Nel video qui sotto (una chicca di alcuni anni fa ma davvero tutta da gustare) c'è una Clara Moroni a ruota libera che racconta il suo Vasco Rossi. Piccoli segreti on stage compresi. E uno è veramente esilarante. Il komandante e quel suo vizietto che si consuma sotto il palco, come una scaramanzia, all'inizio di ogni concerto che il buon Dio della musica manda nei nostri stadi. Pandemie permettendo, naturalmente. Ma questo è un anno particolare, e l'estate non sarà da meno. In attesa dell'agognato ritorno alla normalità. Pochi conoscono l'uomo di Zocca meglio della sua storica corista, che lui stesso aveva ribattezzato: "La Ferrari del rock". Tanti sono i live macinati insieme, e si nota dalla confidenza e dall'esperienza della nostra. L'aneddoto, da bibbia della musica leggera italiana, è degno del miglior Blasco. E ogni volta che rivedo questa clip piango dal ridere mentre mi immagino la scena.
La giornalista Francesca Senette, ora insegnante di Yoga.
«Bisognerebbe mangiare broccoli due volte al giorno, ma anche le fave fanno molto bene. Se le danno gonfiore, metta una foglia di alloro». Francesca Senette, la donna che visse (televisivamente) tre volte - e che parla in Dolby surround come se fossero due persone in contemporanea -, abita in un condominio di ringhiera su due piani in pieno centro a Milano. Adesso è in fissa con il salutismo (dal 18 marzo alle 14 sarà su DeAJunior, al canale 623 di Sky, con «YoYoga») e non la si tiene.
Senette, vuole diventare la Rosanna Lambertucci del nuovo millennio? «Sa che non mi dispiacerebbe? Lambertucci 3.0. Credo che manchi in tv una figura credibile a parlare di sapere olistico, di benessere. Ecco, io ora sono questo. I miei panni giornalistici di ieri mi vanno stretti».
In che senso? «Non riuscirei più, per la mia serenità, ad andare in onda a parlare di stupri, omicidi, atrocità. Il bene non fa notizia, ma il male mi fa male». Otto anni al Tg4, Mediaset. La chiamavano: «La favorita di Emilio Fede». Due in Rai, e ora il filone tele-meditativo sui canali De Agostini. «Beh, essendo brava, carina e sveglia, ci stava anche che fossi la favorita del direttore, no? Poi quando, richiamata in un giorno di riposo, mi buttò senza rete sino all’alba a fare la diretta dell’11 settembre, gli diedi del pazzo ma mi presi anche una rivincita sulle malelingue».
E in Rai a «Italia allo specchio»? «Un contratto di due anni in esclusiva. Me ne fecero fare uno, poi seppi per caso di essere stata defenestrata da un giorno all’altro. Feci un’edizione e l’altro anno rimasi parcheggiata». Psicologicamente come ha vissuto questo suo, chiamiamolo cambio di pelle? «Un disastro. All’inizio fui devastata. Ero una conduttrice tv di discreto successo con l’autista sotto casa che portava i bimbi all’asilo e poi andava a fare le riunioni di redazione, la diretta. Improvvisamente, il nulla. Ero abituata a essere Francesca Senette “di…” Retequattro, Raidue… Tolto il “di” restavo solo la Senette. Un giorno ho capito di non averne bisogno di quel “di…”».
Per la terza edizione di «YoYoga» è passata da esperta a maestra. Non me ne intendo: è come dire cintura nera? «Di più. Ho fatto 250 ore di corso per diventare maestra e poter insegnare. Poi altre 250, una sorta di master, per perfezionarmi». La solita secchiona. «E me ne vanto. Ostinata e secchiona. Sono varesotta ma con origini sarde, faccia lei».
Si va a mode. In principio fu la zumba, da qualche tempo insidiata o forse soppiantata dallo Yoga. Perché tanto successo? «In mezzo metterei anche il Cross Fit, che ancora si difende tra gli uomini. Due motivi: assorbiamo con ritardo le influenze americane. Negli Usa lo Yoga va da 10 anni, e ora è da noi. Poi combattere lo stress e il bisogno di rilassamento per la vita che facciamo, fanno il resto. Meditazione. Un po’ come faceva mia nonna recitando il rosario». Quindi tappetino a terra, e via con gli esercizi. «Quello si chiama Asana, ed è solo una parte, che la maggioranza della gente considera Yoga in senso assoluto. In realtà è composto da otto rami: dai precetti morali (un po’ come i Comandamenti cristiani), alla respirazione; poi purezza, concentrazione, sino allo stato trascendente».
Ne esistono vari tipi, con differenti esercizi? «Tanti. C’è l’Hot Yoga, il Power Yoga, il Kundalini… Si tratta di giochi, di variazioni su tema. Se si cerca solo un po’ di forma fisica basta fare ginnastica o pilates che “l’è istess”, come diciamo a Milano». Quali benefici dà lo Yoga all’organismo? «Flessibilità ed elasticità in ogni parte del corpo e al bastone sacro, la colonna vertebrale, con l’allineamento dei sette chakra, i punti energetici, che la compongono. Ma fa bene anche agli organi interni, che strizzati eliminano tossine. E poi leva l’ansia. Sa quanto si risparmia in medicine?».
Io sono vasto. Con lo Yoga potrei dimagrire? «Potrebbe fare l’Ashtanga Yoga, che ha ritmi cardio molto alti e posizioni senza riposo». Quali vip conosce che lo praticano? «Camila Raznovich è una buona yogina, che ha ceduto per sfinimento alle mie pressioni. Giornalisti come Ferruccio De Bortoli e Anna Dello Russo; Franco Battiato, che è un vero guru; Federica Fontana, Simona Ventura, che fa Hot Yoga. Alcuni allievi nella mia stessa scuola, altri no».
Non è che le signore benestanti una volta aprivano negozi di abbigliamento e oggi si mettono a insegnare Yoga? «Se le signore benestanti si dedicano allo Yoga hanno tutta la mia stima, perché farlo bene mi pare molto più difficile che aprire un negozio di abbigliamento». In «YoYoga», che avvicina questa pratica ai bambini, ci sarà anche suo figlio Tommaso, di sei anni. Lo consideriamo lavoro minorile? «Mannò, è un gioco e un racconto: così i bambini vivono la disciplina. E ovviamente non lo obbligo, ha accettato lui. Come nel mio libro “Yoga Box”, loro abbinano le parole (cane, palma, coccodrillo, ecc.) alle varie posizioni e si sviluppa una storia».
Qual è lo scopo ultimo dello Yoga? «Raggiungere uno stato di quiete e rilassamento grazie al quale nulla ci dia più fastidio: dal caldo al freddo, ai condizionamenti esterni…». Una fortunata disposizione d’animo forse più partenopea che indiana. «E infatti il mio maestro di Yoga è napoletano! Vede che il cerchio si chiude?».
Da una vita nei villaggi turistici vedo gente che la mattina fa il famoso «saluto al sole» senza che quest’ultimo si degni mai di rispondere. Alla lunga non è frustrante? (Ride) «Ma guardi che il sole a me risponde: abbiamo un bellissimo rapporto».
Il pavese Drupi oggi e Mia Martini al culmine del successo.
«Mia Martini torna, ma non se n’è mai andata: ci sono stati solo alcuni idioti che si sono messi sulla sua strada con qualche storia strana». Così parlò Giampiero Anelli, in arte Drupi. Era il 1988, Raidue, «Master». Uno speciale monografico dedicato al ruvido interprete pavese. Drupi invitò Mimì come ospite quando stava per rilanciarsi con un album dopo anni di silenzio, e la difese dalle maldicenze quando farlo era quantomeno controcorrente. Oggi, invece, pare vada di “moda”. Dopo il successo della fiction «Io sono Mia» e la doverosa riabilitazione dell’immagine della cantante uccisa dalle calunnie, il mondo dello spettacolo è pervaso da un affetto per Mia Martini che a Drupi suona quantomeno stonato.
Giampiero, che cosa succede? «Non ne posso più. Sono stato zitto per un po’, ma c’è un limite all’ipocrisia dei brutti str… che vantano amicizie immaginarie. Ormai è pieno».
Si riferisce, ovviamente, a Mia Martini. «Ora tutti la conoscevano, tutti le erano amici. E cavalcano l’onda. Quando a frotte all’epoca, nell’ambiente, la schifavano: entrava in sala di registrazione e si toccavano gli attributi per fare gli scongiuri, oppure la chiamavano “L’Innominabile”».
I conti non tornano, insomma. «No, non tornano, e questa cosa mi manda in bestia. Forse dovrei tacere per non fare anch’io la figura di quello che… Ma è uno sfogo d’istinto che le devo. Fu lei, per caso, a darmi il successo». Ci spiega meglio? «Era il 1973. Io, agli inizi, sconosciuto, bazzicavo la Ricordi a Milano, ma stavo quasi per mollare il colpo. Mia all’epoca era la regina dell’etichetta. Un giorno mi chiesero di incidere il provino del pezzo che lei avrebbe dovuto portare a Sanremo: “Vado via” di Riccardi-Albertelli. Alla fine però non se la sentì di andare e i discografici disserò: “Perché non ci mandiamo quel ragazzino che ha fatto il provino?”. Lì, con un boom e altri successi internazionali, inizio la mia carriera».
Gratitudine. Che traspare cristallina da quel famosi speciale di Raidue. «Non solo, anche stima. Mi piace pensare che da quella apparizione in tv, quando non la voleva più nessuno, partì la sua rinascita. E grazie anche al produttore tv Gianni Naso, che appoggiò la mia richiesta di averla come ospite».
Un aneddoto che riguarda la vostra amicizia. «Quando ci trovammo al Forum di Milano per una serata legata a una radio. Era già iniziata la nuova china discendente del suo successo: mi chiese dell’etichetta indipendente che avevo lanciato: voleva entrare a farne parte. Le risposi che era una cosa più che altro fittizia, per portare avanti solo i miei progetti senza rotture di scatole; e che comunque, con qualche qualche soldo a disposizione in futuro, l’avrei tirata dentro volentieri. Poco tempo dopo arrivò la terribile notizia della sua morte».
Ha visto su Raiuno la fiction che le è stata dedicata? «No, mi sono rifiutato: avrei certo trovato difformità rispetto alla realtà, e preferisco non rovinarmi il ricordo. Non le vedo mai quando parlano di qualcuno che ho conosciuto. Mia moglie però l’ha vista, l’ha trovata buona, e Serena Rossi molto brava».
Lei è sempre stato un po’ un cane sciolto… «Sì, dico la mia con schiettezza e non ho mai curato molto i rapporti nell’ambiente. E l’ho anche sempre pagata cara, se è per questo. Però lavoro. Guardi: mi hanno appena chiamato per fissare un concerto a Praga addirittura il 14 dicembre. Non so manco se sarò ancora vivo». Voce e talento non le mancano. «So solo che ogni tanto spavento tutti dicendo: “Guardate che adesso mi viene la vanonite”».
Ovvero? «Parola che ho coniato e che viene da Ornella Vanoni, adorabile perché da due anni a questa parte sta dicendo qualsiasi cosa su chiunque senza badare alle conseguenze. La “vanonite”, appunto. Senta, un’ultima cortesia…». Mi dica. «Se pubblica qualcosa di questa chiacchierata non posso sopportare l’idea di passare per l’ennesimo che vuole cavalcare la vicenda di Mimì. Piuttosto, faccia saltare l’articolo. A me non interessa finire sui giornali. E i millantatori, mandiamoli a quel paese».
Il ritorno in video di Renzo Arbore su Raidue con Striminzitic.
STRIMINZITIC SHOW è il nome del nuovo atteso programma con cui Renzo Arbore è pronto a tornare su Rai2. Si tratta di 21 puntate in tutto. La prima è lunedì 8 giugno in prime time. Poi, le successive 20 andranno in onda in seconda serata, dal lunedì al venerdì a partire dal 9 giugno.
Ugo Porcelli, storico autore di Renzo, e il suo amico musicista Gegè Telesforo, hanno finalmente convinto Arbore a mettere mano al suo archivio personale. Ed è così che il vero collante delle 21 puntate sarà proprio il racconto in maniera sorridente e aneddotica dei filmati della tv d’autore ma anche dei momenti più belli e curiosi della carriera dello showman. Arbore è anche un frequentatore della rete da cui recupererà, di puntata in puntata, preziosità della tv di ieri fino ai nuovi talenti di oggi. Il Master of Ceremony delle serate tv sarà Gegè Telesforo, musicista, compositore ma soprattutto abile improvvisatore della parola, grazie alla frequentazione con Arbore da cui è scaturito un inevitabile affiatamento.
I programmi di Arbore sono rivolti a tutti, ma principalmente allo “scelto pubblico”, che lui chiama alla vecchia maniera, cioè agli spettatori già inclini all’ironia e all’allegro non-sense dello stile arboriano. STRIMINZITIC SHOW è un programma di Renzo Arbore, Ugo Porcelli, Giovanna Ciorciolini, GianLuca Santoro, Gegè Telesforo. Regia di Gianluca Nannini.
Allo scoccare del quarantacinquesimo giorno di lockdown lo statista Matteo Salvini annunciava alla primaria agenzia di stampa nazionale Adnkronos che il 1 maggio avrebbe presentato al Paese un (cito testualmente) “Grande piano di ricostruzione nazionale”. Non pizza e fichi. Ha detto proprio così. Grande. Piano. Di. Ricostruzione. Nazionale. Una cosa mirabolante, un'ideona, anzi una serie di ideone tutte inanellate per mettere in sicurezza questo benedetto Stivale. Domani sarà il 25 maggio, e qui non s’è ancora visto niente. Onestamente sono un po’ preoccupato: non vorrei che si trattasse di una sparata ad cazzum. Un po' come quella delle accise sulla benzina. Anche perché sarebbe la prima che gli sento fare in tutti questi anni, e mi dispiacerebbe che si rovinasse la reputazione. Dico sul serio.
Spesso siamo abituati (per brevità, per pigrizia mentale, perché diciamocelo: fa comodo alle nostre testacce dure) a catalogare le persone. A infilarle sbrigativamente nella scatola dei buoni o in quella dei cattivi, lasciandole lì a macerare magari per sempre e dimenticando che andiamo tutti a fasi alterne. A periodi. Che si finisce per cambiare. Che il passare del tempo non ci migliora (questo è un dato di fatto) e che gli stronzi esistono, ma che non siamo mai né del tutto buoni né completamente stronzi. Che le situazioni ci plasmano, che la vita si concede il lusso di farci viaggiare in prima classe o nella terza del Titanic. E noi finiamo con l'essere il viaggio stesso. Tanto più che dopo i 40 è tutto un andare di sfumature. Mi ha molto colpito la morte di un collega della mia età, che conoscevo ben poco e che avevo (per qualche sguardo un po' in cagnesco e modi sbrigativi che mi aveva dedicato, un paio di volte che ci incontrammo a Pavia, tantissimi anni fa) piazzato nella scatola sbagliata. Mi accorsi dell'errore di catalogazione un paio d'anni fa, a una cena in piedi in un bel giardino pavese, dove ci ritrovammo ospiti di una comune amica. Ci fermammo a parlare come non avevamo mai fatto e fu il contrario di quel che mi aspettavo: generoso di affetto, di stima, di dettagli privati. Mi raccontò persino di una grave malattia che l'aveva tormentato per un po' e che gli stava dando tregua. Fu infinitamente gentile e molto umano. Tanto che fui costretto a dirgli: «Senti, ma ho sempre pensato di starti pesantemente sul culo, e mi ero adeguato. Adesso che cosa fai? Mi costringi a cambiare parere. Vergognati». Si rise parecchio, con la promessa di ribeccarsi «in giro» quanto prima. Quelle cose che dici e che poi non fai mai, ma che in queste circostanze si dicono sempre. Ciao Cesare, sei stato uno fra i miei più grossi errori di valutazione. Mi piace pensare a un concorso di colpa.
Gaia, che è anche nel cast di Amici Speciali, su Canale 5.
La giovane cantautrice italo-brasiliana che ha sbancato ad Amici 19 si conferma anche questa settimana l’artista femminile più ascoltata in radio. E oggi, venerdì 22 maggio, esce “NUOVA GENESI” (Sony Music Italy), la nuova versione del suo album “Genesi”, arricchita da tre brani inediti, disponibile in digitale e nella versione fisica.
Questa sera, inoltre, Gaia tornerà nuovamente in prima serata su Canale 5 per il secondo appuntamento con “Amici Speciali”, il nuovo programma di Maria De Filippi. “Nuova Genesi" è una giungla urbana, dove le atmosfere da club e l'elettronica in punta di synth sono inondate dalla calda luce brasiliana e dalle atmosfere tropicali.
Track listing di “Nuova Genesi”:
1) Chega 2) Densa 3) What I say 4) Mi ricordo un po’ di me 5) Coco Chanel 6) Fucsia 7) Stanza 309 8) Il rosso delle rose 9) Bela Flor 10) Calma
Al disco hanno collaborato importanti nomi della scena, tra cui Simon Says, Alex Uhlmann, Antonio Filippelli, Jacopo Ettorre, Machweo, Piero Romitelli, Gerardo Pulli e Antonio Di Martino. “Nuova Genesi” rappresenta un vero e proprio nuovo inizio per la giovane cantautrice, che in questo disco si mette a nudo, raccontandosi e ricostruendo il percorso che l'ha portata alla sua “nuova genesi" appunto. In “Nuova Genesi” è contenuto anche “Chega”, brano che conta già milioni di stream e tra i più trasmessi dalle radio. Il brano è accompagnato da un video, diretto dagli Younuts: un alternarsi di immagini, da quelle di famiglia e di momenti meravigliosi nella terra che occupa metà del suo cuore, il Brasile, a quelle della Gaia di oggi impegnata a realizzare il suo sogno di fare musica.
Quello di Chega è uno dei pochissimi videoclip musicali, se non l’unico, ad essere stato girato durante la quarantena rispettando ovviamente tutte le disposizioni ministeriali, regionali e di buon senso ma con l’unica volontà di contribuire a tenere viva la musica e il lavoro di chi di musica vive.
È annoverato tra le spezie televisive, il «mago» (per brevità) Giucas Casella. Quando gli autori non sanno più quale strano ingrediente aggiungere per insaporire i loro programmi, ecco che ricorrono a lui, al Divino Otelma, a Cristiano Malgioglio, a Platinette e, di recente, a Francesca Cipriani. Un bel quintetto di stravaganti. «Ma non mi dispiace farne parte» commenta Giucas, in tuta e scarpa-ciabatta style nel suo appartamento romano sulla Cassia, dove vive dal 1979. «L’importante è essere se stessi».
Casella, sul suo sito web lei si definisce: «Il più grande mentalista di tutti i tempi». Dica la verità, le è scappata un po’ la mano. «Ma scherza? Lo sono eccome: ho lavorato in tutto il mondo!».
Qual è la sua carta vincente? «L’ipnosi. Da quando debuttai a “Domenica in” con Baudo. Mi toccò persino andare a Latina a slegare le mani di un Vescovo, rimaste intrecciate dopo un mio tele-esperimento».
So per certo che anche autori e redattori Rai slegavano mani al telefono su sua delega. Fu un inquietante fenomeno di massa. «Ebbi anche alcune denunce e per tre settimane mi vietarono di fare ipnosi dando spettacolo in tv. “Solo quella terapeutica”, dissero. Poi venne revocato il blocco. Anche a Ciriaco De Mita slegai le mani».
Maddài. Dove successe? «Pippo organizzò una serata a Nusco, il paese del politico Dc: lì lo ipnotizzai e gli intrecciai le mani, che per lungo tempo non si sciolsero».
Erano i tempi in cui Di Pietro a Milano iniziava a legarle ai politici meglio di lei? «Nooo, successe prima. Ma in seguito venne Giulio Andreotti in studio, andai per salutarlo, e mi sorprese. Si chinò verso di me e con la sua vocina disse: “Senta, non è che verrebbe in Parlamento a legare un po’ di mani a chi dico io?”».
In una carriera avrà ipnotizzato chiunque. «Belen Rodriguez finì rigida in catalessi. Ma ho fatto anche Paolo Villaggio, tutti e quattro i Pooh…».
Guai o lamentele? «In stato d’ipnosi feci spogliare la modella Cannelle, che poi denunciò tutto il programma; Anna Mazzamauro dopo uno stato di trance accusò dolori. E a Catania, in una festa di piazza, feci togliere la maglietta a una ragazza e le imposi di grattarsi a ripetizione: arrivò il fidanzato e mi diede un pugno».
Avendo ipnotizzato anche animali, lei ha dichiarato che «i più ricettivi sono i coccodrilli, seguiti dai polli e dai cobra». Mi fa una classifica analoga con i Vip? «Al primo posto metto Dario Argento: una cosa stupenda. Ma anche Orietta Berti è un soggetto straordinario. Al terzo, Valeria Marini».
Chi si è categoricamente rifiutato? «Lucio Dalla, buonanima. Poi Patty Pravo e anche, a sorpresa, Amanda Lear».
Come mai? Sembra persona di spirito. «Aveva paura di perdere il controllo. E poi, secondo lei, quale domanda scomoda avrei dovuto farle sotto ipnosi? Il problema è che la gente crede che chi viene ipnotizzato sia un soggetto debole».
Invece? «L’esatto contrario. È il forte che si lascia ipnotizzare perché non ha paura a cedere la propria volontà e ti asseconda. Il debole fa resistenza, come mi accadde con Simona Ventura. Risultò un fiasco».
Lei si è mai fatto ipnotizzare? «No, non cederei mai ad altri la mia volontà. Al massimo mi autoipnotizzo quando faccio i numeri più pericolosi: fachirismo, interramenti…».
Un giorno arrivò Gigi Sabani e iniziò a sfotterla: «Paragnosta, figlio di gran paragnosta»… «Quei tormentoni all’inizio mi ucciserò perché io creavo il pathos e la gente ovunque mi prendeva in giro. Non riuscivo più a lavorare. Cercai di stopparli, anche ai piani alti in Rai, ma mi dissero: “Quando ti imitano, vuol dire che hai sfondato”. Avevano ragione».
Fu invece Mara Venier a scoprire la sua indole più (mi permetta) cazzara: giochi, travestimenti… Nell’ambiente si dice che oggi i vostri rapporti siano un po’ freddi. «Mannò, Mara è una sorella ed è stata proprio lei a spingermi ancora più in là come personaggio. Ci può essere qualche divergenza di vedute in ogni famiglia. Io lavoro e vado dove mi pagano: non faccio mai tv gratis. Ora non ho più esclusive con Mediaset e se vorrà chiamarmi sarò sempre a sua disposizione».
È stato due volte all’«Isola dei famosi»: nel 2008 e nel 2018. Uscendo sempre prima per problemi di salute. «Nel 2008 svenni, può capitare. Mio figlio James, che è medico, si spaventò da morire e in Italia fece il finimondo: andò dalla Ventura, dal produttore Gori: “Mio padre è malato, ha il diabete…”. Morale, mi costrinsero a tornare. Lo scorso anno caddi in barca: cinque costole fratturate. Non c’era alternativa».
Ma scommetto che tornerebbe subito in Honduras. Fra l’altro Brosio e la Cipriani sono già tornati e gli ascolti traballano. «Credo di rientrare già in una lista di papabili. Comunque prenderei l’aereo domattina stessa, perché io sull’isola sto troppo bene: parlo con il sole, la sabbia, le palme. Faccio i miei rituali. È una carica d’energia».
Che cosa pensa del suo rivale Otelma? «Beh, lui è il Divino… Si è creato questa ruolo. Ci crede, è uno studioso, ha più lauree. Io no. Penso che tutto sommato non faccia male a nessuno. Ciò che combatto da sempre invece è il paranormale».
Ha finito di camminare sui carboni ardenti? «Nooo. In Grecia mi ustionai un piede, ma sarà la mia prossima sfida: voglio entrare nel Guinness con un percorso di 30 metri portando via il titolo a un giamaicano. Rai o Mediaset, vedremo chi avrà la meglio».
L’esperimento estremo che non ripeterà? «L’apnea. Mai più. In Spagna rimasi sott’acqua per sei minuti, poi, non riuscendo a liberarmi, iniziai a sbattere sul vetro. Lo ruppero in tempo, ma sono vivo per miracolo».
Spilloni in gola, sepolture nel ghiaccio e in terra. In Tv ha fatto cose pericolosissime ma non quella oggi più pericolosa: uno show con Adriano Celentano. (Ride) «In effetti mi manca. Del resto se pretendi di fare un programma di Celentano senza Celentano, poi non lamentarti se floppa. Ho acceso, ho trovato un cartone animato, ho cambiato canale».
Da mentalista, è in grado di prevedere l’ultima domanda che le farò? «Purtroppo no».
Per essere un buon paragnosta, bisogna essere anche un discreto paraculo? «Certo, diciamo che aiuta! Così come in molti altri settori, nella vita».
Debora Orlandi, una delle ragazze Cin Cin di Colpo Grosso, con Umberto Smaila.
Umberto Smaila con Debora Orlandi (a destra)
I baffi, la possente corporatura, un aspetto da tele-satanasso. Al che uno pensa: chissà Smaila quante ne ha combinate nel gineceo di «Colpo grosso», in onda dal 1987 al 1992 su Italia 7. Invece «Oggi» ha scovato una delle ragazze nel cast del programma nella stagione ’88-89, Debora Orlandi, classe 1972, che parla di lui come di un uomo serissimo, quasi impeccabile nei modi.
«Alla fine di ogni blocco di registrazioni» dice Debora, che oggi si occupa di produzioni musicali «lui si ritirava in camerino. Era molto professionale e non l’ho mai visto fare lo stupido con noi. Lo si vedeva solo durante la registrazione.
Una volta, quando stava parlando dello sponsor, un prodotto
Debora Orlandi oggi.
per dimagrire, e disse che l’aveva provato, una di noi iniziò a ridere e lui dovette ricominciare daccapo. All’inizio pensammo si fosse arrabbiato, e invece fu uno scherzo, almeno all’apparenza».
Debora veniva utilizzata nella versione bionda con il nome di «Spegnilaluce», e in quella mora come «Lasciafare». Insieme a colleghe quali «Cunegonda», «Maidoma», «Addolorata» e tante altre.
«Erano i nomi folli che sceglieva l’autore Aldo Malinverni» ricorda Smaila. «Piacevano tantissimo.
Quanto a me in studio, confermo, sono un gentleman. Non mi ha mai visto su una rivista di gossip, e rispetto la mia famiglia. Inoltre, non mi sono mai messo, scientemente, con donne di spettacolo. Anche per allontanare il sospetto che potesse essere una cosa più o meno reciprocamente interessata».
Dodi Battaglia, già chitarrista dei Pooh, nel suo studio.
Da ieri è disponibile nei negozi e store digitali “PERLE 2” (Azzurra Music) di DODI BATTAGLIA, l'album live in edizione limitata e autografata. Nel CD sono presenti 11 brani accompagnati da un libretto di 20 pagine, il tutto custodito in una confezione digifile in cartone a tre ante in linea con lo stile grafico del precedente album “PERLE” che, nel 2019, è stato tra gli album più venduti in Italia. La traccia 11, unico inedito presente in "PERLE 2", è “Sincerity” che DODI ha scritto con Marcello Balena. Il brano nasce dall’idea semplicemente di spiegare il modo in cui l'artista si pone nei confronti della musica. Un modo sincero, onesto, con il massimo del rispetto.
La tournée “PERLE - Mondi senza età” è stata, nelle sue due edizioni, doverosamente dedicata a Valerio Negrini, l'anima espressiva e l'artefice del linguaggio poetico dei Pooh. Attorno a Negrini e alle sue parole si sono riuniti negli anni un gruppo di ragazzi determinati a fare della musica il proprio obiettivo di vita e professionale. La lungimiranza di Valerio si è concretizzata nella capacità di affrontare, di conseguenza nei Pooh con lui, temi molto delicati e discussi, anticipando il mondo cantautorale, anzi tutto il panorama musicale italiano.
«Un piccolo, se rapportato alla mole di testi prodotti, ma rappresentativo esempio è costituito dai dieci brani raccolti in questo album live, lavoro che contribuisce a fissare nel tempo un progetto musicale che molto mi ha coinvolto e appagato in questo nuovo percorso intrapreso come polistrumentista, compositore, interprete che affronta il mondo della musica con le proprie gambe, accompagnato dallo strumento che così profondamente ha segnato la mia vita, la chitarra. - commenta Dodi Battaglia - Nelle canzoni che andrete ad ascoltare troverete tutto ciò che è importante e che ci accomuna, malgrado le vite e le esperienze così diverse: i desideri grandi per quanto semplici, le disillusioni, la voglia di amare, il desiderio, la città vissuta come antagonista ma anche complice, la conflittualità che si viene a creare tra uomo e donna. Tante vite diverse raccontate nello spazio di una canzone, ma vivide al punto da rendercene partecipi durante l'ascolto. – conclude - Nelle tante serate in cui ho avuto l'onore di condividere con voi questo bagaglio artistico, abbiamo avuto in comune le stesse emozioni e lacrime, quelle belle, di cui non ci si deve vergognare. Perché quando la commozione scaturisce dalla bellezza e dai ricordi che amiamo, ognuna di quelle lacrime è la più preziosa delle perle».
Tracklist “PERLE 2”:
1. COMUNI DESIDERI (Musica: Dodi Battaglia - Testo: Valerio Negrini)
2. TRA LA STAZIONE E LE STELLE (Musica: Roby Facchinetti - Testo: Valerio Negrini)
3. DIRITTO D'AMARE (Musica: Dodi Battaglia - Testo: Valerio Negrini)
Milano, zona Sempione. Davanti alla guardiola della portineria, un enorme mosaico con scene di caccia medioevali. Sulla parete in soggiorno, una gigantesca tela scura che pare di Caravaggio. «Dev’essere del ‘600 emiliano. Almeno così mi giurarono quando la comprai a scatola chiusa da un antiquario a Parma. Speriamo bene», dice Umberto Smaila, senza peraltro millantare competenze. Eppure dal comico-entartainer-musicista-sdoganatore del sexy soft televisivo con l’immortale «Colpo grosso», non ti aspetteresti un ambientino così.
Poi spunta la moglie, Fanny, e mentre tu non fai in tempo a rilevare che si tratta indubitabilmente di «una gran bella signora», lui ribatte a ruota, sornione: «Beh, insomma, è tutto rapportato…». Se la vuoi capire, l’autoironia è servita.
Smaila, domanda a piacere: un flash fotografico a sua discrezione su una carriera ormai lunghissima.
«Eravamo a New York con i Gatti di Vicolo Miracoli al Michael’s Pub di Manhattan, dove andava spesso Woody Allen a suonare il clarinetto. Dovevamo incontrarlo per un progetto. Era seduto timidino a un tavolo con a sinistra Isabella Rossellini e a destra Oriana Fallaci. Si alza, ci raggiunge e ci spiazza chiedendo: “Vi piace il mio jazz?”. La buttammo sul ridere: “Sì, beh… Non male per uno che fa del cinema…”».
Mi faccia capire: voi avete lavorato con Woody Allen?
«La cosa alla fine non andò in porto per le solite questioni economiche. Ma il progetto e le trattative, che coinvolsero anche la Rai, erano molto avanti. Lui arrivò quasi a ultimare il terzo atto di un testo che avrebbe dovuto darci. Venne anche a Roma, con alcune curiose richieste…».
Per esempio?
«Doveva risultare sempre e solo il suo nome all’anagrafe, Allan Steward Köningsberg, e chiese che ad aspettarlo al suo arrivo all’aeroporto ci fossero alcune belle donne. La cosa ci stupì, anche perché non aveva fama di playboy. O forse proprio per questo le voleva. Boh».
«Colpo grosso» fu la svolta della sua carriera. Sarebbe riproponibile, oggi, o non partirebbe neppure, soffocato dal politicamente corretto?
«Io non lo rifarei, perché mi piace l’idea che resti nel mito. E chi cerca voyeurismo ora va altrove. Ma da 16 anni, con alcuni passaggi di diritti, non ha mai smesso di andare in onda in replica; attualmente si trova su Mediaset Extra ed è un format che fu venduto in tutto il mondo dall’allora Fininvest. Le critiche delle femministe non sono mai mancate. Ma conservo recensioni entusiastiche di Placido, Del Buono e Alberoni».
Poi lo condusse anche Maurizia Paradiso, ma di lei nessuno si ricorda.
«Per soli due mesi, poi iniziò a sproloquiare e a dire volgarità insostenibili, e fu messa da parte. Prenderla fu una scelta incauta».
Jerry Calà nel 1981 lasciò improvvisamente i Gatti di Vicolo Miracoli per fare cinema. Come la prendeste?
«Ci fu una crisi profonda; io in particolare mi sentii tradito. Con lui non ci siamo parlati per anni. Fu doppiamente cocente il dispiacere perché nel quartetto c’erano due correnti, come nella Dc: una Smaila-Calà, l’altra Oppini-Salerno. Non la mandai giù, lui era il mio sodale. Dovevamo decidere se smettere, oppure se continuare in tre. Dopo una vacanza ai Caraibi, chiamai gli altri, tornammo in pista e ci rifacemmo alla grande in tv con “Quo vadiz”, che ci fece toccare il punto più alto della nostra comicità».
E con Calà, come finì?
«Dopo cinque anni di silenzio, un comune amico fotografo, Rino Petrosino, ci riunì in un locale di proprietà di Jerry, a Verona, e siglammo a denti stretti una pace difficilissima. In seguito ho fatto tante colonne sonore per i suoi film».
Ha avuto la sua rivalsa: dopo che lei lanciò la moda delle trascinanti serate live nei locali con la sua orchestra e nei club Smaila’s, anche Calà ha iniziato a fare altrettanto, con lo stesso stile. Di fatto copiandola.
«Come disse Gesù, “Tu l’hai detto”. Posso dire che ho combattuto le discoteche, allora in voga, giocando sui lunghi medley riempipista, azzerando le pause, e tanti mi sono venuti appresso. Oggi io e Jerry ci dividiamo il mercato».
La sua serata più bella?
«Di certo la più magica fu un’improvvisazione qualche anno fa a Manhattan, da “Downtown Cipriani”, a Soho. Al tavolo con mia moglie iniziai a cantare qualcosa alla Pavarotti, poi altre canzoni. L’atmosfera si scaldò. Nel locale c’erano anche Puff Daddy, Jennifer Lopez, uno del Mossad… A un certo punto invitai tutti i commensali a prendere forchette e coltelli e a batterli sui bicchieri per fare insieme “I can’t get no satisfaction”. Poi spuntò perfino la manager dei Rolling Stones che venne a chiedere dove mi esibissi. Un delirio vero, quella notte…».
Ha un erede artistico?
«Mio figlio Rudy, che si esibisce con me allo Smaila’s di Milano ogni giovedì e negli altri club già aperti o ancora da aprire un po’ ovunque. Non fidandosi dei chiaroscuri dello spettacolo, di mattina fa anche il panettiere».
Lei tiene ancora botta. Basta la salute.
«Eh, mica tanta: mi sono rotto il femore due volte. Una diversi anni fa in un bagno turco alle Bahamas. La seconda lo scorso anno su un maledetto tapis roulant dell’aeroporto di Malpensa. La prima volta la ripresa fu veloce. La seconda no. Anche se dopo 20 giorni ero già a fare concerti sulla sedia a rotelle».
Caspita. Neanche il Numero Uno del Gruppo TNT!
«Esatto. Oppure, se preferisce, Ironside».
Progetti lavorativi?
«Ho scritto un pezzo che si intitola “Canto rossonero”, inno ufficiale degli ultras del Milan. Vorrei farne un cd con una specie di video corale stile “Live Aid” che metta assieme tutti i tifosi famosi della squadra: da Maldini a Boldi, passando per Abatantuono, Bisio, Scotti, Pozzetto…».
Che cosa pensa di Beppe Grillo: da entertainer a guru politico oggi a mezzo servizio?
«Credo sia un po’ bipolare, si direbbe in medicina. È un amico e un grande comico. Adesso però deve fare i conti con la storia, perché ha creato una cosa che forse non prevedeva evolvesse in questo modo».
La telefonata più inattesa della sua vita.
«Il mio agente a Roma, che mi chiamò dicendo, testuale: “Umbè, guarda che te sta a cercà Trentin Quarantino”. Al che intuii il nome, ma pensai immediatamente a “Scherzi a parte”».
Invece?
«Invece era davvero Quentin Tarantino, che aveva visto il primo film per il quale scrissi le musiche: “La belva col mitra”, del ’77, con Helmut Berger. Pellicola che faticherei a definire di serie B. Era almeno C. Si intrippò per una sequenza di sei minuti che aveva le mie note in sottofondo e la volle inserire nel suo “Jackie Brown”, dal cast stellare. Da allora prendo 2000 dollari ogni volta che nel mondo qualche rete lo manda in onda. Non mi è andata poi così male».
Digital De Agostini presenta KidsMe, la Children Content Factory del Gruppo.
KidsMe è una società specializzata nello sviluppo, nella produzione e nella distribuzione di contenuti italiani ed europei dedicati al target Kids e Family che si rivolge a tutti i broadcaster e piattaforme interessati ai contenuti Kids e Family, contando sull’expertise di un team italiano di specialisti TV ed entertainment che hanno maturato un’importante esperienza su questi target.
La nuova società KidsMe il cui presidente è Pierfrancesco Gherardi, è guidata da Massimo Bruno come Amministratore Delegato con cui collaboreranno Brenda Maffuchi, Chief of Co-Productions, Licensing and Sales Officer e Alba Chiara Rondelli, Chief of Originals Officer. Alla conoscenza specifica del target, il team di KidsMe affianca competenze nelle aree di ricerca e consumer insight, di sviluppo strategico e commerciale delle properties e di comunicazione nei canali social e digitali, grazie a un DNA che include oltre 10 anni di esperienza diretta nelle attività di broadcasting sui kids.
Dal 2009 ad oggi il team che entra ora in KidsMe ha operato infatti all’interno di Digital De Agostini, producendo e co-producendo oltre 1500 ore di contenuti a target Kids & Family per canali TV pay e free to air come, DeAKids, DeAJunior e Super! oltre a numerosi contenuti per piattaforme OTT. I contenuti prodotti comprendono tutti i generi televisivi destinati al target, tra gli altri; Live Action, Animation, Educational, Factual Entertainment e Game Show.
In un contesto di mercato e di modelli di consumo in continuo cambiamento, in particolare sui target più giovani, l’obiettivo di KidsMe è quello di collaborare con partner italiani e internazionali nello sviluppo di contenuti di qualità per l’audience kids e family che possano diventare franchise durature. Tra le IP in portafoglio si annoverano prodotti di grande successo come, ad esempio, la co-produzione Miraculous, per la quale è stata fatta anche la brand curation sia per la TV che per il Licensing & Merchandising e New School, sit-com originale campione di ascolti sul mercato italiano, distribuita in esclusiva a livello mondiale da BBC Studios.
Massimo Bruno.
A seguito del grande successo registrato dalla serie, sono già in fase di sviluppo quattro nuovi progetti di sitcom e live action per ragazzi, mentre sul fronte animazione sono allo studio diverse coproduzioni a quota europea. Tra gli altri accordi commerciali da citare un importante output deal pluriennale con ViacomCBS Italia.
Le puntate della nota serie Black Mirror sono sempre ambientate in una inquietante e futuristica realtà distopica in cui la tecnologia ha plasmato in modo irreversibile i rapporti e le abitudini umane, cambiandoli per sempre. Ed è un po’ questa la realtà cantata da Ganoona nel suo ultimo singolo: un mondo di malinconie nascoste, lavori alienanti e divertimenti forzati, dove l’intimità di un abbraccio diventa l’unica salvezza dalle “Bad Vibes”, da quelle energie negative che cercano di prendere il sopravvento su di noi. In questo nuovo singolo le sonorità urban-pop si tingono di RnB e Soul, mentre sullo sfondo le percussioni e i fiati “andini” riconducono al mondo latino-americano intrinseco della produzione artistica di Ganoona.
«A tutti è successo di sentirsi ingabbiati in un lavoro che non ci stimola e ci fa impazzire. Allora ci rifugiamo nei nostri smartphone, nella vita sociale a tutti i costi, senza prenderci un attimo per ascoltarci» spiega Ganoona a proposito di “Bad Vibes” «“Oh mama, sciogli questo bad karma, il pavimento è lava…”: ho voluto usare questa immagine innocente, infantile, per descrivere la sensazione di insicurezza, di alienamento dalla realtà, dove l’unica oasi sicura forse è l’abbraccio silenzioso di una persona che ci vuole bene». Il videoclip di “Bad Vibes”, diretto da Lorenzo Chiesa, racconta l'esigenza di dar sfogo al proprio desiderio di libertà in un periodo storico - quello della quarantena - in cui il corpo è costretto rimanere in casa e quindi sottoposto alla restrizione del movimento. Nel video si susseguono diverse riprese amatoriali aventi per protagonisti diversi ballerini e performers della crew The Collective che ballano all’interno delle loro abitazioni, creando un’atmosfera di intimità e unione attraverso movimenti di danza e stili espressivi diversi.
BIOGRAFIA
Ganoona è un cantante, rapper e songwriter italo messicano e vive a Milano. La sua musica è una combinazione di sonorità black, latin e hip-hop accompagnata da liriche intense ed originali. Si esibisce sia in Italia che in Messico distinguendosi per i suoi live energici e coinvolgenti. Ganoona collabora a tutti gli aspetti del progetto artistico, spesso è anche compositore dei suoi brani. A dicembre 2018 il brano in collaborazione con Kayla, prodotto da Polezski (già produttore di Gemitaiz e altri), viene selezionato da Youtube Music come “Artists to watch – il suono del 2019”. Pubblica l’inedito “Cent’Anni” (Noize Hills Records) a novembre 2019. L’ultimo singolo di Ganoona dal titolo “Bad Vibes” (Noize Hills Records) è già uscito sulle piattaforme digitali lo scorso 21 aprile e sarà in rotazione radiofonica a partire dal prossimo 24 aprile.
Portato a casa con signorilità il loro terzo piazzamento sanremese, i ragazzi de Il Volo, che festeggiano (sembra ieri) già 10 anni di carriera, adesso pensano solo al loro nuovo album, «Musica». Undici brani che escono in tutto il mondo il 22 febbraio. Il preludio a un tour che partirà a maggio in Giappone, per poi toccare l’Italia a fine mese con due date a Matera; dopo un’estate densa di live, il gran finale a settembre all’Arena di Verona. «Il 71% del nostro mercato è fuori dall’Italia», spiegano Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble. Ed essendo ormai cresciutelli la voglia di marcare anche il (nostro) territorio c’è tutta.
Prima, però, un passo indietro obbligato: l’incontro con Papa Francesco a Panama.
«Un onore immenso – dice Barone - e la gioia indescrivibile di vedere centinaia di migliaia di ragazzi cantare insieme a noi. Poi, esibirsi a due metri dal Papa vuol dire anche imparare a gestire sul palco un’emozione incredibile».
Piero coltiva anche ambizioni operistiche come solista. Voi due come vi ponete?
«Prima che cantanti, siamo amici» risponde Boschetto. «Se lui ha questo desiderio siamo e saremo i primi a sostenerlo, senza per questo snaturare il trio. Che resta il punto fermo».
«Musica» porta cambiamenti nel vostro stile?
«Questo disco è la consacrazione de Il Volo 2.0. La nostra storia nacque per gioco, e ora è un lavoro. Eravamo ragazzini, ora siamo qui con la barba. C’è il nostro stile classico e la voglia di sorprendere. Di essere più contemporanei. Ci rappresenta al 100%».
Partendo dall'operosa e (all'epoca) esaltante provincia, con la console sempre sotto mano e le casse tirate a palla, fu un alfiere (anzi, un pioniere) della dance Anni 80, che lo vide spopolare con il brano «Turbo Diesel». Albert One, all'anagrafe Alberto Carpani, è morto stanotte, a 64 anni, alla clinica Maugeri di Pavia a seguito del sopraggiungere di complicazioni cardiache e polmonari in un quadro clinico già molto complesso. Sofferente di diabete e in cura con l'insulina, il cantante era da tempo su una sedia a rotelle. Proprio nei giorni scorsi aveva postato sulla sua pagina Facebook un paio di immagini dal suo letto d'ospedale: una nella quale era attaccato a un respiratore per carenza d'ossigeno, e un'altra dove appariva sorridente, attorniato alcuni operatori sanitari. Sembrava essersi ripreso, insomma. Invece le cose sono peggiorate, a sorpresa, la notte scorsa, e dopo aver lottato sino alla fine, assistito dalla compagna Rosy, non ce l'ha fatta. È bene chiarire che aveva effettuato di recente due tamponi di controllo, riferiscono gli amici, senza mai risultare positivo al Covid-19.
Una recentissima foto di Albert One postata sulla sua pagina Facebook dall'ospedale dov'era riceverato.
Pavese di città, prodotto dal leggendario Roberto Turatti prima come Jock Hattle (nome col quale nel 1982 incise un dimenticato brano scritto da Enrico Ruggeri, «Yes-no family»), nel 1983 «AlbertOne», con la sua imponente stazza che era già tutto un programma, esplose a livello europeo con «Turbo Diesel», inciso per l'allora dominante Baby Records. Etichetta che era una garanzia. Sono gli anni ruggenti della spaghetti disco, che sforna un cantante al mese (in genere con i nomi più strampalati: si pensi a Gazebo che si chiama Paul Mazzolini) con relativo singolo pronto a spopolare in classifica. Anni in cui i dischi si vendevano davvero, peraltro.
Da sinistra, Gazebo e Albert One.
Quando il successo ti casca addosso in modo così repentino e bruciante, è difficile restare lassù e starci per giunta comodi. Per questo Carpani, che aveva una band e si era trasferito a Giussago, iniziò a darsi da fare anche come produttore, anche per gente come Cuccarini, Parisi e Carrà. Il pop frizzantino all'epoca aveva del resto la sua spendibilità. Il cantante Albert One ci riprovò invece prima con brani come «Heart on fire», «Lady O», «Secrets», «Mandy», spopolando soprattutto nelle serate disco in giro per l'Italia, e nel 1999 con un pezzo che gli diede ancora qualche soddisfazione: «Sing a Song Now Now». Ma l'accelerazione di quel «Turbo Diesel» era purtroppo ormai difficile da riprodurre. E Alberto, che conoscevo abbastanza bene e che dietro le quinte passava dall'amabilità più totale al divertito cinismo tipico da mondo dello spettacolo, passò gran parte della sua vita a tentare di risentire ancora quel suono. Che era poi quello, impagabile, degli applausi e delle ovazioni. Di una platea osannante che da un po' forse gli mancava.
Anche l’occhio, si sa, vuole la sua parte. Lo rivendicano, senza infingimenti, Iva Zanicchi e Bianca Atzei, protagoniste di «Men in Italy», musical in programma dal 31 dicembre al 20 gennaio al Teatro Ciak di Milano. Una passerella di moda, canzoni e ballerini con tanta stoffa, ma poca addosso. Nel cast anche Alex Belli.
Bianca, ha fatto due Sanremo, «L’isola dei famosi», «Tale e quale show», e ora debutta con un musical. È voglia di spaziare?
«L’ho sempre avuta, sono spontanea, cambiare mi dà carica. E avevo voglia di provare a calcare il palcoscenico».
Iva Zanicchi dice che è stata lei a volerla, a imporla, insieme con Jonathan Kashanian.
«È vero, mi ha convocata e mi sostiene da sempre, sin dal primo Festival. Un vulcano di donna. Lei nella finzione sarà titolare di una casa di moda, io sua figlia e Jonathan l’assistente, che mi ha fatto sempre un po’ anche da padre. Ci saranno due storie d’amore, tre coristi e tanta musica cantata anche da noi».
Il progetto sembra una sorta di California Dream Men innestato su un musical. Volete rifare l’8 marzo a teatro?
(ride) «Ammetto che con i ballerini, che sono indubbiamente un richiamo, si ammicca al pubblico femminile, ma le coreografie di Bill Goodson ci portano lontano dall’8 marzo nei locali».
Rifarebbe l’Isola?
«No. Sono arrivata seconda, è stata un’esperienza di vita, ma è stancante, bisogna essere motivatissimi».
Se la chiamassero come nuovo giudice a «X-Factor»?
«Andrei, ma non per giudicare. Per far conoscere il mio percorso artistico diverso e dare consigli a chi ha un sogno da portare avanti. Il mio nella musica continuerà con un nuovo album nel 2019».