sabato 30 gennaio 2010

MA LUCA TOMMASSINI FARA' BENE ALLA CUCCARINI?

Che cosa sta succedendo a Lorella Cuccarini? Un tempo era, innegabilmente, la più amata dagli italiani. Oggi - dopo qualche tagliando discutibile (gli anni passano per tutti ma bisogna stare molto attenti anche ai centri di assistenza) e un po' di ingiusto oblio - arranca in crisi di popolarità. Tanto che l'altra sera si è andata a infilare nel classico cul del sac, esibendosi al Mucca assassina di Roma. Nel locale gay per eccellenza della capitale, voleva spiegare il perché di alcune esternazioni poco gradite dal mondo omosessuale, come la sua contrarietà alle adozioni, e altre rispettabili opinioni. Peggio che andar di notte in via Gradoli portandosi Marrazzo e Natalì. Fischi, urla, un coro di "Vattene!", e la povera Lorella è stata costretta ad abbandonare il palco con perdite.

Perché la nostra, tra look discutibili e scelte che si fatica a condividere, da un po' di tempo a questa parte sbaglia parecchio e paga pegno? Secondo qualcuno il motivo è la fiducia cieca e assoluta che l'ex signora Scavolini ha nei confronti del coreografo Luca Tommassini. E' lui il regista del suo prossimo musical, "Il pianeta proibito", per il quale si vocifera di prevendite non esaltanti. Ma la segue con amore (forse troppo) dai tempi del debole "Sweet Charity" e persino in tv, dove su Sky il programma di monna Lorella non ha fatto certo stravedere. E pare che lei da lui accetti consigli di ogni tipo: dal trucco al parrucco, alla vestizione. Ne avrebbero fatto le spese persino Luca Sabatelli, che per anni l'ha vestita come una regina, e Saverio Marconi.

Per la cronaca, Tommassini è lo stesso che figheggia a "X-Factor", tra un Morgan esagitato e un Facchinetti da sedare. Nulla di preconcetto contro di lui, per carità. Ma è lecito seminare qualche dubbio, ogni tanto.
E se fosse proprio il coreografo che ha conosciuto e venerato Michael Jackson, a volerla piazzare pian piano al suo posto (e dopo gli stessi interventi) nei Jackson Five?

venerdì 29 gennaio 2010

MISTERO SANREMO: TUTTE LE DOMANDE SCOMODE DI GIGI VESIGNA

Si intitola "Vox Populi", la prefazione - illustre - è di Antonio Ricci, e minaccia già di far parlare. Il libro, firmato da Gigi Vesigna, storico direttore di Tv sorrisi e canzoni, ripercorre la storia delle stranezze e dei misteri legati alla kermesse, che sta per arrivare alla 60' edizione. Un traguardo storico. Stavolta sarà Antonella Clerici a cercare di traghettare in porto il festivalone, sperando di non incappare in un flop.
Ecco alcune delle domande alle quali Vesigna cerca di rispondere nel suo libro:

"Perché è stato montato il caso della canzone in dialetto quando nella sua storia il Festival ne ha già presentate tante in napoletano, sardo, veneto, calabrese e triestino? Perché non viene mai comunicato il numero effettivo di chi ha usato il televoto, ma solo le percentuali? Perché Elio e le Storie Tese non hanno vinto il Festival che, come è stato provato, era già loro? Perché i Jalisse sono stati cancellati dal mondo della musica? Perché Gianni Pettenati non ha potuto cantare la canzone Gesù Bambino (che oggi conosciamo come 4/3/1943)? Perché quando presenta una donna l’insuccesso è assicurato?"

Le domande sono e sarebbero, ovviamente, tante altre. Forse quella che al momento preoccupa di più l'ex conduttrice de La prova del cuoco, è proprio l'ultima.

EMANUELE FILIBERTO GODE PER IL FLOP DE "IL PIU' GRANDE"

C'è qualcuno che di certo sta godendo come un riccio sotto una riccia lasciva per il flop de "Il più grande (italiano di tutti i tempi)", il brutto programma di Francesco Facchinetti con Martina Stella in onda - ancora per poco - su Raidue.
Si tratta di Emanuele Filiberto di Savoia, al quale lo show fu proposto da Bibi Ballandi alcuni mesi fa. Avrebbe dovuto intitolarsi "Re d'Italia", con uno sfizioso gioco di ammiccamenti personali. Ma alla richiesta del principino di rinviare di qualche mese causa impegni, ecco il no della produzione e il ricorso a Facchinetti, già risorsa della rete col suo X-Factor.
Non so se sia stato fiuto o sommo culo, ma il Savoia junior - di fatto - ha sbancato al Superenalotto, evitando un flop epico e finendo coccolato nella squadra di Pupo e Valeria Marini de "I raccomandati" di Raiuno. Per non sbagliarsi, però, prima del debutto di quello che avrebbe dovuto essere il suo programma, ha fatto un bell'in bocca al lupo all'ex Dj Francesco. Come si può notare, gli ha portato tanta fortuna.
Il motivo del vistoso insuccesso de "Il più grande", scritto da Giovanni Benincasa (che è tutt'altro che stupido) sta essenzialmente in un macroscopico errore di fondo: stentano ad appassionare le gare tra viventi, figurarsi se lo spettatore si può entusiasmare di fronte a una sfida pseudo-culturale tra Cavour e Alessandro Manzoni. Fra Dante e Garibaldi. Roba per necrofili, a dir tanto.
E così la noia ti assale sin dalle prime battute, nonostante Facchinetti tenti in ogni modo di montare la panna, fra un Vittorio Sgarbi e un Costanzo, e sia innegabilmente migliorato rispetto agli esordi. Davanti al video la fuga è assicurata. Come se non bastasse, ieri sera il figlio di Roby dei Pooh è stato impallinato anche da Striscia la notizia: prima un tapiro d'oro per il flop, e poi un altarino svelato. Non ha ancora fatto incidere a una band emergente vincitrice di un contest sul suo blog, la compilation che aveva a suo tempo promesso.
Peggio di così, si muore.

giovedì 28 gennaio 2010

ALDO BUSI VA ALL'ISOLA DEI FAMOSI SOLO PERCHE' LO STRAPAGANO


E' istruttivo leggere ovunque (sui giornali, sul web) il tentativo di rappresentare e giustificare con esempi alti la partecipazione del sommo Aldo Busi alla prossima edizione de L'isola dei famosi di Simona Ventura. E' interessante e istruttivo perché i migliori cervelli del Paese stanno frullando i propri neuroni per raccontarci che l'Aldo provoca, così come fece ad Amici, dove andava a insegnare l'arte ai ragazzini. Che l'Aldo contamina, adora contaminare. Che l'autore di Sodomie in corpo 11 sarà impegnato stavolta a sverginare (ommioddio, che dolore!) il reality show con la sua presenza trasgressiva e impudente. Come se non avessero già fatto abbastanza Vladimir Luxuria e Adriano Pappalardo.

Insomma l'Aldo (dicono gli intellettuali di complemento), scrittore imbastardito col video, andrà a fare trasfusioni di plasma al nostro tv al plasma. Magari mentre l'ultimo tronista della De Filippi si prende a noci di cocco con l'ex Velina di turno. E nessuno che ti dica che l'Aldo, il sommo Aldo, l'Aldissimo della situazione, andrà alla prossima edizione dell'Isola dei famosi soltanto perché gli daranno una paccata di euro da far invidia anche a Vittorio Sgarbi. Che donerebbe un organo per essere al suo posto.

mercoledì 27 gennaio 2010

MA QUALI RIS? SUL DELITTO DI GARLASCO, DOMANDATE ALLA CHIABOTTO


Ma quali Ris? Qui siamo dalle parti di CSI Torino. Se avete dubbi sul delitto di Garlasco, domandate a Cristina Chiabotto, che nella pertinente cornice del Chiambretti Night, sfoggiando il suo nuovo look, ha detto la sua sul caso di cronaca nera che ha tristemente appassionato gli italiani.
Pare che la showgirl, ex Miss Italia ed ex conduttrice de "Le Iene", sia anche un'appassionata di criminologia, tanto che ammette: «Non mi perdo un delitto eccellente».
Sollecitata da Piero Chiambretti, non ha evitato di esprimere il proprio autorevole parere su Alberto Stasi e l’omicidio di Chiara Poggi: «Io sull’innocenza di Stasi ho qualche dubbio perché ciò che trasmette è molta, molta ambiguità. Io guardo molto gli occhi di una persona. Forse non sono la persona più adatta per farlo perché poi la burocrazia e la parte giudiziaria hanno fatto già il loro corso. Però dai suoi occhi io intravedo un lato ambiguo…». Dove non poterono gli inquirenti, insomma, potè Cristina. Che forse esprime anche il sentire di molti. Forse così facendo la bella Chiabotto lancia la sua candidatura alla conduzione di Porta a Porta o Matrix. Fossimo Bruno Vespa o Alessio Vinci, non dormiremmo sonni tranquilli.

lunedì 25 gennaio 2010

SE CONOSCI FABRIZIO CORONA, ALMENO NON VANTARTENE


Chiacchiero piacevolmente con l'amica Federica, frequentatrice della Milano non più da bere ma da sorseggiare cautamente, causa crisi. A un certo punto del discorso mi butta lì, con studiata distrazione: «Sì, forse un giorno di questa cosa mi ha già accennato Fabrizio...».
Chiedo: «Fabrizio chi?». E lei, pacata, come per segnare un punto: «Fabrizio Corona, no?». Quasi che la sottilmente vantata, supposta (nel senso più medico del termine) amicizia col tele-bulletto di periferia fosse un plus, una chicca, qualcosa che ti fa guadagnare la stima dell'interlocutore. Che, in questo caso, scrive di spettacolo.
A parte il fatto che se fossi amico di Corona non lo andrei certo a dire in giro ma passerei buona parte della giornata a preoccuparmi per la mia condizione, resto dell'idea che l'unica - ma proprio l'unica - cosa invidiabile del triste boss palestrato di paparazzolandia sia l'opportunità di trombare Belen Rodriguez. Ma se sei una donna, Dio mio, non ti resta neanche quello. E E il pensiero è devastante.

Corona non è solo il tipico esempio da non seguire (idolatrato da qualche ragazzino invasato per via di quella sua sempre supposta aria da vincente), la protervia fatta persona (e anche sul sostantivo ci sarebbe da discutere), l'orgogliosa quintessenza dell'antipatia. Corona è il cardine di un sistema che sta facendo tanto male a questo Paese. «Beh, hai ragione, ma c'è anche chi ha fatto cose peggiori di lui...», ribatte Federica. Certo, c'è anche chi ammazza, stupra, affossa aziende mandando sul lastrico milioni di persone. Ma non mi risulta che nessuno di loro abbia un fan club.
Il mio è moralismo un tanto al chilo? Demagogia? Facile riprovazione? Forse. Forse ha ragione Federica. Forse devo fregarmene.
Intanto io continuo a sognare un 'Italia dove chi è malato di Aids non se ne vergogni, e chi è amico di Corona - pudicamente - non vada a dirlo in giro.

domenica 24 gennaio 2010

PENE E VAGINA SI INSEGUONO (PER SPOT) SUI MURI DI UNA TOILETTE

 

Alzi la mano chi non ha mai scritto, con un pennarello indelebile, il numero di cellulare di un'odiosissima ex fidanzata sulle piastrelle di una toilette pubblica, facendo seguire al numero la frase: "Carla, telefonare ore pasti". Tanto per non scadere nel volgare. Ma siamo pronti a scommettere che non siete stati così magnanimi.

In Francia hanno fatto di meglio, sfruttando una variante dello stesso principio per confezionare uno spot anti-Aids al limite dell'imperdibile. La trama, singolare, è tutta da vedere. Vi anticipiamo soltanto che un pene e una vagina tratteggiati da mano esperta (attenzione ai doppi sensi) si inseguono in un commovente minuetto.

Il lieto fine è dietro l'angolo? Staremo a vedere.

CHEF TONY: "SILVIO BERLUSCONI HA COMPRATO I MIEI COLTELLI"


Se un consiglio per gli acquisti arriva (anche) al cuore del Presidente del Consiglio, il televenditore che l'ha proposto entra di diritto nella leggenda.
Rapito dalle parole - doppiate ma efficaci - e dai gesti ritmici quanto implacabili di un video dello «Chef Tony» (cuoco italo-americano ormai mitico per chi fa zapping tra le ipnotiche offerte notturne sulle reti private), Silvio Berlusconi ha alzato la cornetta e si è fatto spedire a casa gli 11 affilati coltelli di «Miracle Blade III, la serie perfetta». Quella che trita, sminuzza e affetta qualsiasi cosa. Tranne gli avversari politici, chiaro. La centralinista di turno alla modenese Televideoclub, che distribuisce il prodotto per l'Italia (costa 79 euro, più 39 se si compra anche il ceppo di legno in faggio per «incastonare» le lame, con l'omaggio di altri 
quattro coltelli e di uno spremiagrumi) ha fatto il classico balzo sulla sedia pensando a uno scherzo. Invece, era il Cavaliere in persona, che sul
sito dell'azienda americana avrebbe trovato la versione base dei Miracle III ad appena 39,95 dollari (circa 26 euro), più le spese di spedizione.
Pazienza, capita anche nelle migliori famiglie. Di certo, è stato un altro goal da manuale per il grande «Chef Tony», all'anagrafe Anthony Notaro, che iniziò nel 1971 come dimostratore di prodotti per le strade di New York. Lo stesso percorso di Roberto «Baffo» Da Crema, un volto storico delle nostre televendite, al suo debutto imbonitore (vendeva aspirapolveri) nelle fiere di paese. «Non mi stupisco che Berlusconi abbia comprato in tv» commenta «questi acquisti d'impulso gratificano per qualche istante chi li fa. Magari li voleva regalare al cuoco della sua barca. E non è neppure la prima volta: anni fa prese un tappeto da un mio
collega». Gli fa eco Rodrigo Cipriani, amministratore delegato di Mediashopping, ovvero televendite 24 ore su 24 sul digitale terrestre: «Il
Presidente vive molto di notte, e di notte ha chiamato alcuni mesi fa per comprare due nostre panche per inversione, dove ti puoi capovolgere di 180 gradi, a testa all'ingiù: fanno bene alla cervicale e alla colonna vertebrale. Ma anni fa prese anche un rasoio Micro touch e una macchina fotografica».
Il mercato italiano delle televendite fattura circa 600 milioni di euro l'anno, un centesimo di quello americano (è difficile fare un conto preciso per via del sommerso di molte reti locali), e sono in netto
aumento anche gli acquirenti vip. «Dopo essere stato un po' penalizzato nell'immagine da Wanna Marchi, dai fallimenti di Vestro e Postalmarket e
dall'inefficienza delle Poste» dice Cipriani «ora il settore è in crescita: le Poste funzionano, e noi di Mediashopping, per esempio, diamo al cliente 30 giorni per restituire il prodotto, a sue spese, anziché i 10 previsti dalla legge».
Le cinque categorie merceologiche più gettonate sono, nell'ordine: fitness e sport (tapis roulant, panche e le geniali pedane vibranti, per scuotere
la ciccia senza muovere se stessi); prodotti per la casa (dalle scope rotanti ai sacchetti salvaspazio); cofanetti di cd musicali revival; creme e beauty; hobby e fai da te. Il successo dei prodotti proposti dura in media non più di 18-20 mesi.
Un discorso a parte merita lo shopping di lusso. Per raccontarvelo, «Sorrisi» ha violato la fortezza di «Telemarket», che dal 1982 trasmette
su frequenze nazionali da Roncadelle (Brescia). 150 dipendenti, quadri, statue, gioielli, tappeti e oggetti d'arte per un valore di 115 milioni di euro, tutti insieme in una palazzina videosorvegliata con tre studi per le dirette e altrettanti caveau blindati. Sotto l'asfalto, in cortile, rilevatori di peso fanno scattare l'allarme e in tre minuti tutte le
polizie del circondario sono sul posto. Ci accompagna, giacca bianca da ammiraglio con mostrine d'ordinanza, il decano dei televenditori italiani: Paolo Frattini, 54 anni, veneziano. Qui lo chiamano «L'Artista». «Iniziai nel '77, in proprio, a Tele Europa di Varese, ma nel 1979 mi chiamò
Telemontecarlo: vendevo quadri, mobili e vasi di Gallé, mentre Indro Montanelli nell'altro studio faceva il telegiornale». Il sussiegoso Frattini rispolvera i suoi migliori aggettivi per vendere arte tre ore e mezza al giorno, cinque giorni la settimana. Il pubblico chiama, chiede di
poter vedere meglio un oggetto, le centraliniste intervengono in diretta, e lui accontenta tutti. Dopo l'acquisto, partono i camion per le consegne.
È una tv che si consuma come un menu alla carta. «La nostra è una clientela particolare, di classe, e va fidelizzata: hanno un flottante di cassa, una piccola-media disponibilità economica e per realizzarsi
ovviamente puntano a possedere cose belle. Devi essere bravo a motivarli e loro ti scelgono. Alla fine sono il cliente più bello che ci sia». Ma un
tipo esigente come Vittorio Sgarbi, severo critico d'arte che per la rete bresciana inventò anche le «videoperizie», comprerebbe oggetti così
preziosi in una televendita? «Certo» conclude Frattini «l'ha anche fatto più volte».
Durante la nostra visita nel bunker di Telemarket abbiamo visto, fra l'altro, un collier d'oro, diamanti e zaffiri da 85 mila euro; un quadro di Botero («Donna di profilo», del 2004) da 350 mila e alcune statue in bronzo patinato di De Chirico, come «I grandi archeologi» ed «Ettore e Andromaca» (165 mila). Il Picasso da un milione e mezzo di euro purtroppo aveva già preso il volo; in compenso, una scultura conoidale di Arnaldo Pomodoro fa ancora bella mostra di sé al centro dello show-room. «È qui da due anni ed è costata 650 mila euro» dicono gli addetti. «I proprietari l'hanno comprata subito per poi chiederci di custodirla: non hanno ancora pronto il giardino».

sabato 23 gennaio 2010

LA FIGLIA DI «FANTOZZI»? E' VIVA, LOTTA INSIEME A NOI (E FA LO SCULTORE)

Plinio Fernando.
Era sparita da 15 anni. Eppure la figlia di «Fantozzi» è viva e lotta insieme a noi. «Abbia pietà quando scrive di me, lei che è giornalista...»  dice facendo il verso al servilismo di Paolo Villaggio, suo papà putativo.
Come forse non tutti (ma di certo molti cultori del genere) sanno, la «piccola» Mariangela, passata alla storia del cinema per tutto tranne che per la sua avvenenza, è in realtà un uomo: l'attore Plinio Fernando. Un signore timido, affettuoso e riservato nato per caso a Tunisi - da genitori italianissimi - il 15 settembre 1947. E sparito dalle scene nel 1993, quando girò «Fantozzi in paradiso»; l'ultimo capitolo della saga dell'impiegato più sfigato d'Italia. Nel '74 il debutto sul set del primo film, indossando le improbali camicie da notte e le vezzose cuffiette di Mariangela. «La bertuccia», come la chiamava l'implacabile geometra Calboni. Da lì, pian piano, l'ingresso nel mito, come è accaduto ad altri grandi caratteristi come Bombolo e Jimmy il Fenomeno.

Di Plinio Fernando nulla si sa, compresa la data di nascita, sbagliata (sino a ieri) persino dai più accreditati siti di cinema. «Di "Fantozzi" ne ho girati otto» ricorda con l'inconfonbile voce chioccia. «Mi scelse il regista, Luciano Salce, dopo che mi presentai a un provino in via Monte Zebio, qui a Roma. E Villaggio si trovò subito d'accordo. Ho fatto l'accademia di recitazione, con il metodo Stanislavskij. E questi film mi hanno consentito di lavorare oltreché con Villaggio, anche con Milena Vukotic, la signora Pina, Gigi Reder-Filini e Anna Mazzamauro, la signorina Silvani. I più grandi. Ma non ho fatto solo quello. C'è stato il teatro, con due commedie, "Pupe pupe della malavita", ispirata a Feydeau, e "Allegria con cadavere". E poi sono stato un chirurgo in "Sturmtruppen" di Salvatore Samperi». Che effetto faceva vestire i panni della brutta per eccellenza? «Beh, in fondo era solo un ruolo, un lavoro come un altro» dice. «E non dimentichiamo che tutti i più grandi attori si sono vestiti da donna: da Ugo Tognazzi ne "Il vizietto" a Tony Curtis e Jack Lemmon in "A qualcuno piace caldo"».
Quando il periodo cinematografico del tenero Plinio si è chiuso («Forse era finita un'epoca, e poi io prima di lanciarmi in nuove avventure ci penso molto, ho paura di sbagliare; avrei dovuto fare i reality in tv? Li detesto»), nel '94 è iniziata la sua nuova carriera, quella di scultore. «Perché gli artisti sono come i diamanti: hanno mille sfaccettature» dice il nostro con orgoglio. Se si tenta di sapere qualcosa di più sul suo privato, si schermisce, misura le sillabe, chiede di evitare. Nei suoi modi si intuisce il travaglio interiore che sta dietro la vita di tutte le persone sensibili. E che non si può non rispettare. Guarda le sue creature - pochi quadri di nature morte e altre sculture: sono soprattutto le teste di terracotta, la sua passione, alcune delle quali impreziosite da smalto e oro - ed esclama: «Belle, vero? Ho fatto quattro anni col maestro Luigi Diotallevi, e da lui ho imparato molto di quello che so. Prima di decidermi a inagurare una collettiva ci ho messo un po', ma ora sono soddisfatto, vorrei farne tante in giro per l'Italia. Se oggi sono felice? La felicità è un attimo... È finita l'intervista, vero? Vuole che le racconti una barzelletta?». Prego. «Siamo tutti uguali davanti a Dio, ma non davanti al bancomat». E a labbra sigillate allarga gli angoli della bocca in un sorvegliatissimo sorriso.

Grazie di esistere, Plinio.


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