venerdì 28 marzo 2014

HO INCONTRATO «FURIO» DI VERDONE

Col passare degli anni, sto diventando buono. E me ne accorgo da alcuni dettagli. L'altro giorno, uscendo di casa a piedi, attraverso il cortile che dà su strada mentre il portone elettrico si sta chiudendo. Con un leggero sprint, passo attraverso la cellula fotoelettrica per interrompere il flusso, far riaprire il portone e passare agevolmente. Credo lo facciano in molti. Dalle mie spalle, arriva un urlo: «Lei, senta!». Mi fermo voltandomi di scatto. Uno mai visto. Uno dei tanti mai visti di un «supercondominio» (lo chiamano così) che raggruppa 4 palazzine e dove ogni sempre spunta qualche faccia nuova.
«Sì sì, dico a lei!”. «Mi dica...» faccio io perplesso. «Ma perché, invece di correre per interrompere la fotocellula, non ha aspettato un attimino che il portone si chiudesse? Poteva poi passare a piedi dal portoncino di legno e risparmiavamo tutti un po' di energia elettrica, no?».
Mi ero imbattuto in «Furio» di Verdone. Uno degli scassaminchia seriali che evito accuratamente, così come le riunioni di condominio. L'argomentazione di Furio indubbiamente poteva avere anche qualche spunto di validità e raziocinio, ma sarei curioso di vedere chi di voi in quell'istante, non lo avrebbe

sommerso di una catena non interrotta di insulti. Dalle tante sfumature, personali e parentali. Un tempo l'avrei fatto. Invece oggi, che sono buono, mi sono solo fermato e l'ho fissato in silenzio per 30, interminabili secondi con la stessa espressione con cui Clint Eastwoood guarda il vicinato in «Gran Torino». E poi me ne sono andato.

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