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domenica 21 novembre 2021

QUEL VIAGGIO A VIENNA ANNULLATO DUE VOLTE (CAUSA COVID)

Uno scorcio di Vienna, in Austria.

Breve storia triste. Nell'autunno 2020 (sfruttando un buono di Airbnb che doveva rimborsare un pasticcio fatto per un viaggio americano; Airbnb America ve la sconsiglio caldamente) prenoto 3 notti a Vienna - che desidero visitare da anni - dal 5 all'8 dicembre. Ma alla vigilia della partenza il Covid infuriava da noi e in tutta Europa, quindi sono costretto ad annullare accordandomi con la proprietaria dell'appartamento per rinviare il soggiorno di un anno esatto, dal 5 all'8 dicembre 2021. I biglietti aerei ci vengono rimborsati dalla compagnia.
Arriviamo a fine novembre 2021. In Italia col Covid, grazie ai vaccini diffusi piuttosto massicciamente, ce la caviamo ancora. In Austria però, dove le vaccinazioni si sono fermate al 65% perché (incredibile) ci sono più coglioni che da noi, il Paese è totalmente nelle peste. Sino alla scorsa settimana si ventilava un lockdown solo per i non vaccinati, che sarebbe stato comunque un problema, ma l'altroieri il Governo locale ha deciso per «almeno tre settimane di lockdown totale e obbligo vaccinale da febbraio». Come mi ha scritto la proprietaria di casa rammaricandosi per il fatto che noi non si possa (ancora una volta) sfruttare i tre giorni di vacanza.
La tipa è molto gentile, quindi si dichiara disposta a spostarli nuovamente al dicembre 2022 o anche solo alla prossima primavera, se la situazione sarà migliorata. Intanto Ryanair si spera che rimborsi i nuovi biglietti aerei acquistati, e teoricamente sarebbe tenuta a farlo.
Nel frattempo io ho capito quel che dovevo capire subito: non devo andare a Vienna, ma a Lourdes a farmi benedire.

martedì 7 luglio 2020

LA LIGURIA GIUSTO UN ANNO FA AVEVA IL PROBLEMA DI MANDARE VIA I TURISTI

Fabrizia Pecunia, sindaco di Riomaggiore, nelle Cinque Terre.
Travolta da un insolito flusso turistico nell’azzurro mare di luglio. Tocca parafrase un leggendario titolo di Lina Wertmuller per raccontare la storia di Fabrizia Pecunia, 46 anni, indomito sindaco di Riomaggiore, una delle Cinque Terre. Le altre sono Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso. Questo paradiso di sole, salsedine e case dai colori pastello a Est della Liguria, è congestionato dai villeggianti mordi e fuggi, e Pecunia, bella e combattiva almeno quanto Mariangela Melato nel film con Giannini, ha fatto il grande passo. Un’ordinanza di protezione civile con «allerta folla» con la quale di fatto limitava l’accesso al territorio. Accompagnata da parole forti: «Da domani non farò più scendere dai treni le persone, le farò bloccare in stazione, non entreranno in paese».
Dottoressa Pecunia, chiariamo subito: sindaco o sindaca?
«È uguale, sono una contabile, già commercialista e revisore dei conti: bado solo alla concretezza». 

Qual è a oggi la situazione a Riomaggiore e Manarola, l’altra località che è sotto il suo controllo?
«I treni circolano e i turisti scendono regolarmente. Trenitalia, che avevo segnalato anche a prefetto e Procura, ha fatto ricorso al Tar contro la nostra ordinanza. Il Tar l’ha annullata, ma solo perché non definiva in modo ancora più chiaro gli interventi da fare».
Quindi?
«La rifaremo più dettagliata. Intanto è stato stabilito che ci sono esigenze di sicurezza che vengono prima di quelle turistiche. Bisogna pianificare le azioni da fare, e quel che auspico è una collaborazione con Trenitalia, che sinora non c’è stata». 

Siete davvero così nei guai?
«L’emergenza vera è per 10-15 giorni l’anno: 25 aprile, 1° maggio, Pasqua, i ponti primaverili… Ora vedremo Ferragosto. Ma c’è stata un’impennata di turismo, anche crocieristico: ci sono giorni in cui nella vicina La Spezia sbarcano 14 mila persone».
Perché questo boom?
«Tanti fattori, compreso Instagram. Molti nel mondo vedono la classica foto delle case colorate a picco sul mare, e vengono qui per farsi il selfie. Siamo entrati, insieme con Roma, Venezia e Firenze nel giro dei luoghi assolutamente da vedere in Italia». 

È vero che avete in media 92 turisti al giorno per ciascun residente?
«Sì, e Monterosso 129. A Riomaggiore ci sono 1.500 abitanti e 1.900 posti letto. Con 3-3.5 milioni di presenze l’anno. La gente del posto preferisce ormai vivere altrove e affittare casa qui. E questi luoghi vanno preservati: sono e devono restare vivi. A Manarola siamo passati da 740 mila turisti nel 2014 a un milione e 400 mila nel 2017».
Quindi scatta il: no, grazie. Ma scusi, visto che secondo i latini «Pecunia non olet» (Il denaro non puzza) - citazione che le avranno già fatto milioni di volte – che cosa ne pensano ristoratori ed esercenti di questa voglia birichina di tenere lontana la gente?
«Siamo assolutamente pro turismo. Ma per le Cinque terre ci vogliono una strategia e un coordinamento globali, se occorre regionali o governativi, per non collassare. E poi guardi: io d’inverno fatico a far tenere aperti i negozi. E quando aprono, non c’è esercizio che non sia sempre, totalmente sold out. Non abbiamo mai avuto la ricettività. I turisti passano, prendono acqua, gelato e panino, e se ne vanno». 

Toccate e fughe che rendono poco?
«Pochissimo. Per questo dico: nelle Cinque Terre aboliamo la tassa di soggiorno, e introduciamo quella turistica: 50 centesimi per ogni biglietto di treno staccato. Avremmo soldi per tutte le nostre esigenze».
Senta, è sposata, ha una figlia di dieci anni, Ester, un bell’eloquio, un’ottima presenza e fa politica con passione dal 2011. La vedremo presto a Montecitorio?
«Mannò, non ipotechiamo il futuro: sono sindaco dal 2016 e cerco di portare avanti con coraggio la mia missione qui: è già tanto. Ho ereditato un comune in default». 

Ma scommetto che in autunno la vedremo in qualche talk-show.
«Non so, vedremo. Andrò se e dove mi inviteranno, forse».
Scommetto che ai convegli del suo partito, il Pd, fanno a gara per sedersi accanto a lei.
«Eh, sempre che riescano a mettersi d’accordo. Perché sa, nel Pd c’è sempre un po’ questo problema».


(DAL SETTIMANALE OGGI - GIUGNO 2019) 

domenica 17 gennaio 2016

BARCELLONA * 10 BUONI MOTIVI PER AMARLA

10) Barcellona (forse la Spagna in generale, isole comprese) non è una città per vecchi. Te ne accorgi subito dalla velocità del giallo lampeggiante ai semafori pedonali. Dura talmente poco, che se non hai lo scatto di Tyson Gay, ti arrotano seduta stante e il giorno dopo addio pensione. Alcuni impianti hanno messo a dura prova anche il mio noto fisichetto da centometrista. 
L'architetto Antoni Gaudì, il barcellonese più apprezzato, morì sotto il tram cittadino numero 1. Se guardiamo le cose in prospettiva, aveva capito tutto anche lì.

9) La Sagrada Familia. Che è un po' il Ponte sullo Stretto di Messina per noi italiani, con la differenza che questa esiste davvero. Iniziata nel 1882, la finiranno nel 2026, è perennemente circondata da gru, operai e lavori in corso (se c'è vento non ti fanno manco salire tra le guglie), ma ti sorprende fuori con la sua bizzarra imponenza, e dentro per via di quelle immense vetrate multicolori che sono un marchio a fuoco. È un «tempio espiatorio». Nel senso che si espia durante le code all'ingresso.

8) Le Tapas. Scritto rigorosamente con la maiuscola, per il sacro rispetto che si deve loro. Occhio alle fregature, però. Ti troverai senz'altro bene in posti come il «Ciudad Condal», per esempio. Centralissimo, piazzato sulla Gran Via poco distante da Plaza de Catalunya, è sempre troppo pieno, ma merita attenzione. E le preparano al massimo due ore prima. Non al mattino o il giorno precedente. Anche il rosso d'ordinanza che servono al bancone non è un vinello da catering.
Le trovi più innovative e un po' meno digeribili, invece, al «Solid». In un ristorante che si chiama «Gaudim» ho mangiato un solomillo (filetto, in pratica) in crosta di noci su letto di purea di porcini con contorno di asparagi e patate che avrebbe resuscitato persino Osvaldo Bevilacqua. La paella (meglio se con mariscos e bogavante) invece va mangiata al «7 portes» oppure al «Botafumeiro». Quest'ultimo decisamente caro, ma con tutti i soldi che già butti in scemate...

7) Il Parc Güell. Park per gli stranieri. Una tra le creazioni di Gaudì. Maestoso, incastonato in una collina, ti affascina soprattutto quando arrivi al piazzale del mirador, dove le sedute ondulate realizzate con nobili frammenti di ceramiche e materiali di recupero, secondo lo stile dell'architetto catalano genio del modernismo, prendono vita con i raggi del sole. E si aprono al panorama della città. Ah, uscendo devi farti la foto sulla scala, con la strana scultura a forma di salamandra, altrimenti non sei nessuno. Per farlo però devi avere la meglio sui giapponesi. Coraggio.

6) I servizi. Riusciamo a prendere schiaffi anche qui. Persino in bassa stagione, quando alcune cose sono chiuse, come la mitica funicolare per Montjuïc, che in gennaio va in manutenzione. Una volta su, resta però in funzione la teleferica. 
Barcellona ha una rete metropolitana così efficiente e capillare (se penso a quella di Roma, mi viene da piangere) che levati, e l'aeroporto è collegato in un quarto d'ora al centro grazie ai treni e soprattutto agli Aerobus che a 5,90 euro a tratta fanno continuamente la spola.

5) La Casa Battlò (si pronuncia Bagliò, ma Claudio e Napoli non c'entrano). Esempio più fulgido, assieme a La Pedrera (Casa Milà) della grandezza di Gaudì, porta il blu del mare, le onde, la natura, gli oblò del Nautilus, le lische di pesce, in una dimensione domestica. Dal soggiorno guardi in strada attraverso vetri ondulati, e chi passa ammira te. È qualcosa di unico, da visitare e contemplare. Una dimora museo a più piani che convive con abitazioni e uffici. Visto l'afflusso turistico, non vorrei essere nei panni di chi lì ci lavora tutto l'anno.

4) La Rambla, che conduce sino al Porto e alla spiaggia della Barcelloneta. 
A mio avviso sopravvalutata, ammazzata da inutili bancarellari e ristoranti per gonzi (di notte diventa anche poco sicura, con truffatori che si prodigano per farti fesso sapendo che spesso ti sei già portato avanti di tuo), dà comunque il meglio quando si apre alle stradine e ai localini del Barrio gotico, al tipico mercato de La Boqueria, oppure alla Plaza Reial. Se finisci davanti al MACBA, il Museo di Arte Moderna di Barcellona, dà retta a un pirla: risparmiati il biglietto d'ingresso. La cosa più sorprendente da vedere sono le centinaia di ragazzini che vanno sugli skateboard nella piazza di fronte. Fatti piuttosto due squisite tapas al jamon nel vicino, semplice e caratteristico bar «Casa Almirall».

3) Il garbo antico col quale la lingua catalana definisce alcune cose. Per esempio, una tra le vie principali del centro di Barcellona si chiama Passeig de Gracia. Ovvero «Passaggio di grazia». Avete mai sentito un modo più elegante per dire che c'è gnocca in giro? Io, in vita mia, mai. Solo in Spagna potevano inventare il flamenco.

2) Il Palau de la musica. Un altro capolavoro, da vedere possibilmente sia di giorno (ci sono visite guidate, meglio prenotare) che di sera, per via del diverso utilizzo delle luci all'interno, fra palco e platea. Un trionfo del modernismo, ma anche della classe, dell'opulenza costruttiva. 

1) La gente. Città cosmopolita, ricca, con una buona presenza di italiani, Barcellona a volte riesce a stupirti per l'approccio che ti riservano gli indigeni, in genere piuttosto cortesi. L'altro giorno un mendicante mi ha chiesto qualche moneta chiamandomi «Ehi, Papi». Non so se per via dell'età, o della somiglianza con Silvio o Enrico. In ogni caso, ho passato un brutto quarto d'ora.

domenica 30 agosto 2015

GRECIA, SANTORINI * TUTTO QUELLO CHE C'È DA SAPERE

- A Santorini capisci perché parlano della Grecia come "terra di contrasti": Fira è così congestionata che se devi fare manovra o parcheggiare lassù, litigare a morte con qualcuno è un attimo.

- A Santorini ci sono due chiesette bianco-azzurre per ciascun residente. Se nasce qualcuno e vanno improvvisamente sotto la media, ne costruiscono una su due piedi in mezzo alla strada.

- A Santorini, che è vulcanica, c'è il leggendario "mare nero, mare nero, mare ne" cantato da Battisti e Mogol. La sabbia è scura e per spaventare i bambini basta minacciare di buttarli in acqua.

- A Santorini quelli che hanno lo yacht figo non vanno perché si vergognano: stanno meglio i ricchi negli hotel con la piscina a sfioro a strapiombo sulla caldera. Volendo li guardano dall'alto col cannocchiale mentre sono sulla barca e li prendono anche per il culo.

- A Santorini con 7-10 euro al massimo prendi due lettini e un ombrellone. In quale stato siano, se rotti, puliti, sporchi, appiccicosi, con i resti della merenda degli inquilini precedenti, non è dato sapere. Va molto a fortuna.

- A Santorini infatti non ti danno un servizio, ma qualcosa allo stato basico, il magmatico spunto iniziale, poi sono totalmente cazzi tuoi. Qui vige la più rigorosa approssimazione. Paghi 10 euro per un centrifugato e molto meno per qualche spicchio d'anguria, ma se ti arrivano caldi e ti lamenti, ti guardano storto, serafici e perplessi, come a dire: "Ma che ostia vuoi? L'anguria te l'ho data, adesso la vorrai mica anche fresca da frigorifero?". Qualcuno ostenta anche stupore, perché per loro è del tutto naturale. L'anguria è arrivata così, un dono del cielo, e io così te la do. È già tanto se ti ho fatto il centrifugato. Pedalare.
 
- A Santorini, se vuoi pagare l'appartamento ("Sa com'è, sono 1050 euro, non li ho con me...") con carta di credito e non in contanti, ti guardano come se avessi scelto come babysitter per il loro unico figlio la Franzoni, e poi ti caricano dietro, in scooter, per portarti nel posto dove detengono l'unico pos a loro disposizione, scarsamente usato, e fanno l'operazione. Ancora visibilmente scossi.

- A Santorini, se le cerchi senza neppure troppa fatica, trovi le semplici, caratteristiche Taverne sulla spiaggetta dove con 40 euro in due fai un'ottima mangiata di pesce. Davvero. Fammi solo una cortesia: se prima di andare via vai alla toilette, non buttare un'occhiata in cucina.

- A Santorini c'è la famosa spiaggia Red Beach. Ve ne avranno già parlato. Adesso ve la descrivo meglio. Red Beach è una piccola trappola per turisti di tutto il mondo. Si chiama così perché caratterizzata dalla presenza di rocce rosse o piccole pietre sulla scogliera e il bagnasciuga. Ci si arriva, in genere sotto il sole a picco, percorrendo un irto sentiero fra gli scogli dove (già in questa fase) non pochi invocano con dovizia tutti i santi del calendario gregoriano. A metà sentiero ci sono la bancarella di un venditore di frutta e un complessino locale di tre persone, tutti ustionati, che allieta i pellegrini con le nenie isolane. All'udire di questi lieti suoni alcuni, come in preda a un raptus, scaraventano la suocera dal dirupo. All'arrivo sulla piccola spiaggia stracolma di pazzi si materializza la beffa: l'acqua è nettamente sporca di alghe e olio di motore delle tante barchette-navetta che arrivano lì facendo la spola. I lettini, messi in modo fitto fitto, compongono un carnaio e sono tutti occupati. Trovi posto solo sui peggiori: 14, sempre vuoti, piazzati sul bagnasciuga, dove chiunque ti schizza e ti cammina in mezzo agli zebedei. Ma non puoi più andartene, perché ormai sei lì, e la via del ritorno è altrettanto lunga e perigliosa.
 
- A Santorini ci sono più coppie in viaggio di nozze che in tutto il resto del mondo. Molti vengono a sposarsi qui e poi, in bianco e nero da cerimonia, si fanno il servizio fotografico nei punti più suggestivi dell'isola. I fotografi li conoscono tutti, e bloccano il traffico delle viuzze. Ho visto una vecchia signora greca uscire imprecando dalla porticina di casa perché il 23esimo assistente di fotografo della giornata le aveva urtato con le batterie di scorta l'uscio di legno appena verniciato.

- A Santorini, come da noi, hanno iniziato a vendemmiare. Per farlo chiamano i sette nani perché le viti sono alte non più di 40 centimetri. Mai visto niente del genere.

- A Santorini bisogna stare attenti ai punti panoramici detti "Unique View", indicati da appositi cartelli. Puntano il tramonto, la Calderara del vulcano, qualsiasi cosa. Una volta trovato il primo, pensi sia finita lì. Invece i punti di vista "unici" sono circa 1.237. Buona fortuna.
 
- A Santorini l'80% dei turisti è italiano. Il restante 20% un mix di francesi, tedeschi, orientali e varie altre nazionalità. Sul totale degli italiani, si registra un 80% secco di napoletani. La restante parte sono pugliesi e un frappè di nordici. Se un napoletano da solo in ferie non esiste in natura, due sono un plotone, e cinque-sei hanno il potenziale rumoroso/offensivo dello sbarco in Normandia. Non di rado quindi capita di girare per suggestive stradine o ammirare in silenzio romantici tramonti, sentendo risuonare all'improvviso a tutto volume: "Uè, cumpààà... Te la si' accattàte la maglietta allo shoppe?". Oppure: "Mo pigliammo 'o quòdde, e ce ne ìmmo a cercà nu bello risturante... Jamme ja". L'altra mattina ho intercettato una famiglia di 7 napoletani (impossibile stabilire con certezza i decibel prodotti) in un bar per colazione, dove dopo "'o cafè" la signora, controllato con giustificata preoccupazione il meteo sull'iphone, ha chiesto all'anziano barista greco parlante inglese: "Schiüsmi, where is the weather tomorrow?". L'uomo è rimasto un po' interdetto e se ne è andato, purtroppo senza la prontezza di rispondere "Everywhere".
- A Santorini il wi-fi formalmente te lo danno gratis ovunque. Ci mancherebbe. In realtà il poveraccio aggancia, annaspa per ore, e poi alza bandiera bianca. Comunque: "Tesò, nun te preoccupà, aggio dumandate 'a passuòrd".

- A Santorini, in località Oia, uno stupendo paesino arroccato, ogni santa sera fra le 18 e le 20.30 c'è la transumanza di centinaia e centinaia di turisti (non esagero, alcuni per i posti sono lì dalle 16), in pratica tutti i presenti, verso il punto estremo, dove assistere al tramonto. Si creano decine e decine di piccoli accampamenti sulla collina sino all'applauso finale. Purtroppo il dilagare delle aste telescopiche da selfie, che ha ormai praticamente chiunque, fa sì che questa transumanza diventi assai pericolosa. Ragazze e signore di ogni età avanzano verso il sole più favorevole brandendo il bastone in orizzontale e guardando solo in camera, incuranti delle ferite inferte a se stesse e al prossimo. Si calcolano ogni giorno decine di perdite.

- A Santorini, al porto, partono anche i traghetti per la vicina isola di Kazzos (esiste davvero, giuro, ma non sono andato).

- A Santorini ogni tanto, di sera, c'è il blackout. Com'è, come non è, talvolta salta la corrente. In modo apparentemente casuale, per una decina di minuti. La gente del posto sostiene che spesso la centrale non regga per eccesso di richiesta di energia. A me piace pensare che, travestita da odalisca, al riparo in un'umida grotta, la Culona Inchiavabile ogni tanto faccia scattare il contatore per reclamare col sangue la sua quota di risparmio greco. Anche a danno dei turisti. Ma temo che non sarà qualche mojito al buio a salvare questa terra così affascinante, eppure così trascurata.

venerdì 31 luglio 2015

FORMENTERA, VIRGEN DEL CARMEN * LA GRANDE PROCESSIONE MARINA

Se sei a Formentera il 16 luglio e dopo una giornata di spiaggia cerchi qualcosa d'inconsueto, che non t'aspetteresti mai in un posto così, non andare a Es Pujols a fare i gavettoni a Maldini o i selfie con Melissa Satta (mi dicono gli addetti ai lavori che fra l'altro quest'anno il vippame stia stranamente disertando la Isla). Sono attività improduttive. Fa piuttosto come me. Dirigiti con fiducia verso le 19 al porto de La Savina per partecipare all'annuale, temibile processione terrestre/marina della Virgen del Carmen. Un capolavoro praticamente sconosciuto agli italiani, e al cui cospetto la Coppa Cobram di fantozziana memoria diventa un gioco da tavolo. 
L'agghiacciante ma stupenda processione della Virgen del Carmen, patrona dei naviganti, è un evento monstre che tocca in modo incredibile le corde del sentimento religioso spagnolo. Parte dalla chiesetta del paese come una normale processione in tutte le chiesette di paese di questo mondo, con i fedeli che pregano seguendo il parroco e la Madonnina sorretta nella sua plastica ostensione, e si trasforma strada facendo in un'impresa epica.
Mentre il sacerdote e i suoi si fanno strada, sulla banchina del porto tre vecchi pescherecci di medio cabotaggio lì ormeggiati sono pronti a partire, ospitando, gratis, tutti coloro che vogliono salire a bordo e prendere parte all'evento. In

mezz'ora o poco più, le barche si riempiono all'inverosimile di fedeli e curiosi di ogni tipo, sul modello delle carrette del mare che arrivano a Lampedusa. Bambini col gelato colante, vecchie devote barbute, balenottere spiaggiate, coppie trendy, sudati in canottiera (parecchi), protestati, pensionati con la minima, si mescolano in un gigantesco carnaio. Come un treno estivo per pendolari e vacanzieri italiani, ma molto più naïf, visto che sono praticamente tutti spagnoli. E gli spagnoli nel kitsch ruspante non scherzano affatto.
Con alcuni amici, trovo posto casualmente sulla barca che (lo scoprirò di lì a poco) guiderà il gruppo. La più ambita. Vedendo l'affollarsi incontrollabile del mezzo e cercando una posizione migliore per scattare foto, salgo sulla torretta di prua dell'unico ponte superiore disponibile. Che si riempie in breve di altre decine di persone; tutti avevano fatto il mio stesso ragionamento. Dopo un quarto d'ora si presenta a sorpresa un tizio col cappello del Capitan Findus preso al mercato della Mola, si spaccia per il comandante e intima: "Signori scusate, ma c'è un problema: troppe persone sono salite qui sopra, e come capirete non posso far partire una barca che pesa 100 sopra e 50 sotto. Quindi una cortesia: ora tutti quelli sopra i 50 chili devono tornare di sotto. Facciamo in modo che quassù ci siano soprattutto bambini". Il mugugno è palese, ma il ragionamento non fa una grinza. La sicurezza prima di tutto. Del resto siamo già ben oltre (eufemismo) la capienza consentita. E continuano a far salire gente. Diligente, guadagno la scaletta per scendere a poppa. E come me un'altra decina di persone, non di più. Peccato che nel giro di cinque minuti salgano sulla barca, immediatamente fatti arrampicare sul ponte superiore a prua, nell'ordine: anziano prete capocordata benedicente, in divisa d'ordinanza; la Madonnina in ceramica 70 centimetri portata da quattro schiavi in canottiera; due assistenti del prete, sempre in divisa; una damigella con corona di foglie; tre musici (due vestiti con costumi tipici a prima vista sardi recanti naccherone giganti e tamburo, più un altro scazzatissimo che suona una sorta di flauto); tre suorine carmelitane grigie con pettorina e capricapo azzurro (per gli appassionati, 300 punti "sfiga di suora" ciascuna), e un poliziotto. L'altro rimane sul ponte inferiore insieme con un anziano reggente lunga asta di legno sulla sommità della quale è innestato il Crocefisso. Essendo alto meno di un metro e mezzo, il reggente era l'unico che non avrebbe creato problemi di peso salendo. Invece resta con me e la bolgia disumana lì sotto.
Risolti, come è evidente, con un sordido trucco ancora poco chiaro, tutti i problemi di sicurezza, la barca pilota prende il largo, seguita dagli altri due vecchi pescherecci stipati di gente sino all'orlo. La preoccupante inclinazione a destra (tecnicamente, tribordo) dello scafo è subito marcata, e tutti ci guardiamo preoccupati. Tutti i non spagnoli, naturalmente.

Perché gli iberici ridacchiano felici, anche delle paure altrui. È il gran giorno della Vergine del Carmine, e niente può andare storto. Non a caso la celebrano il 16 luglio, mica venerdì 17.
Inclinato come la torre di Pisa, con fluttuazioni a destra che aumentano drammaticamente a ogni virata (invano io e altri corpulenti rimbalziamo a destra e per cercare di compensare) i tre natanti guadagnano il largo. Prima seguiti e affiancati da una decina di barche. Poi, via via, da un centinaio di imbarcazioni di ogni genere. In breve, mentre una ragazzina alle mie spalle, è pronta a vomitare, un'intera flotta in borghese ci accompagna. Dal ponte superiore arrivano solo, incessanti, il battere ritmico delle nacchere, tre colpi di tamburo, e tre note di flauto, sempre le stesse. Il tutto ripetuto all'infinito. Il sospetto di andare verso la morte con un pessimo accompagnamento musicale, assale più d'uno.
Il punto designato per fermarsi è in mare aperto, esattamente a metà tra Formentera e Ibiza. Tace l'orchestrina, il prete fa spostare la Madonna vicino al corrimano, faccia a tribordo, pronuncia parole di rito e la damigella butta in acqua la rotonda corona di foglie, di circa 70 centimetri di diametro. Aumenta l'inclinazione a destra dello scafo. Segue generosa spruzzata di acqua benedetta che si unisce al mare. Da quel momento in poi, a bordo, scatta la festa: marinai improvvisati fanno partire senza sosta tappi del miglior Cava, lo spumante spagnolo (Fanta per i bambini), e pie donne girano a bordo con vassoi di dolciumi fatti in casa od offerti dalle pasticcerie locali. Manca il trenino di Disco samba, ma solo perché non c'è fisicamente spazio, meu amigu Charlie Brown.
Nel frattempo, il rito prosegue con la benedizione di tutte - ripeto, tutte - le barche che hanno seguito il corteo. In ordinata fila indiana affiancano il nostro peschereccio a tribordo partendo da poppa (alcune arrivano a pochi centimetri e quasi lo toccano), sostano qualche secondo guardando in alto verso la Madonnina, veloce spruzzata d'acqua benedetta dal sorridente parroco, e via. Verso nuove avventure. Davanti ai miei occhi sfilano, in ordine casuale (e dimenticandone parecchi): tre yacht di grosso cabotaggio popolati di ricconi che avrebbero avuto bisogno semmai di due-tre etti di sfiga, non della benedizione del natante (dagli oblò siamo oggetto di palese scherno da parte di alcuni bambini); un traghetto che fa servizio navetta Ibiza-Formentera; alcune barche a vela, tra le quali una con coppia agée vestita di lino totalmente bianco modello visita all'isola di Samoa, e corone power flower e un'altra con una band emergente che suona un pezzo dal vivo; una giovane coppia in canoa; tre ragazzi in windsurf; un paio di gommoni di sfollati; un bialbero blu con signora bene gnocca non più giovane in posa come polena (il marito è al timone molto compreso nel ruolo); diversi gozzi decisamente più pop, con famigliole numerose al completo (alcune signore visibilmente commosse); una barchetta con tavolo imbandito e ricca cena al centro. Potrei continuare per dieci minuti, ma ci siamo capiti. Un evento religioso-festaiolo di massa, che si svolge al tramonto, su un peschereccio completamente sbilanciato a tribordo e che riesce miracolosamente a non affondare. Circostanza che rafforza nei già devoti il culto della Virgen del Carmen e che le avvicina clamororosamente, e con una mano sola (perché l'altra è impegnata negli scongiuri), gli indecisi o gli infedeli. Vi consiglio di non perderlo, visto che, oltreché indimenticabile, è l'unico evento totalmente gratuito che troverete a Formentera. Per il resto, ovviamente, si paga ogni respiro.

mercoledì 1 luglio 2015

IBIZA SENZA PACHA * ECCO IL BEST: MIGLIORI SPIAGGE E RISTORANTI

Il vero problema di noi tardo-giovani, a Ibiza, è fare colazione. Il primo giorno sono sceso alle 9.30, che mi sembrava persino un orario decente, fra la marea di locali retrostanti la spiaggia di Cala de Bou, ovvero quella più vicina al mio residence. Tutto chiuso e in strada il deserto. Dal momento che qui chiunque, anche i pensionati con la minima e quelli col girello con le luci stroboscopiche, va a letto alle cinque di mattina sulle note di Bob Sinclar, e se parla di Amnesia si riferisce non a perdita momentanea della memoria ma alla nota discoteca ibizenca, le 9.30 per una colazione sono qualcosa di improponibile. Intercetto l'unico esercizio commerciale aperto oltre ai bancomat, un Rent a car, e chiedo al tipo all'ingresso dove si possa fare un bel breakfasf. Prima mi guarda con l'aria da: "Dai giargianella, mi stai prendendo per il culo!?", poi la trasforma in uno stato di diffidenza modello: "Questo mi vuole scroccare soldi con una scusa", e quando capisce che faccio sul serio la fossilizza in uno stato di netta, umana, civile compassione. Già me lo vedo più tardi all'arrivo del suo collega in ufficio: "Pedro, non sai chi è passato stamattina: un pirlòn che voleva fare colazione. Alle nove e mezza, capisci?". "Nooo Miguel, non ci credo!". E giù a ridere come matti. Per poi farsi improvvisamente seri, con Pedro che - con lucida visione prospettica - sintetizza: "Miguel, guarda però che su questa cosa c'è poco da scherzare: si comincia con un pirlòn che vuole fare colazione alle 9.30 e poi è un attimo fare la fine di Rapallo". Mala tempora...


L'abitato di Ibiza (Eivissa, come la chiamano loro) fa un po' storia a sé. Ma qui dove alloggio io, dalle parti di Sant Antoni, è tutto un proliferare di ragazzi inglesi alticci e vomitanti e ragazze sosia di Adele, la cantante non magra. L'altra notte ne hanno trovato uno in hotel morto per overdose. Un altro, sempre sotto sostanze stupefacenti, ha rubato un'auto di servizio della Pepsi-Cola, per poi fare un frontale con un vecchio Suv rosso a 200 metri dal luogo del furto. Anche sfigato, oltreché ladro. Un altro invece ha centrato la recinzione del bar "Vaca loca", quello con i giochi, la pedana elastica e il toro meccanico. Nell'incidente il giostraio riempi pista è rimasto senza naso. Ogni notte, solo in questa zona, transitano 5000-6000 persone, con appena due vigilantes della Guardia Civil. Troppo pochi, e i residenti protestano. In compenso la polizia ha appena portato a termine una retata antidroga. L'hanno chiamata "Operazione primavera", come i piselli dell'Esselunga. Due chili di cocaina, dieci di hashish e altrettanti di pillole chimiche di varia natura. Tutto per servire un'isola sette volte più grande di Formentera (la mia unità di misura) e con una ricettività ora al 62%. Record di transiti in aeroporto a maggio: 680.000. Formentera invece è sotto del 12% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La differenza è che qui la clientela viene da tutto il mondo. Là sono al 90% italiani. Se Renzi cala le braghe a noi, il bruciore a posteriori lo sentono anche loro, insomma. 


Dimenticando Playa d'en Bossa (la loro Rimini, con il mitico
hotel della catena Hard Rock Cafè, dove il 12 luglio si esibiranno Sabrina Salerno e Samantha Fox, quattro tette vintage che si proiettano nel futuro) un'icona trash più che una spiaggia, Ibiza come mare offre tanto. Basta sapere che cosa e soprattutto dove cercare. Le spiagge a Nord-Est non sono male ma un po' ventose e con troppi casermoni alberghieri piazzati in riva al mare. Errori urbanistici del passato. Quelle a Ovest, vicine a dove mi trovo (ma serve comunque un'auto a disposizione), mi sento invece di consigliarle. La più suggestiva e servita, a mio avviso, è Cala Bassa. C'è un'ampia spiaggia libera e lo stabilimento super chic, dove due lettini e un ombrellone costano 45 euro al giorno, ma te li danno solo se t'impegni a pranzare lì da loro, tra schiavi circassi, sexy massaggiatrici, bottiglie di Mumm e lettini balinesi. Non ho visto la lista, ma a occhio e croce per un secondo di pesce devi cedere un rene e il quinto dello stipendio. Anche quello di tuo cugino. Sul fronte parcheggio, ecco la trovata geniale: costa 5 euro al giorno, e in omaggio c'è una Corona. Intesa come bottiglietta di birra. Utile richiamo per una tappa ai bar della struttura a piluccare anche qualcosa annusando il bel mondo. Persino per quei volgaroni della spiaggia libera, non ammessi ovviamente alla zona privée. Perché, diciamolo, c'è un limite a tutto. L'esempio virtuoso dei parcheggiatori del Cala Bassa andrebbe seguito anche dai rampanti gestori dei locali milanesi. Visto che in città il bene più prezioso sono i parcheggi, dopo l'ape e l'apericena, suggerisco l'ApeParking: paghi 15 euro per lasciare l'auto, e il Cuba libre con le cibarie te li danno compresi nel prezzo. Diamo un valore alle cose, cribbio.

Alla spiaggia di Cala Salada, qualche chilometro dietro l'abitato di Sant Antoni, si arriva dopo un po' di curve ma poi si spalanca davanti agli occhi la ripagante meraviglia della baia. A Levante una spiaggetta istituzionale con ombrelloni e lettini; al centro, rocce per fare il bagno pelandosi le natiche; a Ponente, spiaggetta selvaggia difficilissima da raggiungere a piedi. E perciò molto ambita. E perciò sempre piena. L'acqua del mare a Cala Salada non è granché, va detto, ma la spiaggia, oltreché una formidabile trappola per turisti, è un trattato di microeconomia comparata. In un fronte di sabbia di appena 50 metri per 30, a semicerchio, trovano spazio, oltre ai bagnanti distesi sui teli mare, anche 7 (dico sette) tavolini molto improvvisati di ragazzi spagnoli abusivi che servono cocktails fatti sul momento. Una concentrazione che neanche d'estate in Corso Como. I tavolini sono carichi di bottiglie di superalcolici, frutta, bicchieri, sabbia e tutto ciò che può servire per il lavoro. Di solito si fanno accompagnare da una ragazza che intanto gira con vassoi di pastarelle salate o dolci tipici. La concorrenza è più che spietata, quindi con un accordo di cartello i nostri hanno fissato gli stessi prezzi: 4 euro i cocktail nel bicchiere di plastica piccolo; 8 euro quelli nel bicchierone da mezzo litro. Peccato che uno dei sette, un ragazzo furbetto e adrenalinico di origine brasiliana, il giorno in cui mi sono presentato io avesse deciso di sparigliare le carte servendo mojitos nel bicchierino a 1 euro l'uno. Un prezzo invincibile che ammazzava tutti i concorrenti, così imbestialiti che sono matematicamente certo abbiano poi ammazzato lui. Controllare a fine serata dietro gli scogli.
Ma la vera regina degli esercenti di Cala Salada è la leggendaria Rita, non più di 25 anni, di origine argentina. Piccina, mora con colpi di sole, corpo e seni perfetti, passa la vita in topless ed è un genio del marketing. Giuro. Come lei, nessuno. Mentre i suoi colleghi barman della mutua si azzannano spiaggiati nel libero mercato, lei lavora in monopolio con una strategia sopraffina. Arriva con tre borsoni pieni di semplici ponchos di cotone bianchi, neri o rosa molto traforati, quasi inesistenti e qualche vestitino bianco trasparente (anche di un certo gusto), li piazza e si piazza in piedi sul bagnasciuga guardando la spiaggia. Che intanto non guarda lei ma le tette, ovviamente. Lei non fa una piega e, serissima, come un direttore d'orchestra, inizia a infilarsi il primo capetto, che lascia intravedere tutto. Poi scarta a destra e si fa tutta la spiaggia velocemente, da levante a ponente, sempre sul bagnasciuga, sculettando. Infine ritorna al centro, si sveste e si riveste, ripetendo la sfilata con un altro poncho. Gli uomini ovviamente hanno la bava alla bocca, ma lei - astuta - non li degna di uno sguardo. A meno che non vogliano comprare qualcosa. L'attenzione complice è solo per le donne, che in pochi minuti, irresistibilmente attirate dalla malìa della piccola sirena, arrivano a frotte e comprano. Come se non ci fosse un (aereo) domani. Se dopo una quindicina di minuti rimane sola, Rita, che è aiutata anche da un discreto esibizionismo, riprende metodica il suo sexy show. In pratica, richiama l'attenzione su di sé sfruttando la libido maschile, per poi vendere un sogno (cioè l'idea di richiamare la stessa libido) alle donne. Che quello straccetto poi lo porteranno magari col costume sotto, senza il topless da urlo di Rita. E con qualche chilo in più. Ma cosa importa, in fondo? Signore che parlate tanto, come tutti, di Piano B, se avete bella mercanzia (in tutti i sensi) e voglia di lavorare, eccovelo servito caldo. Vi giuro che vorrei guadagnare io in un giorno un quarto dei soldi che fa Rita. Le darei in mano il Paese, lo dico. Le darei il Ministero dell'Economia. Porta grandi risultati senza dire una parola. Il politico perfetto. Un'utopia.


Menzione finale inevitabile per la bella spiaggia di Cala Tarida altrimenti nota come quella delle 14 fatiche di Cala Tarida. Mi spiego meglio. Lasci l'auto nella piazzetta sovrastante, poi raggiungi il mare percorrendo una lunghissima, strana scala in cemento impreziosita sul lato destro da un super scivolo per disabili. Giuro che vorrei tanto (ma proprio tanto) conoscere l'ideatore di questo capolavoro di architettura balneare perché ha battuto qualsiasi record di coglioneria. L'uomo, di una grandezza cosmica, ha pensato di abbattere le barriere architettoniche della scala abbattendo in modo molto più semplice sia il disabile che il suo accompagnatore. Come? Semplice. Lo scivolo handicap di Cala Tarida è un corpo unico in cemento che consta di due discrete salite in cima e in fondo alla scala, e vede svilupparsi al centro 14 (dico quattordici) micro salite da tre metri con pendenza attorno al 15-20% inframmezzate ciascuna da una piazzola in piano di circa due metri e mezzo per uno e mezzo. A meno che il disabile non sia fornito di una sedia a rotelle elettrica o a motore particolarmente (e sottolineo particolarmente) performanti, colui il quale si impegnasse a spingerlo sotto il sole più bieco fin lassù avrebbe morte certa, nonostante le beffarde piazzole per il riposino, non oltre la sesta-settima agghiacciante micro-salita. Nessuno, neppure l'Incredibile Hulk dopo avere appena saputo di essere becco da due anni per colpa di un impiegato del catasto, potrebbe farcela. Figurarsi un povero cristo qualsiasi. Per non parlare della discesa, altrettanto perigliosa. Il disabile arriva sul posto già un pochino incazzato di suo per più che comprensibili motivi, e si trova ad affrontare un cimento mortale, affidandosi con inusitata temerarietà al proprio accompagnatore, che in questo caso deve saper trattenere la carrozzina con una forza inaudita per evitare di farsela sfuggire dalle mani, vedendo il povero handicappato schizzare come un bob a quattro e schiantarsi inesorabilmente sugli scogli. 


Per la cronaca, nonostante una fantasiosa leggenda delle Baleari, quella de l'Hombre Invincible co' la su sedia semoviente, peraltro del tutto priva di riscontri, nessuno sfortunato è mai uscito vivo dalle 14 rampe (più due salite) di Cala Tarida.

lunedì 29 giugno 2015

IBIZA, LA VERA PAELLA, LE TRE FRANCESI E LA PUZZA DI FUMO A TAVOLA

Ieri sera, al termine di una giornata ventosa e meteorologicamente incerta, ho fatto pensieri impuri. 
Erano da poco passate le 21, e stavo seduto come un Papa nella zona un po' appartata della veranda del Can Pujol, un ristorantino in riva al mare, fissando davanti a me il vero amore della mia vita: una paella de mariscos gigante, quasi per due persone, a perfetta cottura, la giusta salatura, e all'interno tocchetti di verdure, pesci, molluschi e crostacei di ogni tipo: uno scampo enorme, due gamberoni, cozze, vongole, il legamento crociato di un'aragosta e persino parti di scorfano, con la sua polpa grassoccia, che mi sono convinto sia l'ingrediente segreto locale. Il tutto servito in padella antiaderente gigante piatta diametro 30. Con accanto un calice di onesto bianco, guardavamo insieme il tramonto dicendoci cose romantiche, sapendo che non ci saremmo mai detti addio. E che avremmo tanto riso. 


Insomma, un trionfo.
All'improvviso, il fulmine a cielo (poco) sereno. Entrano nel locale tre longilinee carampane francesi sui 55-60, firmate da capo a piedi più di un rogito notarile, e, senza degnarmi di uno sguardo, siedono al tavolo accanto al mio. Per poi farsi spostare dopo due minuti, causa vento, in quello di fronte a me, più riparato. In pochi secondi, con quella simpatia tutta loro, è un coro unanime di tipica onomatopea francofona ("Bou bou bou", "Là là là", "Bon Bon Bon", "Ceci, ce là", "Charles Trenet au pèst" e via discorrendo). Insomma ordinano, ma realizzo subito che si sta mettendo male. Malissimo. Come se non bastasse le tre scorfane, palesemente indegne persino di stare nella mia paella, per ingannare l'attesa, fanno la cosa più crudele che si possa fare accanto a me: si accendono simultaneamente tre sigarette. Ero distratto, ma non c'è aria aperta che tenga: la zaffata mortale mi arriva in un istante, colpisce le mie narici mentre sto assaporando la delizia, ed è subito disgusto. Totale, infinito. Chiunque mi conosca sa che detesto il fumo già in condizioni normali (in tanti anni, non mi sono mai messo con una tipa che fumasse, anche se altrimenti degna, giusto per rendere l'idea), figurarsi in quella situazione. 


Ricapitoliamo: tre brutte, vecchie e antipatiche (per antonomasia) francesi erano sedute a un metro da me emettendo gridolini e fumo di sigaretta a nastro mentre stavo mangiando. Non riesco a immaginare situazione peggiore. Nella graduatoria delle cose che avrei sopportato meglio c'erano senz'altro: Sanchez che mi mordeva l'orecchio, essere svegliato all'alba con un calcio negli zebedei (non necessariamente da Sanchez) e sette settimane di lupus eritematoso sulle natiche senza l'ausilio del Dr. House .
La Francia mi aveva dichiarato guerra, era evidente, e dovevo fare qualcosa. Soluzioni possibili: rivolgermi a loro con garbo antico chiedendo di smettere. Poteva funzionare, ma considerato che le tre si erano accese un'altra sigaretta anche durante il pasto (io la gente non la capirò mai), rischiava di finire a battibecco: "Nous sommes en plein air, à l'ouvert, faites le casses toi, que Nous se faisons les notres et campòns touts 100 ans". Già la sentivo risuonare nelle orecchie, quella maledetta frase. E poi non avevo voglia di litigare, di mettermi a questionare in vacanza. Avrei potuto usare un metodo molto francese: fare la spie, non essendo figlio di Marie. Chiamare il cameriere, segnalare il problema e sperare in una soluzione. Già, ma essendo maledettamente all'aperto, rischiavo di essere respinto con perdite. Forse. O forse no. Insomma, non se ne usciva.


È stato in quel preciso momento che, per qualche istante, un immondo, peccaminoso pensiero mi ha attraversato la mente: visto che le tre scappate da la maison di Versace mi avevano rovinato la cena con i loro immondi effluvi, avrei forse potuto combattere sullo stesso terreno olfattivo rimandando loro un profumo il più possibile vicino a quello del formaggio francese a lunga stagionatura. In fondo in determinate circostanze, come le serate un po' fresche e ventose, scarsamente vestito, alle prese con una gigantesca paella, sono in grado di produrlo senza troppe difficoltà (e persino senza impatto sonoro), quell'aroma intenso. Un po' stilton, un po' camembert andato a male. Avrei potuto forzare la mano (non esattamente quella, ma si dice così) e farlo, senza vittime civili innocenti, perché eravamo in due tavoli piuttosto isolati. Avrei potuto, ma non l'ho fatto. A vent'anni, forse. Ieri invece mi sono detto: Franco, ormai sei grandicello, non si fanno queste cose. Neppure se provocati. Lascia che stavolta la Francia vinca 3-0. Ma ovviamente, se le rivedrò, les dames de la mort civile non avranno una seconda occasione per passarla liscia.

venerdì 7 novembre 2014

IL SOGNO DI SAMMY * AFFETTO DA PROGERIA, IN VIAGGIO SULLA ROUTE 66

Sammy ha diciotto anni, si è diplomato da pochi mesi, e il suo sogno è sempre stato attraversare gli Stati Uniti percorrendo la leggendaria Route 66, che va da Chicago a Los Angeles. In pratica il classico coast-to-coast ma lasciando fuori New York e la rutilante Manhattan.

Sammy ha già visto l’America ma sempre e solo dalle finestre dell’ospedale dove spesso è stato ricoverato per sottoporsi a cure mediche, essendo infatti affetto da progeria, una rara malattia genetica meglio conosciuta come «sindrome da invecchiamento precoce», un invecchiamento che colpisce il fisico ma non la mente. Come lui solo pochissime altre persone al mondo soffrono di questa malattia che interessa un individuo su otto milioni.



Dal 16 dicembre, ogni martedì alle 21:00, Nat Geo People (canale 411 di Sky) propone «Il viaggio di Sammy»: l’emozionante racconto di un’esperienza unica tra luoghi e incontri eccezionali vissuta attraverso gli occhi del protagonista. Con Sammy, i suoi genitori Laura e Amerigo e il compagno di classe Riccardo, attraverseremo gli Stati Uniti, da Chicago a Los Angels, passando per i paesaggi della Monument Valley, del Gran Canyon e le luci di Las Vegas. Incontreremo la vera America, capi indiani, predicatori, amish e personaggi “inarrivabili” come Matt Groening e James Cameron in un viaggio che prende le forme di un sogno che diventa realtà.



martedì 23 settembre 2014

OLANDA (PAESI BASSI) * LE 10 COSE CHE HO IMPARATO DI AMSTERDAM

10) Vincent Van Gogh era vanitoso (un quadro su cinque sfornava un autoritratto) e gli piaceva (parecchio) dipingere. Vedi museo omonimo. Peccato sia morto a soli 37 anni, sennò gli facevo ritinteggiare anche il soggiorno.

9) Arrivato in centro per la prima volta, se non capisci nulla - e dico nulla - di come orientarti, non preoccuparti: è normale. Usa come punto di riferimento i principali cerchi disegnati dai mille canali navigabili cittadini, come si fa a Milano con le circonvallazioni esterna e interna. Oppure portati da casa un cane San Bernardo con attaccata al collo una botticella di grappa munita di Gps.

8) Vantando una lingua vagamente respingente ai più, gli olandesi parlano un eccellente inglese. Se ti fermi per qualche settimana, finisce che lo impari bene anche tu per osmosi. Oppure muori di stenti.

7) I nomi delle vie sono tutti - nessuno escluso - drammaticamente impronunciabili. A volte anche agli stessi amsterdamiani. Che non a caso sono stati costretti a imparare l'inglese.

6) La casa di Anna Frank è evitabilissima: due ore di coda, semivuota, e di norma non la trovi mai. Persino se avvisi. E l'Heineken Experience mi pare più una trovata furba per fare soldi sul marchio. L'Experience migliore la fanno i titolari di Heineken. Meglio optare per l'enorme museo di arte moderna, senza lasciarsi scoraggiare dal nome: Rijksmuseum.

5) Nelle famose vetrine del leggendario quartiere a luci rosse, il Red Light District, le migliori ragazze esposte (non fotografabili, pena l'amputazione delle mani) si trovano nella fascia notturna. Sono quelle che possono permettersi l'affitto degli spazi nelle ore più ambite. Se passi di giorno, in modalità low cost, c'è la fiera della buzzicona e la sagra della sdentata. E non credo che la dentatura sconnessa sia un plus per agevolare alcune prestazioni. È che esiste il prime time come in tv.
Attenzione: spesso alcuni clienti che entrano nelle anguste stanzette, all'uscita sono accolti da applausi, incoraggiamenti e da una ola. Uno spettacolo di rara tristezza.

4) Cannabis, marijuana, erba o come la si voglia chiamare, pur essendo un richiamo costante in città (vendono anche i chupa-chups nelle bancarelle e le lattine "starter kit" per i principianti) non va presa per strada ma nei tanti coffee shops. Più o meno di qualità. La canna non è legale ma tollerata. Fino a 5 grammi l'hashish si può vendere. Sino a 30 detenere per uso personale. Oltre i 30 grammi vi prendono per girare il remake de «I cannoni di Navarone».

3) È vero quel che dicono le donne italiane al vostro seguito: le ragazze olandesi standard sono tutte bionde naturali, pelle chiara, occhi azzurri, sorridenti, piacevoli. Ma uguali. Fatte con lo stampino, insomma. Uno scandalo, una noia assoluta.
Ecco, se possibile ne vorrei ordinare tre. Così, per iniziare.

2) Sesso e droghe leggere. Vecchi luoghi comuni vi hanno convinto che l'economia della città si regga su questi due segmenti commerciali. Niente di più sbagliato. Amsterdam campa di tulipani. Intere vie sono dedicate alla vendita al dettaglio su bancarelle del prezioso bulbo, anche con ghiotte offerte speciali. Un tempo le vetrine erano piene di tristi zoccoli di legno olandesi da portare a casa come souvenir. Ora sono quasi introvabili. In compenso i tulipani ti escono anche dal rubinetto dell'hotel e in giro ti piazzano chili di sementi in pacchetto ricordo. Il sospetto che ci sia un esubero di offerta non viene a nessuno.

1) Tutti vi avranno già detto che Amsterdam è famosa per le biciclette. Io vi dico di più. Amsterdam è totalmente in ostaggio dei ciclisti. Che si aggirano per strade, viuzze e canali con una velocità e una protervia imbarazzanti. Scampanellano, arrotano pedoni, sfrecciano senza pietà alcuna nelle piste ciclabili. E guai ad attraversarle camminando. Vi odieranno come si odia chi ha commesso crimini contro l'umanità. Qui il ciclista è padrone e si sente tale. Ha la meglio su auto, tassisti, mezzi di soccorso. Sottomette tutti. I più intraprendenti fra loro hanno chiesto e ottenuto lo ius primae noctis sulle turiste più piacenti. Che sono costrette a soggiacere fra soavi scampanellii simulando piacere e urlando il motto della città: «Valorosa, decisa, misericordiosa!» mentre si innesta contemporaneamente un cambio Shimano.
Peccato per i ciclisti, perché la città è davvero deliziosa.

giovedì 11 settembre 2014

CONTROLLATE LE VOSTRE RECENSIONI SU BOOKING: A VOLTE NON LE PUBBLICANO

Di recente ho soggiornato per tre notti in un hotel di Viareggio. Acquisto fatto tramite Booking.com, sito che ho sempre considerato affidabile. All'inizio del soggiorno, solo all'inizio, c'è stato qualche problema. Un responsabile della reception mi ha contattato telefonicamente la sera prima dell'arrivo per comunicarmi «per correttezza» (a suo dire) che avrei dormito due notti in una stanza per essere poi trasferito in un'altra l'ultima notte. Motivo? «Un altro cliente ha prolungato il soggiorno, quindi siamo costretti a spostarla. Glielo dico prima per correttezza». Il disagio non era così mostruoso, ma non avendo mai visto, dico mai, in tanti anni di alberghi, un comportamento di questo tipo, ho fatto presente che non ero d'accordo e che non mi sembrava affatto una comunicazione fatta per correttezza ma per altri motivi che non volevo definire. E che non era affatto corretto preferire un cliente a un altro che aveva regolarmente prenotato. Il tizio, con cortesia, fa un po' di marcia indietro rispetto al «per correttezza» che continuava a sbandierare, mi risponde che però non c'è nulla da fare e che ci saremmo visti il giorno dopo a Viareggio. Al mio arrivo all'hotel, l'uomo della reception (un altro) mi conferma il trattamento per me previsto. Stavolta però la motivazione è un'altra: «Sulle stanze c'è stato un errore del sistema di Booking, quindi dobbiamo spostarla». Io mi domando: nel 2014 c'è ancora qualcuno che utilizza l'incredibile scusa: «c'è stato un errore del computer» per giustificare un errore o una volontà personale? Evidentemente sì. C'è ancora qualcuno che ci crede? Direi proprio di no. In pochi secondi smonto - esattamente come Furio di Verdone - la cosa facendo presente al cortese signore che una giustificazione del genere non esiste in natura. A conferma accettata corrispondono stanza e giorni di soggiorno. Non ci sono altre opzioni. Faccio presente inoltre che accetto la cosa ma che riporterò l'accaduto nei feedback di Booking. Nel giro di pochi minuti, magicamente, il signore si mette a trafficare un po' sul computer bofonchiando «Ora vedo se riesco a fare qualcosa». E spunta la mia stanza - sempre la stessa - per i tre giorni previsti.

Al rientro a casa scrivo (come faccio sempre) una puntuale recensione per Booking raccontando tutto. Non tanto per pignoleria, quando perché i feedback il più possibile precisi (non verbosi ma precisi) sono utilissimi anche a me in fase di prenotazione. E restano uno strumento fondamentale per limitare al minimo le fregature.
Nei giorni scorsi ho controllato e quella recensione, misteriosamente, non figurava tra quelle dell'hotel in questione. Nonostante ne comparissero altre di viaggiatori che avevano soggiornato in periodi successivi. Ho mandato una mail all'assistenza clienti di Booking lamentando questa strana censura, dal momento che il mio feedback non conteneva alcun tipo di insulto e che il sistema aveva perfettamente accettato e registrato la mia recensione.
Il giorno successivo mi è arrivata questa risposta dal Customer Care:

Gentile Franco,

Grazie per aver scelto Booking.com.

La contattiamo in merito alla sua prenotazione 244114549 presso Hotel Eden, con check-in 2014-08-15 e check-out 2014-08-18.

Ci scusiamo per il ritardo. Abbiamo contattato contattato il dipartimento che si occupa della pubblicazione delle recensioni e dovrebbero pubblicarla in 4 giorni lavorativi.

Non esiti a contattarci in caso di dubbi o domande.

Cordiali saluti



Oggi la recensione - alleluja - è stata pubblicata sul sito. Ma a questo punto è inevitabile un avvertimento: date sempre una controllata postuma ai vostri contributi sul web. Anche a quelli di Booking. Perché evidentemente di recente anche loro hanno preso l'abitudine di «dimenticarsi» ogni tanto di pubblicare. Salvo poi porre rimedio in un secondo tempo, in caso di lamentele del cliente. Buon viaggio dal vostro Furio. 

giovedì 21 agosto 2014

LA FOTO * IL POSTO DI SALVATAGGIO DEI BAGNINI DELLA SPIAGGIA LIBERA DI VIAREGGIO

Ecco la postazione di salvataggio dei tre bagnini della spiaggia libera di Viareggio. Un capolavoro nel capolavoro, visto che si tratta di una striscia di sabbia strettissima e lunghissima, affiancata al molo, dove tutti i bagnanti si ammassano l'uno accanto all'altro all'inizio, per restare vicini al mare. 
A metà fra un suk e Baywatch. Finemente arredata, con drappi etno-chic e un tocco fashion che però non impegna è una struttura minimal che punta alla grandeur. Lì sotto, perfettamente pronti ad accorrere (anche se la visuale, va detto, non sembra fra le migliori), controllano Il Tirreno imbastendo puntate del Maurizio Costanzo Show con i bagnanti. Credo sia un orgoglio per la Versilia tutta. Chissà se è stata inaugurata da Matteo Renzi?

giovedì 14 agosto 2014

VACANZE * DAL BOOM AI VILLAGGI TURISTICI (MA ORA LAVORIAMO TUTTI GRATIS PER FACEBOOK)

C'è vacanza e vacanza.
C'erano quelle degli Anni 50 e 60, quelle mitiche dei nostri genitori (ma anche dei nostri nonni, volendo), col boom economico, le prime auto da stipare all'inverosibile per imbarcarsi in lunghi e improbabili giri di (mezza) Italia a non più di cinquanta all'ora; viaggi della speranza (di non bucare) che si concludevano quasi sempre con il mezzo che accostava a destra, sulla corsia d'emergenza, in autostrada, perché dal cofano usciva un preoccupante fumo nero. E che Dio ce la mandi buona.
,,,,,       Ci sono state quelle degli Anni 70 e 80, con l'orgoglio borghese - per molti fortunati - di comprarsi a fatica la seconda casa in riviera, fra Liguria e Versilia. Oppure, per i meno spendenti, di invadere la Romagna ad agosto, confusi ai turisti tedeschi, tra piadine, cassoni, sangiovese, maxi discoteche intramontabili e l'Orchestra Raoul Casadei.
C'è stato lo stordimento berlusconiano/edonistico dei 90, con la loro onda lunga. Anni segnati dalla moda delle deportazioni di massa nei villaggi turistici (ovunque, purché villaggio), dei karaoke e della Fiorello mania, con tanto di gioco apertivo, braccialetto all inclusive e spettacolone serale con gli animatori. E al ritorno guai a non dichiarare che ti eri divertito da pazzi, ma sei scemo?
È cambiato non solo secolo, ma persino il millennio, e siamo arrivati a oggi, agli Anni 2000. Le vacanze preferiamo chiamarle ferie (dà più l'idea di avere un'occupazione), ma di fatto in ferie non ci andiamo più per il gusto di farle. Per carità. Ci attacchiamo ai nostri smartphone - iPhone o Samsung poco importa -, e giriamo il mondo lavorando alacremente (tutti, dipendenti, liberi professionisti e disoccupati) gratis per produrre foto e contenuti da piazzare su Facebook, Instagram e Twitter. In pratica, anche in vacanza,
produciamo (inde)fessamente per Mark Zuckerberg. L'unico che in vacanza può andarci davvero, senza pensieri. E poi per spalmare un po' di balsamo sul nostro ego. Che non riposa mai.

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