giovedì 30 aprile 2015

«EXPO 2015» * GIORNALISTI ANCORA SENZA ACCREDITI (COSI' IMPARANO)

A prescindere da come andrà, «Expo 2015», che apriva i cancelli quest'oggi alle 18 (mentre Andrea Bocelli tra poco ne canterà le lodi in Piazza Duomo, a Milano), ha già portato a casa un grosso risultato: l'azzeramento dell'odiata casta (si fa per dire, oggi siamo più che altro un plotone in fuga) dei giornalisti.

Come molti colleghi, per lavoro, ho fatto richiesta, 15 giorni fa, ovvero nei tempi prestabiliti dall'organizzazione, dell'accredito per accedere ai padiglioni di Pero. Un accredito che comunque, ovviamente, è nominale e personale. Inseriti dati e foto on-line, ho ricevuto la conferma dell'avvenuta ricezione con una mail automatica che mi preavvertiva della necessaria, successiva conferma dell'assegnazione dell'accredito e delle modalità per riceverlo o ritirarlo. Conferma che non è ancora arrivata, a Esposizione Universale già aperta, a tutti (e dico tutti) i colleghi interpellati. In queste ore mi è capitato di sentirne parecchi, di qualunque testata. 
Mi auguro abbiano dato le press accreditation almeno agli stranieri, giusto per attenuare (lo dico con premura tutta italiana) la figura di guano planetaria che stiamo facendo. Ma tant'è.
È vero che è da folli entrare all'Expo nella prima settimana, ma qualche tipo bizzarro potrebbe avere l'impellente necessità di doverlo fare per lavoro.

A ciò si aggiunga il fatto che sul sito dell'Esposizione, nella pagina per i contatti stampa, figurano un numero di telefono fisso (che è costantemente occupato o suona libero), un'e-mail alla quale non risponde nessuno (ho scritto due volte anche per un'altra esigenza), e quattro numeri di cellulare con i nomi di quattro persone. Inutile dire che sono costantemente occupati e nessuno risponde. Anche a sms e messaggi urgenti lasciati in segreteria.
Evidentemente la cosa non riguarda i signori di Expo 2015. Almeno non nel 2015. Forse, chissà, qualcuno si degnerà per l'anno prossimo.

martedì 28 aprile 2015

IL DJ ADESSO SI FA CHIAMARE «MUSIC DESIGNER»

Oggi, per la prima volta, in uno spot radiofonico, ho sentito definire il Dj (o Deejay, se preferite) «Music Designer»
Il mestiere, che rispetto, lo fa anche, con perizia, un amico che in arte si fa chiamare Frederick Magha Dj. Un tipaccio (lo vedete nella foto) che quando suona in piazza, alla festa del paese, mi fa tremare (letteralmente) le tapparelle di casa a furia di decibel, e per questo mi sta fortemente sulle balle. Però gli voglio bene lo stesso.

Frederick Magha Dj è uno ruspante, che come vezzo al massimo si mette una H nel cognome. Se lo conosco abbastanza bene, si lancerebbe volentieri in uno stage diving, planando sul pubblico, ma non si sognerebbe mai di farsi chiamare «Music Designer». Fighetteria da lasciare ad altri. Anche perché i deejay di solito, con la loro deriva televisivo-rappeggiante (da J-Ax a Fedez, per fare due esempi in voga), non sono tanto gente da Salone del mobile, ma piuttosto Soloni dell’immobile. Ieratici, dietro la loro sacra console.

Eppure questa strana espressione, «Music Designer» (un po' come «Light Designer» per direttore della fotografia), entra a tutti gli effetti nella galleria delle frasi alternative nate per nobilitare arti, mestieri e stati fisici tipica di questo Paese. Dall’ormai leggendario spazzino che diventò «Operatore ecologico», al becchino che fa l’«Operatore cimiteriale», all’handicappato «Diversamente abile». Sino alla commessa «Consulente di vendita» e alla colf/donna delle pulizie promossa a «Collaboratrice domestica». 

Parola di giornalista. Pardon, se non vi spiace preferirei «Word Optimizer».

sabato 25 aprile 2015

L'INFERIORITA' (ANTROPOLOGICA) DEL CICLISTA

Da anni (per averne viste troppe sulle strade di Milano e delle mie campagne, in Oltrepò Pavese) predico l'inferiorità, anche antropologica, dei ciclisti. Un autentico pericolo per se stessi e per il prossimo.
L'altro giorno, parlando con un amico legale romano che difende alcune loro associazioni di categoria (ebbene sì, esistono) in caso di incidenti nei quali vengono coinvolti, ho avuto la conferma da un addetto ai lavori che combinano più danni e infrazioni di Bertoldo. 
Fra le altre cose, mi ha riportato la domanda illuminante del marito di una signora coinvolta in un sinistro: «Avvocato scusi, ma secondo lei, il fatto che mia moglie stesse percorrendo il viale contromano, può rappresentare un problema?». «Mah, non so, veda lei...».
Tutto questo ovviamente proietta sinistre ombre anche sui coniugi dei ciclisti.

venerdì 24 aprile 2015

MAX PEZZALI * «È VENERDI'», IL SINGOLO CHE GUARDA ALL'ESTATE

Rassicurante, classicamente pezzaliano, è uscito oggi «È venerdì», il nuovo singolo di Max Pezzali, che in tempi di crisi e depressioni nazionali pensa bene di rispolverare il Thanks God It's Friday americano. (Grazie a Dio) «È venerdì», dice Max. Ammiccando alla fine della settimana lavorativa. Per chi il lavoro ce l'ha, naturalmente. Non parla di Jobs Act renziano, il pavese della canzonetta, ma confeziona una romantica ballata col testo che si adatta ai saliscendi della struttura compositiva di Max. Il suo marchio di fabbrica. 
Lui e lei sulla strada per le vacanze (richiamata anche dalla foto di copertina, con l'autostrada che è lì che ti aspetta) dimenticano i problemi per il tempo di un weekend. O forse più, chissà. È evidente che si guarda, anche commercialmente, all'estate alle porte. Non c'è l'epicità de «Gli anni», canzone insuperabile di Pezzali, ma il garbo e la grazia non mancano. «È venerdì» si compra su iTunes, in attesa dell'uscita dell'intero album, «Astronave Max», prevista per il primo giugno.

giovedì 23 aprile 2015

VIVA GIANNI MORANDI, CHE SI TRASFORMA IN DEMAGOGO IMPOPOLARE

La valanga di insulti che l’ha travolto sulla sua Fan Page di Facebook sul tema difesa dei migranti, oltreché triste e arida, non tiene conto dei trascorsi di Gianni Morandi. Sia quelli politici, nella rossa e ubertosa Emilia, che quelli canzonettari. 
Senza contare il fatto che, essendo in pratica monumento nazionale, per me «il Gianni» può dire ciò che vuole (e dovrebbe godere persino di quell'immunità parlamentare di cui molti parlamentari abusano). 
Analizziamo la questione: il ragazzo non ha fatto altro che essere coerente con la storica e sanremese «Si può dare di più», che ha condiviso con Umberto Tozzi ed Enrico Ruggeri. Negli anni in cui a essere buoni in Italia non si rischiava il cappio.

Ha detto, con il consueto buonsenso, cose degne, giuste e soprattutto umane. In linea con la sua immagine familiare da Mulino bianco senza uso di Banderas. Sarebbe il testimonial ideale delle Macine, fra l'altro, essendosi a suo tempo fatto mandare dalla mamma a prendere il latte. Al massimo gli si può imputare un po' di sana incoscienza (vivaddìo) nel mettersi contro una fetta considerevole dell'opinione pubblica. Non riesco a capire se l'abbia fatto consciamente o se la cosa gli sia sfuggita di mano, ma viva il Gianni Morandi un po' meno cauto del solito. Demagogo impopolare. Un ossimoro vivente che mi piace assai.

Certo, sulla questione immigrazione i problemi a livello politico, sia nazionale che comunitario, esistono, sono gravi e vanno affrontati dall'Europa intera. Ma in sede politica. Il coerente Morandi non ha potuto fare altro che andare contro una certa xenofobia di massa per dire qualcosa di umano. Di fieramente popolare nella sua impopolarità.

mercoledì 22 aprile 2015

EXPO MILANO 2015 APARTMENT-HOUSE TO RENT IN PAVIA DOWNTOWN

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Enjoy wonderful moments in Pavia, Milano, Lombardia and Expo 2015.

martedì 14 aprile 2015

IL CASO DI PAOLA SALUZZI E IL GRAVE ERRORE DI SKY

Non so che cos'abbia spinto quella santa, pacifica donna di Paola Saluzzi a dare del #pezzodiimbecille (hashtag d'obbligo) su Twitter a Fernando Alonso. Non lo so, e non posso che condannarlo: «Pezzo di imbecille» è frase insultante, indifendibile, nulla ha a che vedere con il sacrosanto diritto di critica e di satira. Con battute più o meno lievi o con la libertà d'espressione di ognuno sancita dall'articolo 21 della Costituzione. Non si fa, è chiaro. Del resto la signora si è accorta dell'errore e con grande garbo si è scusata. Al limite Alonso (visto
che lei non ha parlato in diretta, ma su Twitter, un social network, spazio libero e personale per antonomasia, come un Blog o Facebook) avrebbe potuto querelarla, e la cosa finiva lì. Tra loro, dove avrebbe dovuto restare.

Non conosco, come nessuno del resto, i retroscena. Ma il problema, in tutto questo, è che si è messa di mezzo Sky, azienda per la quale Saluzzi lavora, che con una decisione a dir poco discutibile e fatta in sordina, senza commenti, quasi come se se ne vergognasse, ha
inflitto alla giornalista una settimana di sospensione dal video. Mi auguro che del caso si occupino gli avvocati della conduttrice e la Federazione Nazionale della Stampa perché sembra esserci materia e il precedente, a mio avviso è molto grave. Tant'è che basta scorrere le pagine di giornali, siti e i social per trovare una condanna pressoché unanime al comportamento dell'azienda di Murdoch. Dal saggio Massimo Gramellini de La Stampa, al direttore del Tg5 Clemente Mimun («Twitter è luogo di opinioni personali») al Club Forza Italia Marina Berlusconi, è tutto un coro di solidarietà alla Saluzzi e un «buuu» ai signori di Sky.
Tralasciamo l'insulto. Come detto, indifendibile. Ma andiamo alla vera sostanza delle cose, al vero problema: se passa il criterio che un giornalista subisce sanzioni o vendette aziendali trasversali perché ha espresso una propria opinione sgradita (qualunque essa sia) su uno spazio personale e senza citare minimamente la propria azienda (si badi bene), non solo si commette qualcosa di gravissimo, ma si applica a chi vive di commenti e parole un doppiopesismo 



inaccettabile. Come a dire: chiunque può scrivere di tutto su Twitter e sui social, ovviamente rispondendone in modo personale, ma non chi fa il mestiere di giornalista. Punito per vie traverse. Un'assurdità in termini. Il pericolo diventa doppio se si immaginano inquietanti scenari di vendette personali fomentate da persone potenzialmente compiacenti. Stiamo molto attenti, perché con la libertà non si deve mai scherzare. Né rischiare di metterla in gioco. Il comportamento di Sky secondo me va condannato senza se e senza ma.

lunedì 13 aprile 2015

SHOW FILES * JOVANOTTI IN QUOTA DC * 1992, LA DELUSIONE * LITTIZZETTO CACCA PUPU'

LA LEGA DI JOVANOTTI

Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti è un bravo ragazzo, molto attento al marketing e con una grande, comprensibile voglia di democristianità. È politicamente schierato a sinistra, ma da sempre (per non deludere fans di ogni schieramento politico) ricerca il consenso totale, trasversale. Fiutando l'aria. Nella foga di piacere a tutti, ogni tanto commette qualche leggerezza. Come quella di infilarsi nella recente polemica su Twitter con Fedez e Matteo SalviniDiego «Zoro» Bianchi l'ha ben sottolineata ieri sera a «Gazebo», sfruculiando a dovere il cantautore di Cortona. Che ha spiegato le sue ragioni in una divertente intervista ben poco formale. La morale è che, anche se ti «hanno regalato un sogno», ogni tanto conviene stare zitti. VOTO: 6.


UNDERWOOD SOTTO TONO

Lungi da me l'idea di spoilerare lo spiazzante finale di «The House of Cards», ma va detto che questa terza è stata una stagione un po' sofferente, rispetto ai primi due capolavori. Fra le crisi di coscienza di Claire, i problemi di Frank (che non ha quasi mai flirtato col pubblico guardando dritto in camera) nella lotta per la rielezione e un Doug malconcio sullo sfondo, tutto è filato via in modo più lento, affannoso e problematico. Persino «The Walking Dead» si è rifatto sotto finale, ma nella seconda parte della stagione purtroppo si sono visti spesso troppi episodi-riempitivo. C'è poco da fare. Sino a oggi l'unico capolavoro, teso e perfetto dal primo all'ultimo capitolo, è stato il mai troppo celebrato «Breaking Bad». Ma ora si attende con ansia «Il trono di spade». VOTO: 7+.



RANIERI, IN RADIO PER SPOT

Di lui finora si ricordavano soltanto uno spot (allora si chiamava réclame) del 1972 per Barilla, e un altro del 1992 a bordo di una Y10 Selectronic. Ma da qualche tempo, in sordina, lo schivo Massimo Ranieri va in onda con alcuni commercial solo radiofonici per una catena di supermercati. Per uno come lui, così avveduto e lontano dalle lusinghe della pubblicità, deve essere stata una scelta sofferta. VOTO: 6,5.


LUCIANA, SESSO E CACCA

Ieri sera Luciana Littizzetto a «Che tempo che fa», spalleggiata da Fabio Fazio, ha fatto registrare 22 fra parolacce e allusioni sessuali o scatologiche in 18 minuti di intervento. Più di una al minuto. Sarà omologabile come record? Sarà il caso di puntare più sui testi e meno sulle paroline facili a effetto? Chi può dirlo... VOTO: 5.


1992, LA DELUSIONE

Era partita con un battage pubblicitario che manco per la missione spaziale della Cristoforetti, invece «1992 - La serie», dopo il botto iniziale, si è sgonfiata come ascolti e attenzione sui social. Il tentativo di metterla sul piano di capolavori Sky come «Romanzo criminale» o «Gomorra» è fallito. Colpa di un prodotto lento, disarticolato, sfilacciato. Con contributi recitativi come quello di Tea Falco, attrice per mancanza di prove. Insomma, dalla storia di Mani pulite ai dirigenti della rete di Murdoch che se ne lavano le mani, il passo è breve. VOTO: 5/6.

sabato 11 aprile 2015

MILANO, ASSISTENZA CALDAIE * OK, IL PREZZO E' (IN)GIUSTO

La caldaia (che necessitava anche di normale manutenzione) quest'inverno mi è andata in blocco più dei reni. Chiamo prontamente l'assistenza Imar (multimarca) per Milano, al numero che trovo sul web. Risponde «D.M. & C S.r.l. Società unipersonale» (Tel. 02.54123793). Si presenta tale Massimo, con un assistente. Massimo parla, parla e parla. Mentre l'altro apparentemente lavora. Massimo mi dice che la mia è «una vecchia caldaia, che funziona, ma è come una Ferrari che però per le sue esigenze è costretta ad andare a 50 all'ora». Vorrebbe convincermi in ogni modo a sostituirla con una nuova, più piccola e performante, che costa «fra i 1.800 e i 2.200 euro. Ci metterà pochissimo ad ammortizzare il costo». Insiste parecchio ma gli rispondo che no, non sono interessato. Mi basta che la mia vecchia Ferrari torni a funzionare. Massimo, mentre mi consegna il nuovo libretto di impianto (che l'impiegata al telefono mi aveva caldamente consigliato di fare in ossequio alle recenti leggi) compila anche il «Rapporto di controllo tecnico», che va in copia anche al Comune. Mentre pago i miei poco meno di 100 euro, mi fa presente che il tecnico ha riscontrato «una piccolissima perdita da un tubo, ma l'abbiamo lasciata così perché è trascurabile, meglio non toccare per non peggiorare le cose». 

Più tardi scoprirò che il nostro sul rapporto tecnico ha invece riportato «varie perdite». Perché una «piccolissima perdita» rilevata a voce parlando con me si trasformi in un documento ufficiale in «varie perdite», è una cosa che non capisco. Ma andiamo avanti. L'uomo (visto che aveva già compilato il modulo) non rileva neppure che nel frattempo avevo ritrovato in un cassetto la «Dichiarazione di confomità dell'impianto». «Non importa. Ho già scritto che non c'è. Se arrivano dal comune a chiederla, dica che nel frattempo l'ha ritrovata». Storco il naso. Ma andiamo avanti. 


Intanto i nostri eroi riempiono il vaso d'espansione della caldaia, che risultava vuoto, salutano e se ne vanno. Tutto ciò avveniva il 9 marzo, un mese fa. Da allora la caldaia mi è andata in blocco 7 volte, quasi due volte alla settimana. In pratica più di prima. Chiamo la ditta per protestare e la cortese signorina mi dice che rimanderà senz'altro Massimo a sistemare le cose, «ovviamente gratis, senza spese per lei». Mi fissa un appuntamento per un giovedì alle 16-17. Resto a casa dal lavoro ma non si presenta nessuno, senza alcuna chiamata o messaggio per avvisare. Nessuna. Il vuoto assoluto. Due giorni dopo li contatto leggermente incazzato; il suddetto Massimo sostiene di aver chiamato per avvisare. Cosa mai avvenuta, perché non ho ancora perso la capacità di intendere e di volere, ma amen, non incistiamoci nelle polemiche. Anche se legittime. Nuovo appuntamento, prima rinviato e poi fissato inderogabilmente per ieri, giovedì 9 aprile alle 8.15. 


Alle 8.30 si presenta l'impagabile (poi capirete perché) Massimo con un nuovo assistente. Massimo apre soltanto il vano caldaia e sentenzia che se il problema del blocco si presenta ancora è «sicuramente a causa del vaso d'espansione bucato, che va sostituito». Bene. «Quanto costa un vaso d'espansione?» Domando da profano. «Eh, quello le costa 500 euro, glielo dico subito. E se consideriamo anche che la caldaia è già vecchiotta, forse converrebbe... Comunque veda lei». Ok, 500 più manodopera e Iva (immagino) sono sempre meno di 2.000 e rotti, quindi autorizzo la sostituzione. Ottimo, dice l'impagabile Massimo fotografando la caldaia. Le procuro il vaso d'espansione e poi verremo a installarlo. Saluti e baci.


Li faccio allontanare e scatta un piccolo, veloce controllo sul web. Il prezzo dei vasi d'aspansione delle caldaie Imar, originali, va da un minimo di 93 a un massimo di 132 euro. Anche mettendo la manodopera della piramide di Cheope, prima di arrivare a 500 e rotti euro, ce ne vuole. Ritrovo in un cassetto il numero di un'assistenza Imar di Cremona che aveva installato l'impianto, e la chiamo, pensando non trovare più nessuno. Invece il tipo onesto a sorpresa mi dice che lunedì verranno da Cremona a Milano a installarmi il nuovo vaso d'aspasione a 150 euro chiavi in mano. Ci sono pochi commenti da fare.
Mi sono tolto la soddisfazione di farli, in modo peraltro molto più garbato del dovuto, chiamando Mr. Massimo e la centralinista della «Società Unipersonale». Massimo prima ha tentato un'estrema difesa: «Ma il vaso che le danno è originale?». Poi è costretto a cedere dicendo: «Che cosa vuole che le dica, sono un dipendente, devo fare quello che mi dicono».


Io invece mi sono limitato a rammentare loro che in futuro non li vorrò più vedere «manco dipinti», come si dice fra vecchi amici indiani. Mi piacerebbe invece che «Le iene» si occupassero di loro. 
E la «D.M. & C S.r.l. Società unipersonale» non si premuri di smentire, perché le telefonate sono registrate. Cordialità.

mercoledì 8 aprile 2015

LA CLASSIFICA DEI 10 UTENTI PIU' ODIOSI DI FACEBOOK

10) L’AMANTE DEL LUNEDI’
Non pubblica mai niente, ma ogni lunedì – puntuale come una cartella esattoriale - certifica con noia infinita l’esistenza di questo drammatico giorno della settimana. Giorno che lo annienta nel fisico e nel morale e che guarda caso coincide con la ripresa del lavoro. Si faccia vedere da uno bravo, oppure passi direttamente al martedì. Che poi gli toccherà odiare. Magari su Twitter.

9) LA GLITTERATA
Diffonde solo post con immagini sdolcinate, tipo cuoricini, angioletti, cagnolini, gattini e fatine glitterate. In genere ha 84 anni e si connette dalla casa di riposo. Bella zia.

8) IL COMMENTATORE A CAZZO
Non lascia mai un tuo post senza un commento. Lo considera peccato mortale. Piuttosto scrive in calce: «Viva il parroco!», ma qualcosa deve mettere per forza. Sennò è squalificato.

7) IL DOMANDONE
Chiede a gran voce ulteriori spiegazioni rispetto a quello che hai scritto nel tuo post. Cose che potrebbe serenamente cercarsi da solo sul web, ma vuole saperle da te. Soltanto da te. Senza accorgersi che in genere la risposta è già contenuta in uno o più commenti precedenti. Che ovviamente non si è premurato di leggere.

6) IL BATTUTARO
Ritenendosi molto arguto e spiritoso, confeziona giornalmente battute a raffica. Alcune riuscite, altre meno, ovviamente. Caratteristica del battutaro è quella di richiamare frotte di altri battutari, ancora più temibili, che commentano cercando di replicare con calembours sperabilmente più divertenti di quello originario. Il risultato, nell’insieme, è a volte drammatico.

5) LA SELFISTA
Regina del selfie, posta con cadenza giornaliera foto dove appare da sola o con accanto l’amica d’ordinanza al party di grido. Entrambe hanno il cocktail fra le mani e la bocca a culo di gallina.

4) IL POLEMICO
Il polemico a ogni costo ha come unico scopo quello di far notare il proprio ego smisurato su profili molto più frequentati del suo, che in genere è estremamente disadorno di contatti. Ingaggia pretestuosi (e infiniti) duelli verbali con l’autore del post, che si concludono con i due che mantengono le rispettive opinioni, e nel frattempo si sono mandati affanculo bannandosi per l’eternità. Per il quieto vivere, il polemico andrebbe bannato al secondo post.

3) L’AMICONE AMICONE
Non l’hai mai visto, eppure ti invia una richiesta d’amicizia. L’accetti. Da quel momento ti ritrovi la timeline, la bacheca, la posta privata e le notifiche sommerse di inviti a sagre della porchetta, mostre di quadri impressionisti (nel senso che fanno impressione), concerti di gruppi sconosciuti anche ai familiari, beveroni dietetici da comprare in multi level marketing e raduni della P2.

2) IL TAGGATORE
A Natale, Pasqua, Capodanno e a tutte le feste comandate, pubblica una simpatica foto augurale e tagga te insieme a tutti gli utenti Facebook della Lombardia. Te ne accorgi e riesci a disattivarle quando ormai le notifiche e i like hanno superato il Pil del Giappone.

1) L’ODIATORE PAVIDO

È il più pericoloso di tutti. Ti detesta, ma per qualche inspiegabile ragione (l’invidia e la curiosità) non si cancella dai tuoi contatti. Si guarda però bene dal criticarti apertamente. Il solo scopo della sua esistenza in vita è mettere un malizioso like ai commenti di coloro che ti criticano. Gli odiatori pavidi più avveduti non mettono subito il loro «Mi piace» furbetto, ma aspettano che il tuo post sia leggermente invecchiato. Come il vino buono.

sabato 4 aprile 2015

IL «KARAOKE» DI PINTUS, OVVERO LA STRATEGIA DEL FORMAT CONSOLATORIO

Angelo Pintus non è Fiorello. E l'ha dimostrato anche all'ultimo Sanremo, dove doveva portare sul palco dell'Ariston la performance della sua vita, ed è stata invece un'esibizione incolore. C'è qualcosa di incompiuto, insomma, nella simpatia di questo ragazzone dai capelli sparati che da una vita bazzica i cabaret nostrani in cerca di successo.
Però il suo modo di fare piace molto ai ragazzini. Forse per questo Italia 1 ha scelto lui per ripescare il buon vecchio «Karaoke» fiorelliano. Nelle piazze, con la stessa formula che portò in trionfo il codino di Rosario. Proprio quando qual diavolo di Fatma Ruffini impazzava sulle reti Mediaset con i suoi format. 

Se la rete giovane di Mediaset deve ricorrere al «Karaoke», un genere mai del tutto morto anche in tanti pub italiani, non c'è da stupirsi. In una tv dove ormai non c'è (quasi) più niente da inventare, si è andati a togliere dal freezer il programma retrò che più somigliava a un talent. Con inevitabili innesti stile Corrida. Ovvero «Italia's Got Talent». Ovvero «Tu sì que vales». Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.
Al di là del «Karaoke», sono convinto che non farebbe male a questa televisione guardare un po' al passato, riproponendo un po' di vecchie cose. Che ieri magari parevano un po' kitsch. E invece oggi porterebbero lo spettatore a leccarsi i baffi, cullandosi tra la nostalgia del passato e l'effetto lenitivo/consolatorio che inevitabilmente comporta.

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