martedì 5 dicembre 2023

SPOT * ANNI 80, QUANDO LA PUBBLICITA' CI FACEVA (QUASI) SOLO DIVERTIRE

Il pubblicitario Francesco Bozza insieme con la moglie, Carlotta Concato, figlia del noto cantautore milanese Fabio.

Ci fu un tempo in cui nuotavamo in acque pubblicitarie tranquille. Non tanto agli albori, quelli di Carosello (in Rai, dal 1957 al '77): lunghi momenti di spettacolo che furono l'apoteosi del rassicurante divertimento quasi "sedativo" degli italiani, ma anche nei decenni a venire. Popolati da mulini bianchi e attori di fama (Nino Castelnuovo) che saltavano staccionate grazie ai benefici effetti dell'olio di semi; da uomini in ammollo nel detersivo (il jazzista Franco Cerri) e sgambate majorettes canterine sul piazzale di centri commerciali. Da ragazzotti rintronati che non avevano mai provato "Urrà"; ma anche da alieni mignon che, una volta sulla Terra, intimavano di sviluppare rullini fotografici al grido di "Ciribiribì Kodak"; persino da idraulici che perdevano acqua dalle orecchie. Con l'andare del tempo gli spot si sono fatti sempre più veloci ma anche invasivi (lassativi e perdite urinarie all'ora di pranzo) o didascalici; aggressivi, divisivi, impegnati a lanciare messaggi e a scatenare dibattiti. Campagne che sembrano aver perso tanta voglia di (far) sorridere. Meglio ieri o oggi? Ne abbiamo parlato con un guru della pubblicità, Francesco Bozza, vice presidente e direttore creativo di una multinazionale americana del settore e ideatore di "Bar spot", format dedicato a questo mondo che porta da tempo sul palco di Zelig, in viale Monza, a Milano. La sua ultima fatica è uno spettacolo intititolato "Non ci vuole un pennello grande". Slogan che ci riporta a uno spot vintage quantomeno leggendario. In scena il 19 ottobre al Teatro Parioli di Roma, e il 10 gennaio al Martinitt di Milano.

Bozza, perché la pubblicità ha smesso di divertirci e divertirsi?
"Gli spot degli Anni 80, perché di quel decennio in fondo parliamo, più che divertenti in senso stretto, erano spensierati e memorabili. Si sedimentavano pian piano, a volte con messe in onda di anni, e ci entravano sotto pelle, insieme con i loro jingles, le musiche che li accompagnavano. Erano parte di noi".
Poi che cos'è successo?
"Prima c'era solo la tv. Poi è diventato via via tutto iper-veloce: una fruizione frenetica e superficiale, promo vampate attraverso 1.200 media diversi, con un'attenzione particolare al web e ai social, che sembrano essere ormai l'unico riferimento finale, l'unico posto dove ci sia confronto in Italia, a volte anche aggressivo, su vari temi. Prima si studiavano le cose pensando con estrema leggerezza".

Perdere motivetti memorabili e ritornelli più ariosi è parte del problema?
"Mio suocero, Fabio Concato, dice che gli piacerebbe che fra quarant'anni le canzoni di oggi diventassero jingle di spot come accade con la sua Domenica bestiale o con pezzi di Vasco e altri cantautori, ma non succederà perché c'è un'altra fruizione di ciò che è mediatico. Quindi abbiamo la reale percezione di una pubblicità molto più pesante e che si prende sul serio. E anche i politici, che non vedono l'ora di entrare nell'arena, come i gladiatori, dicono la loro approfittando di cose anche stupide".
Facciamo un esempio.
"Il caso relativamente recente del meteorite che schiaccia la mamma nello spot di Buondì Motta. Ci furono interrogazioni parlamentari! Se imposti una polemica sulla violenza nella pubblicità solo perché un meteorite infuocato schiaccia una mamma, una cosa totalmente surreale, siamo alla follia".

E' anche cambiata molto la società...
"E la pubblicità ne è lo specchio fedele. Ma negli Anni 80 uscirono con leggerezza cose peggiori, passando inosservate, come lo spot delle liquirizie Tabu: c'era un'immagine di "black face" del teatro americano dell'800, con un cantante bianco pitturato di nero. Il massimo del politicamente scorretto. Ma si sorrideva ascoltando la canzoncina. Fine. Le dirò di più: si ricorda il vecchio spot del Nelsen piatti?".
Quello de "I piatti-ti, i piatti-ti, con Nelsen piatti li vuol lavare lui"?
"Esatto. Nell'83-'84 fu il primo della storia italiana in cui si raccontava di un cambio sociale, di un uomo col grembiule e la canzoncina incentrata sul messaggio che è talmente figo lavare i piatti che lei non lo vuole più fare: li vuol lavare lui. Pieno di significati che oggi scatenerebbero il putiferio".

Veniamo alla pesca di Esselunga. Che cosa ne pensa?
"Da pubblicitario, ho visto sceneggiature sui bambini di genitori separati molto più emozionanti, come quella di Ikea; se parliamo di puro storytelling. Essere sul prodotto: è questo che manca allo spot Esselunga. Che è sulla bocca di tutti solo per le polemiche. E' un po' un problema perché da pubblicitario a me non interessa che la gente parli della problematica dei bambini separati ma del marchio. Poteva esserci qualsiasi altro supermercato. Credo che abbia scatenato questo bailamme per ragioni politiche".
Ma ne hanno parlato ovunque, anche nei Tg.
"Certo, perché il dramma della pubblicità oggi rispetto a ieri è che se ne parla non per gli aspetti creativi, ma solo quando scoppia un casino. Con le mamme schiacciate dai meteoriti, le fatine spiaccicate come insetti, la genitorialità diversa dal comune sentire. Negli 80 la si godeva e veniva citata, diventava slang e modo di dire. Dagli Anni 90 in poi non è più rimasto in testa alla gente un solo slogan. Zero. L'ultimo is 'Du gust is megl che uan' del gelato, primi Anni 90".

C'è qualche campagna di oggi che si avvicina al gusto degli Anni 80?
"Qualcuno gioca ancora con canzoni e balletti caciaroni. Penso a Febal e EstaThe. E poi c'è 'Succhino', il tizio che visita per la prima volta un appartamento da comprare e si sente così a casa che si spoglia nudo, fa la doccia e offre da bere. Vediamo un sedere in primo piano! Io adoro 'Succhino', ma non capisco le polemiche sulla pesca e la bambina - che sono l'unica cosa che resterà di quello spot, fatto anche bene da due creativi premiatissimi, ma a Esselunga non serviva questo, è già nota - quando c'è un sedere nudo in primo piano".
Ma davvero gli spot divisivi, quando sono così discussi e sulla bocca di tutti, non servono in qualche modo a promuovere il marchio? Non fa gioco?
"Dipende dal prodotto: la mamma schiantata dal meteorite del Buondì motta è oro che cola. Una merendina un po' vintage diventa ironica, trasgressiva. Ma se lo può permettere, in fondo è solo una merendina! Anche la birra Ceres ha fatto una campagna sui social molto grintosa ed efficace legata all'attualità, prendendo diverse posizioni nette. Per esempio, quando il sindaco di Milano Sala intimò agli operai dei cantieri dell'Expo di finire i lavori entro un mese, Ceres mandò una vagonata di casse di birra gratis e una troupe al grido di: 'Diamo una birra a questi ragazzi'. Lo spot della bambina e della pesca è finito anche da Vespa ma il brand non è stato neanche citato".

(DAL SETTIMANALE GENTE - OTTOBRE 2023)

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