mercoledì 31 maggio 2017

REPRIMERE LA VERITA', LA PROVA PIU' DIFFICILE CHE MI SIA TOCCATA

Reprimere le proprie emozioni.
Pensate a un povero cristo che ogni giorno - ogni santo giorno che ci viene donato - deve reprimere il desiderio di raccontare tutto. Ma proprio tutto ciò che ha visto e ciò che sa. Che sanno in molti, per non dire quasi tutti. Sarebbe difficile per chiunque, figurarsi per uno che fa il mio mestiere con coscienza e che per indole è abituato a raccontare a chi legge le cose come stanno. È una prova veramente impegnativa che non credevo di dover mai affrontare nella vita e che non auguro a nessuno. Sto cercando da mesi e mesi di provare a resistere. Stamattina era uno di quei giorni (in genere me ne vengono un paio alla settimana) in cui avrei tanto voluto lasciarmi andare. Lo reprimo. Ancora. Faccio una fatica bestiale, mastodontica. Chi mi conosce bene lo sa. Spero di riuscirci. Se sei troppo attaccato alla verità, quando non puoi farla uscire ne soffri. Malamente.

martedì 30 maggio 2017

I PENULTIMATUM DI FAZIO * FABIO, SE LASCI LA RAI CE NE FAREMO TUTTI UNA RAGIONE

«La Tv abbassa», di Franco Bagnasco - I penultimatum di Fabio Fazio
Ormai Fabio Fazio con la Rai è come quei mariti che minacciano continuamente la moglie di chiudere, ma in realtà non vogliono farlo (troppe comodità, e poi ti tocca anche trovarne un'altra) e restano sempre (tristemente) lì. Guarda che me ne vado, eh?! Sta attenta che ancora una che me ne fai, e addio! Aaahhh, la va a pochi! Basta, è quasi finita! 
Alla fine, a furia di ultimatum, anzi, di penultimatum si perde un po' in credibilità.

Le ultime dichiarazioni del conduttore generosamente lingua munito di Raitre, un po' risentito anche per il tetto agli stipendi fissato per le star (poi in parte aggirato con decisione governativa) sono state: «Voglio che mi dicano che sono un valore. Oggi è più difficile scegliere di rimanere in Rai che andare via». Un po' piccato, signora mia, detta su un palco dopo aver già fatto un tweet sibillino e dato un'intervista a Repubblica nella quale lamentava le pressioni politiche su Viale Mazzini. Che è un po' come dire che l'acqua è bagnata, e che non ci sono più le mezze stagioni.


L'altra sera, in diretta, dopo aver convinto Maria Grazia Cucinotta a fare una preghiera contro il malocchio, ancora una frecciata: «Ragazzi, di più non si può fare. Io le ho tentate tutte per rimanere. Adesso fate voi».

Non si capisce se l'astuto Fazietto stia tentando in ogni modo il pretesto per una rottura perché ha già trovato casa, oppure se davvero stia tentando disperatamente di giocarsi tutti i penultimatum sino in fondo.

In ogni caso, mi sento di rassicurarlo: a «Che tempo che fa» o altrove (magari con un cachet più contenuto rispetto a quello attuale, pazienza), chi vuole seguirlo, lo seguirà, mano al telecomando. Gli altri, Rai compresa, sopravviveranno. Sopravviveremo. Come sempre. Sarà dura, certo, durissima. Vagheremo un po' per i boschi all'alba domandandoci il perché, cercheremo una vana spiegazione a quei drammatici fatti della vita che devi accettare per come sono, ma alla fine passerà tutto.



lunedì 29 maggio 2017

I RICCHI E POVERI: «PAPA FRANCESCO, VUOI PRODURRE A TEATRO LA NOSTRA FIABA RELIGIOSA?»

Angela Brambati, Papa Francesco e Angelo Sotgiu dei Ricchi e poveri
Papa Francesco che diventa produttore artistico, come David Zard? È vero che il Sommo Jorge Mario Bergoglio una ne fa e cento ne pensa, ma non precorriamo i tempi.
L'idea dell'appello, di certo ambizioso ma geniale, è di Angela Brambati, la leggendaria «Brunetta dei Ricchi e poveri», che ha scritto una fiaba per il teatro da recitare insieme con il collega Angelo Sotgiu, l'altro rimasto nella storica formazione dopo l'uscita di scena di Franco Gatti

Angela, vuole spiegarmi meglio di che cosa si tratta?
«Volentieri. Ho scritto una fiaba teatrale molto commovente, che si intitola “Le melodie degli angeli”, e sono convinta che Papa Francesco sarebbe la persona giusta per diventarne produttore, e aiutarci a metterla in scena».

Il Papa come Bibi Ballandi?
«Sono un po' pazzerella, ma non mi prenda per matta. Mi rendo conto che è un sogno grandissimo, ma perché mettere limiti alla Provvidenza, appunto? Lo dico perché il fulcro della storia sono proprio religione cattolica e bontà».

Me la racconti.
«Sì, anche perché l'ho già depositata alla Siae». 

Ah, grazie per la fiducia!
«Ma scherzo, mica lo dico per lei! Metà dell'Ottocento. Io sono suor Teresa, con i suoi bei baffi, costretta ad abbandonare l'orfanotrofio nel quale lavora a causa del suo carattere non sempre domabile. Anche Angelo, nei panni del cuoco Raffaele, viene cacciato ma per eccesso di generosità. In carrozza, insieme, raggiungiamo il grande orfanotrofio nel quale iniziamo una nuova avventura. I bambini ci amano, ma a comandare c'è la terribile suor Dorina. Un giorno, giocando con il più sfortunato dei bambini, Loran, che combina un disastro, ci prendiamo la colpa e veniamo cacciati di nuovo. Non le racconto altro perché poi c'è la sorpresa, il gran finale, una cosa struggente, e la stessa suor Dorina diventa più umana, malleabile, c'è spazio per il riscatto e la speranza».

Insomma, positività e valori. È per questo che avete pensato a Papa Francesco?
«Sì, vorremmo magari che la ascoltasse, che approfondisse, e che poi, se gli piace, con l'aiuto del Vaticano, che organizza per esempio il concerto di Natale e che immagino abbia fondi destinati anche a iniziative come questa, ci aiutasse a portare in scena il progetto. Fra l'altro in tempi aridi, in cui la Chiesa ha il problema del calo delle vocazioni o deve affrontare scandali vari, questo testo sarebbe una vera boccata d'ossigeno anche per l'immagine. E i valori cristiani sono portati in palmo di mano. Sarebbe perfetta».

All'interno anche tante canzoni, immagino.
«Ma mica tante, sa? Qualcuna con i bambini, ma non è un musical. Si tratta soprattutto di recitazione. Infatti sto cercando un maestro perché voglio migliorare».

Ma come mai non la producete voi?
«Perché noi siamo artisti, non produttori. In questo mestiere c'è chi produce, e chi va in scena. E poi se devo essere sincera io nella vita non sono mai stata una formichina. Piuttosto una cicala».

Mi sta parlando in veste del 50% povero del duo, dunque...
«In un certo senso... (Ride) A me, a noi, basta la soddisfazione di portarla in scena perché credo sia una cosa veramente bella ed edificante. Comunque è giusto che chi la produce ci guadagni. L'unico che ho sentito sinora è stato Saverio Marconi della Compagnia della Rancia, ma alla fine ha detto no. Ma poi mi si è accesa la lampadina: Papa Francesco!».

Il vostro prossimo "agente".
«No no, quello l'abbiamo appena cambiato e ci segue per i concerti in giro per il mondo. Ma questo progetto è magico, e io sono ostinata. Intanto, come i rappresentanti di commercio, io dico: Santità, ci ascolti. Poi vedrà che si convince».


domenica 28 maggio 2017

L'ADDIO DI TOTTI ALLA ROMA * L'IRONICO CAPITANO DEL GRILLO DEL PALLONE

Francesco Totti
Francesco Totti è entrato pian piano sottopelle all'Italia intera perché è stato, è (auto)ironico campione trasversale, incapace di essere altro se non se stesso. Ha accettato, con le sue gaffes, con la sua ignoranza non certo ostentata, ma accettata con un sorriso sfottente, beffardo, di diventare simbolo della nostra mediocrità. Esaltandola però con i piedi di un fuoriclasse. Di diventare persino barzelletta, come in un suo libro. Come a voler dire, subliminalmente: non conoscerò bene l'italiano, ma guarda con i piedi (col cucchiaio) che cosa ti combino. «Io so Francé, e voi non siete un c...», parafrasando il Marchese del Grillo. Però senza dirlo apertamente.

Roma l'ha adorato, lo adora, ma essendo il romanesco la lingua ufficiale di Totti e (grazie alla Tv) la seconda lingua di questo Paese, Totti non poteva che essere adottato da tutto lo Stivale.
Difetti e grandezza insieme. Un mix vissuto con leggerezza. Senza sottrarsi mai non tanto al gossip (spesso subito), ma alle occasioni promozionali, alla pubblicità, agli eventi, alla filosofia dell'esserci, sempre, sotto i riflettori. Con o senza la moglie Ilary Blasi
Una coppia che parrebbe uscita da un'edizione del «Grande Fratello», se ci si pensa bene. Ora sarebbe bello sentirlo sfogarsi nel Confessionale, il Capitano.

venerdì 26 maggio 2017

LE MEZZE SCUSE DI INSINNA: «ODIO I TONI BECERI MA LI USO, CONTRO DI ME ODIO E VENDETTA»

Flavio Insinna
Dopo tre giorni, tre giorni durante i quali si è visto e letto di tutto sulla scena mediatica, sono arrivate le (mezze) scuse di Flavio Insinna per il caso sollevato da «Striscia la notizia»
Il conduttore di «Affari tuoi» le ha pubblicate sulla sua pagina Facebook, e le posto per intero qui sotto. Sono parole soppesate al millesimo.
C'è un riferimento ai «titoli dei film che amo» che serve a coprire una tra le cose più sgradevoli («Sette dementi ... Figli di un Dio minore») dette nelle registrazioni pirata e passata un po' sotto silenzio, essendo arrivata ai media soprattutto la frase sulla concorrente valdostana, definita «Nana de merda». Il dibattito, come accade spesso in questo Paese, si è ridotto a scontri di fazioni, tra simpatizzanti e antipatizzanti dell'una o dell'altra.

Insinna si scusa, perdona anche i delatori dicendo di averli portati a questo, ma intanto contrattacca il Tg di Antonio Ricci, dicendo di essere vittima di «Odio allo stato puro, vendetta e pornografia televisiva ... Fatta per cercare qualche straccio di punto d'ascolto in più». Ora resta da capire come reagirà «Striscia», che ieri sera ha mandato Valerio Staffelli a consegnare un Tapiro d'oro alla signora, e ha dato nuovi particolari sui luoghi dove erano state effettuate le registrazioni. Insinna chiude dicendo: «Chi crede di distruggermi mi ha fatto in realtà un grande regalo: la libertà. La libertà di essere ai vostri e ai miei occhi semplicemente una persona».

giovedì 25 maggio 2017

«LA TV ABBASSA» * QUANDO ANCH'IO MI PRESI DEL NANO (SENZA FIATARE)

«La Tv abbassa», di Franco Bagnasco
Si dice da sempre, nell'ambiente, che la Tv ingrassi. Ed è vero. Circa 4-5 chili nella percezione di chi sta davanti allo schermo. Il caso di Flavio Insinna, lanciato dalle registrazioni di «Striscia la notizia», ci ha fatto capire che la Tv in realtà abbassa: la statura, il livello, la soglia di percezione, le endorfine. Quasi mai i toni. Ma questo è un altro discorso.
Massima solidarietà alla concorrente valdostana di «Affari tuoi» definita «Nana demmèrda» dal conduttore romano. Una solidarietà che è doppia, signora cara, perché io (non faccio per vantarmi) fui «Nano» molto prima di lei. In tempi non sospetti, per così dire. Lei l'ha saputo dalla tv; a me lo dissero delicatamente in faccia.


Ma andiamo con ordine. L'episodio merita, dunque non posso esimermi. 
Correva l'anno 2010, e il mio giornale mi mandò in una villa fuori Roma utilizzata come set per «La pupa e il secchione - Il ritorno», il reality-game in onda su Italia 1. Dovevo realizzare un servizio accompagnato da Iwan Palombi, apprezzato fotografo della piazza romana. Premessa. Quel marcantonio di Iwan è il classico bel ragazzo: alto, prestante, che fa sdilinquire sia artiste che addette stampa. Uscire con Iwan per un servizio è una vera dannazione e mette a dura prova la tua autostima. La puoi solo buttare (come ho quasi sempre fatto, peraltro) solo sulla penna e la simpatia.

Entrati nel villone, tra cavi e ponti per le luci, dopo i convenevoli, scendiamo verso la taverna, dove su un divano ci aspettano le sexy pupe reclutate come concorrenti. Dei meno piacenti secchioni ci saremmo occupati dopo. Iwan cammina davanti a me con le sue borse (io sono un bel po' di passi dietro), e sbuca nel salone, dove dal divano parte una ola di gridolini fintamente trattenuti, mugolii di piacere, e apprezzamenti scomposti. Insomma, quel che succede normalmente quando il maledetto Iwan (si scherza) compare in una location. Poco dopo arrivo io, quatto quatto col mio taccuino e la biro. Dal divano, che si è fatto più silenzioso, parte come una freccia che mi arriva alla giugulare la seguente frase: «Ah, ma c'è pure il nano...». Silenzio.


Guardo la fanciulla napoletana (non ricordo il nome e comunque non voglio esporla, anche perché credo che poi abbia subito severissime pene corporali) e rimango lì, allargando le braccia e annuendo sommesso con quella faccetta che tiri fuori quando non sai che cosa dire. Poi mi esce un: «Esatto». Attorno, tensione e panico. Quello vero, che puoi sciabolare come Zorro. Entrata a gamba tesa dell'addetta stampa che segue il programma: «Questo è il fotografo, e QUESTO (mi indica a sei mani) è il giornalista che dovrà intervistarvi!». E lo dice col tono punitivo della Signorina Rottermeier, digrignando i denti. Sul divano i sorrisi si spengono, le facce si abbassano, cupe. La Pupa incriminata esala un «Ah...» e diventa bianca come la neve.
L'addetta stampa si china un po' e mi soffia all'orecchio: «Franco, ti prego, scusa, scusaci tantissimo, davvero: queste sono sceme, sennò nun le pigliavano pe' fa le pupe». «Sì, ma tranquilla, non ti preoccupare, passiamo oltre», dico sfoderando il mio sorriso più rassicurante. Lì accanto c'è un'altra signora della produzione che mi guarda implorando pietà e sta per avere un mancamento.

Intanto, io rimugino sul mio 1.71 (a quell'uno tengo molto, da sempre) che ritenevo una cosa tutto sommato onesta. Per carità, non certo le alte vette, ma l'onestà. Non chiedevo altro. E più che con la pischella stolta, mentalmente, me la prendo con quel diavolo di Iwan che poverino è lì, imbarazzato anche lui, e non sa che cosa dire. E che invece dovrebbe rendersi conto che espone la gente a confronti impietosi. «Li mortacci», direbbe Insinna.
Ripensando oggi a quell'episodio, che spero vi abbia fatto sorridere, mi vengono alla mentre tre cose:

1) Sarebbe stata una storia perfetta da aggiungere al mio «Il peggio della diretta».

2) La ragazza oggi l'ho perdonata, ma credo che voi vorrete perdonare me sapendo che nell'articolo scritto a seguito di quella trasferta, l'ho ignorata. Siamo esseri umani.

3) Se la incontro oggi mi tocca persino ringraziarla per non avere aggiunto: «Demmèrda». A posteriori, lo dico col cuore, sto apprezzando tantissimo.


mercoledì 24 maggio 2017

«DIECI PICCOLI INFAMI» * COL SUO SECONDO LIBRO SELVAGGIA LUCARELLI FA NOMI E COGNOMI

Selvaggia Lucarelli
L'annuncio l'ha appena fatto lei stessa sulla sua pagina Facebook, che - come la Settimana enigmistica - vanta migliaia di tentativi di imitazione nonché di sfruttamento di luce riflessa.
Selvaggia Lucarelli, l'opinionista televisiva dei nostri anni di realtà virtuali, firma de Il Fatto quotidiano, la blogger fustigatrice del web più becero, sta per pubblicare per Rizzoli il suo secondo libro, «Dieci piccoli infami», dopo il successo non indifferente di «Che ci importa del mondo». 

Il primo era un romanzo, stavolta no. Si affretta a rassicurare tra una valanga di like ed emoticons dei fans la donna dalla gradevole scrittura che ha più haters di Donald Trump ma anche più ammiratori di Melania. Insomma, una bella responsabilità.

Selvaggia annuncia che nel libro, un insieme di racconti, farà (quasi sempre) nomi e cognomi. «Ciascuno dei dieci capitoli sarà dedicato a una persona che in qualche modo, per un giorno o tutta la vita, mi ha reso una persona peggiore. E che non ho perdonato».
Il lettore non si immagini di trovarsi di fronte a un j'accuse contro vip, vippetti o personaggi famosi della nostra Italietta. Niente di tutto questo. Indagando, scopro che si tratterà di aneddoti della vita dell'autrice, con qualche rimaneggiamento. Alcune pagine saranno serie, altre con aneddoti divertenti. La Lucarelli parlerà, tra gli altri, di una Miss, di sua madre, di una suora, di un'amica d'infanzia, di un suo ex, persino di un ragazzo conosciuto in treno...
Questo è quanto. Il resto per chi saprà pazientare sino a metà luglio. Gli haters che bivaccano sui social, sicuramente.

«STRISCIA» DISTRUGGE INSINNA CON I SUOI FUORI ONDA: «ABBIAMO PRESO UNA NANA DI MERDA!»

Flavio Insinna e Antonio Ricci
«Striscia la notizia» assesta un colpo senza precedenti all'immagine di Flavio Insinna, mandando in onda alcuni scatenati fuori onda del conduttore di «Affari tuoi» arrivati alla redazione. Registrazioni audio e video rubate in studio (durante sfuriate fatte con il pubblico e gli autori) che dovrebbero mostrare il vero volto dell'attore, noto per la sua simpatia e bonomia.
Una faccia che secondo il Tg di Antonio Ricci, da tempo impegnato in un botta e risposta con il rivale, non corrisponderebbe a quella buona e rassicurante da lui portata insistentemente in video.

Prima Ficarra e Picone lanciano il contributo di un'ospitata di Insinna a «#CARTABIANCA», di Bianca Berlinguer. Lì il conduttore dà il meglio (nel senso buonistico del termine) di sé con frasi come: «Questo è un Paese che spesso non si accorge che umilia le persone». E ancora: «Mi piacerebbe che questo Paese imparasse, così come a bere e respirare, ad aiutarsi. Io starò con gli oppressi tutta la vita: voglio vivere in un Paese gentile». Impeccabile e ammirevole.


A seguire, in drammatico contrasto, partono nel SERVIZIO i fuori onda del presentatore, che a telecamere spente, in studio e (forse) in redazione (nei frammenti solo audio) pare una furia incontenibile, irato, iroso e irriconoscibile. Ecco uno stralcio di alcuni momenti salienti, durante i quali il nostro si lamenta (eufemismo) dei casting dei concorrenti: «Vàttela a pija 'nder c... Una nana che parla con la mano davanti alla bocca. Siamo riusciti a prendere degli stronzi. 'Amo preso una nana demmèrda». E ancora, sul meccanismo del gioco: «Porca troia, la X non ci fa vincere le serate, non mi rompete i coglioni con queste scatole... 
La X è una merda di opzione del cazzo, ci piscio sopra». Poi, di nuovo, sui concorrenti: «Prendiamo 5 stronzi fatti bene! Abbiamo preso 5 simpatici jellati: una nana che parla con la mano davanti alla bocca sennò sta muta. Quando li ho visti, sei di questi li avrei presi a zampate nel culo! Perché c'è un Dio: vinci 20 centesimi perché sei moscio ... Er concorènte nun me lo fanno vedè: ma ce devo lavorà io, la merce la lavoro io!». E ancora: «Una nana, non ha giocato: la si porta di là, la si colpisce al basso ventre e le si dice: adesso tu rientri e giochi, perché è Raiuno, non Valle d'Aosta News».


Insomma, Flavio Insinna predica bene quando è in video e poi (nel suo stesso studio, davanti ai suoi collaboratori, a telecamere spente) razzola molto male? Vedremo ora come si difenderanno e che posizione prenderanno il conduttore e la Rai. 
Il colpo sferrato da Antonio Ricci stavolta è durissimo, e sembra mettere il dito nella piaga tra palco e realtà dei personaggi pubblici. In quel confine labile fra teatrale messa in scena e vita reale. Che non riguarda solo la gente strettamente di spettacolo. A tutti può capitare di avere a che fare con persone dalla doppia faccia e di augurarsi che la gente, giusto per farsi un'idea, conosca quella vera.

martedì 23 maggio 2017

BYE BYE ROGER MOORE, ORA «ATTENTI A QUEI DUE» TU E CURTIS LO GIRATE IN PARADISO

Roger Moore e Tony Curtis in «Attenti a quei due».
Hai voglia a ricordarlo per gli 007 (il mio sette volte James Bond preferito, meno scattante di altri ma più ironico, più British, anche se so che molti hanno nel cuore, inestirpabile, Sean Connery). Hai voglia a tirare in ballo «I quattro dell'oca selvaggia», «Sherlock Holmes a New York», «Ivanhoe», «Il Santo», «Simon Templar» o «La corsa più pazza d'America».
Per me Roger Moore, Sir Roger Moore, che se n'è andato oggi a Crans-Montana, in Svizzera, a 89 anni, dopo breve malattia, è stato soprattutto la magnificenza di «The Persuaders!», serie arrivata in Italia con il titolo di «Attenti a quei due». La sigla indimenticabile è qui in fondo.


Insieme con Tony Curtis (col quale si è ora idealmente riunito, non si sa se in Paradiso o altrove ai piani più bassi, in qualche set più al calduccio) ha dato vita a un capolavoro che riempì i miei pomeriggi di ragazzo dal 1974 all'81 sulla prima rete Rai. Roger era Lord Brett Sinclair, inglese sveglio e azzimato ma con la passione per gli intrighi, e Tony il miliardario americano Danny Wilde, amante delle donne, delle corse e guascone al punto giusto. Con un filo di vena apparentemente tontolona.

Un concentrato di azione, senso dell'amicizia mai tradito, cialtroneria no limits, voglia di trasgredire ma sempre con giudizio. Insomma, un capolavoro. Non si può prescindere da «The Persuaders» per conoscere Roger Moore e non si può scindere Roger Moore da Tony Curtis. Ogni volta in cui (poi) hanno lavorato da soli, ho sempre sentito, forte, il desiderio di rivederli insieme.





venerdì 19 maggio 2017

«X-FACTOR 11» * FINISCE L'ESILIO DORATO DI ZIA MARA, CHE RICONQUISTA IL POSTO IN GIURIA

Mara Maionchi e Levante, giurate di «X-Factor 11» con Fedez e Agnelli
La bella notizia è che quella giargianella di Mara Maionchi («La soubrette», come la chiama con frusciante ironia il marito Alberto Salerno) dalla prossima edizione riprenderà il suo posto nel quartetto di giurati di «X-Factor».
Basta «X-Trafactor», basta poltrone con l'alzata automatica modello Villa Arzilla dalle quali commentare a notte inoltrata, con la consueta simpatia, per carità, la situazione. Mara meritava di riprendersi il suo posto a quel bancone. Per grinta, competenza, saggezza, senso dello spettacolo.
Sono i corsi e ricorsi televisivi. L'altra attesa novità è l'arrivo della rampantissima Levante, con una popolarità in netta crescita fra i ragazzi. Potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa. Già rodatissimo Fedez, che nelle ultime edizioni sembrava essersi impossessato del tavolo, e a modo suo anche Manuel Agnelli, il succedaneo di Morgan, partito incendiario lo scorso anno per finire quasi pompiere. La Tv è strana, prima la si odia, poi si ama (semicit.). 
La squadra è decisamente cambiata da quando zia Mara impacchettava i suoi «Vaffa» per i concorrenti meno dotati. Ma dove c'è lei, in definitiva, ci si diverte sempre.

«FACCIAMO CHE IO ERO» * VIRGINIA RAFFAELE, CAVIALE TV DA TUTELARE COME I PANDA

Virginia Raffaele
Dopo essere stata per anni il dolce (o il contorno di pregio) di tanti programmi, Festival di Sanremo compreso, la deliziosa Virginia Raffaele ha provato ieri sera a essere anche antipasto, primo, secondo, caffè e limoncello. L'occasione era «Facciamo che io ero», concentrato di virtuosismi in onda su Raidue e cucito su misura sulla pelle di una tra le performer più complete della nostra scena.

Il rischio (paradossale ma concreto) di trasmissioni come queste è proprio l'overdose di caviale. La bravura assoluta che dopo un po' rischia di stancare. Si è cercato di ovviare contrappuntando i picchi di Virginia con il low profile della spalla Fabio De Luigi, utile per amalgamare un impasto difficile da cucinare televisivamente, fra tagli e giochi di montaggio che rendono tutto inevitabilmente più freddo.

Tanti, davvero tanti i piccoli preziosismi autorali e i colpi di genio: dal Late Show di Donatella Versace (forse un po' troppo lungo), con ospite Gabriel Garko, sino ai neuro-deliri della poetessa Saveria Foschi Volante. Piacevole il duetto con la vera Malika Ayane e anche l'invidioso scambio tra Virginia (nei panni di Fiorella Mannoia) e Francesco Gabbani. C'era poi l'immancabile Sabrina Ferilli (tra le maschere meglio riuscite della Raffaele) usata più che altro per stacchi, tagli e cambi di scena, con l'aiuto di Lino Guanciale e di qualche volto di Raiudue in vena di promo. Tra gli altri ospiti, Roberto Bolle e Lillo e Greg, che sono anche bravini ma non si sa come - beati loro - finiscono in tutti gli show evento Rai sin dalla notte dei tempi.

Il tutto in uno studio, stupendo, che richiamava le origini circensi della protagonista, fasciata in abiti uno più azzeccato dell'altro. 
Con la tv con cui si pasteggia ogni giorno, mettersi col lanternino a trovare difetti a uno show come questo è un esercizio più folle che pedante.

giovedì 18 maggio 2017

ADDIO A DANIELE PIOMBI, IL CONDUTTOR CORTESE DI UNA TV CHE NON C'È PIU'

Daniele Piombi
Daniele Piombi stava all'educazione come Pippo Baudo alla sincopata grandeur di studio e al potere. Come Enzo Tortora alla signorilità, come Mike Bongiorno ai quiz (e alla pubblicità) e come Corrado all'ironia.
Credo che in un'intera vita non gli sia mai scappato neanche un «accipicchia», un «perdindirindina», uno «sciocchino» neppure dietro le quinte, neppure rimesso in armadio il completo grigio da grandi occasioni che indossava in video.
L'uomo del «Premio regia televisiva», gli «Oscar Tv», bolognese di San Pietro in Casale, se n'è andato a Roma a 83 anni. Da un po' di tempo la salute l'aveva allontanato dalla sua creatura, che visse gli anni migliori «nella suggestiva cornice di Giardini Naxos» (come diceva lui), naturalmente magnificando «lo straordinario parterre de roi» in platea. E via pompando.

Quantitativamente, non faceva molta televisone, ma le sue erano messe cantate con tutti i paramenti. Come quando nelle parrocchie di provincia arriva il Vescovo e sono tutti in soggezione, dai chierichetti alla perpetua. Sono cambiati i tempi (anche i ritmi) e la sua era una tv che oggi non esiste più in natura. Un Mago Zurlì della parola, del garbo, del porgere senza sbattere in faccia malamente. 
Non ci conoscevamo molto bene, ma aveva insistito perché entrassi nella giuria dei giornalisti che dovevano valutare i programmi del suo ambito premio. Non l'ho mai fatto, se non ai tempi del mio lavoro a «Il Giornale». Poi, essendo passato a «Tv Sorrisi e canzoni», rifiutai perché non mi sembrava corretto nei confronti del premio concorrente, il «Gran Premio Internazionale della Tv», ovvero i leggendari Telegatti, organizzato dal mio giornale. Tra le due vetrine c'era sempre stata grande competizione.

lunedì 15 maggio 2017

BOSCHI E RENZI, I NOSTRI «HAPPY DAYS» CHE VOLANO VIA

Matteo Renzi e Maria Elena Boschi
Ammettiamolo. Un colpo di telefono per provare a salvare la banca del babbo, forse l'avrebbero fatto tutti. Avendo un babbo e una banca, naturalmente.
Il problema è che se tu, figlia devota, fai il ministro della Repubblica, se ti beccano è un casino. La cosa migliore che tu possa fare (il minimo, direi) è dimetterti. Invece interviene il tuo amico Fonzie, pardon Renzie, memore di quando batteva il pugno sul juke-box al bar di Arnold's e tu ti scioglievi d'amor per lui. E poi lui è figo e col pugno sul juke-box, o forse sul bancomat, si sa, risolve tutto. Sono i nostri «Happy Days», volano via, e noi, sciocchi, manco ce ne accorgiamo.

domenica 14 maggio 2017

ROSSANA CASALE: «VOI CHE SCRIVETE COL COMPUTER NON AVRETE MAI LO SPESSORE DI SOBRAL»

Rossana Casale
La vittoria di Salvador Sobral ieri sera all'Eurovision Song Contest 2017 con la dolce ballata «Amar Pelos Dois» infiamma Rossana Casale, 57 anni, raffinata interprete italiana che ha spesso dovuto combattere (non agli inizi della sua carriera, ma in seguito) contro una certa resistenza del mercato discografico. Le canzoni più introspettive, si sa, non sono per tutti. Si tratta di prodotti a volte «di nicchia», come spesso viene sottolineato, eleganti, raffinate, e quindi destinate a una selezione. La Casale si ribella a questa logica e festeggiando la vittoria del cantautore di Lisbona consegna ai social un'amara riflessione, che posto qui sotto:


«Penso che con la vincita di Sobral di ieri sera all' Eurovision Song Contest, con questa splendida canzone scritta dalla sorella cantautrice, segni un primo passo importante verso un volta pagina necessario. E i miei amici e stimati editori questa volta non possono girare lo sguardo e l'ascolto.
Canzoni come queste non vengono scritte con l'aiuto del computer dai cosiddetti autori che conoscono quattro accordi in croce, copiano qua e la e non capiscono nulla di armonia. Canzoni come queste, vengono composte da veri musicisti per necessità dell'anima. Canzoni come queste hanno riferimenti culturali nei geni e nella pelle dei loro autori fatti di storia della musica, del fado, della bossa, del cantautorato argentino, nel tango, nella musica antica napoletana e siciliana ecc. di enormi poeti musicali come Amalia Rodriguez, Raul Ferrão, Pedro Rodriguez, Fernando Pessoa ( poeta tradotto in fado e amato dal nostro Giorgio Gaber) Atahualpa Yupanqui, Vinícius de Moraes, Jobim, Caetano Veloso, Chico Buarque, Enrico Caruso, Roberto Murolo, Violeta Parra, Rosa Balistrieri ecc ecc. Amore, dolore, emigrazione, malinconia, ingiustizie e voglia di rinascita.
Gli accordi creati dagli stessi autori nascono e si incollano al testo camminando insieme. Parlano lo stesso sentimento. Maggiore, minore. Il cuore e la musica : maggiore, minore.
Non sto paragonando questo brano a certi mostri sacri, sto solo dicendo che questa brava cantautrice ha composto il brano senza furbizia di vendita ma con la necessità sincera di cantare il suo amore inascoltato e con la radice in se di chi prima di lei ha donato al mondo poesia in musica . I padri, i nonni, i bisnonni della parola cantata.
"O meu coraçao pode amar pelos dois". Bellissime e semplici, intelligenti parole.
Chissà quanti autori, quanti giovani cantautori suonano le loro inascoltate canzoni nel buio solitario e magico della loro camera, sognando di poterle esprimere un giorno a un'ampia platea. Da oggi comincio a credere che potrebbe succedere nuovamente. Ci spero davvero. Anche per me, per smettere di sentirmi guardata come un fuori-catalogo coi piedi.
C'è tanta gente che aspetta di ascoltarle. Gli stessi che hanno lanciato il loro abbraccio a Sobral ieri sera.
Accordi e abbracci.
Sappiatelo, furbetti del comporre contemporaneo. Voi questi accordi non li conoscete. Voi, questi accordi e queste parole non sapete proprio da che isole interiori lontane arrivino. Non ne conoscete le strade impervie e non avete il sacrificio dentro per poterle intraprenderle o il coraggio per attraversarne le acque agitate sulle quali si affacciano. Lasciate perdere. Continuate a guardare dentro i monitor dei vostri computer parlando ai vostri campionamenti. Gli archi intonati di ieri sera e il loro arrangiamento non sapete dove abitano, non vi appartengono e vi hanno tanto ferito come spade. Lasciate perdere.
Ecco. Accucciatevi nella vostra delusione di oggi e poi proseguite dritti per dove stavate andando, con i vostri bei conti in banca e l'allegria sociale di prima.
Giusto se mai vi venisse in mente di tentare di copiare anche questa meraviglia. Impossível».


VINCE IL PORTOGALLO, GABBANI BASTONATO ALL'EUROFESTIVAL (LA SCIMMIA NUDA ZOPPICA)

Francesco Gabbani e Salvador Sobral, vincitore dell'Eurovision Song Contest 2017
La scimmia nuda, per la prima volta, zoppica. «Occidentali's Karma», il bel pezzo di Francesco Gabbani vincitore dell'ultimo Sanremo e favoritissimo, pompatissimo alla vigilia dell'Eurovision Song Contest 2017 di Kiev in rappresentanza dell'Italia, finisce inaspettatamente al sesto posto.
Al secondo la Bulgaria e in prima posizione il Portogallo con Salvador Sobral e la sua dolcissima «Amar Pelos Dois», in un duetto con la sorella che ha commosso molti. Il giovane interprete di Lisbona è malato di cuore e rientrerà subito in patria, dove il prossimo anno si terrà l'Eurofestival 2018.
Gabbani (premio della sala stampa) viene bastonato, ma la sua ironica canzone ha già compiuto tutto il suo percorso. Quello ucraino sarebbe stato un ulteriore coronamento di un successo bruciante, ma pare che le giurie di qualità tendano a penalizzare i favoriti della vigilia. Il cantante dopo l'Eurovision Song Contest aveva comunque dichiarato di voler mettere nel cassetto il singolo che l'ha portato a una straordinaria visibilità.


mercoledì 10 maggio 2017

CARA «VODAFONE», NIENTE ALBANIA: QUELLI DEI CALL CENTER AIUTIAMOLI A CASA NOSTRA

Il logo di Vodafone.
Ieri verso mezzogiorno ho chiamato l'assistenza clienti Vodafone perché dovevo recuperare alcuni dati di un servizio wi-fi in mobilità che ho compreso nel mio pacchetto. Non sapevo esattamente il nome dell'offerta (capirai, le compagnie telefoniche ne creano a milioni) ma potevo descrivere nel dettaglio ciò di cui avevo bisogno.
Mi risponde il solito centralino dall'Albania, preceduto dal noto avviso: «La avvertiamo che è suo diritto chiedere di essere trasferito a un centralino europeo...», ecc. ecc.

Spero che la telefonata sia stata registrata, perché è esemplare di come non si dovrebbe lavorare in un call center. Mi risponde una giovane operatrice che (palesemente) non sa nulla ciò di cui sto parlando, un po' per la lingua, forse, di certo per incompetenza, ma non vuole assolutamente ammetterlo. Allora inizia a divagare, a tergiversare, incolpandomi di non conoscere nomi, numeri, dati... Ma signorina, io ho chiamato proprio per conoscere nomi, numeri, dati, so a memoria il mio codice fiscale, i miei dati riservati, l'indirizzo, il numero dal quale chiamo è il mio. E quindi descrivo con dovizia di particolari ciò che mi serve. Niente, un muro di furbizia levantina a coprire l'ignoto. Avendo intuito con chi avevo a che fare, chiedo subito di essere trasferito al servizio clienti italiano.

Risposta: «Ennò, signore, io non la posso pasàre Italia. Perché lei ha chiamato per celulàre ma sua richiesta è per linea fissa. Lei deve richiamare numero e poi schiaciàre 2 e poi ancora 2». La risposta è assurda (primo), e poi sono già stato trasferito altre volte all'Italia senza difficoltà alcuna. Dunque insisto. Lei ferma: «No posso, signòre. Io per pasàre lei devo indicare esattamente su scheda cosa lei vòle e lei non è in grado di dire cosa lei vòle». È il teatro dell'assurdo. Ripeto che cosa voglio nel dettaglio e comunque ribadisco più volte la richiesta di essere passato subito all'Italia. Niente da fare, vuole che riagganci e richiami. Evidentemente per una centralinista albanese è un'onta personal-professionale il fatto che il cliente chieda il trasferimento. Ho già perso 15 minuti (quindici) in niente quando dopo neanche 5 potevo planare sulle adorate linee del bel Paese. Inizio a spazientirmi e chiedo il numero di matricola alla signorina, raro concentrato di incapacità, furbizia e maleducazione. «Ennò, signore: mio numero non pòso darglielo: quello viene dato a inizio di conversazione e lei se lo deve ricordare! Io mica posso ripeterlo». Che cosa? Vuole per favore ripetere? Non credo alle mie orecchie e inizio vagamente ad adombrarmi paventando segnalazioni a Vodafone. 

«Signore però no alzi voce, lei facìa pure quélo che vuole: ora sa cosa fàcio io? Ora scrivo qui su sua scheda che cliente ha alzato voce con me». Le richiedo ancora un paio di volte totalmente invano il trasferimento all'Italia e il suo numero di matricola mentre aspetto che compaia la troupe di «Scherzi a parte». Quello che sta succedendo non può essere vero. Devo avere i microfoni e le telecamere in auto.
Finisce l'inutile ed estenuante conversazione. Riaggancio. Richiamo il 190 e mi risponde un'altra incolpevole operatrice albanese alla quale dico: «Purtroppo sono reduce da una conversazione con una sua maleducatissima collega. Mi trasferisce all'Italia, per favore?». Lei, imbarazzata, mi trasferisce immediatamente a un operatore con rassicurante accento pugliese che in un minuto netto capisce e mi risolve il problema. E pazienza se (tenero) mi fa lo spelling di Vodafone «STESCION, che si scrive S.T.A.T.I.O.N.», prendendomi forse per più rintronato di quanto io non sia nella realtà. Però almeno ci siamo capiti. Ne approfitto per risegnalare il problema con l'Albania. «Ho preso nota», mi dice.

Dopo mezz'ora, non so per quale sortilegio (penso un cazziatone della sua vicina di banco che si è beccata il trasferimento a causa sua o la segnalazione successiva), mi richiama la scaltra virago di Tirana la quale, fingendo di chiedermi se ho risolto il mio problema, prima cerca di negare di essere stata maleducata e incompetente, poi cede e mi fornisce il suo numero di matricola («13777», o almeno è quello che mi dice) e infine chiede scusa più volte fingendo (solo fingendo) mortificazione per evitare richiami. Scuse alle quali non puoi credere, visto il comportamento precedente e la solenne, lunghissima presa in giro.
Tutto questo per dire: cara Vodafone, care aziende (perché la pratica è diffusa), ve lo dico col cuore, visto che già in passato ho avuto problemi: non so quanto vi faccia risparmiare avere un servizio clienti inefficiente in Albania o altrove, ma sicuramente non giova granché alla vostra immagine. Quindi gli operatori dei call center, parafrasando Salvini, aiutamoli a casa nostra. Teniamo il lavoro dentro, aiutiamo il Paese, i suoi giovani e il nostro Pil. E miglioriamo i servizi offerti alla clientela. Non è cosa da poco, non credete?

domenica 7 maggio 2017

FEDEZ SPOSA CHIARA FERRAGNI (AUGURI E FIGLI FOLLOWERS)

Fedez e Chiara Ferragni presto sposi.
Fermamente convinti del fatto che l'amore sia qualcosa da vivere in privato, lontano da sguardi indiscreti e da quei milioni di followers che donano likes, soldi e notorietà, Fedez e Chiara Ferragni, a quanto pare, si sposano. Lui ha chiesto la mano di lei inginocchiandosi e porgendole l'anello di fidanzamento durante un live sul palco dell'arena di Verona.
Un ripensamento un po' alla Sandra Mondaini e Raimondo Vianello («Che noia, che barba... Che barba, che noia...») per il rapper di «Comunisti col Rolex» (in tandem con J-Ax), che in un paio di recentissime interviste aveva dichiarato seccamente: «Non credo al matrimonio», e poi ribadito: «Non credo nel rito del matrimonio: due persone possono stare insieme tutta la vita senza sposarsi». Ma se Fedez non crede nel matrimonio, a quanto pare il matrimonio crede in Fedez. O forse ci crede di più la Ferragni, chi lo sa?
Nelle coppie aperte (nel senso di en plein air, sotto il cielo del gossip ostentato, come la loro) tutto è sotto gli occhi di tutti. Tutto diventa tweet, post, instagrammata, clip, comunicato. Tutto è immagine, riscontro, evidenza, visibilità. Del resto i due ragazzi sono formidabili macchine commercial-promozionali, e un po' c'è da capirli. Li guarda con affetto per ora non tanto il parroco (l'ideale sarebbe convincere uno sobrio come Elton John, ma non si sa se possa officiare), ma l'addetta stampa di lui, Francesca Casarino, già deus-ex-machina mediatica della storia fra George Clooney ed Elisabetta Canalis.
A meno che i nostri non si lascino tra poco, col rodato metodo Costantino Vitagliano e Alessandra Pierelli (ve li ricordate?), che con i loro ascolti fecero la tele gioia di Maria De Filippi.
Perché se così fosse smetterei di credere all'amore vero. E sarebbe un peccato. Metti un like, fratello.

sabato 6 maggio 2017

GLI AUGURI CHE VALGONO DI PIU' SONO QUELLI CHE RICEVI NEI MOMENTI DIFFICILI

Gli auguri che mi ha fatto Francesca Gregni.
Un migliaio di auguri, tra Facebook, Twitter, Whatsapp, YouTube, telefonate, Skype e quant'altro.
«Che faccio, signore, è mezz'etto in più, lascio?».

In questi tempi social viene la tentazione di pesarli un tanto al chilo, persino gli auguri, che continuano incredibilmente ad arrivarmi anche oggi, The Day After. Invece anche lì, come per tutto nella vita, più che sulla quantità bisogna ragionare sulla qualità. Perché gli auguri che mi avete fatto quest'anno sono stati davvero speciali, soprattutto per il momento che da parecchio tempo sto attraversando. In parte forse sapete, in parte intuite, senza dubbio condividete, e sono felice che questa cosa vi sia arrivata. In purezza, come direbbero gli enologi.

Siete stati motivanti, appassionati, caldi, creativi (per esempio Francesca Gregni, che ringrazio per questa composizione messa insieme andando a recuperare una mia foto di una quindicina di anni fa, quando ancora andavo in giro senza bavaglio e mi divertivo facendo il mio lavoro). Siete stati e siete state un balsamo; quello che mi ci voleva in questo periodo strano, di cupezze, di mortali lungaggini burocratiche per arrivare alla Giustizia, passo passo, ma anche di necessità di lottare. Per il rispetto basico (che qualcuno mi ha fatto troppe volte mancare) e per salvaguardare i principi sacrosanti di un mestiere nel quale ancora credo.

«Io sono ancora qua», cantava Vasco. Sono parecchio ammaccato, ma ho intenzione di restarci. Tengo botta. E non posso fare altro che ringraziarvi di cuore, uno ad uno, perché in una fase down mi avete dato nuova forza per continuare. Lo faccio per me, certo, ma lo faccio (anche) per tutti. Perché il giornalismo è di tutti.
Questo, per favore, non dimenticatelo mai.

mercoledì 3 maggio 2017

COSE SERIE * «GUILT» (NETFLIX) VA VISTA, «TABOO» (SKY ATLANTIC) È ELEGANTE MA SI SBADIGLIA

Emily Tremaine e la protagonista Daisy Head in «Guilt»
Si fa un gran parlare di «Tredici» («Thirteen»), la serie tv adolescenziale del momento su bullismo e dintorni; una ragazza si suicida coinvolgendo amici e insegnanti in uno psicodramma formato audiocassetta. L'ho trovata ben più che onesta, sicuramente angosciante, con qualche sbadiglio qua e là, ma di certo un'occhiata la merita.
Paul Giamatti e Damian Lewis in «Billions»
Mentre la nuova stagione di «Billions» fa scintille (l'ultimo episodio in onda su Sky era a dir poco geniale, con un Paul Giamatti gigionissimo e quel diavolo di Damian Lewis) e «Better Call Saul» (Netflix) aggiusta un po' il tiro mettendo più crime e meno ironia andando alle radici di «Breaking Bad», mi piace segnalare un paio di prodotti che hanno il loro perché. 
Tom Hardy in «Taboo».
Anzitutto la britannica «Guilt», dove una bravissima Daisy Head (Grace) viene sospettata dell'omicidio della coinquilina Molly. Inizia un turbinio di accadimenti (non sempre credibilissimi, va detto) che comunque incolla alla poltrona, grazie anche a un cast sopraffino.
C'è poi «Taboo» (Sky Atlantic), con un Tom Hardy (lo sfregiato James Delaney) che rientra dall'Africa nella Londra del 1814 per riscuotere l'eredità del padre, morto in circostanze misteriose. È diventato un mezzo stregone e vuole riappropriarsi dell'attività di famiglia, che fa gola a molti. Fra ammazzamenti e infimi bordelli. È una tv series livida, con costumi straordinari e una cura del dettaglio infinita, ma purtroppo molto lenta, a rischio sbadiglio. Non a caso vengono mandati in onda due episodi alla volta, perché sennò non terrebbe il passo nella fidelizzazione.


Kiefer Sutherland in «Designated Survivor».

E se «24: Legacy» (Sky) prova, senza riuscirci troppo, a rinverdire i fasti di «24» (gli orfani, si sa, sono incontentabili), Kiefer Sutherland la imbrocca su Netflix con «Designated Survivor». L'oscuro funzionario del Governo americano che diventa Presidente «di scorta» dopo che in un complotto ordito da chissà chi viene fatto saltare in aria il Campidoglio con tutti i suoi occupanti. Le spie si mobilitano, la Casa Bianca diventa un bunker e non ce n'è più per nessuno.

Intanto si attende con l'ansia su Sky l'arrivo delle nuove stagioni di «The House of Cards» (31 maggio) e «Il trono di spade» («Game of Throne»), in piena estate. 

martedì 2 maggio 2017

SPERANZA E STANCHEZZA VANNO SUL PIATTO INSIEME CON I TEMPI LUNGHI DELLA GIUSTIZIA

La bilancia della Giustizia
Sono da tempo molto stanco e molto provato, lo confesso, per tanti motivi (anche perché i tempi della Giustizia, come forse saprete, sono decisamente lunghi). Vi prego di non chiedermi commenti. Spiegare che cosa si prova a chi non ha vissuto un'esperienza come la mia sarebbe del resto forse liberatorio, ma complicato.
Se non altro, leggere sul web notizie come questa mi fa intravedere forse uno spiraglio di luce in fondo al tunnel. Mi ridà un'illusoria speranza in questo Paese. Non lo so, almeno provo a crederci. Grazie a tutti quelli che mi sono accanto e che in qualche modo condividono un sentire comune.



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