mercoledì 30 dicembre 2015

«QUO VADO?» DI CHECCO ZALONE E LA METAMORFOSI DEI FILM DI NATALE

La metamorfosi dei film di Natale si sta compiendo. Checco Zalone sforna a Capodanno «Quo vado?», elogio del posto fisso, puntando la fionda della sua satira, monicellianamente, contro i (tanti) vizi e le (poche) virtù degli italiani. Gli stessi che il terrunciello 2.0 Luca Medici incarna al meglio senza che molti degli stessi italiani che vanno a vederlo se ne accorgano. Anzi, riuscendo a galvanizzarli con la sua magistrale cialtroneria. Altri, invece, tentano di risollevarsi.

Per esempio Christan De Sica e Neri Parenti, che riaffermano la trita logica del cinepanettone (più per dimostrare ad Aurelio De Laurentiis che possono farcela ancora, credo) piazzando nelle sale «Vacanze ai Caraibi», dove il posto di Massimo Boldi accanto al figlio di Vittorio sembra essere stato preso definitivamente da Massimo Ghini. Il film, come sempre, è imbarazzante, ma almeno hanno avuto il coraggio (che è mancato a Zalone, in cartellone dal 1 gennaio) di farlo uscire in contrapposizione netta con l’ingombrante «Star Wars – Il risveglio della forza». 

E mentre Leonardo Pieraccioni con «Il professor Cenerentolo» non esce, come ogni anno, dal cliché che l’ha reso celebre (la storia d’amore brillante per coppie, dove è lei che trascina un lui perplesso al cinema), si fanno strada i cinepanettonari del nuovo millennio. Ossia Lillo e Greg, col loro «Natale col boss». Dove il mafioso vanesio che vuole cambiare i connotati trasformandosi in Leonardo Di Caprio, diventa (suo malgrado) Peppino Di Capri. Champagne.

Qualcosa sta cambiando, anche se poco, sotto il sole delle pellicole delle feste. In ogni caso, una dritta: se volete fare anche voi un film, assicuratevi di mettere almeno Natale nel titolo.

sabato 28 novembre 2015

«PERCORSI DI VOLO» IN VERSI PER DIRE NO AGLI ABUSI


Ci sarà anche l'amico Davide Giacon, cantante, doppiatore, funambolo del cuore (e della grafica a cavicchio), nonché prepensionato illustre, domani pomeriggio, domenica 29 novembre, alle 17, al ristorante El Galet in via Corelli, a Milano, per presentare il cd di poesie «Percorsi di volo», di Laura Monticelli Conetta.

Un audiolibro nel quale l'autrice «descrive gli stati d'animo legati alla violenza e all'abuso che per anni hanno condizionato e ancora condizionano la sua vita di donna adulta, utilizzando immagini e suoni per portare l'ascoltatore a immedesimarsi e comprendere le situazioni che contornano un abuso in età infantile».


Oltre a Giacon, hanno prestato la loro voce ai lavori della scrittrice anche Fabio Concato, Cosimo Battista, Marta Comerio, Wilma De Angelis, Simone De Rose, Walter Di Gemma, Rita Guidotti e Daniela Ferrari Boschi

Le musiche di sottofondo sono di Agostino e Nunzio Dell'Orco, Giuseppe Distaso e Carlo Zerri, membro della Rosalina Blu's Band e fattosi notare anche come turnista d'eccezione nell'album dei Beagles «Sèngur».

Tutto il ricavato del cd presentato domani alle 17 a Milano (è prevista anche musica dal vivo con i Camera d'ascolto, e a seguire buffet) sarà devoluto all'Associazione Meti, che si occupa della tutela degli abusati.

«X-FACTOR» * SKIN ORDINA IN TRATTORIA

Secondo capitolo delle avventure di Skin, che lascia per un attimo il banco dei giurati di «X-Factor» e si impegna stavolta a ordinare in trattoria. Il menu della voce degli Skunk Anansie non è tra i più leggeri, ma lei lo affronta da par suo.


martedì 17 novembre 2015

I COMMENTI DOPO LA STRAGE A PARIGI * COME FAI, SBAGLI

Dunque, ricapitoliamo:

- Non hai scritto niente, divagando, anche per sdrammatizzare. Hai sbagliato, sei un insensibile.

- Hai scritto qualcosa, hai sbagliato, ti sei infilato nel coro qualunquista e in fondo non sai niente di questioni mediorientali. Quindi taci, ignorante.

- Hai detto che bisogna andare là e asfaltarli, hai sbagliato, sei uno sporco fascista. O, peggio, Gasparri.

- Hai fatto dei distinguo dicendo che anche americani e inglesi hanno le loro responsabilità. Hai sbagliato, sei uno sporco comunista, perché di fronte a una strage non si fanno distinguo.

- Hai cambiato l'immagine del profilo mettendo la bandiera, e hai sbagliato, perché hai scelto la foto con la Tour Eiffel sullo sfondo e in mano avevi il mojito e vuoi fare la trendy fighetta sulle spalle dei morti. E poi che cosa può cambiare la tua stupida foto profilo?

- Non hai cambiato l'immagine del profilo. Hai sbagliato, perché in questi momenti bisogna stringersi tutti e dimostrare solidarietà. Basta anche un piccolo segno.

- Sei Libero e hai sbagliato il titolo, l'Ordine dei Giornalisti dovrebbe farti chiudere.

- Sei Moira Orfei e hai sbagliato il giorno per morire perché con tutto il casino che è successo non ti si filerà nessuno.

Oh, ci fosse un cristiano che ne ha combinata una giusta...
E in tutto questo vi ricordo che sino a ieri i francesi vi stavano sul culo.

lunedì 16 novembre 2015

«X-FACTOR» * SKIN LEGGE LE PREVISIONI DEL TEMPO

A «X-Factor» quest'anno ha preso il posto di Victoria Cabello. 
Skin (leader degli Skunk Anansie) si sta facendo notare soprattutto per la sua pronuncia italiana, che spiazza il pubblico ma anche gli altri giurati: Elio, Mika e Fedez. La parlata di Skin è qualcosa di mai riscontrato in natura. 
L'ho messa alla prova con il meteo sulla Penisola, le Previsioni del tempo.


domenica 15 novembre 2015

IL TERRORISTA CHE SI FA SALTARE IN ARIA DA SOLO: È LA JIHAD PIU' TRENDY

Parigi. Uno degli 8 terroristi islamici, non si sa se per errore o volutamente, si è fatto saltare in aria da solo, senza causare altre vittime, in Boulevard Voltaire.
Ecco il più pirla della compagnia, dirà qualcuno banalizzando. 
Invece no. Sono proprio questi i kamikaze che ci piacciono. Quelli che si fanno saltare in aria da soli. Con quell'attitudine alla self-made explosion da cintura imbottita di plastico che fa tanto tendenza autunno-inverno. Uno così, una volta in paradiso, merita di trovare le vergini migliori. Facciamo girare la voce: lassù gnocche da paura se ti fai saltare in aria da solo, magari in un prato. Un kamikaze così, io lo idealizzo, come Ennio Doris di Banca Mediolanum. Pensaci.
È la Jihad costruita attorno a te.

domenica 8 novembre 2015

TEATRO CUCINA * UN MANGIA, PREGA E AMA A PORTATA DI MANO

Se vai a una cena, pardon, una serata di Teatro cucina, com'è capitato a me, non sai mai se guardare nel piatto, oppure sul palcoscenico che ti sta davanti (anzi, che ti avvolge, visto che ci si siede a semicerchio), e dove succede una grande baraonda. Un virtuoso moto perpetuo in bilico fra arte e sapori. Tra palato e messinscena. Con gli attori che si prodigano per affabulare, divertire e al contempo servire a tavola.
33 commensali, nello spazio Atelier di Teatro in polvere, a Milano, vengono coccolati in quello che è stato battezzato «Intrattenimento conviviale in cinque portate e due atti». Una cosa che, zitta zittta, va avanti da 15 anni, per la regia di Elisabetta Faleni.

A tenere le fila del racconto è Valentino Infuso, laureato in Economia in Bocconi ma con vocazioni attoriali. Inizia maltrattando seriosamente, muscolarmente, eroticamente un impasto fatto a mano, forse quello di una capricciosa gigante (e lì ti preoccupi fino a pensare: mioddìo, dove sono capitato?), ma poi lo spettacolo prende corpo e accentua, meglio rivela, la propria vocazione ironico-giocosa. Passano con gli affettati e il primo vinello, poi (mentre la bella Paola Crisostomo si lascia andare a una danza sensuale sul pavimento imbrattato di farina), arrivano amorevolmente la terrina di pasta e fagioli, una polpetta avvolta nel radicchio, una fetta di pecorino consegnata dalle premurose mani di una vecchina in carrozzella (Corinna Agustoni, che nella realtà cammina), un buon Cannonau. E per finire la fetta di torta cioccolato e mandorle, panacea che serve a guarire tutti i mali. Tutto buono, in modica quantità, tranne il discutibile liquore a chiudere.

E mentre un uovo "telecomandato" rotola sul pavimento e i nostri mettono in scena le nozze neoromantiche (con tanto di canzoncina di Nino d'Angelo a suggellare il trash di rito) di un truzzo ladro di orologi un po' albanese un po' partenopeo, due ore e rotte scivolano via. In penombra.
Infuso e soci sono in gamba. E la Crisostomo ha la grande abilità (tutta recitativa, non solo costumistica) di passare in un baleno da icona sexy a cesso siderale. Quindi tanto di cappello. 

Il biglietto intero costa 64 euro, più sei di quota associativa al circolo. A occhio e croce, un po' troppo, anche se la messinscena richiede il lavoro di molti. Ma esiste anche un ridotto a 49 euro (per under 23 e over 70 anni). Tutto sommato ve lo consiglio: si passa una bella serata un po' diversa dal solito.

sabato 7 novembre 2015

MUCCINO VS PASOLINI * CHE COSA NON SI FA PER DUE TITOLI DI GIORNALE

A questo mondo bisogna sentirle tutte. Persino Gabriele Muccino, che per portare a casa qualche titolo di giornale critica Pier Paolo Pasolini («Un regista senza stile: ha impoverito il cinema della sua epoca») dall'alto del suo «L'ultimo bacio» (massima opera del nostro), un mega spot romantico girato bene, come quelli della Barilla, con le galline ma senza Banderas. Se Pasolini ha impoverito il cinema della sua epoca, Muccino ha sfruttato la grande povertà della nostra per fare un lavoro di cassetta. Uno. Perché gli altri non sono andati manco così bene. 
E te lo dice uno che a vedere la maggior parte dei film di Pasolini si fa due palpebre così.

mercoledì 28 ottobre 2015

LO SFIZIO DI FAZIO: UN VAROUFAKIS RARO PAGATO A PESO D'ORO

Che gli ospiti andassero di corsa, saltellando (e in processione) a farsi intervistare da Fabio Fazio è una cosa alla quale eravamo abituati. Un po' perché «Che tempo che fa», in virtù soprattutto delle lepidezze postribolari (per citare Daniele Luttazzi) della Littizzetto, ha il suo zoccolo duro di pubblico. Un po' perché Fabietto è il re della domanda che non disturba. A volte che non c'è. Canta la sua messa, in gloria all'invitato, e tutti vanno volentieri a farsi celebrare. È comprensibile.

Pensavo fosse soprattutto un moto spontaneo, soprattutto per chi ha film, dischi o libri in promozione. Già, ma quelli in fondo vanno ovunque, e a lui non basta. Vuole il nome di grido, quello che (in teoria) fa parlare. L'ospitone che non va dalla D'Urso perché è cheap, ma che è bello potersi permettere in una cornice di catodica rispettabilità.
Al greco Yanis Varoufakis (ex Ministro delle Finanze del Governo Tsipras), si scopre ora per ammissione dello stesso, ha fatto consegnare dalla produzione del programma di Raitre 24.000 euro netti (più un volo andata e ritorno in business class, fa notare puntiglioso Enrico Mentana, mentre le polemiche infuriano) per un intervento dai contenuti non certo determinanti. E dai normali riscontri come audience. 

All'album di figurine di Fabio si è aggiunto un pezzo di pregio. Al contribuente, che presto pagherà il canone in bolletta, lo sfizio del collezionista è costato un bel po'. Oggi come oggi ci costava meno rilevare il Partenone e piazzarlo nell'area Expo, tra poco libera.
Pazienza, vorrà dire che nel 2016 la sera, per risparmiare, si spegnerà la luce un po' prima.

mercoledì 30 settembre 2015

MORANDI NEGA UN SELFIE A MAGALLI, E LUI: «I LIKE NON DANNO LA FELICITA'»

La querelle Giancarlo Magalli contro Gianni Morandi per un selfie negato è una tra le chicche delle ultime ore nel catino dello spettacolo italiano, spia del mal di web che ha ormai colpito i personaggi nostrani. Anche quelli più stagionati, che non hanno il tweet facile come Fedez (o Gasparri). Per chi se lo fosse perso, ecco il post che il conduttore romano ha affidato ieri a Facebook, Instagram e i propri spazi social, ripreso da diverse testate on-line:
«Stasera ho incontrato Gianni Morandi in un ristorante. Io tornavo da uno spettacolo teatrale a cui avevo assistito, lui dal concerto con Baglioni. L'ho salutato, ci conosciamo da anni, e poi gli ho detto: "Visto che tutti e due abbiamo tanti amici su Facebook, facciamoci un selfie insieme e pubblichiamolo, sarebbe divertente!". Mi ha risposto: "Ci devo pensare". Me ne sono andato ed ho capito che i like non danno la felicità».

Che dire? Conosco Gianni Morandi - l'uomo da due milioni di «Mi piace» - da diversi anni, e so (anche perché me lo confermano molti che hanno lavorato con lui) che è un coltivatore diretto di dubbi di ogni genere. Prima di ogni minima decisione, fa penare come nessuno. Che avesse preso così seriamente anche la gestione della propria celebre pagina Facebook, nella quale tutto sembra nascere con contadina spontaneità e semplicità emiliana, però, mi mancava. Eppure è un atteggiamento molto morandiano, anche se lui - nello specifico - nega l'addebito. Resta il fatto che soppesare l'opportunità di fare un selfie con Magalli, temporeggiare e quindi (di fatto) negarlo è una pensata che va oltre i confini del Paranormale.


Solidarietà a Magalli, quindi. E tu Gianni, dai, stai sciallo. Una volta andavi a cento all'ora e adesso che sei addirittura uno dei «Capitani coraggiosi» tiri il freno a mano e hai paura che un innocente selfie (mica con Totò Riina, eh, si parla di Magalli) ti rovini l'immagine? Questa cosa proprio non si può sentire...


venerdì 11 settembre 2015

«X-FACTOR» RIPARTE BENE (MA UN PO' MORGAN MANCHERA')

Nonostante Morgan, con tutta la sua teatralità ridondante, cialtrona e farlocca, rappresenti quanto più ho detestato di «X-Factor», ripartito ieri sera con la nona edizione su SkyUno, bisogna riconoscere che quest'anno un po' mancherà mr. Castoldi. Non tanto per la sua competenza musicale, ostentata quasi quanto le permanenti grigio topo e spesso usata a detrimento dei suoi stessi concorrenti, ma per quei memorabili scazzi trash dentro e fuori contesto che ogni tanto regalava. Un misto fra istinto e paraculaggine. Più la seconda, per dirla tutta. Gli stessi scazzi che gli sono costati il posto dopo anni di delirio di tele-onnipotenza mal gestita.

Uscito di scena l'uomo che si credeva Mozart, Elio ha riportato in squadra i suoi baffi, il suo sorriso impostato nelle foto e la voglia di fare il giudice serio, senza Storie Tese; Fedez prosegue il suo percorso un po' più conscio del proprio accresciuto successo (quello che ti cambia, l'ha detto di Lorenzo Fragola, ma un po' vale anche per lui, si nota chiaramente) e Mika si sente sempre più padrone della scena, anche grazie alla maggiore padronanza dell'italiano. Lo skill che per ora manca a Skin, la nuova arrivata. Che ieri si è accasciata sul tavolo disperata dopo che gli altri hanno promosso una concorrente che lei riteneva improponibile. Tutti bravi ragazzi, ma questi non ci regaleranno un litigio. Dovrà impegnarsi per bene Mara Maionchi a tirare fuori qualche vaffanculo gran riserva dalla cantinetta di casa.

In un mondo perfetto, tutti i giurati di «X-Factor» dovrebbero parlare come Stanlio e Ollio. E prima o poi, ne sono certo, ci arriveremo. Nell'attesa, gustiamoci questa stagione, partita furbescamente con un bel po' di talenti buttati sulla scena, e qualche avanzo di Corrida (pardon, Italia's Got Talent). Quelli che fanno sempre simpatia. Il resto è un copione ancora tutto da scrivere.

mercoledì 9 settembre 2015

SKIN A «X-FACTOR» * IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

Come si evince dal selfie buio al punto giusto, ho incontrato Skin (colei che ha inventato gli Skunk Anansie) la nuova giurata di «X-Factor». 
È una donna piacevole, non mi ha discriminato per il colore della mia pelle, teme per il suo italiano ancora da perfezionare (lo studia a Imperia, il tipico posto dove da noi si studia italiano), ma non ha paura di sedere a quel tavolo perché di musica dice di sapere molto. Cercherà di divertirsi ed essendo «un po' pazza», per sua stessa ammissione, la cosa dovrebbe riuscirle. A me ha chiesto che cosa ne pensassi del suo arrivo nel talent di SkyUno. Penso sia una scelta scaltra, probabilmente intelligente, da vedere alla prova in onda. Del resto i giudici, soprattutto se stranieri, di solito hanno sempre vita facile. Vedi il caso di Mika, che sulla simpatia e sui suoi svarioni grammaticali ha costruito un impero. Poi ci sono Fedez ed Elio (che ne approfitta per smentire le voci di scioglimento delle Storie Tese, di fatto già piuttosto disunite da tempo) naturalmente. Mister Belisari torna in gioco dopo la (meritata) defenestrazione di Morgan.

lunedì 7 settembre 2015

MEDIASET CONTRO SKY E IL FASTIDIOSO DISPETTO DELLE RETI CRIPTATE

Da martedì 8 settembre coloro che guardano Canale 5, Italia 1 e Retequattro passando attraverso il decoder di Sky (in pratica, guarda caso, tutti quelli che conosco) troveranno un inequivocabile segnale di stop. 
Nella sua lunga e legittima guerra contro Murduch, Mediaset ha deciso di criptare i gioielli della corona, le sue tre reti generaliste, che spariranno così dal cosiddetto bouquet del gigante satellitare.
C'è, ovviamente, il trucchetto (carta che vince, carta che perde): per ritrovarle basta spingersi dove nessuno aveva mai osato, oltre le Colonne d'Ercole del telecomando, sui canali 5004, 5005 e 5006, per coloro che sono in possesso della Sky Digital Key o di decoder con digitale terrestre integrato. Per gli altri c'è il normale DT, e chi usa solo quello non si porrà neppure il problema.

Non so se questa di Mediaset sia una scelta intelligente, e di certo, se ci siamo abituati a Tiberio Timperi, in tv, col tempo, ci si abitua a tutto. Anche ai piccoli disagi. È senza dubbio un messaggio molto forte e chiaro: tu, con i miei contenuti, non lavori più. Troppo comodo «sfruttare», anche se di riflesso, i miei programmi. Farti bello con la mia Barbara D'Urso, che fa piangere gratis i tuoi abbonati. Sacrosanto. Resta il fatto che togliere la comodità di «scarrellare» impunemente sul telecomando da 1 a 7 (e sempre più spesso oltre) rischia di essere un dispetto che si fa più allo spettatore che a Sky. Non sono certo che il pubblico, il comune spettatore, che va tutelato sopra ogni cosa, lo avvertirà come quel segnale inequivocabile che Mediaset vuole dare. Sembra più il classico: adesso porto via il pallone e nessuno gioca più! La minaccia dell'antipatico al campetto dell'oratorio.

LE IMMANI CAZZATE CHE GIRANO SUL WEB


Per far girare un'idiozia in rete a volte basta niente. Mettere in giro bufale è uno sport molto praticato, e in certi casi persino redditizio.


Qualcuno s'è inventato il giochino scemo (con relativo sito) della divisione del nome in sillabe (peraltro spesso imprecisa, vedi foto, dove è stato messo alla prova il sistema con tre parole con le quali non tutti battezzerebbero il proprio figlio), che sarebbe foriera di significati, ovviamente tutti stupendi ed esaltanti sulla sua origine, per tratteggiare il carattere e la grandezza del soggetto dividente il proprio nome in sillabe. Il quale poi, felice come un pischello, condivide la panzana sul web. Come si può pensare che una cazzata di tale portata sia vera?

Lo so, ha poca importanza, ma sappiate che vi preferisco quando condividete le cadute in moto, lo zio che prende fuoco con la torta di compleanno o la donna che non sa parcheggiare. Una minchiata vera vince sempre su quelle artificiali.

venerdì 4 settembre 2015

MATTEO RENZI * LA CURA PER IL PD CHE HA PRODOTTO IL RENZISMO

Il Pd sta sperimentando la cura Matteo Renzi. Una sorta di giovanilismo dittatoriale post berlusconiano (che nei modi e nelle tecniche di comunicazione ha tanto dell'originale) schifato da molti della vecchia guardia, messi in castigo, e che era invece purtroppo l'unica ricetta per uscire dalla palude di indecisionismo nella quale la sinistra si trovava da decenni. Se tutto questo sappia produrre risultati, lo vedremo. Per ora ha prodotto il renzismo, figlio persino più rampante del berlusconismo, perché non nasce con la sua stessa sicurezza economica.

E mentre Giorgia Meloni, che non brilla per simpatia ma che la politica la conosce, riceve assurde lettere con inviti all'antirazzismo da parte di organismi di tutela che sono emanazioni del Governo, e giustamente ci marcia su frignando sugli organi di stampa, viene voglia di stringere la mano all'idiota che ha fatto la bella pensata di inoltrare (per giunta a un parlamentare) una pur educatissima missiva che va palesemente contro l'Articolo 21 della Costituzione. Il «Ti dico io che cosa devi dichiarare» è splendido: soltanto un renziano più realista del re(nzi) ci poteva arrivare.

Per quanto riguarda il Centrodestra, se qualcuno - in questa situazione - si illude che possa procedere senza un'alleanza tra Matteo Salvini (oggi fortissimo) e Silvio Berlusconi, continui a vivere nell'illusione. Il leghista ha dalla sua la forza prepotente di una realtà che brucia (e di una demagogia venduta a quintali a un elettorato da sempre molto sensibile al tema), e Silvio, che non ha più, anche per questioni anagrafiche, l'energia di un tempo, deve accettarne le bizze e assecondarlo. A meno che non voglia mettere tutto nelle manine di Brunetta o nel riciclato plastico della Santanché. Gente che respinge, più che attirare. Insomma, il matrimonio s'ha da fare. Anche se dubito che la squadra abbia i numeri per farcela, se non compatteranno tutte le forze in campo. Cosa improbabile. Dipenderà da quanto Renzi riuscirà o meno a combinare. O a convincere l'elettorato, con disperati messaggi post berlusconiani e Cinegiornali-Luce, di avere combinato.

NEL TRAFFICO IL PIU' TEMIBILE È IL PEDONE JOHN WAYNE

E poi c'è il pedone John Wayne, quello che si sente in «Mezzogiorno di fuoco». Che lo vive come un duello. Tu sei in auto, e lui - che ti aspetta ritmando col piede destro vicino alle strisce davanti al bar all'angolo - inizia a guardarti con odio viscerale già centinaia di metri prima che tu arrivi. Ti fissa chiaramente negli occhi come se avesse un conto in sospeso. Potrebbe attraversare tranquillamente, del resto ha tutto il tempo, ma non lo fa. Aspetta. Alla fine attraversa, facendoti inchiodare con i freni, esattamente un secondo prima del tuo passaggio. Poi cammina beffardo guardandoti con la coda dell'occhio, con tutta la lentezza e la frustrazione che ha in corpo. E ti impartisce la tua prima, giusta lezione della giornata. Mai sottovalutare il pedone John Wayne.

lunedì 31 agosto 2015

MILANO * LA CRISI DELL'EDITORIA IN UNA FOTO

Milano. Riapriamo le ostilità dopo le vacanze con un'immagine non ottimistica ma a mio avviso veritiera, fortemente emblematica del momento che stiamo vivendo. Questa è un'edicola milanese, in zona Navigli. Tutto normale, o quasi, apparentemente.
Peccato che in bella evidenza, verde, in basso a sinistra, spicchi il cartello che preannuncia «NOVITA'!». La novità, si legge, sono «Acqua e bibite fredde, riviste, souvenirs, caramelle».
Le edicole, già in crisi da tempo, e da tempo invase dai «collaterali», le cosiddette «vendite congiunte» di cd, dvd, giochi, prodotti di bellezza, materassini, borse frigo, carte da gioco, tacchi, dadi, datteri e quant'altro, prima si sono fatte bazar, e ora, con la crisi che colpisce anche gli allegati, diventano BAR.
Gestendo in strada il primo avamposto a contatto con il pubblico, e non potendosi più sostentare grazie alle sole vendite di carta e ammennicoli vari, ecco che gli edicolanti piazzano Ferrarelle, Fanta e Coca-Cola. Le granite presto a disposizione: venghino, siòri, venghino. Perché se le caramelle dagli sconosciuti non le devi prendere, dall'edicolante, suvvia, ti puoi fidare.
Non ho la minima idea se commercialmente tutto ciò sia lecito o possibile (magari questo signore possiede una licenza estesa che gli consente di vendere anche acqua, bibite e caramelle tra una copia e l'altra del Corriere della sera), ma mi pare abbastanza evidente che le cose siano destinate ad andare sempre peggio e che da qui alla morte della carta stampata il passo sia brevissimo.

domenica 30 agosto 2015

GRECIA, SANTORINI * TUTTO QUELLO CHE C'È DA SAPERE

- A Santorini capisci perché parlano della Grecia come "terra di contrasti": Fira è così congestionata che se devi fare manovra o parcheggiare lassù, litigare a morte con qualcuno è un attimo.

- A Santorini ci sono due chiesette bianco-azzurre per ciascun residente. Se nasce qualcuno e vanno improvvisamente sotto la media, ne costruiscono una su due piedi in mezzo alla strada.

- A Santorini, che è vulcanica, c'è il leggendario "mare nero, mare nero, mare ne" cantato da Battisti e Mogol. La sabbia è scura e per spaventare i bambini basta minacciare di buttarli in acqua.

- A Santorini quelli che hanno lo yacht figo non vanno perché si vergognano: stanno meglio i ricchi negli hotel con la piscina a sfioro a strapiombo sulla caldera. Volendo li guardano dall'alto col cannocchiale mentre sono sulla barca e li prendono anche per il culo.

- A Santorini con 7-10 euro al massimo prendi due lettini e un ombrellone. In quale stato siano, se rotti, puliti, sporchi, appiccicosi, con i resti della merenda degli inquilini precedenti, non è dato sapere. Va molto a fortuna.

- A Santorini infatti non ti danno un servizio, ma qualcosa allo stato basico, il magmatico spunto iniziale, poi sono totalmente cazzi tuoi. Qui vige la più rigorosa approssimazione. Paghi 10 euro per un centrifugato e molto meno per qualche spicchio d'anguria, ma se ti arrivano caldi e ti lamenti, ti guardano storto, serafici e perplessi, come a dire: "Ma che ostia vuoi? L'anguria te l'ho data, adesso la vorrai mica anche fresca da frigorifero?". Qualcuno ostenta anche stupore, perché per loro è del tutto naturale. L'anguria è arrivata così, un dono del cielo, e io così te la do. È già tanto se ti ho fatto il centrifugato. Pedalare.
 
- A Santorini, se vuoi pagare l'appartamento ("Sa com'è, sono 1050 euro, non li ho con me...") con carta di credito e non in contanti, ti guardano come se avessi scelto come babysitter per il loro unico figlio la Franzoni, e poi ti caricano dietro, in scooter, per portarti nel posto dove detengono l'unico pos a loro disposizione, scarsamente usato, e fanno l'operazione. Ancora visibilmente scossi.

- A Santorini, se le cerchi senza neppure troppa fatica, trovi le semplici, caratteristiche Taverne sulla spiaggetta dove con 40 euro in due fai un'ottima mangiata di pesce. Davvero. Fammi solo una cortesia: se prima di andare via vai alla toilette, non buttare un'occhiata in cucina.

- A Santorini c'è la famosa spiaggia Red Beach. Ve ne avranno già parlato. Adesso ve la descrivo meglio. Red Beach è una piccola trappola per turisti di tutto il mondo. Si chiama così perché caratterizzata dalla presenza di rocce rosse o piccole pietre sulla scogliera e il bagnasciuga. Ci si arriva, in genere sotto il sole a picco, percorrendo un irto sentiero fra gli scogli dove (già in questa fase) non pochi invocano con dovizia tutti i santi del calendario gregoriano. A metà sentiero ci sono la bancarella di un venditore di frutta e un complessino locale di tre persone, tutti ustionati, che allieta i pellegrini con le nenie isolane. All'udire di questi lieti suoni alcuni, come in preda a un raptus, scaraventano la suocera dal dirupo. All'arrivo sulla piccola spiaggia stracolma di pazzi si materializza la beffa: l'acqua è nettamente sporca di alghe e olio di motore delle tante barchette-navetta che arrivano lì facendo la spola. I lettini, messi in modo fitto fitto, compongono un carnaio e sono tutti occupati. Trovi posto solo sui peggiori: 14, sempre vuoti, piazzati sul bagnasciuga, dove chiunque ti schizza e ti cammina in mezzo agli zebedei. Ma non puoi più andartene, perché ormai sei lì, e la via del ritorno è altrettanto lunga e perigliosa.
 
- A Santorini ci sono più coppie in viaggio di nozze che in tutto il resto del mondo. Molti vengono a sposarsi qui e poi, in bianco e nero da cerimonia, si fanno il servizio fotografico nei punti più suggestivi dell'isola. I fotografi li conoscono tutti, e bloccano il traffico delle viuzze. Ho visto una vecchia signora greca uscire imprecando dalla porticina di casa perché il 23esimo assistente di fotografo della giornata le aveva urtato con le batterie di scorta l'uscio di legno appena verniciato.

- A Santorini, come da noi, hanno iniziato a vendemmiare. Per farlo chiamano i sette nani perché le viti sono alte non più di 40 centimetri. Mai visto niente del genere.

- A Santorini bisogna stare attenti ai punti panoramici detti "Unique View", indicati da appositi cartelli. Puntano il tramonto, la Calderara del vulcano, qualsiasi cosa. Una volta trovato il primo, pensi sia finita lì. Invece i punti di vista "unici" sono circa 1.237. Buona fortuna.
 
- A Santorini l'80% dei turisti è italiano. Il restante 20% un mix di francesi, tedeschi, orientali e varie altre nazionalità. Sul totale degli italiani, si registra un 80% secco di napoletani. La restante parte sono pugliesi e un frappè di nordici. Se un napoletano da solo in ferie non esiste in natura, due sono un plotone, e cinque-sei hanno il potenziale rumoroso/offensivo dello sbarco in Normandia. Non di rado quindi capita di girare per suggestive stradine o ammirare in silenzio romantici tramonti, sentendo risuonare all'improvviso a tutto volume: "Uè, cumpààà... Te la si' accattàte la maglietta allo shoppe?". Oppure: "Mo pigliammo 'o quòdde, e ce ne ìmmo a cercà nu bello risturante... Jamme ja". L'altra mattina ho intercettato una famiglia di 7 napoletani (impossibile stabilire con certezza i decibel prodotti) in un bar per colazione, dove dopo "'o cafè" la signora, controllato con giustificata preoccupazione il meteo sull'iphone, ha chiesto all'anziano barista greco parlante inglese: "Schiüsmi, where is the weather tomorrow?". L'uomo è rimasto un po' interdetto e se ne è andato, purtroppo senza la prontezza di rispondere "Everywhere".
- A Santorini il wi-fi formalmente te lo danno gratis ovunque. Ci mancherebbe. In realtà il poveraccio aggancia, annaspa per ore, e poi alza bandiera bianca. Comunque: "Tesò, nun te preoccupà, aggio dumandate 'a passuòrd".

- A Santorini, in località Oia, uno stupendo paesino arroccato, ogni santa sera fra le 18 e le 20.30 c'è la transumanza di centinaia e centinaia di turisti (non esagero, alcuni per i posti sono lì dalle 16), in pratica tutti i presenti, verso il punto estremo, dove assistere al tramonto. Si creano decine e decine di piccoli accampamenti sulla collina sino all'applauso finale. Purtroppo il dilagare delle aste telescopiche da selfie, che ha ormai praticamente chiunque, fa sì che questa transumanza diventi assai pericolosa. Ragazze e signore di ogni età avanzano verso il sole più favorevole brandendo il bastone in orizzontale e guardando solo in camera, incuranti delle ferite inferte a se stesse e al prossimo. Si calcolano ogni giorno decine di perdite.

- A Santorini, al porto, partono anche i traghetti per la vicina isola di Kazzos (esiste davvero, giuro, ma non sono andato).

- A Santorini ogni tanto, di sera, c'è il blackout. Com'è, come non è, talvolta salta la corrente. In modo apparentemente casuale, per una decina di minuti. La gente del posto sostiene che spesso la centrale non regga per eccesso di richiesta di energia. A me piace pensare che, travestita da odalisca, al riparo in un'umida grotta, la Culona Inchiavabile ogni tanto faccia scattare il contatore per reclamare col sangue la sua quota di risparmio greco. Anche a danno dei turisti. Ma temo che non sarà qualche mojito al buio a salvare questa terra così affascinante, eppure così trascurata.

mercoledì 12 agosto 2015

AURORA RAMAZZOTTI A «X-FACTOR» * I FIGLI SO' PIEZZ' E TALENT

Vado controtendenza: ci sono parecchie cose nello spettacolo italiano (come lo strapotere di certi uffici stampa, poco noto ai più) che mi scandalizzano più di Aurora Ramazzotti, figlia di Eros e Michelle Hunziker, piazzata a condurre il day-time di «X-Factor».
SkyUno ha fatto un colpaccio, piaccia o no agli addetti ai livori e al pubblico, e la comprensibile gioia dei genitori è un copione già visto in tante altre occasioni e altrettante famiglie celebri. Non occorre fare nomi. Sono ogni settimana sui rotocalchi.
«Non abbiamo rubato nulla: oggi il mondo va così», dice il cantante su Instagram per giustificarsi dopo la bomba esplosa sui social, adeguandosi di fatto all’andazzo e prenotando con grande probabilità, immagino, un’ospitata di tutto rispetto nella prossima edizione dello show condotto da Alessandro Cattelan. Del resto, oggi i figli so’ piezz’ e talent, e non si può fare molto per cambiare la situazione. Stigmatizzarla, certo, ma il sistema funziona così. In questo ha ragione Eros. C’è poco da stupirsi.
E poi: sono più colpevoli Ramazzotti e Hunziker che piazzano la figlia, o la rete che avalla la presunta raccomandazione? È un mondaccio, e tutti fanno il loro gioco. Servirebbe etica, ma negli affari non c’è. E tutti sfruttano le proprie chances.
Lei potrà cantare felice, parodiando papà: «Ed ho imparato… Che nella vita… Anche su Sky si fa tivvùùù», e lui avrà vinto facile un’altra volta. Chi, al suo posto, si sarebbe comportato diversamente? Vostra figlia sa condurre un programma e in tv non se la filano neppure dipinta? Prendetevela con il sistema. O impegniamoci tutti per cambiarlo. Come?

giovedì 6 agosto 2015

CAMPO DALL'ORTO DIRETTORE GENERALE RAI * LA RIVINCITA DELLA BRAVA PERSONA

Tra le (poche) buone cose fatte sinora dal Governo Renzi, a mio avviso c’è il fresco insediamento di Antonio Campo Dall’Orto alla direzione generale della Rai.
Conosco Antonio da anni, ha fatto prima Mtv, poi brevemente La7, allievo storico di Giorgio Gori, che non a caso è nel team di lavoro del Presidente del Consiglio, e tra i suoi spin-doctors. Il nostro si è scaldato un po’ in panchina prima di arrivare alla poltrona più impegnativa della Tv di Stato. Ma il suo arrivo era segnato nelle stelle.
Campo dall’Orto è un uomo di macchina televisiva, la conosce, la rispetta, sa governarla e – last but not least - è una brava persona. Scusate se oggi come oggi mi appassiono ancora all’idea che in un posto di rilievo ci sia un tipo competente che è anche una brava persona. Semplice e coscienziosa. Sono all’antica.
Il suo compito non è facile: lui viene dal piccolo, a volte dall’infinitamente piccolo, e la Rai è una gigantesca creatura mitologica, un ministero, ha più correnti del Triangolo delle Bermude. Fa entrare nel gorgo oppure in secca qualsiasi imbarcazione. Il mirabolante Carlo Freccero membro del Cda e l'ex inviata Monica Maggioni, un’altra che conosce da tempo la jungla di Viale Mazzini, sono altri due nomi che fanno ben sperare sul fronte della competenza, abitualmente trascurato ai vertici della tv pubblica. Sempre senza farsi troppe illusioni, naturalmente.
Ma piuttosto che niente, è meglio piuttosto, si dice al mio paese.

martedì 4 agosto 2015

ARISA CON QUELLA TESTA (PER ME) PUO' DIRE CIO' CHE VUOLE

Premetto che a me Arisa è (molto) simpatica. Mi suscita irrefrenabile simpatia perché spesso non risponde alle regole codificate e ingessate del mondo dello spettacolo. Se vuol dire alla Ventura, in quel di «X-Factor», «Simona sei falsa, cazzo!», lo fa. Senza pensarci troppo. Senza preoccuparsi delle conseguenze del suo gesto. Con quei moti di innata e sempre più rara spontaneità che fanno (secondo me) la salvezza di un personaggio. E di una vita, a volte. Salvo poi siglare la pace con quella stessa Simona, perché le regole codificate dello spettacolo alla lunga vogliono che…, ecc. ecc.
Arisa per me è questo: una discola della quale non sono mai riuscito a capire (ed è un bene, pur avendola incontrata più volte) quanto ci faccia e quanto ci sia. Ho il sospetto che si viaggi attorno al 50%. L’ultima deriva di Rosalba, ovvero i selfie sul water, i tagli di capelli alla Ultimo dei Mohicani, e i rap allucinati in autostrada, mi piaccono fino a un certo punto. Ma non li giudico. Perché credo rientrino (al 50%) in quella lucida, artistica follia della nostra. Nel bagaglio di stranezze che ogni vero personaggio si concede. A patto poi di non prendersela per gli sfottò sul web. Un posto popolato di haters, ma anche di persone che commentano, con tutto il sacrosanto diritto di farlo, le esternazioni delle celebrities. Gente che, col lavoro che fa, si espone continuamente alle critiche, e in un certo senso ne vive.

venerdì 31 luglio 2015

FORMENTERA, VIRGEN DEL CARMEN * LA GRANDE PROCESSIONE MARINA

Se sei a Formentera il 16 luglio e dopo una giornata di spiaggia cerchi qualcosa d'inconsueto, che non t'aspetteresti mai in un posto così, non andare a Es Pujols a fare i gavettoni a Maldini o i selfie con Melissa Satta (mi dicono gli addetti ai lavori che fra l'altro quest'anno il vippame stia stranamente disertando la Isla). Sono attività improduttive. Fa piuttosto come me. Dirigiti con fiducia verso le 19 al porto de La Savina per partecipare all'annuale, temibile processione terrestre/marina della Virgen del Carmen. Un capolavoro praticamente sconosciuto agli italiani, e al cui cospetto la Coppa Cobram di fantozziana memoria diventa un gioco da tavolo. 
L'agghiacciante ma stupenda processione della Virgen del Carmen, patrona dei naviganti, è un evento monstre che tocca in modo incredibile le corde del sentimento religioso spagnolo. Parte dalla chiesetta del paese come una normale processione in tutte le chiesette di paese di questo mondo, con i fedeli che pregano seguendo il parroco e la Madonnina sorretta nella sua plastica ostensione, e si trasforma strada facendo in un'impresa epica.
Mentre il sacerdote e i suoi si fanno strada, sulla banchina del porto tre vecchi pescherecci di medio cabotaggio lì ormeggiati sono pronti a partire, ospitando, gratis, tutti coloro che vogliono salire a bordo e prendere parte all'evento. In

mezz'ora o poco più, le barche si riempiono all'inverosimile di fedeli e curiosi di ogni tipo, sul modello delle carrette del mare che arrivano a Lampedusa. Bambini col gelato colante, vecchie devote barbute, balenottere spiaggiate, coppie trendy, sudati in canottiera (parecchi), protestati, pensionati con la minima, si mescolano in un gigantesco carnaio. Come un treno estivo per pendolari e vacanzieri italiani, ma molto più naïf, visto che sono praticamente tutti spagnoli. E gli spagnoli nel kitsch ruspante non scherzano affatto.
Con alcuni amici, trovo posto casualmente sulla barca che (lo scoprirò di lì a poco) guiderà il gruppo. La più ambita. Vedendo l'affollarsi incontrollabile del mezzo e cercando una posizione migliore per scattare foto, salgo sulla torretta di prua dell'unico ponte superiore disponibile. Che si riempie in breve di altre decine di persone; tutti avevano fatto il mio stesso ragionamento. Dopo un quarto d'ora si presenta a sorpresa un tizio col cappello del Capitan Findus preso al mercato della Mola, si spaccia per il comandante e intima: "Signori scusate, ma c'è un problema: troppe persone sono salite qui sopra, e come capirete non posso far partire una barca che pesa 100 sopra e 50 sotto. Quindi una cortesia: ora tutti quelli sopra i 50 chili devono tornare di sotto. Facciamo in modo che quassù ci siano soprattutto bambini". Il mugugno è palese, ma il ragionamento non fa una grinza. La sicurezza prima di tutto. Del resto siamo già ben oltre (eufemismo) la capienza consentita. E continuano a far salire gente. Diligente, guadagno la scaletta per scendere a poppa. E come me un'altra decina di persone, non di più. Peccato che nel giro di cinque minuti salgano sulla barca, immediatamente fatti arrampicare sul ponte superiore a prua, nell'ordine: anziano prete capocordata benedicente, in divisa d'ordinanza; la Madonnina in ceramica 70 centimetri portata da quattro schiavi in canottiera; due assistenti del prete, sempre in divisa; una damigella con corona di foglie; tre musici (due vestiti con costumi tipici a prima vista sardi recanti naccherone giganti e tamburo, più un altro scazzatissimo che suona una sorta di flauto); tre suorine carmelitane grigie con pettorina e capricapo azzurro (per gli appassionati, 300 punti "sfiga di suora" ciascuna), e un poliziotto. L'altro rimane sul ponte inferiore insieme con un anziano reggente lunga asta di legno sulla sommità della quale è innestato il Crocefisso. Essendo alto meno di un metro e mezzo, il reggente era l'unico che non avrebbe creato problemi di peso salendo. Invece resta con me e la bolgia disumana lì sotto.
Risolti, come è evidente, con un sordido trucco ancora poco chiaro, tutti i problemi di sicurezza, la barca pilota prende il largo, seguita dagli altri due vecchi pescherecci stipati di gente sino all'orlo. La preoccupante inclinazione a destra (tecnicamente, tribordo) dello scafo è subito marcata, e tutti ci guardiamo preoccupati. Tutti i non spagnoli, naturalmente.

Perché gli iberici ridacchiano felici, anche delle paure altrui. È il gran giorno della Vergine del Carmine, e niente può andare storto. Non a caso la celebrano il 16 luglio, mica venerdì 17.
Inclinato come la torre di Pisa, con fluttuazioni a destra che aumentano drammaticamente a ogni virata (invano io e altri corpulenti rimbalziamo a destra e per cercare di compensare) i tre natanti guadagnano il largo. Prima seguiti e affiancati da una decina di barche. Poi, via via, da un centinaio di imbarcazioni di ogni genere. In breve, mentre una ragazzina alle mie spalle, è pronta a vomitare, un'intera flotta in borghese ci accompagna. Dal ponte superiore arrivano solo, incessanti, il battere ritmico delle nacchere, tre colpi di tamburo, e tre note di flauto, sempre le stesse. Il tutto ripetuto all'infinito. Il sospetto di andare verso la morte con un pessimo accompagnamento musicale, assale più d'uno.
Il punto designato per fermarsi è in mare aperto, esattamente a metà tra Formentera e Ibiza. Tace l'orchestrina, il prete fa spostare la Madonna vicino al corrimano, faccia a tribordo, pronuncia parole di rito e la damigella butta in acqua la rotonda corona di foglie, di circa 70 centimetri di diametro. Aumenta l'inclinazione a destra dello scafo. Segue generosa spruzzata di acqua benedetta che si unisce al mare. Da quel momento in poi, a bordo, scatta la festa: marinai improvvisati fanno partire senza sosta tappi del miglior Cava, lo spumante spagnolo (Fanta per i bambini), e pie donne girano a bordo con vassoi di dolciumi fatti in casa od offerti dalle pasticcerie locali. Manca il trenino di Disco samba, ma solo perché non c'è fisicamente spazio, meu amigu Charlie Brown.
Nel frattempo, il rito prosegue con la benedizione di tutte - ripeto, tutte - le barche che hanno seguito il corteo. In ordinata fila indiana affiancano il nostro peschereccio a tribordo partendo da poppa (alcune arrivano a pochi centimetri e quasi lo toccano), sostano qualche secondo guardando in alto verso la Madonnina, veloce spruzzata d'acqua benedetta dal sorridente parroco, e via. Verso nuove avventure. Davanti ai miei occhi sfilano, in ordine casuale (e dimenticandone parecchi): tre yacht di grosso cabotaggio popolati di ricconi che avrebbero avuto bisogno semmai di due-tre etti di sfiga, non della benedizione del natante (dagli oblò siamo oggetto di palese scherno da parte di alcuni bambini); un traghetto che fa servizio navetta Ibiza-Formentera; alcune barche a vela, tra le quali una con coppia agée vestita di lino totalmente bianco modello visita all'isola di Samoa, e corone power flower e un'altra con una band emergente che suona un pezzo dal vivo; una giovane coppia in canoa; tre ragazzi in windsurf; un paio di gommoni di sfollati; un bialbero blu con signora bene gnocca non più giovane in posa come polena (il marito è al timone molto compreso nel ruolo); diversi gozzi decisamente più pop, con famigliole numerose al completo (alcune signore visibilmente commosse); una barchetta con tavolo imbandito e ricca cena al centro. Potrei continuare per dieci minuti, ma ci siamo capiti. Un evento religioso-festaiolo di massa, che si svolge al tramonto, su un peschereccio completamente sbilanciato a tribordo e che riesce miracolosamente a non affondare. Circostanza che rafforza nei già devoti il culto della Virgen del Carmen e che le avvicina clamororosamente, e con una mano sola (perché l'altra è impegnata negli scongiuri), gli indecisi o gli infedeli. Vi consiglio di non perderlo, visto che, oltreché indimenticabile, è l'unico evento totalmente gratuito che troverete a Formentera. Per il resto, ovviamente, si paga ogni respiro.

giovedì 30 luglio 2015

FORMENTERA * IL FIGLIO DI BONOLIS CON «LA BONAS» DI «AVANTI UN ALTRO!»

In un'estate insolitamente povera di Vip, come confermano gli stessi addetti ai lavori dei locali di Es Pujols (in due settimane io ho visto aggirarsi per la Isla soltanto Elena Santarelli col marito Bernardo Corradi e Cecilia Rodriguez, che non è certo Belen ma almeno rappresenta la casata, mentre altri hanno avvistato gli immancabili Cristina Parodi e Giorgio Gori), a Formentera è spuntata un'altra strana coppia.
Li ho intercettati per puro caso e fotografati (come potete notare) al Banana's, un locale di tendenza all'angolo della strada che porta al paradiso di Ses Illes.
Si tratta di Stefano, uno dei due figli americani di Paolo Bonolis (quelli avuti dalla prima moglie, che vive negli Usa), un tipo che in giro da noi si vede davvero pochissimo, insieme con la burrosa Bonas di «Avanti un altro!». Ovvero il game-show preserale che papà Paolino conduce su Canale 5. La Bonas, che è una delle figure di spicco, soprattutto anteriormente, della trasmissione, e Stefano chiacchieravano fitto fitto, di cose legate anche al mondo dello spettacolo, e ogni tanto lei cacciava una delle sue classiche risatine in sovracuto.
Se stiano insieme o no, onestamente non so dirlo. Ma young Bonolis, che è un pezzo da novanta, anche fisicamente, e somiglia tantissimo al daddy (che ogni anno affitta casa lì), sembrava ben introdotto. L'incontro tra i ragazzi forse sarà stato propiziato da lui o dalla moglie Sonia Bruganelli, che spesso si occupa dei casting dei programmi del marito. In ogni caso, non importandomene granché del gossip, ve li mostro così. Al naturale.

domenica 12 luglio 2015

LE COMMESSE BRUTTE INVADERANNO MILANO?

Milano. Ieri ho dato un'occhiata a qualche camicia in un negozio in via Torino. L'unico nel quale faccia una capatina due volte l'anno perché, da sempre, ha capi che in genere incontrano il mio gusto. Il simpatico esercizio si è sempre caratterizzato per l'impiego di giovani e assai piacenti commesse, in genere dell'Est. La clientela maschile mostrava di gradire, ovvio. Qualche sorriso, un po' di furbizia della biondina di turno: insomma, baruffa nell'aria. La gnocca del resto è da sempre un plus, anche fra le cameriere e le pr, per esempio. Ci sono lavori che richiedono questo tipo di fluidificante, di vaselina umana, per rendere più ricco e al contempo meno pesante lo scontrino. Certo, a volte le starlette della bottega diventano un po' protagoniste; a volte capita di notare (mi successe l'ultima volta) qualche frizione con la non più giovanissima titolare, probabilmente un po' invidiosa del loro successo, che pure le portava gran soldi. Se il tempo d'acquisto di qualcuno con la stessa commessa si protraeva, lei con una scusa ordinava la sostituzione e il ritorno in panchina della malcapitata di turno. Come un implacabile mister. Anche in presenza di una pila di indumenti da acquistare che aumentava vistosamente. Niente. Via. Kaputt. Passiamo a un'altra.

Ieri, improvvisamente, l'inedito e ardito cambio di strategia commerciale: le frizzanti e sgargianti ragazze dell'Est erano state sostituite, in blocco (cinque o sei) da altrettante, sempre straniere, ma brutte come il peccato di non aver peccato. Come se fosse stato fatto un preciso casting (e sono sicuro che sia così) per passare dal Paradiso all'Inferno. Dalla Volvo alla Panda. Tutte gentili, servizievoli, scattanti, per carità. Ma veramente improponibili. Non fosse poco elegante vi darei l'indirizzo per andare a verificare personalmente. Non so se sia una paranoia della «Padrona» o alle fregole del di lei marito. Suppongo di sì. Non so se questa tecnica sia destinata a lanciare una moda, ad aprire le porte di certi lavori riservati alle belle anche a chi non ha la fortuna di aver staccato un biglietto di poltronissima con Madre Natura. Ma vi assicuro che la cosa fa un certo effetto. Anche loro, peraltro.
Lo so, è un post che rasenta il politicamente scorretto, ma so che mi volete bene lo stesso. Inoltre per alcune può essere un'opportunità lavorativa. Non dimentichiamolo.


martedì 7 luglio 2015

SPOT NEGRONI * ENRICO RUGGERI, IL SALAME CHE NON TI ASPETTI

D'accordo, sarò un tipo all'antica (e so bene che le bollette, in qualche modo, vanno pagate), ma quando l'altra sera, distratto davanti alla pubblicità in tv, ho sentito partire un vecchio jingle cantato da una voce strana, magnetica e inequivocabile, un brivido mi ha percorso la schiena.

«Le stelle sono tante, milioni di milioni: la stella di Negroni, vuol dire qualità». Non ci potevo credere, ma a decantare la bontà del noto salame era proprio Enrico Ruggeri. L'uomo di «Contessa», «Quello che le donne non dicono», «La carta sotto» (forse la mia preferita), «Il futuro è un'ipotesi»; insomma, uno tra i cantautori più raffinati di sempre stava esaltando in musica l'insaccato industriale, e chiudeva (tanto abbiamo fatto 30...) con il claim: «Se è Negroni si sente», detto dalla sua voce maschia, col birignao e accenti milanesi. Una voce che ha cantato, in passato, cose straordinarie. Per non dire uniche.

Il web si è subito scatenato («Con la tv che ha fatto ultimamente, che cosa ti aspettavi...» e altre riflessioni), e probabilmente - ripeto - sono io quello sbagliato, all'antica. Uno spot non fa primavera e forse neanche porchetta. In fondo anche Mina (che però è solo interprete, non cantautrice col marchio Doc come lui) ha ceduto alle lusinghe della pubblicità. Ma che Ruggeri faccia il salame, cribbio, non te l'aspetteresti mai. E rimani lì, con la bocca aperta.
Come primo pensiero, oltre allo stridere del gesso sulla lavagna, ho mandato idealmente i miei complimenti ai creativi che sono riusciti a convincerlo. Il colpo è magistrale. Il secondo è stato per il bonifico. Enrico, tu che sei intelligente e hai senso dell'umorismo: per una cosa così spero che ti abbiano letteralmente ricoperto d'oro. Ma qualunque cifra sia, era comunque troppo poco.

mercoledì 1 luglio 2015

IBIZA SENZA PACHA * ECCO IL BEST: MIGLIORI SPIAGGE E RISTORANTI

Il vero problema di noi tardo-giovani, a Ibiza, è fare colazione. Il primo giorno sono sceso alle 9.30, che mi sembrava persino un orario decente, fra la marea di locali retrostanti la spiaggia di Cala de Bou, ovvero quella più vicina al mio residence. Tutto chiuso e in strada il deserto. Dal momento che qui chiunque, anche i pensionati con la minima e quelli col girello con le luci stroboscopiche, va a letto alle cinque di mattina sulle note di Bob Sinclar, e se parla di Amnesia si riferisce non a perdita momentanea della memoria ma alla nota discoteca ibizenca, le 9.30 per una colazione sono qualcosa di improponibile. Intercetto l'unico esercizio commerciale aperto oltre ai bancomat, un Rent a car, e chiedo al tipo all'ingresso dove si possa fare un bel breakfasf. Prima mi guarda con l'aria da: "Dai giargianella, mi stai prendendo per il culo!?", poi la trasforma in uno stato di diffidenza modello: "Questo mi vuole scroccare soldi con una scusa", e quando capisce che faccio sul serio la fossilizza in uno stato di netta, umana, civile compassione. Già me lo vedo più tardi all'arrivo del suo collega in ufficio: "Pedro, non sai chi è passato stamattina: un pirlòn che voleva fare colazione. Alle nove e mezza, capisci?". "Nooo Miguel, non ci credo!". E giù a ridere come matti. Per poi farsi improvvisamente seri, con Pedro che - con lucida visione prospettica - sintetizza: "Miguel, guarda però che su questa cosa c'è poco da scherzare: si comincia con un pirlòn che vuole fare colazione alle 9.30 e poi è un attimo fare la fine di Rapallo". Mala tempora...


L'abitato di Ibiza (Eivissa, come la chiamano loro) fa un po' storia a sé. Ma qui dove alloggio io, dalle parti di Sant Antoni, è tutto un proliferare di ragazzi inglesi alticci e vomitanti e ragazze sosia di Adele, la cantante non magra. L'altra notte ne hanno trovato uno in hotel morto per overdose. Un altro, sempre sotto sostanze stupefacenti, ha rubato un'auto di servizio della Pepsi-Cola, per poi fare un frontale con un vecchio Suv rosso a 200 metri dal luogo del furto. Anche sfigato, oltreché ladro. Un altro invece ha centrato la recinzione del bar "Vaca loca", quello con i giochi, la pedana elastica e il toro meccanico. Nell'incidente il giostraio riempi pista è rimasto senza naso. Ogni notte, solo in questa zona, transitano 5000-6000 persone, con appena due vigilantes della Guardia Civil. Troppo pochi, e i residenti protestano. In compenso la polizia ha appena portato a termine una retata antidroga. L'hanno chiamata "Operazione primavera", come i piselli dell'Esselunga. Due chili di cocaina, dieci di hashish e altrettanti di pillole chimiche di varia natura. Tutto per servire un'isola sette volte più grande di Formentera (la mia unità di misura) e con una ricettività ora al 62%. Record di transiti in aeroporto a maggio: 680.000. Formentera invece è sotto del 12% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La differenza è che qui la clientela viene da tutto il mondo. Là sono al 90% italiani. Se Renzi cala le braghe a noi, il bruciore a posteriori lo sentono anche loro, insomma. 


Dimenticando Playa d'en Bossa (la loro Rimini, con il mitico
hotel della catena Hard Rock Cafè, dove il 12 luglio si esibiranno Sabrina Salerno e Samantha Fox, quattro tette vintage che si proiettano nel futuro) un'icona trash più che una spiaggia, Ibiza come mare offre tanto. Basta sapere che cosa e soprattutto dove cercare. Le spiagge a Nord-Est non sono male ma un po' ventose e con troppi casermoni alberghieri piazzati in riva al mare. Errori urbanistici del passato. Quelle a Ovest, vicine a dove mi trovo (ma serve comunque un'auto a disposizione), mi sento invece di consigliarle. La più suggestiva e servita, a mio avviso, è Cala Bassa. C'è un'ampia spiaggia libera e lo stabilimento super chic, dove due lettini e un ombrellone costano 45 euro al giorno, ma te li danno solo se t'impegni a pranzare lì da loro, tra schiavi circassi, sexy massaggiatrici, bottiglie di Mumm e lettini balinesi. Non ho visto la lista, ma a occhio e croce per un secondo di pesce devi cedere un rene e il quinto dello stipendio. Anche quello di tuo cugino. Sul fronte parcheggio, ecco la trovata geniale: costa 5 euro al giorno, e in omaggio c'è una Corona. Intesa come bottiglietta di birra. Utile richiamo per una tappa ai bar della struttura a piluccare anche qualcosa annusando il bel mondo. Persino per quei volgaroni della spiaggia libera, non ammessi ovviamente alla zona privée. Perché, diciamolo, c'è un limite a tutto. L'esempio virtuoso dei parcheggiatori del Cala Bassa andrebbe seguito anche dai rampanti gestori dei locali milanesi. Visto che in città il bene più prezioso sono i parcheggi, dopo l'ape e l'apericena, suggerisco l'ApeParking: paghi 15 euro per lasciare l'auto, e il Cuba libre con le cibarie te li danno compresi nel prezzo. Diamo un valore alle cose, cribbio.

Alla spiaggia di Cala Salada, qualche chilometro dietro l'abitato di Sant Antoni, si arriva dopo un po' di curve ma poi si spalanca davanti agli occhi la ripagante meraviglia della baia. A Levante una spiaggetta istituzionale con ombrelloni e lettini; al centro, rocce per fare il bagno pelandosi le natiche; a Ponente, spiaggetta selvaggia difficilissima da raggiungere a piedi. E perciò molto ambita. E perciò sempre piena. L'acqua del mare a Cala Salada non è granché, va detto, ma la spiaggia, oltreché una formidabile trappola per turisti, è un trattato di microeconomia comparata. In un fronte di sabbia di appena 50 metri per 30, a semicerchio, trovano spazio, oltre ai bagnanti distesi sui teli mare, anche 7 (dico sette) tavolini molto improvvisati di ragazzi spagnoli abusivi che servono cocktails fatti sul momento. Una concentrazione che neanche d'estate in Corso Como. I tavolini sono carichi di bottiglie di superalcolici, frutta, bicchieri, sabbia e tutto ciò che può servire per il lavoro. Di solito si fanno accompagnare da una ragazza che intanto gira con vassoi di pastarelle salate o dolci tipici. La concorrenza è più che spietata, quindi con un accordo di cartello i nostri hanno fissato gli stessi prezzi: 4 euro i cocktail nel bicchiere di plastica piccolo; 8 euro quelli nel bicchierone da mezzo litro. Peccato che uno dei sette, un ragazzo furbetto e adrenalinico di origine brasiliana, il giorno in cui mi sono presentato io avesse deciso di sparigliare le carte servendo mojitos nel bicchierino a 1 euro l'uno. Un prezzo invincibile che ammazzava tutti i concorrenti, così imbestialiti che sono matematicamente certo abbiano poi ammazzato lui. Controllare a fine serata dietro gli scogli.
Ma la vera regina degli esercenti di Cala Salada è la leggendaria Rita, non più di 25 anni, di origine argentina. Piccina, mora con colpi di sole, corpo e seni perfetti, passa la vita in topless ed è un genio del marketing. Giuro. Come lei, nessuno. Mentre i suoi colleghi barman della mutua si azzannano spiaggiati nel libero mercato, lei lavora in monopolio con una strategia sopraffina. Arriva con tre borsoni pieni di semplici ponchos di cotone bianchi, neri o rosa molto traforati, quasi inesistenti e qualche vestitino bianco trasparente (anche di un certo gusto), li piazza e si piazza in piedi sul bagnasciuga guardando la spiaggia. Che intanto non guarda lei ma le tette, ovviamente. Lei non fa una piega e, serissima, come un direttore d'orchestra, inizia a infilarsi il primo capetto, che lascia intravedere tutto. Poi scarta a destra e si fa tutta la spiaggia velocemente, da levante a ponente, sempre sul bagnasciuga, sculettando. Infine ritorna al centro, si sveste e si riveste, ripetendo la sfilata con un altro poncho. Gli uomini ovviamente hanno la bava alla bocca, ma lei - astuta - non li degna di uno sguardo. A meno che non vogliano comprare qualcosa. L'attenzione complice è solo per le donne, che in pochi minuti, irresistibilmente attirate dalla malìa della piccola sirena, arrivano a frotte e comprano. Come se non ci fosse un (aereo) domani. Se dopo una quindicina di minuti rimane sola, Rita, che è aiutata anche da un discreto esibizionismo, riprende metodica il suo sexy show. In pratica, richiama l'attenzione su di sé sfruttando la libido maschile, per poi vendere un sogno (cioè l'idea di richiamare la stessa libido) alle donne. Che quello straccetto poi lo porteranno magari col costume sotto, senza il topless da urlo di Rita. E con qualche chilo in più. Ma cosa importa, in fondo? Signore che parlate tanto, come tutti, di Piano B, se avete bella mercanzia (in tutti i sensi) e voglia di lavorare, eccovelo servito caldo. Vi giuro che vorrei guadagnare io in un giorno un quarto dei soldi che fa Rita. Le darei in mano il Paese, lo dico. Le darei il Ministero dell'Economia. Porta grandi risultati senza dire una parola. Il politico perfetto. Un'utopia.


Menzione finale inevitabile per la bella spiaggia di Cala Tarida altrimenti nota come quella delle 14 fatiche di Cala Tarida. Mi spiego meglio. Lasci l'auto nella piazzetta sovrastante, poi raggiungi il mare percorrendo una lunghissima, strana scala in cemento impreziosita sul lato destro da un super scivolo per disabili. Giuro che vorrei tanto (ma proprio tanto) conoscere l'ideatore di questo capolavoro di architettura balneare perché ha battuto qualsiasi record di coglioneria. L'uomo, di una grandezza cosmica, ha pensato di abbattere le barriere architettoniche della scala abbattendo in modo molto più semplice sia il disabile che il suo accompagnatore. Come? Semplice. Lo scivolo handicap di Cala Tarida è un corpo unico in cemento che consta di due discrete salite in cima e in fondo alla scala, e vede svilupparsi al centro 14 (dico quattordici) micro salite da tre metri con pendenza attorno al 15-20% inframmezzate ciascuna da una piazzola in piano di circa due metri e mezzo per uno e mezzo. A meno che il disabile non sia fornito di una sedia a rotelle elettrica o a motore particolarmente (e sottolineo particolarmente) performanti, colui il quale si impegnasse a spingerlo sotto il sole più bieco fin lassù avrebbe morte certa, nonostante le beffarde piazzole per il riposino, non oltre la sesta-settima agghiacciante micro-salita. Nessuno, neppure l'Incredibile Hulk dopo avere appena saputo di essere becco da due anni per colpa di un impiegato del catasto, potrebbe farcela. Figurarsi un povero cristo qualsiasi. Per non parlare della discesa, altrettanto perigliosa. Il disabile arriva sul posto già un pochino incazzato di suo per più che comprensibili motivi, e si trova ad affrontare un cimento mortale, affidandosi con inusitata temerarietà al proprio accompagnatore, che in questo caso deve saper trattenere la carrozzina con una forza inaudita per evitare di farsela sfuggire dalle mani, vedendo il povero handicappato schizzare come un bob a quattro e schiantarsi inesorabilmente sugli scogli. 


Per la cronaca, nonostante una fantasiosa leggenda delle Baleari, quella de l'Hombre Invincible co' la su sedia semoviente, peraltro del tutto priva di riscontri, nessuno sfortunato è mai uscito vivo dalle 14 rampe (più due salite) di Cala Tarida.

lunedì 29 giugno 2015

IBIZA, LA VERA PAELLA, LE TRE FRANCESI E LA PUZZA DI FUMO A TAVOLA

Ieri sera, al termine di una giornata ventosa e meteorologicamente incerta, ho fatto pensieri impuri. 
Erano da poco passate le 21, e stavo seduto come un Papa nella zona un po' appartata della veranda del Can Pujol, un ristorantino in riva al mare, fissando davanti a me il vero amore della mia vita: una paella de mariscos gigante, quasi per due persone, a perfetta cottura, la giusta salatura, e all'interno tocchetti di verdure, pesci, molluschi e crostacei di ogni tipo: uno scampo enorme, due gamberoni, cozze, vongole, il legamento crociato di un'aragosta e persino parti di scorfano, con la sua polpa grassoccia, che mi sono convinto sia l'ingrediente segreto locale. Il tutto servito in padella antiaderente gigante piatta diametro 30. Con accanto un calice di onesto bianco, guardavamo insieme il tramonto dicendoci cose romantiche, sapendo che non ci saremmo mai detti addio. E che avremmo tanto riso. 


Insomma, un trionfo.
All'improvviso, il fulmine a cielo (poco) sereno. Entrano nel locale tre longilinee carampane francesi sui 55-60, firmate da capo a piedi più di un rogito notarile, e, senza degnarmi di uno sguardo, siedono al tavolo accanto al mio. Per poi farsi spostare dopo due minuti, causa vento, in quello di fronte a me, più riparato. In pochi secondi, con quella simpatia tutta loro, è un coro unanime di tipica onomatopea francofona ("Bou bou bou", "Là là là", "Bon Bon Bon", "Ceci, ce là", "Charles Trenet au pèst" e via discorrendo). Insomma ordinano, ma realizzo subito che si sta mettendo male. Malissimo. Come se non bastasse le tre scorfane, palesemente indegne persino di stare nella mia paella, per ingannare l'attesa, fanno la cosa più crudele che si possa fare accanto a me: si accendono simultaneamente tre sigarette. Ero distratto, ma non c'è aria aperta che tenga: la zaffata mortale mi arriva in un istante, colpisce le mie narici mentre sto assaporando la delizia, ed è subito disgusto. Totale, infinito. Chiunque mi conosca sa che detesto il fumo già in condizioni normali (in tanti anni, non mi sono mai messo con una tipa che fumasse, anche se altrimenti degna, giusto per rendere l'idea), figurarsi in quella situazione. 


Ricapitoliamo: tre brutte, vecchie e antipatiche (per antonomasia) francesi erano sedute a un metro da me emettendo gridolini e fumo di sigaretta a nastro mentre stavo mangiando. Non riesco a immaginare situazione peggiore. Nella graduatoria delle cose che avrei sopportato meglio c'erano senz'altro: Sanchez che mi mordeva l'orecchio, essere svegliato all'alba con un calcio negli zebedei (non necessariamente da Sanchez) e sette settimane di lupus eritematoso sulle natiche senza l'ausilio del Dr. House .
La Francia mi aveva dichiarato guerra, era evidente, e dovevo fare qualcosa. Soluzioni possibili: rivolgermi a loro con garbo antico chiedendo di smettere. Poteva funzionare, ma considerato che le tre si erano accese un'altra sigaretta anche durante il pasto (io la gente non la capirò mai), rischiava di finire a battibecco: "Nous sommes en plein air, à l'ouvert, faites le casses toi, que Nous se faisons les notres et campòns touts 100 ans". Già la sentivo risuonare nelle orecchie, quella maledetta frase. E poi non avevo voglia di litigare, di mettermi a questionare in vacanza. Avrei potuto usare un metodo molto francese: fare la spie, non essendo figlio di Marie. Chiamare il cameriere, segnalare il problema e sperare in una soluzione. Già, ma essendo maledettamente all'aperto, rischiavo di essere respinto con perdite. Forse. O forse no. Insomma, non se ne usciva.


È stato in quel preciso momento che, per qualche istante, un immondo, peccaminoso pensiero mi ha attraversato la mente: visto che le tre scappate da la maison di Versace mi avevano rovinato la cena con i loro immondi effluvi, avrei forse potuto combattere sullo stesso terreno olfattivo rimandando loro un profumo il più possibile vicino a quello del formaggio francese a lunga stagionatura. In fondo in determinate circostanze, come le serate un po' fresche e ventose, scarsamente vestito, alle prese con una gigantesca paella, sono in grado di produrlo senza troppe difficoltà (e persino senza impatto sonoro), quell'aroma intenso. Un po' stilton, un po' camembert andato a male. Avrei potuto forzare la mano (non esattamente quella, ma si dice così) e farlo, senza vittime civili innocenti, perché eravamo in due tavoli piuttosto isolati. Avrei potuto, ma non l'ho fatto. A vent'anni, forse. Ieri invece mi sono detto: Franco, ormai sei grandicello, non si fanno queste cose. Neppure se provocati. Lascia che stavolta la Francia vinca 3-0. Ma ovviamente, se le rivedrò, les dames de la mort civile non avranno una seconda occasione per passarla liscia.

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