venerdì 13 marzo 2020

CORONAVIRUS * MILANO IMPAURITA E SEMI-VUOTA RISCOPRE LA GENTILEZZA

Milano. Il Naviglio Grande vuoto di sera dopo la stretta anti-Coronavirus del Governo.
Forse si inizia, pian piano, a capire. Del resto non c'è come chiudere tutto per far sparire magicamente la gente da ogni dove.
La Milano brulicante e clacsonante alla quale siamo abituati è semi-deserta, e noto che spesso il 15, il tram che mi passa sotto casa, fa corse totalmente a vuoto. Altre segnalazioni di mezzi pubblici vuoti mi arrivano da più parti della città.
Neanche un cristiano a bordo. Tramviere a parte, che si guarda in giro spaesato, come gli ubriachi che nei film vagano nei villaggi del Far West. Disorientato come i pochi passanti, che hanno scoperto la lentezza vaga di chi non ha niente da fare. Si abbozza persino un sorriso, a volte, tra vittime della stessa sorte. C'è un po' più di malandata gentilezza in circolo. Chi porta in giro il cane, chi si muove con la dovuta circospezione verso non si sa bene quale meta. Ci si guarda negli occhi da lontano e spesso si fa anche il giro largo per non essere costretti a incontrare gente che si avvicini troppo a quel metro di zona di rispetto (ma adesso i cinesi dicono addirittura 4/5, quando saremo arrivati a 10 avvisate) ai quali ci sta abituando questa maledetta minaccia invisibile che mette angoscia. Che secca la pelle. Che toglie il fiato.
Milano. Il Naviglio Pavese di sera vuoto dopo le misure del Governo per arginare il Covid19.
I negozi di sera sono chiusi tutti. Restano in attività solo i mini-market degli alimentari e ieri sera, a sorpresa, nella mia zona, che è quella del Ticinese, anche una gelateria, la Riva Reno. Credo soltanto per accogliere i riders per le consegne a domicilio. Anche sui Navigli, pieni come un uovo sino a sabato scorso, e nella vicina Darsena, vedi soltanto qualche fantasma a fare quattro passi.
Ha mollato il colpo (persino di giorno) il bar di un irriducibile che aveva ostinatamente tenuto aperto anche dopo le 18 durante il primo decreto che imponeva la chiusura. Stessa decisione anche per il titolare di un altro bar nei dintorni di Piazza Piemonte, che incontro portando Masha in area cani. «Ho otto dipendenti, facevo al massimo 40-50 coperti in pausa pranzo e poi niente per tutta la giornata. Tanto valeva tirare giù la saracinesca per un po', finché non sarà finita» mi dice. «Il guaio è che da questa cosa ci riprendiamo fra due anni». «Due anni?!» gli faccio io con l'aria di chi non crede alle favole. E lui corregge il tiro, conscio dell'amara realtà. Poi mi racconta di gente che frequenta il suo bar. «Ce n'è uno che aveva una fiorentissima società che cura eventi e catering. Avevano un calendario che non finiva più: manco uscivano dall'ufficio. Lavorava 20 ore al giorno e gli portavamo i panini sulla scrivania. I clienti hanno annullato tutto. Tutto, fino a data da destinarsi. È disperato. Un altro - erano marito e moglie - con un'azienda simile ma già scricchiolante, ha approfittato dell'occasione per chiudere definitivamente».

Anche dal mio paesello, in Oltrepò Pavese, solitamente refrattario a ogni cambiamento, mi arrivano voci di gente in rispettosa coda e a debita distanza, per entrare nella piccola salumeria.
Anche lì è arrivato Mr. Covid19. E da adesso, per tutti, niente sarà più come prima.

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