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lunedì 11 dicembre 2023

SCHERZI TELEFONICI * I PIU' GRANDI DELLA STORIA (NON SOLO) TELEVISIVA D'ITALIA

Da sinistra, Paolo Guzzanti, Teo Mammucari e Frank Matano.

La storia d'Italia è popolata di burle alla cornetta. E caderci è più facile di quanto si creda, senza essere per forza la Premier Giorgia Meloni. Lo scherzo telefonico è un'arte sopraffina, e può regalare grandi soddisfazioni. Si muove essenzialmente su due perni: l'imitazione accurata di un soggetto, oppure la sfrontatezza assertiva e ben documentata nell'argomentare. Se le due capacità coincidono, complice un po' d'ingenuità o distrazione della vittima, si gioca nel massimo capionato.
Tra gli amanti del genere c'era Alberto Sordi, che una sera, a casa di Anna Magnani, telefonò in piena notte alla collega Eleonora Rossi Drago, che il giorno successivo avrebbe dovuto ricevere il premio Noce d'argento. Fingendosi il segretario organizzativo dell'evento, le comunicò dapprima con dispiacere che non ci sarebbe più stata un'auto per venirla a prelevare a casa; subito dopò rincarò la dose dicendo che era sparita anche l'ospitalità in albergo, e per finire che la statuetta del premio sarebbe stata sostituita da riconoscimenti in natura, come polli e prosciutti. Pare che la Rossi Drago abbia accettato senza fare una piega tutti questi a dir poco vistosi ridimensionamenti.
Il nostro Paese ospita l'antesignano degli scherzi telefonici, per così dire, istituzionali. Diversi anni fa, in alcune stagioni di divertimento sfrenato, il giornalista Paolo Guzzanti (padre di Corrado, Sabina e Caterina), che riesce a imitare alla perfezione Sandro Pertini, seminò panico e confusione in Rai. Agenda alla mano, chiamò mezzo mondo politico della capitale e i maggiori notabili della tv di Stato, invitando alcuni di loro, con la voce del Presidente della Repubblica, a rinnovare il contratto in scadenza di Enzo Biagi; altri invece a non confermarlo assolutamente. Fu un cortocircuito. Come quello che procurò in video a Renzo Arbore chiamandolo in diretta, con la tipica calata pertiniana, a Quelli della notte. Andò peggio a Sergio Zavoli, allora Presidente della Rai, che si sorbì a mezzanotte, in mesto mutismo, un estenuante monologo del finto Capo dello Stato pieno di rampogne, mezzi deliri e frasi laconiche. Fu "tamponato" da un lancio notturno dell'agenzia di stampa Ansa con la quale si magnificava la straordinaria sintonia fra Zavoli e Pertini. Guzzanti senior, che in realtà è il vero giocherellone di casa, prese di mira anche Gianni Minà: si qualificò sempre come il Sandro nazionale, e gli chiese di disegnare a mano alcune cartine topografiche dell'America latina, dove il nostro stava per effettuare un viaggio ufficiale. Minà accettò, e si presentò a pranzo al Quirinale un paio di giorni dopo con le preziose carte, vedendosi respingere con perdite alla porta per quella visita della quale il protocollo non sapeva nulla. Lavorando ne La Repubblica di Eugenio Scalfari, dov'erano note le performance guzzantiane, un collega spesso preso di mira una sera mandò letteralmente a quel paese (credendolo Guzzanti) quello che si scoprì poi essere il vero Pertini. Ma il padre di Corrado, futuro Senatore, imitava anche la voce del direttore, convocando colleghi con le richieste più disparate. Una volta allo stesso caporedattore centrale di cui sopra annunciò addirittura il licenziamento, e lui si presentò paonazzo e urlante nell'ufficio di un attonito Scalfari.
A fare degli scherzi telefonici mestiere e show televisivo fu Teo Mammucari, che li sdoganò con il suo Libero, su Rai2. Riadattando con uno stile personale le supercazzole tognazziane di "Amici miei", Teo sapeva stordire l'interlocutore con un ritmo incazante di mezze frasi farlocche o incompiute, che si chiudevano quasi sempre con una domanda perentoria o un "Lei mi capisce, vero?". No, non capivano. Ma spesso abbozzavano. La redazione metteva finte inserzioni sui giornali per un lavoro da dog sitter? Alla prima chiamata Mammucari si fingeva molto disponibile, ma durante la conversazione simulava di picchiare urlando il cane di sua proprietà. La potenziale cliente ovviamente prendeva il volo. Con la complicità di Carlo Verdone (altro grande appassionato) prese di mira l'allenatore Fabio Capello, facendogli credere che un suo giocatore, Vincenzo Montella, uscendo ubriaco da un ristorante, avesse urlato l'intenzione di picchiarlo alla prima occasione, e che la notizia stesse per uscire sui giornali. Verdone poi, spalleggiato dall'appuntato Mammucari, fingendosi un agente della Polstrada, chiamò di notte una tra le sue vittime preferite: zio Ermanno, romano purosangue, per comunicargli che la sua auto, che credeva parcheggiata in garage, era stata rubata e aveva subito un incidente ad Anzio. Segue accurata descrizione del mezzo, lettura della targa e delle parti danneggiate. Fra le contumelie di zio, che alla frase: "Dottor Schiavina, è andata contro un albero, è praticamente distrutta", risultava visibilmente al limite dell'umana sopportazione.
Erede moderno di Mammucari, nato come fenomeno web e poi passato alla tv, è senza dubbio il goliardico Frank Matano, che ai suoi esordi su YouTube ha macinato milioni di visualizzazioni sfruttando un'ampia estensione vocale, che gli consentiva di riprodurre con estrema cura soprattutto vocine di bambini petulanti che chiamavano chiunque, a volte anche le reception degli hotel, aiutando finti genitori (sempre Matano) non a proprio agio con l'italiano a prenotare un soggiorno. Frank ha anche evacuato di notte case al piedi del Vesuvio annunciando un'imminente "lieve scossa della scala Oken, con probabili schizzi che bucano auto e tetti".
Lo scherzo più celebre, perfetto per lunghe cene tra amici, è quello di prendere di mira un soggetto e farlo chiamare a distanza di venti minuti-mezz'ora da almeno 6-7 commensali diversi chiedendo di un fantomatico Gino. L'interlocutore, perplesso e spazientito, dirà ogni volta che in casa non c'è nessun Gino, chiederà innervosito chi abbia fornito il suo numero (risposta standard: ovviamente Gino stesso), con chiamata finale così concepita: "Buonasera signore, sono Gino. Per caso ha chiamato qualcuno per me?".
Gli scherzi telefonici sembrano essere l'ultima isola dove il politicamente scorretto in Italia viene consentito e tollerato. Le radio, più corsare della tv, ne hanno sempre fatto largo uso. A volte andando anche sul pesante, come accade per esempio da anni a Paolo Noise e amici ne Lo zoo di 105.
Ormai le burle nell'etere sono diventate anche una forma surrogata di legittima difesa del cittadino. Per esempio dai centralinisti dei call center. E sono sicuramente più efficaci del Registro delle opposizioni. C'è chi risponde facendo ripetutamente il verso di galline o scimmie, sino alla resa del molestatore, che riaggancia.

(DAL SETTIMANALE GENTE - NOVEMBRE 2023)

mercoledì 6 dicembre 2023

VILLAGGIO FANTOZZI * UN FANTASTICO TRAGICO WEEKEND PER CELEBRARE IL RAGIONIERE

Un momento della celebrazione di Paolo Villlaggio, a San Felice sul Panaro.

Qui per le strade è tutto un: "Venghi", "Facci", "Dichi", "Batti lei!". Immaginate un paese di diecimila anime della bassa modenese, che si sveglia col profumo dell'erba da fieno tagliata di fresco, dove si celebra contemporaneamente la morte definitiva del congiuntivo e il talento sopraffino di una tra le più grandi maschere del cinema italiano. San Felice sul Panaro (si raccomanda l'accento sulla seconda a) si è trasformato per un'intera giornata nel "Villaggio Fantozzi". Dove Villaggio è scritto con la maiuscola, e tracce di Fantozzi si ritrovano in ogni angolo, ogni anfratto, ogni balcone. Sui quali campeggiano eterni moniti come: "Lei non ha un complesso di inferiorità. Lei è inferiore!". E altre frasi immortali che si rifanno alla saga dell'impiegato più celebre, bistrattato e sfigato d'Italia. Il libro, frutto di una raccolta di rubriche giornalistiche, uscì nel 1971. Il primo film, regia di Luciano Salce, è del '75, e diede la stura ad almeno altri due capolavori e a una serie di copie più commerciali ma che arrivarono al grosso pubblico. Merito anche di reiterati trucchetti l'inforcata della bicicletta "Alla bersagliera!", che perde malauguratamente il sellino proprio mentre Fantozzi ci si siede ignaro e con inusitato dolore. Di solito su questa scena crollava la sala dalle risate.
L'idea del Villaggio pride è del bancario Federico Mazzoli, che ha coinvolto come sponsor un istituto di credito locale, la Sanfelice 1893 Banca Popolare, la quale ha affidato la direzione creativa dell'operazione al fotografo Roberto Gatti; il regista Paolo Galassi realizzerà intanto un docu-film per le piattaforme di streaming.

Quindici volontari (primo fra tutti Roberto Gavioli) hanno lavorato per un anno in due hangar immensi per creare in gran segreto le scenografie, fatte con pannelli di legno riciclati e vernici destinate a essere smaltite. Venti set dedicati alle scene cult dei film (dalla Trattoria al Curvone alla scalinata della Corazzata Potëmkin) sono stati quindi sparsi nel centro del Villaggio. Più di quaranta Bianchine (la mitica auto sulla quale Fantozzi portava la segretamente amata signorina Silvani, Anna Mazzamauro) sono arrivate in paese da tutta Italia; una anche da Cinecittà. E lo show vero e proprio, che partiva dall'essenza dei Fantozzi per ammiccare al felliniano, ha coinvolto 200 figuranti. Del resto la madrina dell'evento, Elisabetta Villaggio, figlia dell'attore ligure e autrice del libro "Fantozzi dietro le quinte. Oltre la maschera. La vita (vera) di Paolo Villaggio" si era raccomandata: "Mi sta bene, partecipo, ma per favore non fate una pacchianata, una carnevalata". E così è stato. "Mio padre sarebbe felicissimo qui oggi, anche solo vedendo tutte queste auto schierate" commenta. "E per tutto l'amore e l'effetto che gli vengono tributati dalla gente. Da piccola mi accorsi subito di avere in casa un genio, un uomo molto intelligente e dall'energia possente. E' stato ingombrante perché aveva un carattere fortissimo e a volte diventava ingombrante. Gli avevo vietato di venirmi a prendere a scuola perché tutti avrebbero visto l'attore e non mio padre. Ho fatto anche qualche comparsata in alcuni Fantozzi, come la sposa nella scena di un banchetto nuziale. E nella scena dell'autobus preso al volo la mattina c'è qualcosa di vero in famiglia perché papà la raccontava attribuendola a mio nonno. Forse romanzandola un po'. Pur essendo amico di grandi come Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman, lui sul set, pur stimando i colleghi, aveva creato un rapporto d'amicizia solo con la sua controfigura, Clemente Ukmar, e Stella Battista, la sua sarta. Fra le chicche per cinefili, posso dire che la prima Pina, Liù Bosisio, lasciò dopo il secondo film perché non voleva essere troppo identificata con il personaggio, e rimpiazzata da Milena Vukotic. E la prima scena in assoluto girata di tutti i Fantozzi fu la partita a tennis tra la nebbia con Filini, ovvero Gigi Reder".
Assenti gli attori dei cast originali, per i cloni dei personaggi l'organizzazione ha attinto ad alcuni degli autoironici bancari della Sanfelice 1893. Tanto che il ruolo primario, quello di Fantozzi, è andato a Paolo Grossi, 49 anni, boss dell'Ufficio legale. E' sposato e ha due figlie ma la moglie ha ceduto volentieri il ruolo della signora Pina a Claudia Tartarini, 45 anni, impiegata in località Camposanto. Grossi, come quasi tutti, aveva anche almeno un doppio (in realtà in paese i ragionieri e i comprimari "non autorizzati" spuntavano come funghi, mandando in tilt i poveri fotografi, presenti a centinaia), in caso di indisposizione: l'ottimo Giorgio Giraudo, 61 anni, da Fossano. Che incarnava il ragioniere nella versione più domestica: canotta, bretelle, mutandoni ascellari, "Bottiglia di Peroni ghiacchiata e rutto libero". Anche Filini è un ex della Sanfelice 1893 (chissà se si ti diverti così anche quando vai da loro a fare un mutuo?): pensionato, 67 anni, "43 e 10 mesi di contributi", precisa con una certa pignoleria. E se delle signorine Silvani si è perso il conto, la parte di Calboni è andata allo psicologo e psicoterapeuta Matteo Merigo.
Intanto la titolare della drogheria Giberti, che si affaccia sul corso, ha recuperato un'introvabile bottiglia di Prunella Ballor, liquore cult ormai fuori commercio che Fantozzi proponeva ai suoi amici per un brindisi dopo il capodanno truccato del maestro Canello. Se volete provare a riprodurre a casa il Prunella di Fantozzi la ricetta si trova sul web. E' semplice. Ma senza questa dritta non si va da nessuna parte: le bacche di prugnolo vanno fatte seccare molto tempo al sole prima di utilizzarle, per togliere il tannino in eccesso che rovinerebbe tutto.

(DAL SETTIMANALE GENTE - OTTOBRE 2023)

martedì 5 dicembre 2023

SPOT * ANNI 80, QUANDO LA PUBBLICITA' CI FACEVA (QUASI) SOLO DIVERTIRE

Il pubblicitario Francesco Bozza insieme con la moglie, Carlotta Concato, figlia del noto cantautore milanese Fabio.

Ci fu un tempo in cui nuotavamo in acque pubblicitarie tranquille. Non tanto agli albori, quelli di Carosello (in Rai, dal 1957 al '77): lunghi momenti di spettacolo che furono l'apoteosi del rassicurante divertimento quasi "sedativo" degli italiani, ma anche nei decenni a venire. Popolati da mulini bianchi e attori di fama (Nino Castelnuovo) che saltavano staccionate grazie ai benefici effetti dell'olio di semi; da uomini in ammollo nel detersivo (il jazzista Franco Cerri) e sgambate majorettes canterine sul piazzale di centri commerciali. Da ragazzotti rintronati che non avevano mai provato "Urrà"; ma anche da alieni mignon che, una volta sulla Terra, intimavano di sviluppare rullini fotografici al grido di "Ciribiribì Kodak"; persino da idraulici che perdevano acqua dalle orecchie. Con l'andare del tempo gli spot si sono fatti sempre più veloci ma anche invasivi (lassativi e perdite urinarie all'ora di pranzo) o didascalici; aggressivi, divisivi, impegnati a lanciare messaggi e a scatenare dibattiti. Campagne che sembrano aver perso tanta voglia di (far) sorridere. Meglio ieri o oggi? Ne abbiamo parlato con un guru della pubblicità, Francesco Bozza, vice presidente e direttore creativo di una multinazionale americana del settore e ideatore di "Bar spot", format dedicato a questo mondo che porta da tempo sul palco di Zelig, in viale Monza, a Milano. La sua ultima fatica è uno spettacolo intititolato "Non ci vuole un pennello grande". Slogan che ci riporta a uno spot vintage quantomeno leggendario. In scena il 19 ottobre al Teatro Parioli di Roma, e il 10 gennaio al Martinitt di Milano.

Bozza, perché la pubblicità ha smesso di divertirci e divertirsi?
"Gli spot degli Anni 80, perché di quel decennio in fondo parliamo, più che divertenti in senso stretto, erano spensierati e memorabili. Si sedimentavano pian piano, a volte con messe in onda di anni, e ci entravano sotto pelle, insieme con i loro jingles, le musiche che li accompagnavano. Erano parte di noi".
Poi che cos'è successo?
"Prima c'era solo la tv. Poi è diventato via via tutto iper-veloce: una fruizione frenetica e superficiale, promo vampate attraverso 1.200 media diversi, con un'attenzione particolare al web e ai social, che sembrano essere ormai l'unico riferimento finale, l'unico posto dove ci sia confronto in Italia, a volte anche aggressivo, su vari temi. Prima si studiavano le cose pensando con estrema leggerezza".

Perdere motivetti memorabili e ritornelli più ariosi è parte del problema?
"Mio suocero, Fabio Concato, dice che gli piacerebbe che fra quarant'anni le canzoni di oggi diventassero jingle di spot come accade con la sua Domenica bestiale o con pezzi di Vasco e altri cantautori, ma non succederà perché c'è un'altra fruizione di ciò che è mediatico. Quindi abbiamo la reale percezione di una pubblicità molto più pesante e che si prende sul serio. E anche i politici, che non vedono l'ora di entrare nell'arena, come i gladiatori, dicono la loro approfittando di cose anche stupide".
Facciamo un esempio.
"Il caso relativamente recente del meteorite che schiaccia la mamma nello spot di Buondì Motta. Ci furono interrogazioni parlamentari! Se imposti una polemica sulla violenza nella pubblicità solo perché un meteorite infuocato schiaccia una mamma, una cosa totalmente surreale, siamo alla follia".

E' anche cambiata molto la società...
"E la pubblicità ne è lo specchio fedele. Ma negli Anni 80 uscirono con leggerezza cose peggiori, passando inosservate, come lo spot delle liquirizie Tabu: c'era un'immagine di "black face" del teatro americano dell'800, con un cantante bianco pitturato di nero. Il massimo del politicamente scorretto. Ma si sorrideva ascoltando la canzoncina. Fine. Le dirò di più: si ricorda il vecchio spot del Nelsen piatti?".
Quello de "I piatti-ti, i piatti-ti, con Nelsen piatti li vuol lavare lui"?
"Esatto. Nell'83-'84 fu il primo della storia italiana in cui si raccontava di un cambio sociale, di un uomo col grembiule e la canzoncina incentrata sul messaggio che è talmente figo lavare i piatti che lei non lo vuole più fare: li vuol lavare lui. Pieno di significati che oggi scatenerebbero il putiferio".

Veniamo alla pesca di Esselunga. Che cosa ne pensa?
"Da pubblicitario, ho visto sceneggiature sui bambini di genitori separati molto più emozionanti, come quella di Ikea; se parliamo di puro storytelling. Essere sul prodotto: è questo che manca allo spot Esselunga. Che è sulla bocca di tutti solo per le polemiche. E' un po' un problema perché da pubblicitario a me non interessa che la gente parli della problematica dei bambini separati ma del marchio. Poteva esserci qualsiasi altro supermercato. Credo che abbia scatenato questo bailamme per ragioni politiche".
Ma ne hanno parlato ovunque, anche nei Tg.
"Certo, perché il dramma della pubblicità oggi rispetto a ieri è che se ne parla non per gli aspetti creativi, ma solo quando scoppia un casino. Con le mamme schiacciate dai meteoriti, le fatine spiaccicate come insetti, la genitorialità diversa dal comune sentire. Negli 80 la si godeva e veniva citata, diventava slang e modo di dire. Dagli Anni 90 in poi non è più rimasto in testa alla gente un solo slogan. Zero. L'ultimo is 'Du gust is megl che uan' del gelato, primi Anni 90".

C'è qualche campagna di oggi che si avvicina al gusto degli Anni 80?
"Qualcuno gioca ancora con canzoni e balletti caciaroni. Penso a Febal e EstaThe. E poi c'è 'Succhino', il tizio che visita per la prima volta un appartamento da comprare e si sente così a casa che si spoglia nudo, fa la doccia e offre da bere. Vediamo un sedere in primo piano! Io adoro 'Succhino', ma non capisco le polemiche sulla pesca e la bambina - che sono l'unica cosa che resterà di quello spot, fatto anche bene da due creativi premiatissimi, ma a Esselunga non serviva questo, è già nota - quando c'è un sedere nudo in primo piano".
Ma davvero gli spot divisivi, quando sono così discussi e sulla bocca di tutti, non servono in qualche modo a promuovere il marchio? Non fa gioco?
"Dipende dal prodotto: la mamma schiantata dal meteorite del Buondì motta è oro che cola. Una merendina un po' vintage diventa ironica, trasgressiva. Ma se lo può permettere, in fondo è solo una merendina! Anche la birra Ceres ha fatto una campagna sui social molto grintosa ed efficace legata all'attualità, prendendo diverse posizioni nette. Per esempio, quando il sindaco di Milano Sala intimò agli operai dei cantieri dell'Expo di finire i lavori entro un mese, Ceres mandò una vagonata di casse di birra gratis e una troupe al grido di: 'Diamo una birra a questi ragazzi'. Lo spot della bambina e della pesca è finito anche da Vespa ma il brand non è stato neanche citato".

(DAL SETTIMANALE GENTE - OTTOBRE 2023)

lunedì 4 dicembre 2023

CUCINA * DIECI PIATTI POVERI PER SENTIRSI RICCHI

Un piatto di alici marinate, altrimenti dette acciughe al limone.

Oggi come oggi, per sentirsi ricchi, bisogna mangiare povero. Non potendo lasciar cadere nel vuoto la stringente analisi del Ministro Lollobrigida fatta al Meeting di Rimini ("Da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi: cercando dal produttore l'acquisto a basso costo, spesso comprano qualità") abbiamo deciso di proporvi i dieci piatti della cucina regionale italiana in grado di regalarvi il maggior percepito di benessere con la minore spesa. In pratica, come pilotare un gozzo sentendosi su uno yacht. Secondo uno studio dell'Università di Berkeley, in California, alcune di queste pietanze riuscirebbero di fatto, alla lunga, anche ad alzare l'ISEE (l'indicatore che serve a valutare la situazione economica dei nuclei familiari che chiedono una prestazione sociale agevolata), quindi è bene non abusarne o farne un uso avveduto. Non certo per paura di ingrassare, ma per timore di perdere in futuro eventuali sussidi.
Al bando quindi aragoste, caviale e ostriche. Ad aprire il portafogli sono capaci tutti. In Liguria la ricchezza si ostenta sfacciatamente con le Acciughe al limone. Basta stendere le alici del pescatore precedentemente imbevute nel succo d'agrume e cospargerle con basilico, origano, sale e olio d'oliva, e il gioco è fatto. Spostandoci in Emilia Romagna, più precisamente nel Piacentino, viaggiano da sempre in Ferrari i Pisarei e faśö. Ovvero gnocchetti di farina e pan grattato conditi con un sugo a base di fagioli, lardo, cipolla e pomodoro.
In Lombardia l'aristocrazia gastronomica punta molto sulla Zuppa alla pavese. In un bel brodo (dovrebbe essere di carne, ma se lo fai col dado anche gli sceicchi arabi ti guardano con invidia) si vanno a immergere fette di pane raffermo casereccio; si cosparge di formaggio grattugiato il tutto e si piazza un uovo fresco sulla sommità.
E' una variante della Panzanella, diffusa in tutta l'Italia centrale, ma prevalentemente in Toscana. Un piatto freddo di pane raffermo inzuppato in acqua e aceto di vino bianco, nel quale poi si mescolano pomodori e cipolle rosse, cetrioli e sedano. Con le ciambelle di grano duro rinsecchite (attenzione al lavoro del tuo dentista, che in genere non ha gli stessi prezzi del mercato rionale), in Puglia fanno le Friselle. Le quali vanno prima "sponzate", ovvero inzuppate in acqua e poi condite con olio, pomodoro, sale origano e tutto ciò che suggerisce la fantasia. Sempre restando in zona, ecco il Purè di fave e cicoria selvatica, arricchito con aglio, cipolla, sedano, pomodori e prezzemolo. Un pop in cucina ormai talmente top (direbbero gli chef figli di Instagram) che ha fatto diventare la "Cuoca itinerante salentina" Alessandra Ferramosca ambasciatrice di questo buon mangiare negli Stati Uniti.
La tradizione contadina di buona parte della Penisola ci rimanda la classica Zuppa di ceci, riccamente impoverita anche di porri, rosmarino, sedano, pepe, carote, cipolle bianche e passata di pomodoro. La versione lombarda si fa nel giorno dei morti (preferibilmente abbienti) aggiungendo zampette di suino. In Abruzzo e Molise invece è d'obbligo la Cipollata, d'uso anche a Tropea. Basta cuocere a lungo i bulbi in un brodo condito con olio, sale e pomodori maturi. Ma attenzione anche alla Sicilia, che esce a sorpresa con gli Spaghetti alla mollica fritta e uva passa. Un tempo molto amati da chi lasciava il Sud per cercare fortuna a Milano e dintorni.
Sul fronte dei dolciumi, infine, festa grande con le Pangialdine, originarie della Lomellina. Gli ingredienti sono farina gialla e bianca, burro, zucchero, uova e lievito. Meno di così c'è solo l'aria fritta.
Per ciò riguarda i vini, lasceremo perdere i prevedibili Champagne o brut millesimati: il bottiglione di bianco della casa consentirà brindisi regali. Con l'indice a gancio che esce lesto dall'incavo della bocca chiusa si può riprodurre agevolmente anche il suono del tappo che salta. In caso di eventuali banchetti di nozze, naturalmente, non dimentichiamo i fichi secchi.

(DAL SETTIMANALE GENTE - SETTEMBRE 2023)

venerdì 1 dicembre 2023

LINO BANFI: «CARO MARK ZUCKERBERG, PERCHE' NON MI REGALI IL MIO RISTORANTE?»

L'attore comico pugliese Lino Banfi, all'anagrafe Pasquale Zagaria.

L'unico vero vincitore nella disfida (mai nata) tra i multimilionari del digitale Mark Zuckerberg ed Elon Musk, è quel diavolo di Lino Banfi. "Pasquale Zagaria contro l'Intelligenza Artificiale" potrebbe essere il titolo di un distopico film interpretato dal nostro. Che con una lettera al Corriere ha menato ironiche botte da orbi al patron di Facebook per avere ingiustamente chiuso la pagina Noi che amiamo Lino Banfi Official, gestitita dal suo fan club, guidato da Calogero Vignera. Tempo un giorno e Meta (la società che accorpa Facebook, Instagram e WhatsApp) ha fatto marcia indietro, ripristinandola perché "non viola gli standard della community".

Lino, ma si rende conto che la sua è una vittoria epocale contro l'algoritmo?
"Me ne sto rendendo conto. Ricevo telefonate di gente gasatissima. E pensare che io manco sapevo che cosa fosse, l'algoritmo. Poi l'ho chiesto a Siri, l'assistenza vocale del cellulare, e a mezza bocca me l'ha detto. Ma con aria sfottente, tipo: hai 87 anni, amico, aggiornati!".
Da che cosa nasce il suo furore?
"Ma io non lo conoscevo, questo signor Fruckenberg! E' che sette anni fa un ragazzo siciliano entusiasta mi chiese il permesso di aprire una pagina dedicata a me: 700 mila iscritti in poco tempo".

Un boom.
"E ne ero felice. Manco un anno dopo, mi richiama intristito dicendo che l'algoritmo del Zuccherhnest ha chiuso la pagina perché ovviamente era piena delle frasi delle mie commedie: 'Ti spezzo la noce del capocollo', considerata istigazione alla violenza; e 'Chézzo' non va bene; e 'Porca putténa' è istigazione alla prostituzione". Ovviamente anche tutti i follower parlavano in questo modo, nel linguaggio banfiota che ho creato e diffuso in 60 anni. Ovviamente un gioco".
Che il freddo algoritmo non ha capito. Se dici: "Mi fai morire" non coglie che si intenda magari "Dal ridere". Se scrivi "Ucciderei per un piatto di gamberoni", non significa che vai in giro a sterminare gente per i crostacei.
"Esatto. Ma sulle prime me ne sono fatto una ragione. Vignera riapre la pagina, che arriva a 70 mila iscitti, e gliela richiudono. Poi 30 mila e succede ancora, e poi ancora. 'Lino, è arrivato l'ennesimo stop dall'algoritmo di Cucchiernher'. Loro protestano con Facebook, ma niente".

Un supplizio.
"Sino all'altro giorno, quando la frase incriminata era 'Picchio De Sisti', da 'L'allenatore nel pallone'. Ma è colpa mia se il soprannome del calciatore Giancarlo De Sisti era Picchio?! Non ci ho più visto, e ho scritto al giornale".

Portando a casa una vittoria su tutta la linea: come nei film quando richiamano in servizio l'ex marine vendicatore.
"Massì, infatti ero tranquillo qui al mare, al Circeo: mi alzo alle sei, leggo e scrivo un po'. Presto al Festival del cinema di Venezia il Nuovo Imaie, che si occupa di diritti d'autore, mi darà un premio alla carriera per i due milioni di copie vendute in Dvd de 'L'allenatore nel pallone'. E non prendo manco tre centesimi a copia, lo sottolineo. Ma ormai mi chiamano Maestro, teniamoci almeno le soddisfazioni".
C'è da dire che le sue commedie non sono mai state l'emblema del politicamente corretto. Per alcune definizioni degli omosessuali, oggi sarebbe lapidato.
"Una volta, pochi anni fa, mi guardarono storto anche in televisione, perché dissi una cosa simile riportando un aneddoto di mio padre, che era la persona dalla mentalità in realtà più aperta del mondo verso i gay. Ma i nostri vecchi parlavano così, il retaggio era quello".

Crede che il politicamente corretto abbia danneggiato la comicità?
"Beh, è un dato di fatto che di ogni categoria sociale si parli oggi, ti viene puntato subito il fucile addosso. Alla fine uno evita, e amen".

Che cosa direbbe a Zuckerberg?
"Gli dico una cosa: perché non compri i muri de L'Orecchietteria Banfi, il ristorante che ho a Roma, vicino al cinema Adriano? Sempre pieno, è una specie di museo banfiano, e viene gestito dai miei figli, Rosanna e Walter. I muri costano qualche milione, per te bruscolini; sono della Banca d'Italia. Li compri e me li regali. Poi prometto che serviremo 10 mila pasti ai bisognosi".
Un rilancio non da poco. Vediamo se Mark fiuterà l'affare.
"Una proposta indecente, ma neanche tanto".

Nuovi lavori in vista?
"Sì, un film-documentario con i personaggi della mia carriera che si raccontano. Lo stiamo scrivendo con il regista Mario Sesti. Non un corto né un lungometraggio, ma 'Il largometraggio di Lino Banfi'. C'è interesse in Rai".

Sembra un taglio molto verdoniano.
"Lo è. Carlo Verdone l'ho incontrato proprio l'altra sera e parlavamo di quanti soldi non abbiamo mai preso per i diritti d'immagine con cose che hanno fatto poi utilizzando i nostri personaggi". 
Cause in vista?
"Macché. All'epoca quando facevi un film con Medusa o chiunque altro, ti facevano firmare clausole che consentivano loro di fare qualsiasi cosa dei tuoi girati per sempre. Io mi salvai un po' perché m'inventai i pacchetti: Sergio e Luciano Martino mi proponevano un film di cassetta? Io dicevo: 'Te ne faccio anche tre', ma ogni tre me ne fai fare uno con un cast e un regista importante. E' così che sono riuscito a lavorare anche con Dino Risi, Salce e Steno".

In un'intervista, qualche tempo fa, Alvaro Vitali mi disse che lei in quegli anni di film scollacciati lo fece fuori. Sembra portare rancore.
"So che va dicendo queste cose. Forse s'è incazzéto perché sentiva tradita un'amicizia. Ma comandavano i produttori. Però le giuro che quando feci in tv Un medico in famiglia, per 20 anni, una vera manna dal cielo lavorativamente, feci spesso il suo nome, ma non l'hanno mai voluto perché troppo identificato con il personaggio di Pierino. Ora vediamo invece se si fa vivo Kukkembert".

Guardi Lino che se lo chiama ogni volta in modo diverso, i muri del ristorante non glieli regala.
"Non ce la faccio a dire il nome, è più forte di me. Ma quello magari è un bravo raghézzo, potrebbe essere mio nipote".

(DAL SETTIMANALE GENTE - AGOSTO 2023)

mercoledì 29 novembre 2023

QUANDO I MATRIMONI VANNO IN CRISI, POCO PRIMA O SUBITO DOPO LE NOZZE

I matrimoni che scoppiano in dirittura d'arrivo, subito dopo o durante la cerimonia sono sempre più frequenti. Con esiti a volte involontariamente esilaranti.

Mai dire nozze. I matrimoni che vanno in frantumi sul rush finale (l'ultimo sforzo prima del traguardo, come si direbbe nello sport) o - peggio - subito dopo la cerimonia, non sono una prerogativa degli ambienti chic e snob dell'alta finanza. Il Paese reale è da sempre attraversato da fatti e inquietudini che spesso portano alla fine di un amore. Basta fare quattro chiacchiere con alcuni addetti ai lavori garantendo l'anonimato, per avere uno spaccato interessante. Che sta a metà fra le storie dei fumetti pruriginosi del leggendario Corna vissute, e il "Cattivi pensieri" di Ugo Tognazzi, con un'Edwige Fenech al massimo del suo splendore.
Un filone interessante è quello dei ripensamenti tardivi. Come quello che colse il futuro marito di una coppia toscana che si doveva sposare il giorno successivo in Costiera amalfitana. Durante la notte il nostro chiamò la futura sposa e le comunicò di avere cambiato idea. Così, senza fare un plissè. In chiesa, la mattina dopo, dove tutto il cerimoniale era pronto, il sacrestano avvisava mesto tutti dell'improvviso annullamento. Mentre lei, fra lacrime e imbarazzo, si inventò la caduta di papà dalle scale con relativa frattura del femore per giustificare il forfeit e mascherare la verità agli occhi degli invitati. Nel primo pomeriggio il futuro sposo richiamò la fidanzata e le disse di avere parlato con mammà, la quale l'aveva convinto a pronunciare il sì. Inutile dire che lei lo liquidò per sempre con parole irriferibili.

Cambiare idea non è così infrequente: ci sono spose con abiti da favola mollate dal futuro marito (letteralmente sparito sul modello Chi l'ha visto?) a una settimana dal pronunciamento. Ma anche altre che si sono accorte dell'"incompatibilità di carattere" con il fresco consorte durante il viaggio di nozze. Separandosi una volta scese dalla nave da crociera. Ambiente peraltro foriero di tradimenti (a volte scoperti) e relativi abbandoni.
In Campania è leggenda una storia che ha molti parallelismi con quella di Torino: un futuro marito che, sapendo da sei mesi di essere tradito dalla moglie con l'amico, il testimone dello sposo, non disse nulla e organizzò comunque il matrimonio. Sull'altare interruppe la cerimonia dicendo: "Sapete qual è la notizia? Questi due stanno assieme! Quindi non se ne fa niente. Però amici, ora andiamo tutti a pranzo, e poi ognuno a casa propria". Gelo tra le navate. Finì che anche il testimone-amante (sposato) dovette divorziare.

Proprio al ristorante, nel Cilento, andò peggio a una freschissima sposa particolarmente in fregola, che fu sorpresa a copulare in bagno con un cameriere durante il banchetto nuziale. Seguirono botte fra tutti; una rissa che neanche nei bar di Caracas. Un'altra ragazza, in viaggio di nozze in Indonesia, tornata da una passeggiata in spiaggia, trovò il marito a letto con una cameriera. Finì che prese l'aereo da sola per rientrare in Italia, dove chiese subito il divorzio.
Non mancano anche le vicende a lieto fine, per così dire: lei che si sposa incinta, ma subito dopo le nozze il marito, insospettitosi, chiede il test del Dna; alla fine si scopre che il padre del nascituro era il solito testimone. Categoria da attenzionare, direbbero i Carabinieri. Tra i due amanti clandestini però era vero amore, che dura ancora oggi.

Anche alcuni vip hanno fatto la loro parte. In un'intervista Fiorello raccontò dei suoi esordi come animatore nei villaggi. Dove fra colleghi erano soliti coprirsi le spalle in caso di fugaci tradimenti con la doLce metà di coppie di ogni tipo, anche di fresco conio. Se alla consegna delle valigie in camera si stabiliva già una potenziale intesa fra l'animatore e la moglie/fidanzata di turno, il malcapitato marito/fidanzato veniva invitato nei giorni successivi da un altro animatore a una sfida a tennis; durante quel lasso di tempo garantito e sorvegliato, nella stessa stanza della coppia pagante poteva consumarsi il tradimento a(ni)matoriale.
Storia che ci porta alla poesia goliardica dei "Cornetti caldi" fatti al fornaio dal Perozzi (Philippe Noiret) in Amici miei:
- "Che cell'ha i cornetti oggi, sor Antonio?".
- "Eh come nun cell'ho, caldi caldi!".
- "Eh, caldi caldi... Proprio fatti ora. Già che c'è, me ne dia un paio anche per la mi' moglie".

(DAL SETTIMANALE GENTE - AGOSTO 2023)

lunedì 27 novembre 2023

DIMITRI KUNZ, UNA VITA PER FARSI UN NOME (ANZI, QUATTORDICI)

Il Ministro del Turismo Daniela Santanché insieme con il compagno Dimitri Kunz.

Nella vita farsi un nome è giusto; persino lodevole. Ma 14, tendenti al 15, cognomi e titoli nobiliari compresi, sembra un filino esagerato anche per chi ha ambizioni personali sovradimensionate. D'altra parte il Principe Dimitri Miesko Leopold Kunz d'Asburgo-Lorena Piast Bielitz Bielice Rellino Spalia Rasponi Spinelli Romano (pensa la povera maestra all'appello), compagno di Daniela Santanché, attuale Ministro del Turismo della Repubblica Italiana, mica se li è dati da solo: ci pensò papà, depositando quel sobrio appellativo all'anagrafe di San Marino. Il babbo di Dimitri - perdonate la sintesi, ma del resto lui stesso con signorilità la concede - era un agricoltore non privo di fantasia e forse di ironia, e negli Anni 60 se ti presentavi agli uffici del Titano (il Titano ti dà una mano) con quel pizzico di verve in più, potevi far chiamare tuo figlio un po' come ti pareva. Anche Giuseppe Attila Re degli unni Vercingetorige Thor Zeus Brambilla. Tanto mica controllavano. Al massimo un'alzata di sopracciglio.

La storia l'ha raccontata Report di Sigfrido Ranucci, in una puntata dove si andava a scavare tra i pochi splendori e le tante miserie delle società appartenute o riconducibili all'elegante signora Santanchè. Alcune delle quali quotate in Borsa. Ma anche un po' in borsetta, perché lo stile in fondo vuole la sua parte. Da Ki Group (settore bio), rilevata con l'ex compagno - se si può dire compagno a casa di una senatrice di Fratelli d'Italia - Canio Mazzaro, a Visibilia (editoria), che in ultima analisi ha visto come Amministratore Delegato proprio il fiorentino Dimitri Kunz eccetera. Perché la signora Daniela Garnero Santanchè, che iniziò la sua carriera politica come allieva di Ignazio La Russa (un signore che i figli li ha chiamati Geronimo, Lorenzo Cochis e Leonardo Apache, quindi in onomastica non può prendere lezioni da nessuno), è una che non si fa mancare niente. Iniziò fondando un'agenzia di PR a Torino, e ora vive nel bel mondo, tra alta moda, stabilimenti balneari assai chic e vernissage esclusivi. 

Un ambiente dove se la natura non ti ha concesso di essere (al) Twiga, devi almeno attrezzarti per piacere assai. E in quella dimensione additiva, rimodellante, linfodrenante e ristrutturante della vita, vale tutto. Sentimenti a parte, sui quali non si discute, un bel Principe con 14 nomi (tendenti al 15) molto wertmulleriani può sempre fare comodo. E Dimitri, 1.83 di figliolo, con quell'appeal che sta tra Ridge di Beautiful e il navigato conduttore di televendite tricologicamente più attrezzato di Giorgio Mastrota, è di certo una benedizione. Molto soap opera è anche il percorso sentimentale della coppia, dal momento che Dimitri prima era legato alla giornalista Patrizia Groppelli, poi fidanzatasi con Alessandro Sallusti, a sua volta fidanzato con Daniela Santanchè, passata quindi a sorpresa al Kunz. 

Dove lo trovi uno che quando è in buona ti fa lo sconto e non si fa chiamare neanche "Altezza reale"? E, onestamente, spiace vedere gli Asburgo-Lorena (più Asburgo che Lorena) rimarcare con fermezza: "Dimitri Kunz non appartiene al nostro casato e non è nemmeno principe". Si fa torto alla fantasia di un papà brillante, all'anagrafe di San Marino, ma anche alla genialità di Paolo Villaggio, che in Fantozzi s'era inventato personaggi come la Contessa Serbelloni-Mazzanti Viendalmare, il Duca Conte Semenzara e il Visconte Cobram.

Guardiamo avanti. Qualora Daniela e Dimitri dovessero optare per le nozze (in bianco, officiate da Flavio Briatore al Billionaire di Porto Cervo, in diretta su Retequattro), sarebbe una gioia per gli occhi. "Vuoi tu Daniela Garnero sposare il qui presente...". Tre ore solo per leggere per intero il nome dello sposo. Sai quanti spot ci puoi infilare? Uno in gamba come minimo ci risana l'azienda.


(DAL SETTIMANALE GENTE - GIUGNO 2023)


giovedì 9 novembre 2023

JENNIFER CREPUSCOLO: «IL DIAVOLO È DONNA» (ED È UNA PERSONA PERBENE)

Jennifer Crepuscolo, fondatrice dell'USI,
l'Unione Satanisti Italiani.

Sorpresa: il Diavolo è una donna, e si tratterebbe anche di una personcina perbene. Parola di Jennifer Crepuscolo, 34 anni, fondatrice dell’USI, l’Unione Satanisti Italiani. Cultori di un Belzebù della porta accanto (dimenticate sette e messe nere), quelli dell’USI hanno i loro costumi: basta enfatizzare il 666; l’Anticristo chiama da altri e ben più tranquillizzanti prefissi.

Jennifer, secondo lei Satana non è il Male. Dopo millenni di educazione cattolica, fa strano sentirlo.
«Noi siamo al satanismo originale, e la nostra cultura non ha niente a che fare con quel che dice la Chiesa, che demonizza l’avversario e scredita gli antichi dei, che preesistevano. Satana diventa quindi il nemico dell’umanità, ma è un fatto politico: anticamente erano politeisti, ovvero avevano tanti dei. Nel momento in cui si affermò la deriva giudeo-cristiana che volle il monoteismo, cioè un unico Dio, la concorrenza andava in qualche modo fatta fuori».
Demonizzare i demoni, quindi. Non male. Ma tutto questo, per uno che ha fatto l’asilo dalle suore, è una botta.
«Lo so, è pesante. Ti indottrinano fin da piccolo. Anch’io nei primi tempi, quando ho capito certe cose, ci sono rimasta molto male. Ti senti ingannata. La collocazione del bene e del male non è poi così scontata».

Jennifer Crepuscolo: un marchio, un cognome. Ora non mi dica che si chiama davvero così.
«No. Il mio nome è Jennifer Mezzetta. Ho scelto questo nome perché mi piaceva e per prendere le distanze dalla mia famiglia, che non ho mai amato. Da bambina ho vissuto per tanto tempo in un istituto, una casa famiglia gestita da frati e suore, in Toscana. Ero la cocca di un frate che faceva l’esorcista».

E la sua famiglia vera?
«Aveva tante problematiche legate a droga, dipendenze, violenze. Mio padre mi abbandonò, non era una bella persona, era cattivo con gli altri».
Lei dove vive e che lavoro fa?
«Originaria della Liguria, da quattro anni sto in Sicilia, anche se penso che resterò ancora per poco. Trovare lavoro per me è difficile, anche perché, essendo satanista, siamo sommersi dai pregiudizi: basta una ricerca su internet e quando lo scoprono non ti danno né il lavoro né la casa in affitto. Pensando chissà che. Faccio piccole cose, anche in nero, giusto per campare. Io sono anche più esposta di altri».

Ha contestato aspramente il recente raduno satanista di Boston, definendolo una pagliacciata politico-commerciale, fra croci rovesciate e bibbie strappate, ribadendo: «Il satanismo è tutt’altra cosa». Ovvero?
«È un culto sacro, che vede persone legate a entità spirituali. È amore a tutti gli effetti. Cosa che non esisteva a Boston. Loro si definiscono atei e sfruttano il nome di Satana per andare contro la Chiesa. Noi no. Magari andiamo contro la società, ma non contro la Chiesa ».
Il vostro slogan è: «Lottare per il Giusto, gridare il Vero, proteggere il Sacro». Ricordo male o diceva qualcosa di simile anche Mastella?
«Non lo so. A livello politico non sono abbastanza informata. È lo slogan che usiamo per i volantini divulgativi di Militanza satanica».

L’USI ha 13 mila follower su Facebook, lei stessa ne ha 11 mila su Instagram…
«Ne abbiamo anche 10 mila su YouTube e 136 mila su Tik Tok. Immagino non tutti satanisti. Forse molti simpatizzanti».

Come vi finanziate? Vedo che su Facebook aprite alle sponsorizzazioni di oggettistica: ci sono anche i rosari di Satana.
«Io non ho mai chiesto un centesimo per le adesioni. Nell’unica circostanza in cui ho preso soldi, ho dato servizi di cartomanzia o astrologia. Tutto il ricavato è andato in beneficenza a un canile e a una colonia felina».
Nel cristianesimo c’è chi vede la Madonna o parla con Dio. Voi avete queste manifestazioni o incontri col Demonio?
«Sì, abbiamo il contatto diretto con l’Entità. Queste veggenti che parlano di statuette che trasudano o piangono sangue mi fanno sorridere. È una spettacolarizzazione volgare della divinità. Io ho avuto diversi incontri con l’Entità, altrimenti ora sarei atea o agnostica».

Ce li racconti.
«Cose molto terrene. La prima entità che mi si presentò fu Asmodeus. Ho avuto visioni per strada: magari un vicino di casa o un passante, che invece era la Divinità. Le Entità sono sempre molto più alte della media, con gli occhi abbaglianti, e già lì capisci che c’è qualcosa che non va. In un locale fui avvicinata da una persona mi parlò di un paese che non conoscevo, che aveva legami demoniaci poi da me verificati sul web: entrò un amico che non vedeva questa persona, sembrava che parlassi da sola. Satana è la Dea della materia e del possesso».
Perché Dea? Satana sarebbe una donna?
«Per le conoscenze che avevo, ho sempre ragionato sul maschile, sull’Angelo biondo, ma quando Satana, invece di aspettarlo, l’ho in qualche modo cercato con alcuni rituali, mi sono ritrovato un’Entità femminile. Nel corridoio di casa mia apparve qualcuno dal nulla. Una donna con gli occhi verdi, capelli e vestito rosso, ed era una fugura totalmente positiva, non negativa. Fu uno choc tale che poi decisi di dedicare la mia vita a questo. Lo so, lei sta pensando: questa è pazza, una mezza scema. Curati! E l’ho pensato anch’io all’inizio, sono stata anche da uno psichiatra, ma la scienza non ha ancora spiegato tutto questo».

Non mi permetterei mai: ho un amico piacentino che ha visto gli UFO e che ogni tanto dialoga con uno spiritello maligno del posto, il Bargnif. Non mi spaventa più nulla.
«Un folletto».

Massì. Senta, lei è anche carina. Fossi Satana (uomo o donna) mi manifesterei spesso.
«Grazie, ma neanche tanto sa? Spesso mi dicono che mi danno ascolto solo perché carina. Se lo fossi davvero non sarei single e sola».
L’hanno mai invitata in tv a raccontare il suo mondo?
«Di recente me l’hanno chiesto Le iene, ma non so se accettare o meno. Sono dubbiosa. Lei che cosa farebbe?».

Sono diavoletti, ma credo che lei abbia gli argomenti giusti per uscirne bene.
«Non credo si possa mai uscirne bene: solo perché dici che hai delle visioni e che Satana non è il Male, in un Paese cattolico, sei colpita dallo stigma. Spero che la gente colga la mia buona fede, ma non ci giurerei».

Avrebbe sicuramente visibilità.
«Ma se cerchi la visibilità col satanismo secondo me sei fuori: lo criticano tutti! Meglio fare l’influencer. Mi scrive in privato anche gente di spettacolo o della politica che magari ha avuto esperienze simili, ma manco mi seguono: guai se si sapesse che hanno legami con me. Hanno il terrore che si sappia di questo culto».

Il Diavolo veste Prada, e lei?
«Io sto nuda. Come Išhtar, la dea dell’iniziazione quando scese agli inferi. Nuda davanti alla vita».

(DAL SETTIMANALE GENTE - MAGGIO 2023)

martedì 12 luglio 2022

TOTTI-BLASY * UN ALIENO IN ITALIA MESI FA HA INTERCETTATO UNA LORO CONVERSAZIONE

L'ex calciatore e Capitano della Roma Francesco Totti e la conduttrice e showgirl Ilary Blasi. Hanno annunciato la loro separazione con un comunicato all'ANSA.

- Francè, li mortacci tua, ma c'hai combinato?

- Amò, che tte devo da dì, è annàta così.

- Aaahhh, mecojòni! E mo, che ddevo fa io: passà pe' cornuta su li 
mejo e li peggio mèdia de tutta Italia e der monno? Io che pur' io so' npersonaggio pubbligo, so' n'ex Velina e condugo l'Isola dei famosi sur cingue? Eh no, nun ce sto pe' gnènte!

- Eh amò, che te devo da di': è annàta così.

- Mo tto digo io come fàmo: mo vado in tv daa Toffanin co' 'nesclusiva planetaria pe' ddì che è tutto farzo, farzissimo, e che chi ll'ha scritto so' tutti de' gran fiji de na mignotta.

- Ce sta.

- Poi torno a casa, mettemo l'avvocati tua e li mia a lavorà H24-7 su 7 per quarche mese pe' divìdese tutto, e 'st estate, quanno che la gènte è distratta da 'e fèrie, famo l'annuncio a reti unifigate che se separamo. Te va bbène, Francè?

- Me piasce... Ma amò, che tte devo da dì, è annata così.

mercoledì 29 dicembre 2021

"DON'T LOOK UP" * NON SI PARLA D'ALTRO (E IL MOTIVO C'E', ECCOME)

Nella foto, Jennifer Lawrence (a destra) e gli altri protagonisti del film.

Pur essendo in definitiva un blockbusterone fanta-comedy, ho amato "Don't Look Up". Soprattutto perché è intriso di quell'ironia sana degli americani che prendono in giro se stessi e le storture dei media. La storia è nota: improvvisamente un team di scienziati capitanato da un Leonardo DiCaprio a mio avviso non convincentissimo, scopre che una cometa del diametro di nove chilometri sta per abbattersi a folle velocità sulla Terra, che verrebbe spazzata via. Esiste? Non esiste? Gli esperti dopo un po' sono concordi: c'è. Prima si pensa di provare a bombardarla, poi prevale la linea di una sorta di Elon Musk caricaturale amico della Presidente (un'ottima Meryl Streep) di minarla e sezionarla per riuscire a estrarre i preziosi minerali che contiene, dunque trarne enorme profitto. 

Non vi racconto il finale, se volete anche un filo prevedibile, ma col giusto pathos, quindi va bene così. E' pur sempre un godibile blockbusterone americano.
C'è la satira anti-trumpiana, lodevole ma un po' già vista, e un occhio piantato sulla contemporaneità. Del costume e dell'indottrinamento generale. Mondo pandemico compreso. Quello dei negazionisti dell'evidenza. Che anche quando dopo un po' quella cometa in picchiata alzando il naso la vedono spuntare davvero, ancora giurano che non esista.

P.S.

Leggo sui social i commenti di alcuni incontentabili (mi verrebbe un'altra espressione) che lamentano il fatto che il mondo intero sui social stia recensenso e commentando "Don't Look Up". Ulteriore riprova che regista Adam McKay ha centrato completamente il bersaglio.

venerdì 24 settembre 2021

MOGOL (SIAE) SU CONCERTI E LOCALI: «FATECI RIPARTIRE AL 100%, SIAMO ALLO STREMO»

L'autore Giulio Rapetti, in arte Mogol, presidente della SIAE.

Parte dalla Società Italiana degli Autori ed Editori una petizione che raccoglie le tante voci della cultura, dello spettacolo e della politica che sollecitano il Governo ad aumentare la capienza dei teatri, dei cinema, degli spazi deputati alla musica dal vivo.

«Abbiamo sempre rispettato le regole e le leggi e anteposto la salute dei cittadini a tutto il resto. Ora però siamo veramente allo stremo», dice il Presidente SIAE Giulio Rapetti Mogol. «Ristoranti, bar e molte altre attività hanno ripreso quasi a pieno regime. Circa il 70% dei cittadini ha completato il ciclo vaccinale e il green pass costituisce un altro presidio importante a tutela della salute; moltissimi artisti si sono schierati in favore della campagna vaccinale. Peraltro, molte discoteche e locali stanno finendo nelle mani della malavita organizzata, con l'evidente possibilità di trasformarsi così in potenziali presidi di malaffare e di spaccio. In altri grandi paesi europei le attività culturali sono riprese a pieno regime o quasi. Per questo rivolgiamo un appello al Presidente del Consiglio e al Ministro della Cultura che da tempo si batte per le riaperture».
«Fateci ripartire in sicurezza ma fateci ripartire realmente. Abbiamo la sensazione – continua Mogol - che nel Governo prevalgano o rischiano di prevalere atteggiamenti e posizioni minoritarie che francamente sembrano più irragionevolmente emotive che realmente razionali. Non vogliamo ammalarci ma il rischio di morire SANI è ormai molto reale».
«L'industria della cultura, prima della pandemia, era la terza del Paese e dava lavoro complessivamente a più di 1,5 milioni di persone, il 40% dei quali under 35. Come SIAE lanciamo questa petizione perché conosciamo bene il valore economico e sociale delle attività culturali, e anche per noi è diventato impossibile mantenere fede alla nostra mission, quella di essere sempre dalla parte di chi crea. I mancati incassi della nostra Società sono lo specchio di altrettanti mancati incassi per gli autori, gli interpreti, gli editori, tutti coloro che producono cultura, spettacolo e intrattenimento nel nostro Paese. Come ha scritto il celebre musicista e compositore Jean-Michel Jarre, già Presidente della Confederazione Internazionale delle Società di autori e compositori, la cultura ci rende resilienti e ci dà una speranza. Ci ricorda che non siamo soli», dichiara il Direttore Generale SIAE Gaetano Blandini.
Tra coloro che hanno già aderito: Stefano Accorsi, Alessandra Amoroso, Claudio Baglioni, Angelo Barbagallo, Giovanni Caccamo, Caterina Caselli, Cheope, Valeriano Chiaravalle, Gigi D’Alessio, Fiorello, Rocco Hunt, Kaballà, Mario Lavezzi, Fiorella Mannoia, Moira Mazzantini, Popi Minellono, Ferzan Özpetek, Gino Paoli, Nicola Piovani, Pivio, Andrea Purgatori, Eros Ramazzotti, Tony Renis, Riccardo Scamarcio, Carlo Verdone.

sabato 4 settembre 2021

VENEZIA * LA DICHIARAZIONE D'AMORE DI BENIGNI ALLA MOGLIE? UNA FURBA RUFFIANATA

Roberto Benigni e la moglie Nicoletta Braschi al Festival del Cinema di Venezia.

Ho visto sui social legioni di donne entusiaste ed estasiate per la dichiarazione d'amore (rigorosamente in favore di telecamera) di Roberto Benigni alla moglie Nicoletta Braschi in quel della Mostra del cinema di Venezia. Soltanto a me è parsa piuttosto una furba ruffianata? Solo a me è sembrata una melensa sbrodolata ben scritta (ma anche scopiazzata nei frammenti più belli da José Luis Borges e Vladimir Nabokov) - fatta peraltro davanti a una signora che resta sempre fredda come il ghiaccio - declamata solo per accattivarsi le simpatie del pubblico femminile, quello più motivato ad accogliere questi romantici stimoli? Benigni, che di mestiere fa l'attore e che da diversi anni ama il politicamente corretto un po' paraculino, ha voluto regalarvi un sogno. E in tanti avete abboccato.

 

giovedì 26 agosto 2021

TI LAMENTI DELLE MASCHERINE? PARLIAMO DEL GEL IGIENIZZANTE PER LE MANI


Sulle mascherine si è già detto tutto. Non abbiamo mai parlato invece di una tra le più grandi piaghe di questi tempi confusi e virali: l'agghiacciante dispenser di gel disinfettante che ormai si trova all'ingresso di qualsiasi ristorante o esercizio commerciale. All'apparenza innocua, questa trappola del Demonio riserva in verità mille sorprese. Anzitutto, la densità del contenuto. Essendo prodotto da aziende diverse, non è mai la stessa cosa. Per giunta (è evidente, basta l'esperienza sul campo) in alcuni negozi dove il consumo è massiccio viene palesemente allungato con acqua per risparmiare. Commerciante non dire di no: ti conosco mascherina. Il risultato, a parte la testolina da premere che già fa schifo in sé perché l'hanno toccata in mille prima di te, è che ti ritrovi a sfregarti le mani o con qualcosa che pare acqua o poco più, o con un condensato rinfrescante al tatto, sulle prime piacevole e ben scivoloso, che dopo pochi secondi si trasforma in una specie di micro raggrumato tipo pasta lavamani del carrozziere che fa attrito e disturba.

Costringendoti ovviamente a cercare immediatamente un bagno per lavarti le mani sul serio. Difficilmente trovi il gel perfetto, che disinfetta senza lasciare tracce.
Poi c'è l'altro aspetto: il tipo e le condizioni d'uso del dispenser, non di rado guasto o con la già citata testolina mezza rotta. Per non parlare di quelli elettrici con foto-cellula che azioni mettendo soltanto sotto la mano, dai quali esce (se esce) un quantitativo all'apparenza così ridotto di liquido da costringerti a ripetere l'esercizio per 5-10 volte.

Ma restiamo sui cappuccetti a pressione. Quelli meccanici, per così dire. Che danno tante soddisfazioni. Il risultato è - spesso - quantomeno pirotecnico. In una pizzeria qualche mese fa ho premuto vedendo uscire diretta una sbrodolata che mi ha centrato di netto la camicia. E l'altroieri in un negozio di abbigliamento (secondo me il proprietario è uno in vena di supercazzore, perché mi era già capitata la stessa cosa e non ha mai riparato il contenitore) è partito uno spruzzo mortale che mi ha piazzato, nell'ordine: macchia sul petto con t-shirt rossa da lavare; due patacche giganti sulla scarpa sinistra e uno spruzzo preciso di liquido biancastro che mi ha colpito diffusamente in faccia, tra l'occhio destro e il naso.
Con un effetto che ricorda molto le concitate scene finali di quei film d'animazione solitamente non prodotti dalla Disney.

giovedì 19 agosto 2021

RILESSIONI A MARGINE DI UNA BATTERIA CHE SI SCARICA A FERRAGOSTO

Il 16 agosto, la batteria della vecchia Juke mi ha abbandonato definitivamente, dopo appena un paio di rantoli di timida avvisaglia e un difficile riavviamento con i cavetti fatto al volo dall'auto di mio zio. Morta, senza speranza. E mi ha lasciato con un addio che sa di amara beffa, di sfiga cosmica, ad appena 10 giorni dal ritiro dell'auto da parte del concessionario, dove lunedì della scorsa settimana ho versato l'anticipo per comprare quella nuova, in arrivo appunto a fine agosto. Mi ha salvato un amico (sempre provvidenziali, gli amici), comprandone da un cinese un'altra - ironia della sorte - italiana a buon prezzo, in un ponte ideale e solidale fra oriente e occidente. 

E' difficile spiegare come ci si senta dopo un tradimento di questo tipo. Quando una batteria con la quale hai passato anni bellissimi - ma anche difficili e tormentati -, intensi insomma, ti lascia di punto in bianco senza un vero perché. Con una scadenza in vista così cruciale e simbolica. Sembra una vendetta. Rimani attonito, stranito, svuotato. Pare quasi che covasse un rancore nascosto. E io che credevo di essermi sempre comportato con lei in modo ineccepibile.
Non affezionatevi alle batterie, gente. Le ragazze sono sempre meglio: una ragazza all'occorrenza ti gonfia anche le gomme. Una batteria non lo farà mai. Non direttamente, comunque.

martedì 17 agosto 2021

VACCINAZIONI * IL CENTRODESTRA DELL'"ARMIAMOCI E PARTITE"

Il critico d'arte e parlamentare Vittorio Sgarbi.

Persino Vittorio Sgarbi, accodatosi a un Centrodestra che si pone a volte in modalità apparentemente anti-vaccinale o anti green-pass solo per ragioni di opposizione e opportunità politica, non certo per rispetto delle esigenze sanitarie del Paese (e di questo risponderanno alla loro coscienza), messo alle strette poco fa da una giornalista in tv ha ammesso: "Ho il green-pass, ho fatto le vaccinazioni, ho tutto". E alla fine si sono vaccinati anche Matteo Salvini (che ha fatto per un po' il simpatizzante no-vax - diciamo così in modo sbrigativo - per non perdere altri voti) e Giorgia Meloni. Che si candida a nuova leader dello schieramento. E' stucchevole tutto questo perché siamo all'"armiamoci e partite".

Vabbé, dirà qualcuno: Sgarbi ormai è politicamente bollito da anni. Ed è perfettamente vero, non fa testo. Però sempre lì si torna. I teatrini politici danneggiano il Paese. Remare contro le vaccinazioni solo per vellicare una parte del tuo elettorato, è autolesionisitico. Per il futuro del Paese stesso, che ha estremo bisogno di liberarsi dall'autunno o comunque prima possibile dall'incubo del Covid. E le vaccinazioni a tappeto, c'è poco da fare, sono l'unico modo. Il successo si raggiunge con una percentuale alta - almeno l'80% - dei vaccinati. Chi non si vaccina (se non ci sono stringenti motivi medici di incompatibilità) è come Tafazzi. Solo che non martella soltanto sugli zebedei propri, ma su quelli di tutti noi. Per questo quando vedo circolare fake news in materia, i deliri di qualche "non mi vaccino per partito preso, sono più furbo degli altri, non faccio come voi massa di stolti" ("Movacaghèr", direbbe Verdone), o le sceMeggiate politiche di gente che poi fa il contrario di quel che predica al pueblo o soltanto ammicca al pueblo (questi sono i peggiori), mi viene da piangere.

sabato 7 agosto 2021

MONDO SOCIAL * PER FAVORE, AL LIMITE CHIAMATEMI ININFLUENCER

Franco Bagnasco. Sulla t-shirt una foto dell'attore Brian Cranston, l'Heisenberg della serie tv cult "Breaking Bad".

Davo un'occhiata ieri al profilo, tristemente disadorno di like e di followers, di una collega che s'è convinta (per mancanza di prove) di essere una sorta di influencer, o wannabe. Allontanatasi da Facebook perché non era più, peraltro ormai da tempo, il social più trendy e rampante (bisogna sempre essere sul social più trendy e rampante), sembra averlo riscoperto di recente; tanto che non di rado regala alla sua scarsa e poco entusiasta audience certi pipponi che levati. Gente del mestiere, ora non scrivetemi in privato per sapere il nome, perché non lo farò neanche sotto tortura. Accetto al massimo - de visu - crostate ai frutti di bosco o sbrisolona con crema pasticcera. Presentarsi con pacchetto in mano. Pagare moneta, vedere cammello.

Parto da questa notazione cronistica per una piccola riflessione personale sull'uso di Facebook, che resta invece, e lo è da sempre, il mio mezzo preferito. Non perché mi ritenga un influencer, anzi. Non me ne può fregare di meno (credetemi) di esserlo o di interpretarne il ruolo. E se e quando provo a farlo, mi stanco subito della pagliacciata ridendo di me stesso.
FB, che guarda caso ha anche le mie iniziali, mi piace perché tra i social a grande diffusione è quello più versatile. Si presta a postare sia lunghi testi che piccole riflessioni o battute più o meno felici (l'unica cosa che mi diverta davvero fare, e chi mi conosce bene lo sa), fotografie e album ma anche canzoni, video. Di tutto. E come se non bastasse mi consente di veicolare per bene quel che scrivo altrove, perché venga potenzialmente letto, rilanciato, condiviso. Tutto qui, se ci fermiamo all'utilità professionale. Il resto è cazzeggio. Strappare una risata in genere mi gasa di più che sventolare pipponi, che ogni tanto mi scappano, magari, ma non sono mai scritti al fine di vestire i panni dell'internettaro che ci crede. Tant'è che spesso sono apertamente impopolari. Scrivo quel che mi pare e amen. Più gente legge, meglio è. Al limite, chiamatemi Ininfluencer. Ci tengo.

Twitter ha i suoi limiti - non pochi - ed è comunque più orientato a chi compulsivamente posta notizie o commenti più o meno richiesti su qualunque cosa; Instagram è l'inebetimento fotografico perfetto per i nostri tempi molto vuoti, dove con i filtri mistifichi il reale. Il testo non serve. Prendi una foto da vomito e la trasformi spesso in uno scatto valido, dimostrando che vince sempre il percepito. L'idea geniale che hanno avuto (e che non a caso Facebook ha copiato) è stata quella delle stories temporizzate, che si riducono a una visione privata - dunque commentabile soltanto in privato - di foto o video personali. Detta in soldoni: anche se sei fidanzato/a o sposato/a (mi scuso se ho tralasciato qualche genere) puoi farti le tue belle stories che verranno lette, viste e commentate da tutti i tuoi contatti senza finire sotto occhi indiscreti. For your eyes only. A ciò è dovuto il successo delle stories, non ad altro.
Tutto questo per dire alla collega dal profilo tristemente disadorno di likes e di followers: prova a essere te stessa. Magari avrai più riscontri sui social. Ma ho il timore che porti in scena già se stessa, quindi mi chiudo in un commosso mutismo e vi auguro un buon proseguimento di giornata.


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