sabato 23 gennaio 2010

LA FIGLIA DI «FANTOZZI»? E' VIVA, LOTTA INSIEME A NOI (E FA LO SCULTORE)

Plinio Fernando.
Era sparita da 15 anni. Eppure la figlia di «Fantozzi» è viva e lotta insieme a noi. «Abbia pietà quando scrive di me, lei che è giornalista...»  dice facendo il verso al servilismo di Paolo Villaggio, suo papà putativo.
Come forse non tutti (ma di certo molti cultori del genere) sanno, la «piccola» Mariangela, passata alla storia del cinema per tutto tranne che per la sua avvenenza, è in realtà un uomo: l'attore Plinio Fernando. Un signore timido, affettuoso e riservato nato per caso a Tunisi - da genitori italianissimi - il 15 settembre 1947. E sparito dalle scene nel 1993, quando girò «Fantozzi in paradiso»; l'ultimo capitolo della saga dell'impiegato più sfigato d'Italia. Nel '74 il debutto sul set del primo film, indossando le improbali camicie da notte e le vezzose cuffiette di Mariangela. «La bertuccia», come la chiamava l'implacabile geometra Calboni. Da lì, pian piano, l'ingresso nel mito, come è accaduto ad altri grandi caratteristi come Bombolo e Jimmy il Fenomeno.

Di Plinio Fernando nulla si sa, compresa la data di nascita, sbagliata (sino a ieri) persino dai più accreditati siti di cinema. «Di "Fantozzi" ne ho girati otto» ricorda con l'inconfonbile voce chioccia. «Mi scelse il regista, Luciano Salce, dopo che mi presentai a un provino in via Monte Zebio, qui a Roma. E Villaggio si trovò subito d'accordo. Ho fatto l'accademia di recitazione, con il metodo Stanislavskij. E questi film mi hanno consentito di lavorare oltreché con Villaggio, anche con Milena Vukotic, la signora Pina, Gigi Reder-Filini e Anna Mazzamauro, la signorina Silvani. I più grandi. Ma non ho fatto solo quello. C'è stato il teatro, con due commedie, "Pupe pupe della malavita", ispirata a Feydeau, e "Allegria con cadavere". E poi sono stato un chirurgo in "Sturmtruppen" di Salvatore Samperi». Che effetto faceva vestire i panni della brutta per eccellenza? «Beh, in fondo era solo un ruolo, un lavoro come un altro» dice. «E non dimentichiamo che tutti i più grandi attori si sono vestiti da donna: da Ugo Tognazzi ne "Il vizietto" a Tony Curtis e Jack Lemmon in "A qualcuno piace caldo"».
Quando il periodo cinematografico del tenero Plinio si è chiuso («Forse era finita un'epoca, e poi io prima di lanciarmi in nuove avventure ci penso molto, ho paura di sbagliare; avrei dovuto fare i reality in tv? Li detesto»), nel '94 è iniziata la sua nuova carriera, quella di scultore. «Perché gli artisti sono come i diamanti: hanno mille sfaccettature» dice il nostro con orgoglio. Se si tenta di sapere qualcosa di più sul suo privato, si schermisce, misura le sillabe, chiede di evitare. Nei suoi modi si intuisce il travaglio interiore che sta dietro la vita di tutte le persone sensibili. E che non si può non rispettare. Guarda le sue creature - pochi quadri di nature morte e altre sculture: sono soprattutto le teste di terracotta, la sua passione, alcune delle quali impreziosite da smalto e oro - ed esclama: «Belle, vero? Ho fatto quattro anni col maestro Luigi Diotallevi, e da lui ho imparato molto di quello che so. Prima di decidermi a inagurare una collettiva ci ho messo un po', ma ora sono soddisfatto, vorrei farne tante in giro per l'Italia. Se oggi sono felice? La felicità è un attimo... È finita l'intervista, vero? Vuole che le racconti una barzelletta?». Prego. «Siamo tutti uguali davanti a Dio, ma non davanti al bancomat». E a labbra sigillate allarga gli angoli della bocca in un sorvegliatissimo sorriso.

Grazie di esistere, Plinio.


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