mercoledì 31 luglio 2013

LA STORIA DE «GLI SQUALLOR» IN DVD * VOLGARITA' COME TERAPIA

Lo spettacolo lo bazzico da qualche lustro. E tra le poche cose che salverei di questa bolgia, c’è il taumaturgico sax di «Cornutone» degli Squallor. Una medicina salvavita. Quando sono un po’ giù, mi chiudo in auto e - durante il primo viaggio che mi capita a tiro -, canto a squarciagola questo struggente gioiello della musica e altri 3-4 pezzi del gruppo che ha fatto dell’innocua volgarità un’arte. Anzi, un balsamo per lo spirito. Con il napoletano me la cavo egregiamente, e provate a smentirmi.
Proprio «Gli Squallor» è il titolo del dvd celebrativo appena uscito dopo lunga gestazione (CNI, 10 euro) a firma Carla Rinaldi e Michele Rossi. 150 minuti di affettuoso omaggio a Totò Savio, Giancarlo Bigazzi, Daniele Pace e Alfredo Cerruti; una manna per chi ha voglia di immergersi nella storia dei fantastici quattro della goliardia su pentagramma. Gli anticipatori di Elio e le storie Tese. 14 album celestialmente grezzi e scanzonati dati alle stampe fra il 1971 e il 1994.
Un giorno intervistai Giancarlo Bigazzi, che a proposito degli Squallor, col suo inconfondibile, graffiante vocione toscano, mi disse: «Che cosa vuoi, si stava tutto il giorno in sala d’incisione con ‘sti ‘azzo di ‘antanti, e la sera veniva voglia di mettersi a prenderli in giro, sdrammatizzando tutto…». È lo stesso Bigazzi (scomparso nel 2012), insieme con Cerruti, l’unico rimasto in vita e impegnato in un poker della memoria, a tenere il filo del racconto de «Gli Squallor». Insieme con Jacqueline Savio (la moglie di Toto), Gianni Daldello, il figlio di Pace e un mare di ospiti. Anche insospettabili.
Per scoprire la personalità del quartetto (Toto, «un principe», maestro di cortesia e buonumore e interprete eccelso; lo schivo Bigazzi, macchina da guerra della canzone leggera italiana, l’uomo che ha lanciato, fra gli altri, Tozzi, Masini e il Raf di «Self Control»; il sornione Pace, eccentrico e lunare, con la sua erre al sangue e quella sagoma di Cerruti, già direttore artistico della Sugar, incapace di prendere qualcosa sul serio per più di 20 minuti) e un florilegio di curiosità. Per esempio il fatto che i nostri erano soliti chiudere molte serate vedendo e rivedendo «Hollywood Party», con Peter Sellers, o perdere nottetempo al tavolo da gioco vagonate di soldi onestamente guadagnati di giorno. E ne guadagnavano parecchi, quando la musica vendeva e rendeva davvero.
Pubblicavano canzoni scritte per combattere «Il mal d’amore ripugnante della canzone italiana» (Pace), ma anche – dichiaratamente - per fare cassetta. Persino con film non proprio esaltanti ma entrati nella leggenda. Da «Arrapaho» («Costò 500 milioni e incassò tre miliardi», Cerruti) al flop di «Uccelli d’Italia». Gli album avevano copertine trash e titoli espliciti: «Pompa», «Scoraggiando», «Troia», «Palle», «Vacca», «Mutando», «Tromba», «Cappelle», sino all’ultimo, «Cambiamento», con le voce di Savio piegata dalla malattia e in parte rimpiazzata da Gigi Sabani. Che non poteva fare miracoli, perché la voce di Toto aveva del miracoloso.

E poi, le invenzioni di Cerruti, coi suoi monologhi in parte surreali: «Vieni giù, Berta, ho un toro nelle mutande … Ho consumato già due cassette di Little Tony». Lo stesso Cerruti che oggi, in camera caritatis, confessa: «Frequentavamo i cantanti, che sono i peggiori scassacazzi del mondo». Gli fa eco Mara Maionchi, che conferma: «Su questo sono d’accordo». E qui torniamo alle parole di Bigazzi, chiudendo il cerchio.
Gli Squallor, con le loro parodie: da «Usa for Italy» a «Mortò veneziano», quando il Rondò andava per la maggiore. Sino al vezzo solista di Pace, che per sfizio incise una misconosciuta canzone romantica in napoletano: «Piccerè».
La canzone preferita di Stefano Bollani nel repertorio squalloresco è quel gioiello di «Mi ha rovinato il ‘68». Ma tutti chiudono in coro fra lacrime e risate intonando «Cornutone». E poi non dite che non ve l’avevo detto.

lunedì 29 luglio 2013

SCORRANO * CONOSCI LA CAPITALE MONDIALE DEI BOTTI E DELLE LUMINARIE?

Chi vive al Nord è convinto - da sempre - che le luminarie siano solo e soltanto quelle quattro lucette sfigate raffiguranti una stella cometa, babbo Natale con la slitta o arabeschi vari a piacere che spuntano a dicembre, a ridosso delle feste, sopra le strade dei freddi centri della Bassa, per dare loro una parvenza di vita apparente. Con gli anni e la crisi, orpelli sempre più sparuti e insignificanti. Vai con l'effetto neve, e l'abbiamo sfangata anche quest'anno, dicono i commercianti locali, che pagano il disturbo.
Per questo rimasi stupito (ma non rendo abbastanza l'idea) e abbagliato come un bimbo accompagnato per la prima volta alle giostre quando alcuni amici pugliesi, un paio d'anni fa, mi portarono a Scorrano (Lecce), 7.000 abitanti nell'entroterra salentino, vicino alla più nota Maglie. "Andiamo a Scorrano, c'è la festa di Santa Domenica, con le luminarie!", mi dissero entusiasti. "Scorrano?", li guardai io con aria beffarda. Indeciso se pensare a una grave malattia della pelle o a una versione meridionale della superazzora brematurata di tognazziana memoria. Mai coverto, Scorrano. E poi senti questi, strani forte: se andare in un paesino a guardare le luminarie è il loro passatempo preferito, come Pozzetto quando si sedeva in campagna a veder passare il treno, sono conciati malissimo. Ebbene, niente di più sbagliato.
La percezione netta del mio errore, con la pelle d'oca e la fissità del bulbo oculare, l'ebbi all'imbocco della strada principale del paese, quando iniziò a palesarsi un kolossal della luce: enormi corridoi luminosi a rendere indimenticabili stradine anonime, archi luminescenti, castelli di lampadine intermittenti montati su strutture di legno alte decine e decine di metri. E poi tarantole lampeggianti, fiamme, draghi, mille sfumature. Un paradiso in terra. Per non parlare dei fuochi artificiali: suggestivi spettacoli piro-musicali, i migliori botti su piazza, e migliaia di persone da tutto il mondo che vengono a vederli. Giustamente. Perché Scorrano è la capitale riconosciuta di tutto questo. Finiti i cinque giorni dell'annuale sagra, a luglio, gli scorranesi si tassano per (mi dicono) circa 20-25 euro a famiglia, e iniziano a pensare all'edizoone dell'anno successivo. Come i contradaioli di una specie di Palio di Siena della luce. Complice il lavoro di tre-quattro ditte locali del settore, che per fare bella figura sui concorrenti si mettono in gara e per primeggiare venderebbero mamma ai beduini. E poco importa se Scorrano viene ritenuto spesso dagli altri salentini - ne conosco parecchi - un paese vocato al kitsch, un po' "truzzo". Una specie di Rozzano del Sud.
Questi sono matti, ho pensato anch'io la prima volta. E continuo a pensarlo, nonostante torni appena possibile a perdermi tra quelle architetture luminose che paiono disegnate da Storaro. Saper creare qualcosa che ti renda unico, paga sempre. E loro ci sono riusciti, con un senso dello spettacolo che ha pochi eguali. Quindi mi levo il cappello con rispetto, e vi invito a venirci, in questa benedetta Scorrano. Sempre che troviate parcheggio.

LA CRIPTO-GNOCCA, DONNA DOMINANTE

Una categoria che mi lascia sempre a bocca aperta è la cripto-gnocca. Quelle, per intenderci, bruttarelle o normali - non ci sarebbe niente di male -, che passano l'intera loro vita a credere e a far credere (non so quale delle due cose venga prima) agli altri di essere le più fighe del bigoncio. Ne sono perfettamente, totalmente, incrollabilmente convinte, e ciò le rende irresistibili, oltreché immortali. La loro convinzione di essere mostruosamente belle e attraenti, in un complicato intersecarsi con la dura realtà, genera a cascata effetti esilaranti. Che puoi solo contemplare come si contempla una meraviglia della Natura. 
Il mondo è delle cripto-gnocche, date retta a me.

ATTENZIONE ALLE FREGATURE: TIM AUTORICARICA SCADE PRIMA DI QUANTO TU CREDA

In data 5 giugno 2013, dopo un infruttuoso colloquio con un operatore di call center, ho spedito un fax (il testo è riportato in corsivo qui sotto) al servizio cienti di Tim per sottolineare un grave disservizio. Sotto, il racconto di com'è finita la vicenda. Diffidare, sempre.

 
In data 4/5 u.s. partendo per un mese negli Stati Uniti (ritorno in Italia previsto per il 2/6), sono stato costretto a farmi chiamare il giorno prima da un fisso per prorogare al 2/6 (come attestava la voce guida elettronica), appunto la scadenza del mio credito su Tim Autoricarica.
Rientrato in Italia il 2/6 mattina ho verificato l’effettiva presenza del credito, e per non farlo scadere (alla mezzanotte del 2/6, come avviene per tutte le vostre offerte, e come dice la logica) mi sono premurato di farmi chiamare in giornata ancora sia da un numero Vodafone che da un fisso per raggiungere i 20 minuti necessari a prolungare la scadenza di un mese.
Con mio grande stupore, però, durante la giornata del 2/6 (cioè prima della scadenza annunciata dalla voce), dal messaggio della voce guida quel credito è sparito. Ed è sparito definitivamente.
...

Vi chiedo di verificare, dovreste avere un preciso controllo di tutto il traffico, e di riaccreditarmi i 30 euro che Tim mi ha ingiustamente sottratto. Ho chiamato il 119 per protestare, ma l’operatore non solo non è stato in grado di spiegami in modo convincente che cosa sia avvenuto (di certo una sottrazione indebita di credito), ma mi ha detto che mi aveva dedicato «più dei 4-5 minuti che in genere si dedicano a queste pratiche». Non faccio altri commenti su frasi del genere, perché parlano da sole. E per fortuna che lo chiamate servizio clienti.

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A circa due settimane da questo fax (il fax è l'unico modo per comunicare con l'azienda, se il reclamo diventa serio, e in questo caso era soprattutto una questione di principio, avendo ragione a carrettate), mi ha richiamato una responsabile del servizio clienti Tim. Sosteneva che avessi sostanzialmente ragione, ma che il mese di credito per l'Autoricarica 190 scadeva in realtà non alle 23.59 del giorno indicato dalla voce guida, come qualsiasi altra offerta o credito Tim, ma - non si capisce per quale ragione - alcune ore prima, nel pomeriggio. Se avessi attivato un messaggio di informazione sul credito (procedura a me ignota, visto che comunque nessuno si era premutato di informarmi), dice la signora, avrei avuto questa informazione. (???) Vi rendete conto dell'assurdità dell'argomentazione?
In ogni caso, visto che avevo "in parte ragione", con grande magnanimità Tim mi rimborsava sotto forma di credito utilizzabile 15 dei 30 euro che mi aveva ingiustamente sottratto.
Ma uno o ha ragione, oppure ha torto. Non si può sostenere che io abbia sostanzialmente ragione, ma anche torto. Anche perché altrimenti potrei facilmente interpretarla come una furbata della serie: ci proviamo, e se aveva le gambe... Cosa ormai molto comune, non solo nell'ambito delle compagnie telefoniche.
Ho accettato i 15 euro, anche perché non mi si davano alternative, e ora mi accingo ad abbandonare Tim dopo non so quanti anni di fedeltà, raccontando questa edificante storia. Domanda finale: dal punto di vista commerciale, è così producente comportarsi così?

lunedì 1 luglio 2013

INTERVISTA A FLAVIO BRENZI, 7 VOLTE CAMPIONE DI COMA ETILICO

SANTA MARIA DELLA VERSA - Parole che pesano. Fatti rigorosamente da non riprodurre. Tutta la verità sui 7 coma etilici di Flacchio “Flick" Brenzi raccontati da lui medesimo. Un grande atleta entrato ormai di diritto nella storia oltrepadana.

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