domenica 8 ottobre 2017

«BLADE RUNNER 2049» * C'È TANTA RAFFINATEZZA, PIU' CHE GRANDEZZA

Ryan Gosling e Harrison Ford in «Blade Runner 2049».
Los Angeles, 2049. Il bel replicante Ryan Gosling, per gli amici Blade Runner, porta a spasso la sua monoespressività fra nebbie e panorami lividi a caccia di vecchi modelli di se stesso da terminare, manco fossero esuberi. Sarebbero ancora ottimi, ma la sua azienda vuole disfarsene, probabilmente per prendere collaboratori ricattabili e sottopagati. Del resto, tutto il mondo è paese.
Tra una seratina e l'altra passata con quello sfizioso ologramma della fidanzata nel suo bilocale in centro, Ryan rende conto alla capa, l'algida Robin Wright, che a sua volta risponde alla vice sciroccata del super capo Jared Leto. Lucido come Jeremias Rodriguez dopo qualche settimana di «Grande Fratello Vip».
Ryan, vammi un po' a scovare a tutti i costi quello strano modello di umano misteriosamente nato da automa che gira per la California andando a scombinare tutte le nostre granitiche certezze. Scava che ti scava, vuoi vedere che?

L'ambiziosa operazione di Denis Villeneuve, che confeziona il sequel di uno tra i film più sacri, visionari e tuttora moderni della storia del cinema, riesce a metà. Ci sono eleganza e fascino a profusione (il ragazzo ha una bella mano), ma è meglio evitare il confronto diretto con la Leggenda. Non a caso Ridley Scott l'ha soltanto prodotto, per mettersi al riparo da ogni critica. 
Due ore e 32 sono troppe, persino per un onestissimo film come questo, ma consentono al regista di dipanare la sua poetica matassa. Harrison Ford ha l'età dei datteri, ma naturalmente ancora gliel'ammolla. Se se ne accorge Gianni Morandi, va in errore di sistema. 
Non riesco a dargli più di 7 e 1/2, ma è comunque un buon voto.

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