giovedì 31 maggio 2012

CRISTINA CHIABOTTO TRA I COMICI DI «BRAVOGRAZIE»

Una gara tra volti emergenti del cabaret nostrano. È quanto promette, il 4 giugno alle 21 su Comedy Central (Sky, canale 122) la bella Cristina Chiabotto (25), alla conduzione di «Bravograzie». Dopo un anno di selezioni in tutta Italia, otto finalisti si sfidano sul palco del Teatro Golden di Roma, per aggiudicarsi il Premio Ettore Petrolini. Ecco i nomi dei comici pronti a darsi battaglia: Patrizia Bertajola, Roberto De Marchi, Duo in cerca di prima occupazione, Alberto Farina, Fabrizio Perrotta, Antonio Riscetti, Max&Scossa e Alex Sinisi. La regia dello serata è di Duccio Forzano.

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

UFO («WOW»), FULMINI GLOBULARI, «CAPELLI D'ANGELO», IL RAGGIO VERDE E LE ONDE LUMINESCENTI

Abbiamo chiesto a Sandro Boeri, direttore del mensile Focus, di raccontarci cinque strani fenomeni che si manifestano in natura.
• I FULMINI GLOBULARI. Sfere di luce che appaiono all’improvviso a mezz’aria e si spostano, attraversando muri e finestre, e rimbalzano sul terreno. Noto e studiato da 150 anni (forse si tratta di sfere vaporose di silicio o di gas ionizzati), il fenomeno non è stato ancora spiegato del tutto.
• I CAPELLI D’ANGELO. Strani filamenti bianchi, appicicosi, che cadono dal cielo e ricoprono alberi e campi. Da poco si è scoperto che sono emessi da miliardi di invisibili ragnetti che si spostano volando, portati dal vento, usando questi filamenti come vele.
• IL SEGNALE «WOW». Il 15 agosto 1977 gli scienziati dell’osservatorio dell’Ohio (Usa) registrarono un segnale misterioso proveniente dallo spazio e che sembrava prodotto da una civiltà aliena: era fermo rispetto alle stelle, molto intenso e non aveva origini terrestri. È quello che ancora oggi viene chiamato il segnale «Wow», dall’urlo che fecero gli scienziati vedendolo. Ma da allora non è più ricomparso.
• IL RAGGIO VERDE (nella foto un Green Flash sul Golden Gate). Capita, anche se raramente, che al tramonto la luce del Sole diventi, per un attimo, improvvisamente verde. È il cosiddetto «Green flash» o «Raggio verde» (è stato fatto anche un film su questo fenomeno). Sembra sia legato alla rifrazione della luce. Ma per ora sono solo ipotesi.
• LE ONDE LUMINESCENTI. In particolari condizioni le onde, quando si frangono, emettono luce. È un fenomeno dovuto alla presenza di microorganismi bioluminescenti, come i radiolari. Lo stesso che crea una specie di alone luminoso attorno a chi nuota di notte.

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

mercoledì 30 maggio 2012

NINA ZILLI * «CHIAMATEMI NONA, DOPO UN EUROFESTIVAL 2012 TROPPO DANCE»

«Ma quale Nina? «Da oggi mi chiamo Nona, Nona Zilli». Il giocoso riferimento al suo piazzamento nella classifica dell’«Eurovision Song Contest» (meglio noto come Eurofestival), non poteva essere più puntuale.
Nina Zilli, piacentina di Gossolengo proiettata sabato scorso nella magia di Baku, in Azerbaijan, per la finale della kermesse che vedeva in gara i cantanti di 42 Paesi europei, gioca – come sempre – la carta dell’ironia. Era partita come super favorita, invece si è dovuta accontentare.
«Ma va benissimo così, anche se alla vigilia dicendo che non avrei vinto senz’altro ho fatto un po’ di sana scaramanzia. Invece è andata davvero così. L’importante però è che le cose siano andate bene, che sia riuscita a fare conoscere la mia musica in tanti, tanti Paesi. Ho giocato per molti anni a basket, e se c’è una cosa che lo sport mi ha insegnato è non abbattermi per le sconfitte. Si vince, si perde, basta relativizzare le cose».

Ma com’era, questa Baku? «Incredible Baku, mi viene da dire» continua Nina. «Dalla finestra del mio albergo vedevo la parte moderna, con le tre lingue di fuoco e le boutique delle griffe più note, insomma l’occidentalità; e appena dietro c’era la parte antica, androni del VI secolo Dopo Cristo, echi musulmani, e gente che ama l’Italia, e che applica per noi il detto: “Stessa faccia, stessa razza”. Ha presente nel film “Mediterraneo”? Ecco, così. Gente che è abituata alla condivisione, come solitamente fa chi ha meno. Ovviamente preferivo questa parte della città, ma per lavoro purtroppo sono rimasta più nell’altra, scintillante, nella Chrystal Hall, che fra l’altro ha un’architettura stroardinaria».
Più complesso il discorso per gli altri brani in gara. «Li ho sentiti tutti, tranne tre o quattro mentre ero in camerino. Il pezzo svedese che ha vinto, quello di Loreen, non mi piaceva, d’altra parte là c’era quasi tutta roba dance, che loro amano molto e che a me non entusiasma, ma l’ho conosciuta, è simpatica, brava e anche molto bella, nonostante si nascondesse spesso la faccia con i capelli. Tra gli altri, se devo sceglierne alcuni, ho apprezzato abbastanza quello di Roman Lob dalla Germania, del crooner inglese Engelbert Humperdinck, che è un’istituzione, e la canzone di Soluna Samay, della Danimarca».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

martedì 29 maggio 2012

NICCOLO' TORIELLI * DALLO SCONVOLT QUIZ DE «LE IENE» AL MONDO DI ARCHIMEDE

Che ci sia qualcosa che non torna, lo intuisci già da Google. Andando a cercare il nome di Niccolò Torielli, curatore dello «Sconvolt quiz» de «Le iene», scopri che nei suggerimenti del motore di ricerca viene prima di quello di Niccolò Tommaseo. Quando poi conosci questo scapigliato 28enne mantovano che dal 27 maggio, in prima serata, condurrà «Archimede - La scienza secondo Italia 1» -, capisci che energia ed eccentricità sono le doti che l’hanno fatto prevalere agli occhi del mondo sul patriota-padre della lingua italiana.

Niccolò, questo «Sconvolt quiz» de «Le iene»…
«Ma nooooooo, daiii… Sempre “Le iene”! Parliamo d’altro: il 27 su Italia 1 mi parte questo programma, che…».
Tranquillo, poi ne parliamo, ma rilassati: teoricamente l’intervista la faccio io…
«Ma infatti, ma noooooo… Fra l’altro devo tutto a “Le iene” e al loro autore, Davide Parenti, che è un po’ il mio secondo padre. Io comunque parlo di qualsiasi cosa, non c’è problemaaaaaaa».
Lo «Sconvolt quiz» è un’idea tua?
«Mia, del mio autore, e di un’altra ragazza che lavora con noi».
Domande fatte in discoteca, all’alba, a gente che è mezza ubriaca, intontita e a volte impasticcata… Non è un po’ prendersela con gli incapaci di intendere e di volere?
«Mannò, è chiaro che alle 5/6 di mattina riflessi e lucidità sono rallentati. Può capitare a chiunque. Se fai le stesse domande a uno sportivo dopo un’estenuante prova agonistica, il risultato è lo stesso».
Beh, a me diverte molto, ma non è proprio la stessa cosa…
«Non sono d’accordo, e comunque non è solo una presa in giro: si fa conoscere un mondo. Se lo fai col sorriso, è meglio che mettere un dito puntato contro». 
Anche perché non c’è scampo…

«Io ai ragazzi lo dico sempre: per salvarti, in questi casi, l’unica possibilità è la fuga. Se ti fermi e parli, sei spacciato».
Quali sono i tuoi trascorsi?
«Non sembra, ma lavoro nello spettacolo, in radio, da quando avevo 14 anni e vivo a Milano da quattro, nato a Goito, nel Mantovano. Ho un diploma come operatore turistico, ho lavorato per quattro anni a Nickelodeon - cose per bambini -, e da quattro sono a “Le iene”».
Come vivi questa improvvisa, «sconvolta» popolarità?
«Non ci faccio caso. Ma mica faccio questo lavoro per la popolarità, o per rimorchiare. Beccavo anche prima, sono un bel ragazzo… A me piace esibirmi, far ridere. Poi posso anche stare chiuso in frigorifero da una puntata all’altra». 
Veniamo ad «Archimede». Che cos’è?

«Una possibilità che mi viene data. Ho chiesto subito l’autorizzazione a Parenti, perché noi là siamo una famiglia. Raccontiamo la scienza in modo divertente: dal sistema solare allo ioduro di potassio. In studio ci sono io, con la mia gallina Berta, l’unica gallina intelligente, e l’alter ego, il mio gemello pedante, Nardo, che ha sulla spalla Pascal, il Drago barbuto; una specie di iguana immobile, che stimo molto».
Programmi di scienza e dintorni come «Voyager» e il nuovo «Eva» di Raidue, come li giudichi?
«“Eva” non l’ho visto, e “Voyager” un paio di volte: begli argomenti, ma noi saremo più spiritosi, allegri. Su queste cose, se ci si prende troppo sul serio, la noia ti ammazza». Noi faremo esperimenti da riprodurre a casa, ci saranno filmati nostri e altri presi dall’America. Parleremo di sistema solare da un mercato rionale, e di cibo come non è mai stato fatto in tv. Quattro puntate ora, e altrettante in autunno». 
Qual è il tuo sogno, nel mondo dello spettacolo?

«Condurre un quiz preserale di un certo rilievo, ma sono giovane e ho ancora troppi errori da fare per potermelo permettere. Intanto, continuo con gli spot della carne in scatola».
Anche perché voi che fate tv siete un po’ carne in scatola, no?
«Certo, mi sento molto carne in scatola: buona, piena di proteine e, come me, te lo assicuro, a luuuuuuuunga conservazione. Molto lunga».

´TV SORRISI E CANZONI (MAGGIO 2012)

venerdì 25 maggio 2012

NINA ZILLI * «ECCO IL MIO EUROFESTIVAL (SENZA MINA NÉ WINEHOUSE)»

Se (come chi scrive) non ricordate esattamente dove sia l’Azerbaijan, non è un problema. C’è buona probabilità che non lo sappia con certezza neppure buona parte dei 42 partecipanti – ognuno in rappresentanza di altrettanti Paesi – all’edizione 2012 dell’«Eurovision Song Contest». La finale del caro, vecchio «Eurofestival» (così è noto ai più), in onda in diretta su Raidue sabato sera da Baku, capitale della Repubblica caucasica. A rappresentare i nostri colori la talentosa Nina Zilli, la «Faraona di Gossolengo», dal nome del paesino in provincia di Piacenza che l’ha vista nascere.
«Questo soprannome me l’ha dato lei in un’intervista qualche anno fa» sorride Nina. «Ma se devo essere sincera preferisco “L’Airone della Val Trebbia”, appioppatomi da un altro; sì, perché ogni tanto alzo la gamba mentre canto». Resta la vera domanda di fondo: Nina Zilli sa dov’è l’Azerbaijan? «Dove Caucaso è, intende? Massì, che lo so: Baku, la capitale, si trova sul Mar Caspio, ma confesso di aver “googolato” un po’, prima. Non so perché abbiano scelto proprio me: in passato parteciparono anche Modugno e Battiato… Me lo annunciarono a Sanremo, prima della finale, Gianmarco Mazzi e chi rappresenta la manifestazione qui da noi. Andare ed essere la sola italiana in un contesto del genere mi onora, ma non vincerò mai. Io sono rock e vincere non è rock, quindi andrà storta. In palio, poi, non ci sono soldi, da quelli mi tengo sempre lontana. Al limite un trofeo. Scherzi a parte, sarebbe meraviglioso. Anche se non sono del tutto sicura che allo stesso Mazzi farebbe piacere, in quanto il Paese che vince deve organizzare la gara l’anno successivo e l’Eurofestival costa tanto: gli verrebbe un coccolone».

Miss Zilli si presenta con un brano, «L’amore è femmina (Out of Love)», dalla genesi complessa. «È una canzone mia» dice «scritta con altri quattro autori inglesi. Originariamente nasceva con un testo in inglese. Ho realizzato la cover italiana per l’album e ora per l’Eurofestival l’ho riscritta in parte in inglese, per arrivare a un pubblico più vasto, ma diversa rispetto all’originale. Per farla somigliare più alla mia versione». Insomma, un triplo carpiato. Emozionata per l’evento come al Concertone del primo maggio a Roma? «Quella non era tanto emozione» spiega «ma un problema tecnico alla frequenza degli auricolari, che ogni tanto scompariva. Mi fossi sentita bene in cuffia, avrei fornito una prestazione più consona ai miei standard, ma in quel momento non mi importava: il pubblico si divertiva, è andata bene così. Rispetto all’Eurofestival, ho un atteggiamento distaccato. Avendo già mille cose da fare, ognuna mi aggiunge stress, quindi non sono andata neppure ad ascoltare le altre canzoni in gara, che pure sono già on-line. Lo scoprirò là, assieme ai volti degli interpreti. L’unica che conosco per ora è Anggun».
Strano destino, quello di Nina Zilli, passata dalla ruvidezza dei concerti nei locali del piacentino con acconciature dreadlocks («Cofane alte e colorate di rosso, verde e azzurro, ma tacchi e vestiti curati anche all’epoca, sono pur sempre una donna…») ai palcoscenici nazionali, elegante e ripulita. Apprezzata da tanti per gli stessi motivi per i quali altri la criticano: capigliature vistose, abiti leziosi, generosi echi di Amy Winehouse e Mina. «Grazie a chi mi apprezza. Agli altri dico: faccio musica e scrivo canzoni dall’età di 11 anni. Se davvero pensano che il mio riferimento musicale possa essere Amy Winehouse, sbagliano. Quanto a Mina, mi viene da ridere: lei è eterea e inimitabile. La sola idea di farlo sarebbe controproducente».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

GIGLIOLA CINQUETTI * IL MIO EUROFESTIVAL, 48 ANNI DOPO

Sono passati quasi 50 anni da quando Gigliola Cinquetti, classe 1947 e allora poco più che bambina, vinse (unica donna in Italia) l’Eurofestival (oggi «Eurovision Song Contest, la cui serata finale è in programma sabato su Raidue) con la celeberrima «Non ho l’età». Ma il ricordo è ancora vivissimo, indelebile.
«Era il 21 marzo 1964» racconta «e mi trovavo a Copenaghen, in Danimarca. Avevo appena vinto Sanremo con la stessa canzone e partecipavo di diritto. Faceva un freddo incredibile e c’era la Guardia reale, con quei grandi colletti bianchi, che diventava parte della scenografia della serata. Non mi sembrò neppure così strano essere lì, perché dopo Sanremo credevo che tutto o quasi a quel punto mi potesse succedere».

Una strada segnata…
«All’epoca era tutto più codificato: appena vincevi Sanremo, c’erano automaticamente una serie di tappe obbligate. Infatti prima di andare in Danimarca presenziai a una cosa a Parigi e ne avevo in programma un’altra subito dopo in Germania».

Che ricordo ha di quel momento?
«Fu una bella esperienza, con un problema tecnico da risolvere: un’ipotesi di contestazione per la durata del pezzo, che per regolamento non poteva andare oltre i tre minuti. Il nostro durava dieci secondi in più, e il direttore d’orchestra lavorò per staccare il tempo più velocemente e rientrare nel minutaggio. Ricordo che era molto impensierito per questo, dal momento che tutta la responsabilità ricadeva su di lui. Alla vittoria provai una grande gioia e al contempo il dispiacere di non essere a casa con i miei familiari a festeggiare me stessa».

E poi?
«Poi transitai in Germania, alla tv inglese e a quella spagnola. Entrai nel frullatore per un anno. E nel ’65 nei teatri in Giappone. Terra dove sono poi tornata più volte».

Tornò in gara una seconda volta nel ‘74, ma senza vincere…
«Sì, ma arrivai seconda dopo gli Abba… Avevo appena vinto “Canzonissima” (in quel periodo partecipava all’Eurofestival chi si era aggiudicato questo programma) con “Alle porte del sole”, e portai un pezzo intitolato “Sì”, con versione anche inglese e tedesca. Per l’Inghilterra c’era anche Olivia Newton John al suo debutto. Sia lei che gli Abba li ritrovavo poi puntualmente a ogni ospitata nelle tv europee».

Infine, nel ’91, la conduzione, in coppia con l’altro vincitore, Toto Cutugno, che se l’era aggiudicato nel ’90.
«Andò bene, con un grosso ascolto, ed era complicata la conduzione in un contesto internazionale. In Italia il management e la Rai hanno sempre fatto il tifo contro gli italiani in gara, per non avere l’obbligo di farsi carico dell’organizzazione dell’evento l’anno successivo, in caso di vittoria. È un peccato che da noi l’Eurofestival sia così sottovalutato o di nicchia, perché nei Paesi del Nord Europa e dell’Est è qualcosa di veramente importante. Del resto noi abbiamo sempre avuto Sanremo a schiacciare tutto il resto».

Per l’Italia quest’anno a Baku, in Azerbaijian, partecipa Nina Zilli. La conosce?
«Le faccio i miei migliori auguri. L’ho vista a Sanremo e mi sembra interessante».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

giovedì 24 maggio 2012

TOTO CUTUGNO * «GRANDI TALENTI AD 'AMICI': IN PARTICOLARE GERARDO»

 Nell’ufficio milanese dell’agente di Toto Cutugno, in un’ora di intervista all’«italiano vero» della nostra canzone, respiro il fumo passivo che ho evitato in tutta una vita. Ma ne vale la pena. L’occasione per l’incontro con Mr. «Solo noi» è la finale (sabato 26 maggio alle 21.05 su Raidue) dell’edizione 2012 dell’«Eurovision Song Contest», meglio noto come Eurofestival. Che Cutugno vinse nel 1990, unico italiano di sesso maschile nella storia della kermesse. L’altra fu Gigliola Cinquetti, alcuni anni prima. Ma con lei parleremo domani.

Toto, come ricorda quella serata?
«Eravamo a Zagabria, ancora Jugoslavia, e portai un pezzo sull’unità europea: “Insieme 1992”. I coristi mi dissero che si respirava uno strano clima, in città. Non molto dopo scoppiò la guerra, e uno di quei coristi in quella guerra morì davvero».

Portava una canzone molto legata alla cronaca…
«Sì, in quel periodo facevo “Piacere Raiuno” nei teatri d’Italia, con Piero Badaloni e le Tate. Un giorno a Foggia mi misi al pianoforte e nacque quel pezzo sul sogno europeo. Zagabria è una città meravigliosa. Poi là ci fu il casino con la mongolfiera…».

Scusi, quale mongolfiera?
«Massì, la mongolfiera! Io sono sempre stato un po’ spericolato, e la mia casa discografica, la Emi, mi ha sempre vietato tutto, per evitare rischi. A Zagabria in quei giorni c’era il Festival delle mongolfiere, e io di nascosto ne presi una. Il pilota, un po’ pazzo, iniziò a scendere e salire, tra monti, vallate, e quant’altro, e alla fine atterrammo malauguratamente in un fiume. Ci salvammo, ma avevo l’acqua che arrivava al petto. Dovetti chiamare, sempre di nascosto, il mio agente con i soccorsi che arrivarono a ripescarmi. Un ricordo indelebile».

Ma è vero che in realtà non avrebbe dovuto partecipare?
«Ora forse le regole sono cambiate, ma in quel periodo partecipava di diritto il vincitore di Sanremo. Quell’anno furono i Pooh a vincerlo, ma loro per motivi che non ho mai saputo, decisero di non fare l’Eurofestival. Lo proposero a me, che ero arrivato secondo. Andai, e fu un successo. Ancora oggi ho un solo, grande rammarico».

Quale?
«Tv Sorrisi non mi fece la copertina, e credo che l’avrei meritata, con una vittoria del genere».

L’anno dopo lei lo condusse, in coppia con l’altra vincitrice storica, Gigliola Cinquetti…
«Era il 1991, e fece un’audience notevole per una manifestazione che in Italia non ha mai avuto grosso seguito: 7,5 milioni d’ascolto. E Gigliola fu straordinaria. È ancora una gran bella signora, sa?».

Ecco, perché da noi l’Eurofestival è vissuto soprattutto come una parata di gente folkloristica?
«Non lo so. Certo, da noi c’è Sanremo che schiaccia tutto il resto. Nei Paesi del Nord Europa e dell’Est va fortissimo da sempre. Non dimentichiamo che da lì sono usciti anche gli Abba».

Quest’anno per commentarlo è stata chiamata la Gialappa’s Band. Condivide la scelta?
«A dire la verità no, non mi sembra molto adatto buttarla sul comico. Ci voleva un conduttore classico, non il loro stile dissacratorio. Che comunque rispetto e apprezzo, ma in altri contesti. Ecco, avrei potuto fare io il commento tecnico, e loro la presa in giro».

Quest’anno a rappresentare l’Italia c’è Nina Zilli.
«La trovo fresca, brava, mi piace molto. Forse un personaggio non originalissimo, perché lo stile e la voce ci riportano a Mina, ma in fondo cosa importa? Come mai hanno scelto lei, ha vinto l’ultimo Sanremo?».

No, però gliel’hanno comunicato contestualmente al Festival.
«Boh, non so… Saranno cambiate ancora le regole... Però lei è una ragazza in gamba. Spero che vinca, anche se come saprà molti Paesi, come il nostro, spesso si augurano che non succeda per non essere costretti a organizzare la costosa manifestazione l’anno successivo».

Lei non ha più partecipato, come concorrente?
«Avrei dovuto farlo di diritto nell’80, quando vinsi Sanremo con “Solo noi”, ma in quel periodo la Rai e l’Italia si erano staccate dall’Eurofestival. Poi mi hanno chiesto di concorrere anche per Svizzera e Moldavia, ma ho rifiutato».

I fans non l’avrebbero presa bene?
«Sì, mi sarebbe parso un tradimento verso l’Italia. Io non ero molto convinto, e credo soprattutto che il pubblico non avrebbe gradito».

Qual è lo stato di salute della musica italiana?
«Vedo in giro tantissimi talenti, e pochissimi autori. L’altra sera guardavo “Amici” ed ero strabiliato dalle capacità di molti di questi ragazzi, da Emma, alla Amoroso. Tra i nuovi mi piaceva molto Gerardo, originale, particolare. L’avrei cercato per produrlo personalmente, non l’avesse già per le mani l’ottima Mara Maionchi, credo. I ragazzi comunque oggi fanno molta più fatica di noi. Per noi era più facile: oggi se sbagli il primo singolo, poi vai nel dimenticatoio. Magari ti ripesca qualcun altro più in là, ma non è detto».

Le hanno mai proposto di fare il giurato in un talent-show?
«No, ma mi piacerebbe molto essere nella rosa di “X-Factor”, qui in Italia. In compenso me l’hanno proposto per l’edizione ucraina, e non è detto che non accetti. Il discorso è ancora aperto».

E Sanremo?
«Là è cambiato tutto. E la crisi discografica non aiuta. Se ci fosse la possibilità di andare promuovendo bene una canzone, forse…».

Ha pronto un nuovo album?
«A settembre sarà pronto, ma non è detto che esca subito. Lavoro soprattutto all’estero e devo cercare di far coincidere calendari internazionali».

A che punto sta il progetto di Al Bano, del mega tour in Germania con lei e Umberto Tozzi? Mancava il sì di Tozzi…
«Che è finalmente arrivato. Il progetto dei Tre tenori si farà, o alla fine dell’anno o agli inizi del 2013. Tozzi è un gigante, e finalmente ha accettato».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

mercoledì 23 maggio 2012

FACEBOOK E LA MANIACALE CATALOGAZIONE DEGLI STATUS SENTIMENTALI

Mi diverte molto la maniacale catalogazione che Facebook fa degli status sentimentali. Una complicata rosa che va da single a relazione aperta, passando per sposato, impegnato e l'antiquatissimo "fidanzato ufficialmente". 
È curioso che un mezzo così moderno sia tanto retrò nello schedare le relazioni. Però mancano molte cose. Inizio io col mio lost in status, poi chi vuole può proseguire con proposte a piacere per mister Zuckerberg: Rapporti occasionali con pecore. Chi offre di più?

martedì 22 maggio 2012

«SCHERZI A PARTE» NON È STATO UN FLOP, MA LUCA E PAOLO NON SONO DIO

Uno tra gli ultimi luoghi comuni capaci di infiammare di insana gioia molti addetti ai lavori della tv è che «Scherzi a parte» by Luca e Paolo, sia stato un flop.
Non è vero. O comunque, lo è solo in parte. Un programma che in genere si attesta sul 17-20% di share, con qualche puntata al ribasso nelle sere più difficili, di questi tempi non può certo essere definito un successo da prima serata, ma neppure una debacle (a questo proposito, chiedete notizie a Giancalo Magalli). Gli invidiosi se ne facciano una ragione. Probabilmente lo show nel rapporto costi/benefici, poteva fare meglio. Sicuramente il mix tra l'atmosfera in studio e il materiale e lo stile di Fatma Ruffini strideva. Ma i flop sono altra cosa.
Il consiglio che però mi sento di dare, veramente dal cuore, a Luca e Paolo, è quello di scendere un po' dal piedistallo. Nessuno, come loro, vive in una percezione di assoluta grandezza che - nei fatti - non è. Bizzarri e Kessisoglu (li conosco bene da anni) sono due ragazzi in gamba, a volte  un po' irruenti e chiusi, seguiti da un agente un po' autoritario ma molto bravo.
Negli anni però - già da tanti anni - si sono convinti di essere Dio, o qualcosa che gli somiglia molto. L'incarnazione di due semidei dello spettacolo. Il successo di «Camera cafè» e «Le iene» (il programma più adatto al loro cotè artistico stronzetto) in questo senso non ha aiutato. Ora Luca, che di solito ribatte colpo su colpo a qualsiasi cosa venga scritta sul web su di loro, risponderà piccato, come solo un vero genovese sa essere. Lo stesso Luca che in questi mesi di passione ci ha maniacalmente informato sui suoi profili Twitter e Facebook a proposito della letale controprogrammazione che «Scherzi» aveva ogni settimana. Come se gli altri che fanno tv non l'avessero (domandate al solito Magalli, che l'altra sera aveva contro «Amici» di Maria De Filippi e si è fermato al 13%).
Quindi, sia chiaro: 10-100-1000 Luca e Paolo, protagonisti di un ottimo Sanremo nel 2011 e di uno dubitabile nel 2012. Averne a pacchi, di Luca e Paolo. Ma per favore, ragazzi. Dio è un'altra cosa. E il totem lasciate che ve lo costruiscano gli altri, fieri di costruirvelo. Due onesti ex ragazzi che fanno spettacolo non hanno bisogno di comprarlo all'Ikea per poi montarselo a casa.

LUCA CAPUANO * «SE AVESSI LA PANCETTA, MI FAREBBERO FARE ALTRI LAVORI»

Finito il turno in sala di doppiaggio alla gloriosa Fono Roma («Stiamo lavorando al penultimo episodio de “Le tre rose di Eva”» dice), Luca Capuano, il bello e dannato della fortunata fiction di Canale 5, punta deciso sulla prima edicola raggiungibile. Ma intanto trova il tempo per quest'intervista.

Luca, come spiega il successo di questo lavoro?
«Paradossalmente, perché non c’è nessuna figura positiva: abbiamo il sentimento, certo, ma soprattutto ci sono molti personaggi che mostrano il lato oscuro dell’animo umano».
Come il suo, Edoardo Monforte. Forse il più sfaccettato della sua carriera...
«Sì, Edoardo è controverso: soffre per la personalità dominante del fratello Alessandro, e con lui compete. Ma ora c’è l’amore per Aurora. È pieno di luci e ombre, un bel personaggio».
Il suo aspetto la «condanna» a essere sempre il figo della situazione...
«Quando mi verrà la pancetta, la smetteranno di farmi fare questi ruoli. D’altra parte, visto che il fisico c’è, ci sta anche qualche scena girata a letto, o altre d’amore a volte un po’ finte. L’importante è riuscire a fare anche altro».
E lei ci riesce? Non dev’essere facile, se su Youtube spopola il video «Luca Capuano senza maglietta».
«Non lo sapevo (ride, Ndr). Ci riesco, certo sto ancora aspettando il ruolo della mia vita. Ma lavoro assiduamente per riuscire a portarlo a casa».
Faccia un esempio di tipico ruolo della sua vita.
«Qualcosa come “L’imbalsamatore” di Matteo Garrone. Oppure un action movie americano o italiano, di quelli prodotti da Valsecchi. Non metto limiti: una di quelle cose dove quando leggi il copione non sai mai quel che può accadere nella scena dopo».
Fare il sex-symbol dev’essere una vita infernale: palestra, cremine da spalmare, continue privazioni...
«Fortunatamente amo molto fare sport, e ciò mi consente di mangiare senza problemi, persino i dolci. E poi cucino. L’importante è non concedersi troppo alla popolarità».
In che senso?
«Ho imparato a dire qualche no. A volte quando giro con mio figlio Matteo, sei anni e mezzo, fatica a capire l’invadenza di qualche fan».
È vero che per voi belli dello schermo è sempre consigliabile sostenere di essere single, per evitare di perdere pubblico femminile?
«C’è questa scuola di pensiero, sì. Ma non ci credo. Lo vedo anche su Facebook - ho una pagina che curo personalmente -: se qualcuno vuole arrivare a te, ormai non c’è più limite: né di stato civile né altro. Ci riesce e basta».
È alla prese con qualche stalker?
«No, però c’è una tipa che ritrovo ovunque, per esempio quando partecipo alle partite della Nazionale attori».
Concludendo, lei è più bicipiti, o talento?
«Spero talento. Certo devono anche darti la possibilità di dimostrarlo. Serve l’occasione giusta. Ma le ripeto: ci sto lavorando, ci sta lavorando...».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

lunedì 21 maggio 2012

MA C'È FELICITA', SENZA BONOLIS?

C’è anche Paolo Bonolis nel lungo elenco dei partecipanti alla seconda edizione del «Festival della Felicità», in programma a Pesaro e Urbino dal 25 maggio al 3 giugno. Negli antichi chiostri (madrina Kathleen Hartington Kennedy) si parlerà di «felicità oltre la crisi». E Bonolis proporrà il suo «Il senso della vita», con, fra gli altri, Corrado Passera, Carlo Freccero, Rocco Papaleo, David Riondino, Beppe Englaro, Maria Pia Ammirati e Oliviero Toscani.

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

venerdì 18 maggio 2012

IMPARASSERO (IMPARINO) A SCRIVERE IN ITALIANO

Oggi ci occuperemo, in modo un po' pedante, del dilagare, anche su carta stampata e da parte di insospettabili, di forme verbali del tutto inappropriate nel contesto nel quale vengono usate. Si leggono sempre più spesso esortative come: "Mangiassero poco, altrimenti...", "Tacessero, perché sennò...", "Facessero il piacere di...", ecc. Al posto dei corretti "Mangino", "Tacciano", "Facciano", ecc. In pratica un'ipotetica senza "se" dove è richiesto altro. Trasferendo su carta forme in uso nello slang che va da Roma in giù. Ecco, magari: imparassero (imparino) a scrivere in italiano, prima di formulare pensieri più complessi.

giovedì 17 maggio 2012

UMBERTO TOZZI * «NON AMO I TALENT SHOW: CREANO SOLTANTO INTERPRETI»

 «Anche perché io sono un po’ il quinto Beatles, no?».
Che lo pensi davvero o meno, mentre un sorrisetto malizioso gli percorre il viso, Umberto Tozzi – nel dubbio – la butta lì. Sornione.
E a pensarci bene, un debito di riconoscenza verso questo signore che ha consegnato alla storia della musica italiana capolavori come «Ti amo» e «Gloria», firmati in coppia col compianto Giancarlo Bigazzi, bisogna averlo. Volenti o nolenti.
Da oggi, Tozzi è nei negozi e su iTunes (già al terzo posto) con «Yesterday, Today», doppio album che esce a sette anni da «Le parole», ultimo lavoro per Cgd. Stavolta sul piatto ci sono 11 inediti e 18 successi riarrangiati, nel rispetto del Tozzi style. Il posto di Bigazzi (al quale è dedicato l’album, con citazione nel booklet: «A Giancarlo, per aver condiviso con me un lungo cammino di… Gloria») è stato preso idealmente dal figlio del cantautore: «Gianluca, 26 anni, che non mi somiglia pegnènte ma cucca un casino lo stesso».

Tozzi, com’è cambiato nel tempo il suo modo di lavorare?
«Il modo di pensare e fare musica non è cambiato. Ci sono stati anni in cui non sentivo di avere cose forti da dire, e sono stato zitto. Nella mia carriera si sono alternati grandi successi, e anche vistosi insuccessi. Qui ho sentito per la prima volta dopo tanto tempo una forte ispirazione. Ho preso Greg Mathieson, che già collaborava con me ai tempi di “Gloria”, e l’ho fatto impazzire per cercare di amalgamare il più possibile le sonorità dei due cd. Gli arrangiamenti sono volutamenti asciutti, e il più possibile vicini a quelli di quegli anni. Soprattutto per i tre pezzi classici: “Ti amo”, “Tu” e “Gloria”».

Un nuovo best era nell’aria da tempo…
«Sì, anche perché mi ero stancato di sentire la mia vocina da ragazzino nei dischi, e qualcuno ha avuto la bontà di dirmi che canto meglio oggi».

Il nuovo tour parte il 22 maggio da Lille, in Francia, e c’è una sola data italiana, il 7 settembre a Bari. Come mai?
«In realtà vorrei riuscire a fare almeno 3-4 date fra Milano e Torino, la mia città, nei teatri. Quel calendario è stato fatto sei mesi fa. All’estero lavorano diversamente da noi, con grande anticipo. In Italia le date si fissano anche all’ultimo momento. Farò anche la Spagna, e sto programmando anche un tour francese, fra gennaio e marzo del 2013».

Come vede i nuovi fermenti politici (o antipolitici) che stanno scuotendo l’Italia?
«Confesso di non aver mai seguito molto né la politica, né i partiti. Non è qualunquismo. È che in tanti anni, con tutti i Governi che si sono succeduti, non ho mai visto qualcuno che secondo me fosse in grado di risollevare questo Paese. Tanta gente, e soltanto casini mai risolti».

Vive a Montecarlo da anni. È sereno?
«Ho la fortuna di abitare in un posto meraviglioso. E sì, ho raggiunto una considerevole serenità, che mi consente di lavorare in pace. Sino a qualche tempo fa ero più arrabbiato, sia verso la mia professione, sia verso chi la gestiva. Da quando sono nonno, mi sono tranquillizzato».

È vero che Pino Daniele doveva produrla, ma poi non se n’è più fatto niente?
«Non mi risulta. Abitavamo vicini, a Roma, ma con lui non si è mai parlato di questo. Ho collaborato con Raf ed ero felicissimo, perché veniva dal vivaio di Bigazzi. E negli anni scorsi anche con Masini. Sono aperto alle collaborazioni, che credo facciano bene alla musica. Mai come Dalla, però, che aveva la mentalità della condivisione».

È aperto ma a quanto pare non accetta la proposta di Al Bano, che la vuole coinvolgere con Toto Cutugno in un mega tour a tre voci in Germania. Snobismo?
«Non è detto che prima o poi non si faccia, sa? Non c’è nessuna preclusione, sono due grandi artisti. Il problema era la mia richiesta di avere sul palco un’orchestra sinfonica. Se troveremo un accordo, perché no?».

Qual è l’inedito che ama di più, di quest’album?
«“Come stai?”, una ballad che non mi stanco di riascoltare. È quello che mi dà più emozione».

Qual è l’eredità che le ha lasciato Bigazzi?
«Mi piace scrivere canzoni semplici. E Bigazzi è stato il mio grande maestro, in questo. Anzitutto mi ha insegnato a mettere le note insieme, cosa che ignoravo. Mi ha insegnato a semplificare le melodie, senza mettere diminuite e cose strane che amavo molto, e con più la maggiori, per intendersi. È stata una collaborazione felice, al di là di tutto, e la sua scuola mi è servita. E poi mi pungolava e stimolava: sono notoriamente pigro e orso. Giancarlo ogni tanto mi chiamava e diceva: “Forza, dai, troviamoci e facciamo qualcosa”. Queste canzoni guardano al passato anche come lunghezza: non più di 3 minuti e mezzo, come una volta. Come la vecchia scuola di Giancarlo, ma con mio figlio che in qualche modo cerca di rinverdirne i fasti».

Il suo disco meno fortunato?
«“Il grido”, del ‘96. Non a caso parlavo di “Facce di angeli lividi”. Uno tra i cd più invenduti della mia carriera».

Crede sia davvero possibile rifare qualcosa che rinverdisca i fasti delle sue pietre miliari?
«No, penso di no.  Quei pezzi erano troppo forti, e ancora oggi amatissimi dalle nuove generazioni, che li conoscono a memoria. Li considero irripetibili. Del resto, se Paul McCartney fosse stato in grado di rifare “Yesterday”, l’avrebbe fatto. Io ho avuto alti e bassi. Poi c’è una quota di pubblico di affezionati alla tua musica che ti segue anche nel disastro, ma è un’altra cosa».

Come giudica i talent show?
«I ragazzi purtroppo oggi sono sfortunati, perché hanno solo quelli come momento di aggregazione e di visibilità. Noi facevamo musica nei club e nelle cantine. Oggi, un giovane che esce e non imbrocca il primo singolo, rischia seriamente di non arrivare al secondo».

Meglio i talent del nulla, no?
«La cosa veramente negativa è che in quei contesti sono solo interpreti, di fatto. È una triste verità. Prima o poi se vuoi emergere o restare, dovrai scriverla, una canzone. Prendiamo Noemi, la rossa: è forte, ha un bel timbro. Ma noi abbiamo bisogno di autori. Gli autori sono stati la fonte delle più grandi libidini emozionali della nostra vita».

Farebbe bene anche al Festival di Sanremo…
«L’unico modo per ricreare quelle belle atmosfere, sarebbe prendere bravi autori, chessò, come Maurizio Fabrizio, e chiuderli in casa finché non hanno cacciato la canzone giusta».

Guarda qualcosa, in tv?
«Ho visto tutte le puntate di “Una grande famiglia”, tranne l’ultima, ieri, causa lavoro. Ma me la sono fatta raccontare. Ogni tanto seguo anche “Matrix” o “Porta a porta”. Altrimenti fiction, o documentari del National Geographic».

L’Italia è stata abbastanza generosa con lei?
«Non mi lamento, anche se forse un po’ più di attenzione l’avrei meritata. Però mi sono consolato con un successo e brani così forti, all’estero, che hanno compensato tutto il resto».

E le case discografiche?
«Da quelle non ti devi aspettare niente: quando lasci una major, se hanno il tuo catalogo, fanno di tutto, senza rispetto alcuno: compilation, raccolte… Ma non è un problema solo mio, intendiamoci».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012) 

mercoledì 16 maggio 2012

ARISA CANTA L'INNO DI MAMELI ALLA FINALE DI COPPA ITALIA

 Ci sarà un piccolo evento nell’evento durante la finale di Coppa Italia Juventus-Napoli, il prossimo 20 maggio allo Stadio Olimpico di Roma, in onda in prima serata su Raiuno. Prima del fischio di inizio, la Lega Calcio ha convocato un’«atleta» d’eccezione: Arisa, che interpreterà a cappella (solo con la sua voce, quindi) l’Inno di Mameli. Il tutto dinanzi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. L’interprete de «La notte» (confermata tra i giudici della prossima edizione di «X-Factor», su Sky), dovrebbe anche eseguire tra il primo e il secondo tempo della partita il nuovo singolo estratto dal suo ultimo album: «L’amore è un’altra cosa».
(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012) 

IL COMPLEANNO FICO DI GIANNA TANI





Grande festa di compleanno al Gioia 69 di Milano per Gianna Tani, già papessa dei casting Mediaset e oggi gran signora in sospeso fra l'Italia e il Brasile. Fra il web, col suo Gianna Tani Web Channel, la moda e la scrittura. Tra buffet all'esterno del locale milanese e torta di compleanno (sulle note di una canzone scritta apposta per la festeggiata e cantata da Sara Maya, ex di Passaparola, su Canale 5, «coverizzando» in parte Rino Gaetano), sono sfilati in pista alcuni addetti ai lavori e popolari volti dello spettacolo: dall'immancabile prezzemolino Ugo Conti, alla rampante Raffaella Fico, sprovvista di Balotelli. Passando per la candida Juliana Moreira, volto di «Paperissima», e la veterana Terry Schiavo. La showgirl ha appena pubblicato un fortunato libro autobiografico intitolato «Volevo ballare il bunga bunga anch'io», e sta per pubblicare il nuovo singolo «Like a Diva». Balli sino a tarda notte e riflettori su Gianna, in attesa di nuovi progetti.

(Foto di Cristina Gualmini)

sabato 12 maggio 2012

SONOHRA * «ABBIAMO UN NUOVO LOOK, MA NON E' STUDIATO A TAVOLINO»

Neanche il tempo di dimenticare dove piazzare l’H nel loro nome, ed ecco che rispuntano i Sonohra. A due anni dall’ultimo lavoro, i fratelli Luca e Diego Fainello il 15 maggio saranno nei negozi e negli store digitali con un nuovo album, «La storia parte da qui»: 11 brani anticipati dal singolo «Si chiama libertà», con un video girato tra i sassi di Matera e impreziosito dalla straordinaria cornamusa asturiana di Hevia.

Luca, più che «La storia parte da qui», forse riparte da qui…
«Sì, si apre un nuovo capitolo. È un album molto rock, con sperimentazioni elettroniche. Ci abbiamo lavorato più di un anno e ora siamo in pieno fermento per il lancio».

Calendario massacrante?
«Ti dico solo che da stamattina alle 20 di sera abbiamo un’intervista ogni quarto d’ora».

Voi due siete veronesi, ma in te mi sembra di sentire uno spiccato accento emiliano…
«Me lo dice un sacco di gente, ma giuro che sono veronese al 100%!».

In questi anni, quanto e come siete cambiati?
«Il nostro cambiamento è nato dai tanti viaggi fatti, sempre insieme e per lavoro: Sudamerica, Inghilterra… Il viaggio apre la mente e avvicina a nuove culture ed esperienze. Inevitabile, che lasci segni addosso, in quello che fai e che scrivi».

Sbaglio, o stavolta vi proponete con un look della serie «Valerio Scanu, il ritorno»?
«Perché, com’è il look di Scanu? (Luca ride, ndr). Scherzi a parte, ci siamo fatti crescere la barba, ma non c’è niente di studiato a tavolino. Nessuno ci cura l’immagine. Oggi siamo così, e ci vestiamo a seconda di come ci svegliamo la mattina».

Davvero non c’è la voglia di passare da «boy-duo» a qualcosa di maggior spessore?
«Beh, non nego che questo look sia molto più rock, e si avvicina all’anima di questo nuovo disco. Ma non è una strategia commerciale».

Tra le tematiche di questo nuovo disco c’è la volontà e il bisogno di cambiamento. Fate anche i conti con la crisi, con il clima difficile che vive il Paese?
«Assolutamente. Come potremmo essere estranei all’attualità? Noi come tutti ci rendiamo conto che la politica ha deluso, che sono state fatte, negli anni, tante promesse non mantenute. Infatti un pezzo si intola proprio “Liars”, ovvero bugiardi. Il futuro è un’incognita soprattutto per noi giovani».

Come giudichi il boom del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo?
«La gente è incazzata e Grillo e i suoi rispecchiano questa incazzatura. In tutta Italia c’è una grande voglia di cambiamento».

La crisi ha influito anche sulla produzione di questo vostro nuovo album?
«La crisi discografica si sente, ma se lavori tanto e bene, con qualche accorgimento puoi comunque arrivare al pubblico con un prodotto di alto livello. Per esempio, le lunghe fasi di pre-produzione di un disco, una volta venivano fatte solo in studio. Oggi la tecnologia ti aiuta. Con un plugin e un Mac puoi fare tutto a casa e arrivare in studio d’incisione e rifinire lì. Ma avendo già fatto il più».

Dal boom a Sanremo 2008 a oggi. Siete a uno snodo cruciale per la vostra carriera. Pensate che il pubblico, i fans, vi seguiranno ancora?
«Siamo consapevoli che questo è un momento particolare, e la scelta di virare verso il rock può essere rischiosa. Ci possono seguire, o allontanarsi. D’altra parte, oggi siamo così. Se fossimo rimasti legati al passato, sarebbe stata una forzatura».

Nel disco ci sono quattro brani in inglese. Scelta stilistica, o voglia di conquistare altri mercati?
«Entrambe le cose. Alcuni nostri pezzi si adattano molto bene all’inglese, a mio avviso. E non nego che comunque ci piacerebbe avvicinarci al mercato del Nord Europa, che ritengo potenzialmente vicino alle nostre cose».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

lunedì 7 maggio 2012

GIANCARLO MAGALLI * «SONO LO SCOTTI DI RAIUNO, MA A SANREMO MI TEMONO»

Giancarlo Magalli, lei il 18 maggio torna su Raiuno con un nuovo game show: «Mi gioco la nonna». Visto com’è messo il Paese, ha pensato che sacrificarla fosse l’unica soluzione?
«Guardi che nonna non ci lascia le penne... Anzi, è una risorsa quando sei in difficoltà (come oggi accade anche nell’economia domestica delle giovani coppie), un jolly da giocare in emergenza per le due famiglie-squadre che si scontrano in prove atletiche e di abilità. Ma non le appenderemo al soffitto, tranquilli. Saranno sedute».
È un format tedesco: «Family Showdown»…
«Non mi pare vero di andare in onda con un programma dove non ci siano gare di ballo, cuochi, canzoni Anni 60 e tre giudici famosi. Infatti andrà malissimo…».
Non dica così… L’avete modificato parecchio, pare.
«Per forza, era freddo: quello tedesco è brutto, con il conduttore ingessato, sembra un cameriere. E c’è troppo antagonismo, quasi non si parlano».
Capito, sarete tarallucci e vino. Soluzione all’italiana.
«Saremo più caldi. L’errore dei format è non adattarli. Anche cose comprate in Francia o Spagna, Paesi che si ritengono a noi più vicini, possono non funzionare. Hanno gusti televisivi molto diversi».
Questa della nonna come jolly, mi ricorda molto «Giochi senza frontiere»…
«Ne fui l’organizzatore fra il ’70 e il ’74. Ogni 15 giorni diretta da uno dei Paesi coinvolti. Una cosa monstre. Facevamo 100 milioni di spettatori a puntata. In sette puntate più la finale, un miliardo di persone. Quando sento la sigla dell’Eurovisione, mi si gela ancora il sangue».
È al suo ritorno su Raiuno in prima serata dopo 13 anni, come ha scritto qualcuno. Come la vogliamo chiamare: colossale svista?
«In realtà sono otto-nove, e qualche prima serata sporadica in giro l’ho fatta. Iniziò tutto quando arrivò Fabrizio Del Noce a Raiuno. Fece il repulisti: io, Baudo, Carrà, Frizzi. Fabrizio si riprese per il rotto della cuffia, alla fine, con “Soliti ignoti”, e Raffaella manca ancora. Un’ecatombe. Così mi sono rifugiato su Raidue all’ora di pranzo».
Del Noce voleva rinnovare la rete?
«Non me lo spiego: eravamo anche amici, prima. Ma quando diventò direttore, cambiò faccia».
E dire che lei ha il physique da Raiuno… Come Gerry Scotti l’ha da Canale 5. Ha notato che le taglie forti sono più adatte alle reti ammiraglie?
«Ma sa che lo penso anch’io? Conosco e stimo Gerry, e mi sono sempre considerato lo Scotti della Rai. Poi sono arrivati i Max Giusti, i Pupo… Gente che va anche bene, ma non è in grado di coprire quelle fasce. Conti funziona, lui sì. Io avrei dovuto sostituire Bonolis ad “Affari tuoi” quando passò a Mediaset, ma poi arrivò…».
Non me lo dica: Del Noce.
«Sì, e ci mise Pupo».
Non farà anche lei come ogni conduttore che si rispetti, che prima o poi cade nella trappola di ritenersi più importante del format?
«Macché. Sono in onda da 20 anni per 180 giorni l’anno. Figurarsi se posso sostenere che la gente è in crisi d’astinenza da Magalli».
Le grosse reti sono quelle che patiscono di più l’attuale frammentazione degli ascolti.
«Lo zoccolo duro non esiste più: al massimo è una ciabatta. Una volta, qualsiasi cosa tu mandassi in onda su Raiuno non facevi meno del 18-20% di share. Oggi si arriva tranquillamente al 12-13%. La gente sceglie, e ci sono centinaia di canali».
Anni fa Pippo Baudo disse che «La Rai è un jet pilotato da boy scout». Lei come la pensa?
«Oggi è pilotato da gente più compentente, ma manca la benzina. Il risultato finale per il viaggiatore rischia di essere lo stesso».
Dica la verità: lei si è dato una grossa calmata.
«In che senso?»
Prima nelle interviste aveva la classica «parola buona» per tutti. Ora sembra che si autocensuri.
«Non mi autocensuro. Se ho qualcosa da dire la dico, da sempre. Come fanno quelli come me, senza raccomandazioni né padrini. Difendo il mio lavoro. Solo, sono più cauto con certi giornali, tipo uno che mi ha intervistato di recente, e che non mi beccherà mai più».
Che cos’ha combinato?
«Intervista di un’ora durante la quale parlo di: vita, carriera, lavoro, famiglia, colleghi che apprezzo, qualsiasi cosa, e alla fine due timide considerazioni critiche sul “Grande Fratello”, Pupo ed Enrico Papi. Tutto il resto sparisce. Titolo: “Magalli spara a zero su Pupo, Papi e Marcuzzi”. Manco l’avevo citata».
Le belle ragazze che sono con lei in questo show, Debora Salvalaggio ed Elisa Silvestrin, sono state scelte con criteri da Prima Repubblica, Seconda o Governo tecnico?
«Mi sa che i criteri erano gli stessi anche in monarchia… Loro parlano. Non vallette, ma inviate. Il loro compito è svegliare alle sei di mattina le famiglie sfidanti per portarle a Roma, in studio».
È finito il tempo dei reality, o avranno ancora buon gioco?
«La struttura è sempre la stessa: nominations, confessionali… Hanno un po’ stancato. “L’isola” regge ancora, ma anche lì, alcuni sono al secondo-terzo passaggio. Non sanno più chi chiamare. E il “Grande Fratello” è pieno di coatti terrificanti che vanno in scena sapendo già che cosa succederà loro. Pensare che il GF, l’ho amato tanto...».
All’inizio?
«La prima edizione. Conoscevo il regista e andavo estasiato a Cinecittà a guardarmeli nell’acquario, dietro i vetri. Straordinario. C’era anche Taricone, poi l’ho conosciuto. E quella siciliana, Anna La Rosa…».
Guardi che è Marina…
«Ah sì, scusi… Marina La Rosa. Anna è quella che fa “TeleCamere”. Andrebbe bene per “L’isola dei famosi”…».
Sanremo 2013. Avremo un Gianni Morandi tris, Carlo Conti o Massimo Ranieri?
«Morandi credo si sia intelligentemente chiamato fuori, per evitare il baratro. Conti di musica ne sa, e con buoni autori potrebbe funzionare anche Ranieri. Che è il personaggio che forse desterebbe maggiore curiosità».
A lei lo proporrebbero mai?
«Me lo propose il comune, anni fa. E la Rai avrebbe accettato. Ma si misero di traverso i discografici, che temevano il mio sense of humour. Della serie: “Abbiamo speso milioni per lanciare un tipo, poi arriva lui e con una battuta…”. Fui stoppato. Sanremo è un posto allucinante dove l’ironia non ha cittadinanza. Panariello si censurava, e il povero Vianello fu querelato da una cantante perché ammiccò blandamente a una canzone simile a quella che questa tizia aveva cantato l’anno precedente. Lo sa come funziona Sanremo?».
No, come funziona?
«Se lo fai bene, non se ne accorge nessuno. Se è un flop, te lo rinfacciano per tutta la vita».

´TV SORRISI E CANZONI - APRILE 2012)

mercoledì 2 maggio 2012

AL BANO CARRISI * «IL MIO SOGNO PROIBITO? UMBERTO TOZZI»

«E ricorda che bisogna preparare tutto per l’arrivo a Cellino dell’ambasciatore turco...». Al cellulare con un suo collaboratore (l’intervista che segue sarà garbatamente interrotta da cinque telefonate), seduto al tavolo di un ristorante di Milano con accanto il suo legale («Domani dobbiamo discutere una questione a Como» dice), Al Bano Carrisi sembra più un grande del G8 che non il profeta pugliese del pentagramma.

Al Bano, scusi ma... l’ambasciatore turco?
«Sì, sì. Una volta venne anche quello coreano. E un’altra Fabio Volo, che è un mio fan e cantava “Nel sole”».
È vero che sarà nel cast della prossima serie di «Un medico in famiglia»?
«Due-tre pose. Impersonerò me stesso in un episodio».
Non si fa mancare niente. Ci prova col cinema?
«E perché no? Prendo quello che il Signore offre. Guardi però che il cinema, di fatto, non l’ho mai lasciato...»
Ma si va con la memoria ai «musicarelli» con Romina, negli Anni 60.
«Quelli come  “L’oro del mondo”, “Mezzanotte d’amore” e “Il suo nome è Donna Rosa”? Già, devo organizzare una “Maratona Al Bano”, a casa... No, mi riferivo ai miei road movies».
I suoi road movies?
«Documentari. Che ho fatto con i miei figli, da produttore. Uno splendido “Roma-Sydney”, in Australia. Quattro puntate di “Miraggi”, in Marocco. E poi “Nel cuore del padre”, dedicato a papà, e “Con gli occhi del cuore”, a quella roccia di mia madre».
L’Al Bano documentarista, in effetti, mancava.
«Pensi che in uno di questi viaggi credo di essere stato l’unico al mondo a cantare l’Ave Maria in una moschea».
Da non credere.
«Sì, ma sempre con il massimo rispetto di tutte le religioni. Che è fondamentale». 
In «Un medico in famiglia», chi l’ha voluta?
«Non lo so. Ma mi piace pensare che sia stato l’amico Lino Banfi, anche se non ci siamo ancora sentiti».
La segue, la serie?
«Ma io sono anni che non entro manco al cinema! Troppo impegnato. Anche i cantanti nuovi, me li raccontano. E pensare che una volta ero una banca dati».
Com’è messo,  con il calendario dei concerti?
«Zeppo ovunque sino al 31 dicembre. Ma ora c’è la questione della Germania...».
Quale questione?
«Il più grande impresario vuole insieme in un tour me, Toto Cutugno e Umberto Tozzi. Ci adorano, sarebbe un grande matrimonio».
Un triangolo...
«Eh, vabbé... Manca solo l’ok di Mr. Tozzi, che tarda ad arrivare. Ha pezzi immortali: “Ti amo”, “Gloria”, “Stella stai”... Basterebbe vedesse la cosa con un po’ di ironia».
È uscito anche con un libro autobiografico, «Io ci credo».
«12 mila copie vendute, dal 21 marzo. Racconto il mio rapporto con la fede. Quello di un uomo che ha avuto tante batoste, dalla vita: una figlia, il divorzio, la malattia, la cecità di mio padre...».
Sui giornali di gossip si dice che sarebbe tornato con Loredana Lecciso...
«Di Loredana apprezzo il fatto che non abbia speculato sui figli. Ha capito che accettare un’intelligente pace, fa bene a tutti».
Un’ultima curiosità: quali sono i Paesi nei quali va più forte?
«Vediamo... Turchia, Grecia, Polonia, Romania, Russia, Lettonia, Lituania, Canada, Stati Uniti, Germania, Spagna...». 
Sgattaioliamo via mentre Al Bano prosegue indisturbato il suo elenco.

(TV SORRISI E CANZONI - APRILE 2012)

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