Da sinistra, Alessandro Sallusti e Vittorio Feltri, dal 1 giugno di nuovo insieme al timone di Libero. |
Passata la buriana, possiamo dirlo. Sono state dimissioni rassegnate dopo un’offerta allettante, che ridisegna ambiziosi traguardi (in tempi grami) per l’editoria di Centrodestra.
Come ha anticipato Dagospia, Alessandro Sallusti ha lasciato improvvisamente l’altroieri, dopo 12 anni, la guida del Giornale, il quotidiano di casa Berlusconi. Sui reali motivi di questa uscita di scena si è aperto in giornata un giallo che manco Agatha Christie. Vediamo di approfondirlo.
Anche se, a quanto mi risulta, il direttore del foglio che fu di Indro Montanelli aveva in programma lunedì scorso una visita (poi annullata) ad Arcore, è parso subito da escludere uno scenario che contemplasse la sua traumatica messa alla porta dopo un’ospitata televisiva poco gradita con Michele Santoro alla corte di Nicola Porro. Sallusti è sempre stato “Fedele nei secoli”, più dei militi dell’Arma, e una partaccia di questo tipo per un’ipotetica bagattella, non risultava credibile. Restava da capire se fosse una decisione subita oppure voluta.
Il nostro, che col suo ultimo libro (“Il Sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della Magistratura italiana”), scritto insieme con Luca Palamara, pare abbia sfondato il tetto record delle 400 mila copie vendute, pur essendo il re del low profile televisivo, viaggia editorialmente col vento in poppa. E quando l’altra mattina si è presentato in via Negri per rassegnare, apparentemente sereno, le sue dimissioni, lo stupore è stato grande. In redazione non si spiegano il suo addio, mai motivato ufficialmente, se non facendo qualche congettura sulla situazione del Giornale, che da tempo arranca in edicola e dove (come in tanta parte dell’editoria) si fa ricorso a incentivi per ridurre il personale e al meccanismo della Solidarietà. Restando avrebbe dovuto avallare probabilmente altri tagli di personale. Tanto che c’è chi (preferendo non rivelare il proprio nome) ipotizza: “Avrà avuto una buona offerta e se ne sarà andato prima che tutto qui andasse a carte e quarantotto”.
Di certo l’allontanamento dalla politica attiva di Silvio Berlusconi, che in questo periodo all’ospedale San Raffaele di Milano pensa soprattutto alla salute, è parso a qualcuno una sorta di liberazione dallo stretto obbligo di fedeltà alla Corona per gli uomini più vicini al Cavaliere. Tra questi c’è sempre stato il giornalista comasco che non disdegna gli interventi tv (se necessari) ma che è sempre stato soprattutto un uomo di macchina.
C’è chi lo immaginava pronto a candidarsi come sindaco di Milano per il Centrodestra alla prossima tornata, ma giornali e rotative sono sempre stati la vita dell’uomo che sorrideva poco. E sempre Dagospia in serata ha ufficializzato la notizia diffusa in forma dubitativa dall’Adnkronos in mattinata. Sallusti ha ricevuto un’offertona degli Angelucci per tornare in pista occupandosi del Tempo e in veste di direttore responsabile di Libero accanto all’eminenza griglia Vittorio Feltri (che col consueto garbo antico ha commentato: “Lo stimo. Magari se ne è andato soltanto perché si è rotto i cogl...”), per plasmare il quotidiano forte del Centrodestra. Della serie: ne resterà uno solo, vista anche la grigia situazione di mercato che pare non dare spazio ormai a troppe voci che cantino la stessa canzone.
Chi prenderà il suo posto al Giornale? Anche qui le voci si rincorrono. Le prime sono una meno credibile dell’altra: Nicola Porro e Mario Giordano (ormai troppo affezionati alla tv per prendersi in carico un cavallo, tra l’altro, zoppicante), o Pietro Senaldi, a questo punto transfuga da Libero, si immagina. Ma paiono più sensati i nomi dei meno esposti (e per certi versi più malleabili, soprattutto il primo) Paolo Liguori o Augusto Minzolini.