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martedì 7 agosto 2018

ADDIO JIMMY IL FENOMENO, REGALO UNICO E IMBARAZZANTE AL MATRIMONIO DI UN AMICO

Cristina Mariotti, Jimmy il Fenomeno e Pierangelo Masarati.
Se per te Jimmy il Fenomeno era solo quel tipo sui generis (eufemismo) che si produceva in smorfie agghiaccianti e suoni gutturali comparendo più o meno di sfuggita in qualche film della commedia all'italiana, credimi amico, sei fuori strada.
Jimmy, all'anagrafe Luigi Origene Soffrano, che ci ha lasciati oggi, all'età di 86 anni, in una casa di riposo milanese, era molto di più.
Per me, per esempio, è stato il più bello dei regali di nozze. Non ricevuto, purtroppo, ma fatto. Col cuore. E anche un formidabile boomerang per il mio sistema nervoso.
Ma andiamo con ordine: ho un amico d'infanzia, o giù di lì, Pierangelo detto Ando, che ai tempi (forse ancora oggi) conosceva a memoria tutti - dico tutti - i cast delle commedie Anni 80 più trash e pecorecce. Quelle con la Fenech (Edwige), Carotenuto (Mario), Vitali (Alvaro), Gammino (Michele), e via elencando. Dal momento che gli attori erano sempre gli stessi, più o meno una quindicina, rigorosamente mixati di volta in volta, la sua non comune abilità quizzarola stava nel riuscire a ricavare il titolo del film fornendogli 3-4 nomi. Era imbattibile.
Un giorno Ando, giargianella, decise di fare un'altra cazzata: sposarsi. La fortunata era tale Cristina, soggetto che scoprii più tardi essere provvisto anche di ironia. Fondamentale nel contesto di ciò che sto per raccontarvi.
"Che cosa regalo ad Ando e Cristina per le loro nozze?". Il pensiero mi tormentò per un paio di giorni. Poi, la folgorazione. Non che cosa, era la domanda da farsi, ma CHI. Ando è un amico speciale, serve un regalo speciale nel solco della sua cinefila passione.
Franco Bagnasco e Jimmy negli ultimi anni passati alla Casa per coniugi di Milano.
Lì l'attore chiese il sussidio legato alla Legge Bacchelli.
Ci sono: Jimmy il Fenomeno! La leggenda del trash italico su celluloide. Che conoscevo per lavoro ormai da tanti anni. Jimmy all'epoca stazionava all'Hotel Cervo di Milano. Cercando ovunque ospitate e particine che ormai quasi tutti gli negavano. Trattai con lui un ingaggio adeguato all'impegno richiesto, promisi di andarlo a recuperare personalmente in loco, e l'affare andò in porto.
Il 10 aprile 1999 partii da Milano verso un paesino dell'Oltrepò Pavese con a bordo, al posto del navigatore, l'irriducibile Jimmy. Sul sedile posteriore una mia ex fidanzata, che diventò ex per altri motivi, ma che teoricamente avrebbe anche potuto farmi causa per danno biologico a seguito di quel viaggio.
Scoprii lì che il mitico Luigi Origene Soffrano non recitava affatto. O se lo faceva era del tutto incidentale. Egli era veramente così: speciale. 

Non stava fermo un secondo su quel benedetto sedile. Urlacchiava, rideva, piangeva, si spegneva improvvisamente per poi riaccendersi dieci minuti dopo più carico che mai. Una molla. Ogni tanto litigava (o fingeva di litigare) al telefono con una presunta fidanzata. La mandava a quel paese, poi voleva fare pace, poi la sfanculava di nuovo e scagliava ovunque e con forza il cellulare in auto. Vetri e guida a rischio, braccio destro steso perennemente su di lui per placarlo. Non sapevo più che cosa fare. Cercai prima di blandirlo, poi di farlo ragionare, infine lo cazziai. Inutile dire che fu un viaggio indimenticabile e soprattutto (credetemi) interminabile.  
Ci fermammo alla chiesetta di San Damiano al Colle (una settantina di non banali chilometri da Milano) ovviamente in ritardo sulla tabella di marcia; io paonazzo e madido di sudore. Sposi all'interno, cerimonia già iniziata. In un secondo, lo stupore di invitati e familiari: Jimmy parte in quarta dal sagrato, dimentica tutti i turbamenti personali, ed entra non solo in parte, ma anche nel luogo di culto in preda agli spasmi e alle contrazioni ad alto volume che l'hanno reso celebre. Guadagna l'altare, tenta di baciare sulla bocca il paziente parroco. Insomma, un Jimmy in splendida forma. Un cadeau birichino perfetto per il matrimonio del secolo. E vissero felici e contenti, come da foto ricordo.
 
Come dici? Vuoi sapere se Jimmy si fermò poi a destabilizzare anche il pranzo di nozze? No, voleva rientrare assolutamente a Milano. Io d'altro canto non potevo perdermi il buffet e le forze - giuro - non mi avrebbero consentito di riportarlo in città. Di affrontare un viaggio come quello d'andata. Lo sganciai alla vicina Stradella (poco servita) e lo misi sul primo treno. Credo sia arrivato in nottata.
Quella sera mi addormentai "stanco ma felice", come nei temini delle elementari.
Ando ancora oggi sostiene che per quello scherzetto di Jimmy alle sue nozze io sia stato "Uno str... Un grande str... aordinario burlone".

martedì 16 dicembre 2014

AGON CHANNEL * CARO BECCHETTI, DOPO CAPRARICA PRENDI JIMMY IL FENOMENO

Antonio Caprarica, che si è appena dimesso - a sorpresa - dalla carica di direttore responsabile del Tg dell'albanese Agon Channel, è uno che mi fa impazzire.

Sentite qui la dichiarazione ufficiale appena fatta all'AdnKronos: «Mi sono dimesso per giusta causa, per la mancanza assoluta delle strutture e del personale minimi per mandare in onda e confezionare un tg. Se questa è la tv del futuro, io non intendo starci. Mi hanno promesso sul contratto una struttura rispondente agli standard internazionali e mi sono ritrovato a montare i servizi nei container, con una redazione di nove persone che doveva realizzare tutti i tg, due ore di programma del mattino e un'ora di approfondimento serale. Più che la tv del futuro è la tv delle repliche ... Ho fatto l'impossibile per assicurare la messa in onda del telegiornale Agon News - ben 10 edizioni al giorno -, del programma mattutino I Primi (8,00-10,25 ogni giorno) e degli approfondimenti quotidiani di Times Square (cinque appuntamenti settimanali in seconda serata, tre condotti da me): il tutto con nove redattori. E basta. Non un producer, un autore, nemmeno una segretaria di redazione. E un solo apparecchio telefonico per tutti ma non una stampante ... Tanta fatica risulta comunque sprecata in mezzo a una programmazione di canale che, in mancanza di magazzino, offre solo repliche dopo repliche - perfino della festa di lancio del 25 novembre... - come i rari spettatori di Agon Channel Italia hanno potuto tristemente verificare».

Al di là dell'uscita di scena da gran signore (e prendendo per buone le tue affermazioni), sant'uomo d'un Caprarica, la domanda nasce spontanea: non ti sei sincerato prima di dove stavi andando a lavorare? Un giornalista d'esperienza come te, prima di accettare un incarico così prestigioso (peraltro appena rifiutato da Alessio Vinci), non ha verificato che ci fosse la struttura adeguata per supportare la messa in onda di un Tg? 
A me risultava che solo pochi giorni prima della partenza ci fossero problemi (forse un contratto discusso e non ancora in essere) con un'agenzia che doveva fornire i contenuti giornalistici più datati, il cosiddetto materiale d'archivio. Questo tu lo sapevi, Antonio santo. Non potevi non saperlo. Perché di quel tg eri il direttore.
La verità, forse, è che sei andato allo sbaraglio sperando che ti andasse bene, e ora sbatti la porta facendo la scena madre.
Fonzie ti avrebbe dato quantomeno del pivello. A Milano si chiama in un altro modo.
Ora lasci Simona Ventura al suo calcistico destino albanese e Sabrina Ferilli a intervistare, dopo Veltroni («Frost Vs. Nixon», ha detto qualcuno) la figlia di Wanna Marchi e Ali Agca. A modo suo artigggiano della qualità. Fossi nei panni di Becchetti, per sostituirti prenderei Jimmy il Fenomeno.

sabato 23 gennaio 2010

LA FIGLIA DI «FANTOZZI»? E' VIVA, LOTTA INSIEME A NOI (E FA LO SCULTORE)

Plinio Fernando.
Era sparita da 15 anni. Eppure la figlia di «Fantozzi» è viva e lotta insieme a noi. «Abbia pietà quando scrive di me, lei che è giornalista...»  dice facendo il verso al servilismo di Paolo Villaggio, suo papà putativo.
Come forse non tutti (ma di certo molti cultori del genere) sanno, la «piccola» Mariangela, passata alla storia del cinema per tutto tranne che per la sua avvenenza, è in realtà un uomo: l'attore Plinio Fernando. Un signore timido, affettuoso e riservato nato per caso a Tunisi - da genitori italianissimi - il 15 settembre 1947. E sparito dalle scene nel 1993, quando girò «Fantozzi in paradiso»; l'ultimo capitolo della saga dell'impiegato più sfigato d'Italia. Nel '74 il debutto sul set del primo film, indossando le improbali camicie da notte e le vezzose cuffiette di Mariangela. «La bertuccia», come la chiamava l'implacabile geometra Calboni. Da lì, pian piano, l'ingresso nel mito, come è accaduto ad altri grandi caratteristi come Bombolo e Jimmy il Fenomeno.

Di Plinio Fernando nulla si sa, compresa la data di nascita, sbagliata (sino a ieri) persino dai più accreditati siti di cinema. «Di "Fantozzi" ne ho girati otto» ricorda con l'inconfonbile voce chioccia. «Mi scelse il regista, Luciano Salce, dopo che mi presentai a un provino in via Monte Zebio, qui a Roma. E Villaggio si trovò subito d'accordo. Ho fatto l'accademia di recitazione, con il metodo Stanislavskij. E questi film mi hanno consentito di lavorare oltreché con Villaggio, anche con Milena Vukotic, la signora Pina, Gigi Reder-Filini e Anna Mazzamauro, la signorina Silvani. I più grandi. Ma non ho fatto solo quello. C'è stato il teatro, con due commedie, "Pupe pupe della malavita", ispirata a Feydeau, e "Allegria con cadavere". E poi sono stato un chirurgo in "Sturmtruppen" di Salvatore Samperi». Che effetto faceva vestire i panni della brutta per eccellenza? «Beh, in fondo era solo un ruolo, un lavoro come un altro» dice. «E non dimentichiamo che tutti i più grandi attori si sono vestiti da donna: da Ugo Tognazzi ne "Il vizietto" a Tony Curtis e Jack Lemmon in "A qualcuno piace caldo"».
Quando il periodo cinematografico del tenero Plinio si è chiuso («Forse era finita un'epoca, e poi io prima di lanciarmi in nuove avventure ci penso molto, ho paura di sbagliare; avrei dovuto fare i reality in tv? Li detesto»), nel '94 è iniziata la sua nuova carriera, quella di scultore. «Perché gli artisti sono come i diamanti: hanno mille sfaccettature» dice il nostro con orgoglio. Se si tenta di sapere qualcosa di più sul suo privato, si schermisce, misura le sillabe, chiede di evitare. Nei suoi modi si intuisce il travaglio interiore che sta dietro la vita di tutte le persone sensibili. E che non si può non rispettare. Guarda le sue creature - pochi quadri di nature morte e altre sculture: sono soprattutto le teste di terracotta, la sua passione, alcune delle quali impreziosite da smalto e oro - ed esclama: «Belle, vero? Ho fatto quattro anni col maestro Luigi Diotallevi, e da lui ho imparato molto di quello che so. Prima di decidermi a inagurare una collettiva ci ho messo un po', ma ora sono soddisfatto, vorrei farne tante in giro per l'Italia. Se oggi sono felice? La felicità è un attimo... È finita l'intervista, vero? Vuole che le racconti una barzelletta?». Prego. «Siamo tutti uguali davanti a Dio, ma non davanti al bancomat». E a labbra sigillate allarga gli angoli della bocca in un sorvegliatissimo sorriso.

Grazie di esistere, Plinio.


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