. Quando sorride, al netto di alcuni ammiccamenti dei quali si compiace, la rivedi bambina. E lì vince su tutti.

Affidarle il prossimo carrozzone ligure insieme con Amadeus (che lo merita) e magari un Alessandro Gassman in versione brillante fuori schema, sarebbe un bel ragionamento da servizio pubblico. E chissà che prima o poi non ci si arrivi.

Capitolo audience. Era ancora in flessione rispetto alla terza serata del 2018. Ieri ha registrato 10.851.000 spettatori (share 46,37%) nella prima parte, e 5.099.000 (share 48,96%) nella seconda. Lo scorso anno 12.657.000 teste (share 51,06%) nel primo segmento e 6.146.000 (share 54,48%) nel secondo.

Freddo dato e canzoni a parte, lo spettacolo aveva parentesi inutili (Paolo Cevoli e Claudio Bisio a rifare tristemente «Zelig»), o imbarazzanti (il duetto di «Ci vuole un fiore» di Bisio-Raffaele), e qualche ospite di pregio, come Umberto Tozzi e Raf, che hanno un repertorio in grado di scaldare (giustamente) la platea e far storcere il naso ai soliti snob. 
Poi c'erano Antonello Venditti, che l'ultimo pezzo bello l'ha scritto quando c'erano ancora i telefoni a gettone, la rampante Alessandra Amoroso, e i promo della Regione Liguria, impegnata quest'anno a farci credere che Ospedaletti sia Ibiza. Un capolavoro di umorismo involontario.

giovedì 7 febbraio 2019

SANREMO, GLI ASCOLTI SI STABILIZZANO: HUNZIKER E PIO E AMEDEO SALVANO LO SHOW

Claudio Bisio e Michelle Hunziker sul palco di Sanremo.
La seconda serata del Festivalone ha ridato fiato (sul piano artistico) a un Sanremo partito sotto il segno della noia. 
Altre 500 mila persone se sono andate rispetto all'edizione dello scorso anno, ma lo share è rimasto sostanzialmente stabile: 9.144.000 spettatori con il 47,3%.
Merito della virata drastica data dal trio di conduttori, che nella prima parte ha cercato in ogni modo (tra gag un po' telefonate e operazioni simpatia, come un Claudio Baglioni in inedita versione spernacchiante) di aumentare un'amalgama non percepita al debutto; e merito soprattutto degli ospiti.

Prima fra tutte Michelle Hunziker, che ha duettato con la spalla di sempre Claudio Bisio in una canzoncina sulla «Lega dell'amore» che profumava tanto di Rocco Tanica. Ma potrei sbagliarmi. Nel caso, corigétemi, come diceva il poeta. La Hunziker ha sul palco una forza che non ritrovi in nessuna: è conduttrice pura che sa anche intrattenere. È preparata ma sa affrontare anche l'imprevisto. Ed essendo estremamente duttile la puoi mixare con chiunque. Il resto lo fanno il sorriso contagioso e la risata, che risolvono tutto. Stavolta, però ha fatto il colpaccio: dopo essersi sfilata prima della partenza dall'evento flop di Adriano Celentano, arriva al Festival e fa un figurone. Molto sveglia la ragazza.
La simpatia di Pio e Amedeo al Festival.
Virginia Raffaele (che con Bisio non lega) ha fatto il suo, era più sciolta rispetto alla prima serata, ma avendo deciso (o essendo stata costretta) ad abbandonare la sua dimensione più naturale e vincente, quella delle imitazioni en travestì, è diventata giocoforza una conduttrice come tante. E la strada lì diventa in salita. Perfetto e piacevolissimo, comunque, il numero della Carmen di Bizet.

Per un Riccardo Cocciante che a tarda ora favorisce la narcolessia, una grande e piacevole sorpresa (almeno per me, che ero molto diffidente) è venuta da Pio e Amedeo in interazione con il Divo Claudio. Due comici che hanno fatto ridere, e non è cosa da poco di questi tempi. Semplici, efficaci, con qualche geniale intuizione. Come Pippo Baudo e Peppe Vessicchio che si ritrovano in camerino per ordire la riconquista del Festival in stile Gomorra: «Mo ce ripigliamm' tutt' chill' ch'è nuostr'».

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