venerdì 31 luglio 2015

FORMENTERA, VIRGEN DEL CARMEN * LA GRANDE PROCESSIONE MARINA

Se sei a Formentera il 16 luglio e dopo una giornata di spiaggia cerchi qualcosa d'inconsueto, che non t'aspetteresti mai in un posto così, non andare a Es Pujols a fare i gavettoni a Maldini o i selfie con Melissa Satta (mi dicono gli addetti ai lavori che fra l'altro quest'anno il vippame stia stranamente disertando la Isla). Sono attività improduttive. Fa piuttosto come me. Dirigiti con fiducia verso le 19 al porto de La Savina per partecipare all'annuale, temibile processione terrestre/marina della Virgen del Carmen. Un capolavoro praticamente sconosciuto agli italiani, e al cui cospetto la Coppa Cobram di fantozziana memoria diventa un gioco da tavolo. 
L'agghiacciante ma stupenda processione della Virgen del Carmen, patrona dei naviganti, è un evento monstre che tocca in modo incredibile le corde del sentimento religioso spagnolo. Parte dalla chiesetta del paese come una normale processione in tutte le chiesette di paese di questo mondo, con i fedeli che pregano seguendo il parroco e la Madonnina sorretta nella sua plastica ostensione, e si trasforma strada facendo in un'impresa epica.
Mentre il sacerdote e i suoi si fanno strada, sulla banchina del porto tre vecchi pescherecci di medio cabotaggio lì ormeggiati sono pronti a partire, ospitando, gratis, tutti coloro che vogliono salire a bordo e prendere parte all'evento. In

mezz'ora o poco più, le barche si riempiono all'inverosimile di fedeli e curiosi di ogni tipo, sul modello delle carrette del mare che arrivano a Lampedusa. Bambini col gelato colante, vecchie devote barbute, balenottere spiaggiate, coppie trendy, sudati in canottiera (parecchi), protestati, pensionati con la minima, si mescolano in un gigantesco carnaio. Come un treno estivo per pendolari e vacanzieri italiani, ma molto più naïf, visto che sono praticamente tutti spagnoli. E gli spagnoli nel kitsch ruspante non scherzano affatto.
Con alcuni amici, trovo posto casualmente sulla barca che (lo scoprirò di lì a poco) guiderà il gruppo. La più ambita. Vedendo l'affollarsi incontrollabile del mezzo e cercando una posizione migliore per scattare foto, salgo sulla torretta di prua dell'unico ponte superiore disponibile. Che si riempie in breve di altre decine di persone; tutti avevano fatto il mio stesso ragionamento. Dopo un quarto d'ora si presenta a sorpresa un tizio col cappello del Capitan Findus preso al mercato della Mola, si spaccia per il comandante e intima: "Signori scusate, ma c'è un problema: troppe persone sono salite qui sopra, e come capirete non posso far partire una barca che pesa 100 sopra e 50 sotto. Quindi una cortesia: ora tutti quelli sopra i 50 chili devono tornare di sotto. Facciamo in modo che quassù ci siano soprattutto bambini". Il mugugno è palese, ma il ragionamento non fa una grinza. La sicurezza prima di tutto. Del resto siamo già ben oltre (eufemismo) la capienza consentita. E continuano a far salire gente. Diligente, guadagno la scaletta per scendere a poppa. E come me un'altra decina di persone, non di più. Peccato che nel giro di cinque minuti salgano sulla barca, immediatamente fatti arrampicare sul ponte superiore a prua, nell'ordine: anziano prete capocordata benedicente, in divisa d'ordinanza; la Madonnina in ceramica 70 centimetri portata da quattro schiavi in canottiera; due assistenti del prete, sempre in divisa; una damigella con corona di foglie; tre musici (due vestiti con costumi tipici a prima vista sardi recanti naccherone giganti e tamburo, più un altro scazzatissimo che suona una sorta di flauto); tre suorine carmelitane grigie con pettorina e capricapo azzurro (per gli appassionati, 300 punti "sfiga di suora" ciascuna), e un poliziotto. L'altro rimane sul ponte inferiore insieme con un anziano reggente lunga asta di legno sulla sommità della quale è innestato il Crocefisso. Essendo alto meno di un metro e mezzo, il reggente era l'unico che non avrebbe creato problemi di peso salendo. Invece resta con me e la bolgia disumana lì sotto.
Risolti, come è evidente, con un sordido trucco ancora poco chiaro, tutti i problemi di sicurezza, la barca pilota prende il largo, seguita dagli altri due vecchi pescherecci stipati di gente sino all'orlo. La preoccupante inclinazione a destra (tecnicamente, tribordo) dello scafo è subito marcata, e tutti ci guardiamo preoccupati. Tutti i non spagnoli, naturalmente.

Perché gli iberici ridacchiano felici, anche delle paure altrui. È il gran giorno della Vergine del Carmine, e niente può andare storto. Non a caso la celebrano il 16 luglio, mica venerdì 17.
Inclinato come la torre di Pisa, con fluttuazioni a destra che aumentano drammaticamente a ogni virata (invano io e altri corpulenti rimbalziamo a destra e per cercare di compensare) i tre natanti guadagnano il largo. Prima seguiti e affiancati da una decina di barche. Poi, via via, da un centinaio di imbarcazioni di ogni genere. In breve, mentre una ragazzina alle mie spalle, è pronta a vomitare, un'intera flotta in borghese ci accompagna. Dal ponte superiore arrivano solo, incessanti, il battere ritmico delle nacchere, tre colpi di tamburo, e tre note di flauto, sempre le stesse. Il tutto ripetuto all'infinito. Il sospetto di andare verso la morte con un pessimo accompagnamento musicale, assale più d'uno.
Il punto designato per fermarsi è in mare aperto, esattamente a metà tra Formentera e Ibiza. Tace l'orchestrina, il prete fa spostare la Madonna vicino al corrimano, faccia a tribordo, pronuncia parole di rito e la damigella butta in acqua la rotonda corona di foglie, di circa 70 centimetri di diametro. Aumenta l'inclinazione a destra dello scafo. Segue generosa spruzzata di acqua benedetta che si unisce al mare. Da quel momento in poi, a bordo, scatta la festa: marinai improvvisati fanno partire senza sosta tappi del miglior Cava, lo spumante spagnolo (Fanta per i bambini), e pie donne girano a bordo con vassoi di dolciumi fatti in casa od offerti dalle pasticcerie locali. Manca il trenino di Disco samba, ma solo perché non c'è fisicamente spazio, meu amigu Charlie Brown.
Nel frattempo, il rito prosegue con la benedizione di tutte - ripeto, tutte - le barche che hanno seguito il corteo. In ordinata fila indiana affiancano il nostro peschereccio a tribordo partendo da poppa (alcune arrivano a pochi centimetri e quasi lo toccano), sostano qualche secondo guardando in alto verso la Madonnina, veloce spruzzata d'acqua benedetta dal sorridente parroco, e via. Verso nuove avventure. Davanti ai miei occhi sfilano, in ordine casuale (e dimenticandone parecchi): tre yacht di grosso cabotaggio popolati di ricconi che avrebbero avuto bisogno semmai di due-tre etti di sfiga, non della benedizione del natante (dagli oblò siamo oggetto di palese scherno da parte di alcuni bambini); un traghetto che fa servizio navetta Ibiza-Formentera; alcune barche a vela, tra le quali una con coppia agée vestita di lino totalmente bianco modello visita all'isola di Samoa, e corone power flower e un'altra con una band emergente che suona un pezzo dal vivo; una giovane coppia in canoa; tre ragazzi in windsurf; un paio di gommoni di sfollati; un bialbero blu con signora bene gnocca non più giovane in posa come polena (il marito è al timone molto compreso nel ruolo); diversi gozzi decisamente più pop, con famigliole numerose al completo (alcune signore visibilmente commosse); una barchetta con tavolo imbandito e ricca cena al centro. Potrei continuare per dieci minuti, ma ci siamo capiti. Un evento religioso-festaiolo di massa, che si svolge al tramonto, su un peschereccio completamente sbilanciato a tribordo e che riesce miracolosamente a non affondare. Circostanza che rafforza nei già devoti il culto della Virgen del Carmen e che le avvicina clamororosamente, e con una mano sola (perché l'altra è impegnata negli scongiuri), gli indecisi o gli infedeli. Vi consiglio di non perderlo, visto che, oltreché indimenticabile, è l'unico evento totalmente gratuito che troverete a Formentera. Per il resto, ovviamente, si paga ogni respiro.

giovedì 30 luglio 2015

FORMENTERA * IL FIGLIO DI BONOLIS CON «LA BONAS» DI «AVANTI UN ALTRO!»

In un'estate insolitamente povera di Vip, come confermano gli stessi addetti ai lavori dei locali di Es Pujols (in due settimane io ho visto aggirarsi per la Isla soltanto Elena Santarelli col marito Bernardo Corradi e Cecilia Rodriguez, che non è certo Belen ma almeno rappresenta la casata, mentre altri hanno avvistato gli immancabili Cristina Parodi e Giorgio Gori), a Formentera è spuntata un'altra strana coppia.
Li ho intercettati per puro caso e fotografati (come potete notare) al Banana's, un locale di tendenza all'angolo della strada che porta al paradiso di Ses Illes.
Si tratta di Stefano, uno dei due figli americani di Paolo Bonolis (quelli avuti dalla prima moglie, che vive negli Usa), un tipo che in giro da noi si vede davvero pochissimo, insieme con la burrosa Bonas di «Avanti un altro!». Ovvero il game-show preserale che papà Paolino conduce su Canale 5. La Bonas, che è una delle figure di spicco, soprattutto anteriormente, della trasmissione, e Stefano chiacchieravano fitto fitto, di cose legate anche al mondo dello spettacolo, e ogni tanto lei cacciava una delle sue classiche risatine in sovracuto.
Se stiano insieme o no, onestamente non so dirlo. Ma young Bonolis, che è un pezzo da novanta, anche fisicamente, e somiglia tantissimo al daddy (che ogni anno affitta casa lì), sembrava ben introdotto. L'incontro tra i ragazzi forse sarà stato propiziato da lui o dalla moglie Sonia Bruganelli, che spesso si occupa dei casting dei programmi del marito. In ogni caso, non importandomene granché del gossip, ve li mostro così. Al naturale.

domenica 12 luglio 2015

LE COMMESSE BRUTTE INVADERANNO MILANO?

Milano. Ieri ho dato un'occhiata a qualche camicia in un negozio in via Torino. L'unico nel quale faccia una capatina due volte l'anno perché, da sempre, ha capi che in genere incontrano il mio gusto. Il simpatico esercizio si è sempre caratterizzato per l'impiego di giovani e assai piacenti commesse, in genere dell'Est. La clientela maschile mostrava di gradire, ovvio. Qualche sorriso, un po' di furbizia della biondina di turno: insomma, baruffa nell'aria. La gnocca del resto è da sempre un plus, anche fra le cameriere e le pr, per esempio. Ci sono lavori che richiedono questo tipo di fluidificante, di vaselina umana, per rendere più ricco e al contempo meno pesante lo scontrino. Certo, a volte le starlette della bottega diventano un po' protagoniste; a volte capita di notare (mi successe l'ultima volta) qualche frizione con la non più giovanissima titolare, probabilmente un po' invidiosa del loro successo, che pure le portava gran soldi. Se il tempo d'acquisto di qualcuno con la stessa commessa si protraeva, lei con una scusa ordinava la sostituzione e il ritorno in panchina della malcapitata di turno. Come un implacabile mister. Anche in presenza di una pila di indumenti da acquistare che aumentava vistosamente. Niente. Via. Kaputt. Passiamo a un'altra.

Ieri, improvvisamente, l'inedito e ardito cambio di strategia commerciale: le frizzanti e sgargianti ragazze dell'Est erano state sostituite, in blocco (cinque o sei) da altrettante, sempre straniere, ma brutte come il peccato di non aver peccato. Come se fosse stato fatto un preciso casting (e sono sicuro che sia così) per passare dal Paradiso all'Inferno. Dalla Volvo alla Panda. Tutte gentili, servizievoli, scattanti, per carità. Ma veramente improponibili. Non fosse poco elegante vi darei l'indirizzo per andare a verificare personalmente. Non so se sia una paranoia della «Padrona» o alle fregole del di lei marito. Suppongo di sì. Non so se questa tecnica sia destinata a lanciare una moda, ad aprire le porte di certi lavori riservati alle belle anche a chi non ha la fortuna di aver staccato un biglietto di poltronissima con Madre Natura. Ma vi assicuro che la cosa fa un certo effetto. Anche loro, peraltro.
Lo so, è un post che rasenta il politicamente scorretto, ma so che mi volete bene lo stesso. Inoltre per alcune può essere un'opportunità lavorativa. Non dimentichiamolo.


martedì 7 luglio 2015

SPOT NEGRONI * ENRICO RUGGERI, IL SALAME CHE NON TI ASPETTI

D'accordo, sarò un tipo all'antica (e so bene che le bollette, in qualche modo, vanno pagate), ma quando l'altra sera, distratto davanti alla pubblicità in tv, ho sentito partire un vecchio jingle cantato da una voce strana, magnetica e inequivocabile, un brivido mi ha percorso la schiena.

«Le stelle sono tante, milioni di milioni: la stella di Negroni, vuol dire qualità». Non ci potevo credere, ma a decantare la bontà del noto salame era proprio Enrico Ruggeri. L'uomo di «Contessa», «Quello che le donne non dicono», «La carta sotto» (forse la mia preferita), «Il futuro è un'ipotesi»; insomma, uno tra i cantautori più raffinati di sempre stava esaltando in musica l'insaccato industriale, e chiudeva (tanto abbiamo fatto 30...) con il claim: «Se è Negroni si sente», detto dalla sua voce maschia, col birignao e accenti milanesi. Una voce che ha cantato, in passato, cose straordinarie. Per non dire uniche.

Il web si è subito scatenato («Con la tv che ha fatto ultimamente, che cosa ti aspettavi...» e altre riflessioni), e probabilmente - ripeto - sono io quello sbagliato, all'antica. Uno spot non fa primavera e forse neanche porchetta. In fondo anche Mina (che però è solo interprete, non cantautrice col marchio Doc come lui) ha ceduto alle lusinghe della pubblicità. Ma che Ruggeri faccia il salame, cribbio, non te l'aspetteresti mai. E rimani lì, con la bocca aperta.
Come primo pensiero, oltre allo stridere del gesso sulla lavagna, ho mandato idealmente i miei complimenti ai creativi che sono riusciti a convincerlo. Il colpo è magistrale. Il secondo è stato per il bonifico. Enrico, tu che sei intelligente e hai senso dell'umorismo: per una cosa così spero che ti abbiano letteralmente ricoperto d'oro. Ma qualunque cifra sia, era comunque troppo poco.

mercoledì 1 luglio 2015

IBIZA SENZA PACHA * ECCO IL BEST: MIGLIORI SPIAGGE E RISTORANTI

Il vero problema di noi tardo-giovani, a Ibiza, è fare colazione. Il primo giorno sono sceso alle 9.30, che mi sembrava persino un orario decente, fra la marea di locali retrostanti la spiaggia di Cala de Bou, ovvero quella più vicina al mio residence. Tutto chiuso e in strada il deserto. Dal momento che qui chiunque, anche i pensionati con la minima e quelli col girello con le luci stroboscopiche, va a letto alle cinque di mattina sulle note di Bob Sinclar, e se parla di Amnesia si riferisce non a perdita momentanea della memoria ma alla nota discoteca ibizenca, le 9.30 per una colazione sono qualcosa di improponibile. Intercetto l'unico esercizio commerciale aperto oltre ai bancomat, un Rent a car, e chiedo al tipo all'ingresso dove si possa fare un bel breakfasf. Prima mi guarda con l'aria da: "Dai giargianella, mi stai prendendo per il culo!?", poi la trasforma in uno stato di diffidenza modello: "Questo mi vuole scroccare soldi con una scusa", e quando capisce che faccio sul serio la fossilizza in uno stato di netta, umana, civile compassione. Già me lo vedo più tardi all'arrivo del suo collega in ufficio: "Pedro, non sai chi è passato stamattina: un pirlòn che voleva fare colazione. Alle nove e mezza, capisci?". "Nooo Miguel, non ci credo!". E giù a ridere come matti. Per poi farsi improvvisamente seri, con Pedro che - con lucida visione prospettica - sintetizza: "Miguel, guarda però che su questa cosa c'è poco da scherzare: si comincia con un pirlòn che vuole fare colazione alle 9.30 e poi è un attimo fare la fine di Rapallo". Mala tempora...


L'abitato di Ibiza (Eivissa, come la chiamano loro) fa un po' storia a sé. Ma qui dove alloggio io, dalle parti di Sant Antoni, è tutto un proliferare di ragazzi inglesi alticci e vomitanti e ragazze sosia di Adele, la cantante non magra. L'altra notte ne hanno trovato uno in hotel morto per overdose. Un altro, sempre sotto sostanze stupefacenti, ha rubato un'auto di servizio della Pepsi-Cola, per poi fare un frontale con un vecchio Suv rosso a 200 metri dal luogo del furto. Anche sfigato, oltreché ladro. Un altro invece ha centrato la recinzione del bar "Vaca loca", quello con i giochi, la pedana elastica e il toro meccanico. Nell'incidente il giostraio riempi pista è rimasto senza naso. Ogni notte, solo in questa zona, transitano 5000-6000 persone, con appena due vigilantes della Guardia Civil. Troppo pochi, e i residenti protestano. In compenso la polizia ha appena portato a termine una retata antidroga. L'hanno chiamata "Operazione primavera", come i piselli dell'Esselunga. Due chili di cocaina, dieci di hashish e altrettanti di pillole chimiche di varia natura. Tutto per servire un'isola sette volte più grande di Formentera (la mia unità di misura) e con una ricettività ora al 62%. Record di transiti in aeroporto a maggio: 680.000. Formentera invece è sotto del 12% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La differenza è che qui la clientela viene da tutto il mondo. Là sono al 90% italiani. Se Renzi cala le braghe a noi, il bruciore a posteriori lo sentono anche loro, insomma. 


Dimenticando Playa d'en Bossa (la loro Rimini, con il mitico
hotel della catena Hard Rock Cafè, dove il 12 luglio si esibiranno Sabrina Salerno e Samantha Fox, quattro tette vintage che si proiettano nel futuro) un'icona trash più che una spiaggia, Ibiza come mare offre tanto. Basta sapere che cosa e soprattutto dove cercare. Le spiagge a Nord-Est non sono male ma un po' ventose e con troppi casermoni alberghieri piazzati in riva al mare. Errori urbanistici del passato. Quelle a Ovest, vicine a dove mi trovo (ma serve comunque un'auto a disposizione), mi sento invece di consigliarle. La più suggestiva e servita, a mio avviso, è Cala Bassa. C'è un'ampia spiaggia libera e lo stabilimento super chic, dove due lettini e un ombrellone costano 45 euro al giorno, ma te li danno solo se t'impegni a pranzare lì da loro, tra schiavi circassi, sexy massaggiatrici, bottiglie di Mumm e lettini balinesi. Non ho visto la lista, ma a occhio e croce per un secondo di pesce devi cedere un rene e il quinto dello stipendio. Anche quello di tuo cugino. Sul fronte parcheggio, ecco la trovata geniale: costa 5 euro al giorno, e in omaggio c'è una Corona. Intesa come bottiglietta di birra. Utile richiamo per una tappa ai bar della struttura a piluccare anche qualcosa annusando il bel mondo. Persino per quei volgaroni della spiaggia libera, non ammessi ovviamente alla zona privée. Perché, diciamolo, c'è un limite a tutto. L'esempio virtuoso dei parcheggiatori del Cala Bassa andrebbe seguito anche dai rampanti gestori dei locali milanesi. Visto che in città il bene più prezioso sono i parcheggi, dopo l'ape e l'apericena, suggerisco l'ApeParking: paghi 15 euro per lasciare l'auto, e il Cuba libre con le cibarie te li danno compresi nel prezzo. Diamo un valore alle cose, cribbio.

Alla spiaggia di Cala Salada, qualche chilometro dietro l'abitato di Sant Antoni, si arriva dopo un po' di curve ma poi si spalanca davanti agli occhi la ripagante meraviglia della baia. A Levante una spiaggetta istituzionale con ombrelloni e lettini; al centro, rocce per fare il bagno pelandosi le natiche; a Ponente, spiaggetta selvaggia difficilissima da raggiungere a piedi. E perciò molto ambita. E perciò sempre piena. L'acqua del mare a Cala Salada non è granché, va detto, ma la spiaggia, oltreché una formidabile trappola per turisti, è un trattato di microeconomia comparata. In un fronte di sabbia di appena 50 metri per 30, a semicerchio, trovano spazio, oltre ai bagnanti distesi sui teli mare, anche 7 (dico sette) tavolini molto improvvisati di ragazzi spagnoli abusivi che servono cocktails fatti sul momento. Una concentrazione che neanche d'estate in Corso Como. I tavolini sono carichi di bottiglie di superalcolici, frutta, bicchieri, sabbia e tutto ciò che può servire per il lavoro. Di solito si fanno accompagnare da una ragazza che intanto gira con vassoi di pastarelle salate o dolci tipici. La concorrenza è più che spietata, quindi con un accordo di cartello i nostri hanno fissato gli stessi prezzi: 4 euro i cocktail nel bicchiere di plastica piccolo; 8 euro quelli nel bicchierone da mezzo litro. Peccato che uno dei sette, un ragazzo furbetto e adrenalinico di origine brasiliana, il giorno in cui mi sono presentato io avesse deciso di sparigliare le carte servendo mojitos nel bicchierino a 1 euro l'uno. Un prezzo invincibile che ammazzava tutti i concorrenti, così imbestialiti che sono matematicamente certo abbiano poi ammazzato lui. Controllare a fine serata dietro gli scogli.
Ma la vera regina degli esercenti di Cala Salada è la leggendaria Rita, non più di 25 anni, di origine argentina. Piccina, mora con colpi di sole, corpo e seni perfetti, passa la vita in topless ed è un genio del marketing. Giuro. Come lei, nessuno. Mentre i suoi colleghi barman della mutua si azzannano spiaggiati nel libero mercato, lei lavora in monopolio con una strategia sopraffina. Arriva con tre borsoni pieni di semplici ponchos di cotone bianchi, neri o rosa molto traforati, quasi inesistenti e qualche vestitino bianco trasparente (anche di un certo gusto), li piazza e si piazza in piedi sul bagnasciuga guardando la spiaggia. Che intanto non guarda lei ma le tette, ovviamente. Lei non fa una piega e, serissima, come un direttore d'orchestra, inizia a infilarsi il primo capetto, che lascia intravedere tutto. Poi scarta a destra e si fa tutta la spiaggia velocemente, da levante a ponente, sempre sul bagnasciuga, sculettando. Infine ritorna al centro, si sveste e si riveste, ripetendo la sfilata con un altro poncho. Gli uomini ovviamente hanno la bava alla bocca, ma lei - astuta - non li degna di uno sguardo. A meno che non vogliano comprare qualcosa. L'attenzione complice è solo per le donne, che in pochi minuti, irresistibilmente attirate dalla malìa della piccola sirena, arrivano a frotte e comprano. Come se non ci fosse un (aereo) domani. Se dopo una quindicina di minuti rimane sola, Rita, che è aiutata anche da un discreto esibizionismo, riprende metodica il suo sexy show. In pratica, richiama l'attenzione su di sé sfruttando la libido maschile, per poi vendere un sogno (cioè l'idea di richiamare la stessa libido) alle donne. Che quello straccetto poi lo porteranno magari col costume sotto, senza il topless da urlo di Rita. E con qualche chilo in più. Ma cosa importa, in fondo? Signore che parlate tanto, come tutti, di Piano B, se avete bella mercanzia (in tutti i sensi) e voglia di lavorare, eccovelo servito caldo. Vi giuro che vorrei guadagnare io in un giorno un quarto dei soldi che fa Rita. Le darei in mano il Paese, lo dico. Le darei il Ministero dell'Economia. Porta grandi risultati senza dire una parola. Il politico perfetto. Un'utopia.


Menzione finale inevitabile per la bella spiaggia di Cala Tarida altrimenti nota come quella delle 14 fatiche di Cala Tarida. Mi spiego meglio. Lasci l'auto nella piazzetta sovrastante, poi raggiungi il mare percorrendo una lunghissima, strana scala in cemento impreziosita sul lato destro da un super scivolo per disabili. Giuro che vorrei tanto (ma proprio tanto) conoscere l'ideatore di questo capolavoro di architettura balneare perché ha battuto qualsiasi record di coglioneria. L'uomo, di una grandezza cosmica, ha pensato di abbattere le barriere architettoniche della scala abbattendo in modo molto più semplice sia il disabile che il suo accompagnatore. Come? Semplice. Lo scivolo handicap di Cala Tarida è un corpo unico in cemento che consta di due discrete salite in cima e in fondo alla scala, e vede svilupparsi al centro 14 (dico quattordici) micro salite da tre metri con pendenza attorno al 15-20% inframmezzate ciascuna da una piazzola in piano di circa due metri e mezzo per uno e mezzo. A meno che il disabile non sia fornito di una sedia a rotelle elettrica o a motore particolarmente (e sottolineo particolarmente) performanti, colui il quale si impegnasse a spingerlo sotto il sole più bieco fin lassù avrebbe morte certa, nonostante le beffarde piazzole per il riposino, non oltre la sesta-settima agghiacciante micro-salita. Nessuno, neppure l'Incredibile Hulk dopo avere appena saputo di essere becco da due anni per colpa di un impiegato del catasto, potrebbe farcela. Figurarsi un povero cristo qualsiasi. Per non parlare della discesa, altrettanto perigliosa. Il disabile arriva sul posto già un pochino incazzato di suo per più che comprensibili motivi, e si trova ad affrontare un cimento mortale, affidandosi con inusitata temerarietà al proprio accompagnatore, che in questo caso deve saper trattenere la carrozzina con una forza inaudita per evitare di farsela sfuggire dalle mani, vedendo il povero handicappato schizzare come un bob a quattro e schiantarsi inesorabilmente sugli scogli. 


Per la cronaca, nonostante una fantasiosa leggenda delle Baleari, quella de l'Hombre Invincible co' la su sedia semoviente, peraltro del tutto priva di riscontri, nessuno sfortunato è mai uscito vivo dalle 14 rampe (più due salite) di Cala Tarida.

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