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martedì 5 dicembre 2023

SPOT * ANNI 80, QUANDO LA PUBBLICITA' CI FACEVA (QUASI) SOLO DIVERTIRE

Il pubblicitario Francesco Bozza insieme con la moglie, Carlotta Concato, figlia del noto cantautore milanese Fabio.

Ci fu un tempo in cui nuotavamo in acque pubblicitarie tranquille. Non tanto agli albori, quelli di Carosello (in Rai, dal 1957 al '77): lunghi momenti di spettacolo che furono l'apoteosi del rassicurante divertimento quasi "sedativo" degli italiani, ma anche nei decenni a venire. Popolati da mulini bianchi e attori di fama (Nino Castelnuovo) che saltavano staccionate grazie ai benefici effetti dell'olio di semi; da uomini in ammollo nel detersivo (il jazzista Franco Cerri) e sgambate majorettes canterine sul piazzale di centri commerciali. Da ragazzotti rintronati che non avevano mai provato "Urrà"; ma anche da alieni mignon che, una volta sulla Terra, intimavano di sviluppare rullini fotografici al grido di "Ciribiribì Kodak"; persino da idraulici che perdevano acqua dalle orecchie. Con l'andare del tempo gli spot si sono fatti sempre più veloci ma anche invasivi (lassativi e perdite urinarie all'ora di pranzo) o didascalici; aggressivi, divisivi, impegnati a lanciare messaggi e a scatenare dibattiti. Campagne che sembrano aver perso tanta voglia di (far) sorridere. Meglio ieri o oggi? Ne abbiamo parlato con un guru della pubblicità, Francesco Bozza, vice presidente e direttore creativo di una multinazionale americana del settore e ideatore di "Bar spot", format dedicato a questo mondo che porta da tempo sul palco di Zelig, in viale Monza, a Milano. La sua ultima fatica è uno spettacolo intititolato "Non ci vuole un pennello grande". Slogan che ci riporta a uno spot vintage quantomeno leggendario. In scena il 19 ottobre al Teatro Parioli di Roma, e il 10 gennaio al Martinitt di Milano.

Bozza, perché la pubblicità ha smesso di divertirci e divertirsi?
"Gli spot degli Anni 80, perché di quel decennio in fondo parliamo, più che divertenti in senso stretto, erano spensierati e memorabili. Si sedimentavano pian piano, a volte con messe in onda di anni, e ci entravano sotto pelle, insieme con i loro jingles, le musiche che li accompagnavano. Erano parte di noi".
Poi che cos'è successo?
"Prima c'era solo la tv. Poi è diventato via via tutto iper-veloce: una fruizione frenetica e superficiale, promo vampate attraverso 1.200 media diversi, con un'attenzione particolare al web e ai social, che sembrano essere ormai l'unico riferimento finale, l'unico posto dove ci sia confronto in Italia, a volte anche aggressivo, su vari temi. Prima si studiavano le cose pensando con estrema leggerezza".

Perdere motivetti memorabili e ritornelli più ariosi è parte del problema?
"Mio suocero, Fabio Concato, dice che gli piacerebbe che fra quarant'anni le canzoni di oggi diventassero jingle di spot come accade con la sua Domenica bestiale o con pezzi di Vasco e altri cantautori, ma non succederà perché c'è un'altra fruizione di ciò che è mediatico. Quindi abbiamo la reale percezione di una pubblicità molto più pesante e che si prende sul serio. E anche i politici, che non vedono l'ora di entrare nell'arena, come i gladiatori, dicono la loro approfittando di cose anche stupide".
Facciamo un esempio.
"Il caso relativamente recente del meteorite che schiaccia la mamma nello spot di Buondì Motta. Ci furono interrogazioni parlamentari! Se imposti una polemica sulla violenza nella pubblicità solo perché un meteorite infuocato schiaccia una mamma, una cosa totalmente surreale, siamo alla follia".

E' anche cambiata molto la società...
"E la pubblicità ne è lo specchio fedele. Ma negli Anni 80 uscirono con leggerezza cose peggiori, passando inosservate, come lo spot delle liquirizie Tabu: c'era un'immagine di "black face" del teatro americano dell'800, con un cantante bianco pitturato di nero. Il massimo del politicamente scorretto. Ma si sorrideva ascoltando la canzoncina. Fine. Le dirò di più: si ricorda il vecchio spot del Nelsen piatti?".
Quello de "I piatti-ti, i piatti-ti, con Nelsen piatti li vuol lavare lui"?
"Esatto. Nell'83-'84 fu il primo della storia italiana in cui si raccontava di un cambio sociale, di un uomo col grembiule e la canzoncina incentrata sul messaggio che è talmente figo lavare i piatti che lei non lo vuole più fare: li vuol lavare lui. Pieno di significati che oggi scatenerebbero il putiferio".

Veniamo alla pesca di Esselunga. Che cosa ne pensa?
"Da pubblicitario, ho visto sceneggiature sui bambini di genitori separati molto più emozionanti, come quella di Ikea; se parliamo di puro storytelling. Essere sul prodotto: è questo che manca allo spot Esselunga. Che è sulla bocca di tutti solo per le polemiche. E' un po' un problema perché da pubblicitario a me non interessa che la gente parli della problematica dei bambini separati ma del marchio. Poteva esserci qualsiasi altro supermercato. Credo che abbia scatenato questo bailamme per ragioni politiche".
Ma ne hanno parlato ovunque, anche nei Tg.
"Certo, perché il dramma della pubblicità oggi rispetto a ieri è che se ne parla non per gli aspetti creativi, ma solo quando scoppia un casino. Con le mamme schiacciate dai meteoriti, le fatine spiaccicate come insetti, la genitorialità diversa dal comune sentire. Negli 80 la si godeva e veniva citata, diventava slang e modo di dire. Dagli Anni 90 in poi non è più rimasto in testa alla gente un solo slogan. Zero. L'ultimo is 'Du gust is megl che uan' del gelato, primi Anni 90".

C'è qualche campagna di oggi che si avvicina al gusto degli Anni 80?
"Qualcuno gioca ancora con canzoni e balletti caciaroni. Penso a Febal e EstaThe. E poi c'è 'Succhino', il tizio che visita per la prima volta un appartamento da comprare e si sente così a casa che si spoglia nudo, fa la doccia e offre da bere. Vediamo un sedere in primo piano! Io adoro 'Succhino', ma non capisco le polemiche sulla pesca e la bambina - che sono l'unica cosa che resterà di quello spot, fatto anche bene da due creativi premiatissimi, ma a Esselunga non serviva questo, è già nota - quando c'è un sedere nudo in primo piano".
Ma davvero gli spot divisivi, quando sono così discussi e sulla bocca di tutti, non servono in qualche modo a promuovere il marchio? Non fa gioco?
"Dipende dal prodotto: la mamma schiantata dal meteorite del Buondì motta è oro che cola. Una merendina un po' vintage diventa ironica, trasgressiva. Ma se lo può permettere, in fondo è solo una merendina! Anche la birra Ceres ha fatto una campagna sui social molto grintosa ed efficace legata all'attualità, prendendo diverse posizioni nette. Per esempio, quando il sindaco di Milano Sala intimò agli operai dei cantieri dell'Expo di finire i lavori entro un mese, Ceres mandò una vagonata di casse di birra gratis e una troupe al grido di: 'Diamo una birra a questi ragazzi'. Lo spot della bambina e della pesca è finito anche da Vespa ma il brand non è stato neanche citato".

(DAL SETTIMANALE GENTE - OTTOBRE 2023)

giovedì 23 novembre 2023

MARCO DELLA NOCE: «DOPO ZELIG E IL BARATRO, LA MIA NUOVA VITA È TRA I GONFIABILI»

Il comico Marco Della Noce oggi al lavoro tra i gonfiabili.

Chi ha detto che ai comici di successo la vita non possa regalare le musate contro i pali che si presentano sul cammino di noi comuni mortali? Marco Della Noce, 65 anni, milanese, nel cuore del pubblico per personaggi come Larsen e Oriano Ferrari di Zelig, un frontale col destino l'aveva fatto davvero: dopo una pesante separazione, aveva accumulato debiti per 700 mila euro; tanto che le notti passate a dormire e rimuginare in auto, sulla sua vecchia Zafira, erano diventate più depressive che illusoriamente poetiche.
Dopo il crash, la rinascita. Che ci racconta col candore dell'eterno bravo ragazzo vicino al laghetto del Funnyland di Lissone, in Brianza. "E' un grande parco giochi per bambini - spiega - dove il mio socio e io ci occupiamo dei gonfiabili: scivoli, castelli... Ci sono tanti gazebo riservati, che le famigliole prenotano, per festeggiare e dare modo ai piccoli di giocare e interagire in sicurezza".

Quasi felliniano. Marco, quindi ha deciso di ripartire dalla fantasia.

"Sì, arrivano felici con tanti palloncini e fanno un gran casino. Quanti compleanni! Si lavora da maggio a settembre, meteo permettendo".
Ma il cabaret?
"Non l'ho mollato. Se ne occupa il mio agente, Peppe Putignani, che ho conosciuto durante il lockdown. Proprio da qui, il 22 giugno, partirò con una mia rassegna facendo esibire anche tanti colleghi".

Com'è uscito dal tunnel?
"Ho potuto accedere alla sovraesposizione del debito, detta anche legge anti suicidi, perché molti imprenditori in fallimento decidevano di farla finita; è stata introdotta di recente. Ci ha lavorato duramente due anni lo Studio Pagano di Brescia e alla fine ce l'abbiamo fatta: è la prima volta che viene applicata a un lavoratore dello spettacolo".
In pratica il Giudice...
"...Ha la facoltà di cancellare una parte del debito. Nel mio caso 500 mila euro. Ti restano la casa e l'auto, e per tre anni devi accantonare una parte dei tuoi guadagni per estinguere ciò che resta. C'è anche una sorta di tutore che ti segue. Alla fine sei pulito per la legge: zero. Non risulti né fallito né cattivo pagatore".

Dev'essere stata dura.

"Sì, ma se tieni come principi verità e sincerità, per quanto altri possano tentare di nascondere o negare, quando emerge, la verità vince sempre. Sempre. Magari ci vuole solo più di tempo".

Ma come si fa ad arrivare a 700 mila euro di debiti? E' una cifra enorme.
"Il problema più grosso erano gli interessi passivi con l'erario. La bolla è scoppiata nel 2017, ma dal 2013 al 2015 sono stati anni pesantissimi. Faccio un esempio: arrivavo a dicembre di un anno con 100 mila euro di debito con quella che allora si chiamava Equitalia. A gennaio-febbraio la cifra diventava 150 mila o più per via di interessi praticamente da usura. Le cose ora sono un po' migliorate con Agenzia delle entrate. E poi c'erano gli assegni di mantenimento dei figli, che si accumulavano, e gli affitti che non pagavo".
Ci vuole una forza enorme per resistere.
"Da 35 anni pratico il buddismo, e mi ha aiutato. Faccio parte dell'associazione laica Soka Gakkai. L'energia per il cambiamento l'abbiamo dentro. Immagini di essere il proiettore di un cinema che mostra la sua vita: se la pellicola è rovinata, bisogna andare ad aggiustare il fotogramma. L'esterno c'entra relativamente. Altrimenti ripetiamo gli errori".

Guzzanti diceva: "La risposta è dentro di te, ma è sbagliata".
"Eppure è vera. La nostra mente si chiama mente perché a volte... mente. Tende a farci ridurre sempre tutto alla schematicità quasi computerizzata del raziocinio. Eppure nelle filosofie orientali c'è anche il cervello di pancia, l'istinto. E a volte è giusto obbedirgli. Il nostro più grosso ostacolo spesso siamo noi stessi".

Ha rivendicato il "diritto al fallimento".
"Sì, nella nostra società il fallito è considerato una specie di reietto. In America se non hai almeno un paio di fallimenti alle spalle non sei nessuno. Perché? Perché sei riuscito a rialzarti, a ricostruire".
Ora dove vive?
"A Vedamo al Lambro. Sono solo perché quel che ho passato si è portato via tutti i legami sentimentali. Come le amicizie: quando ti va bene, sono tutti lì. Quando crolli spariscono, svapano come le sigarette elettroniche. Ho tre figli: Marta di 22, Jacopo di 20 e Matilde di 13. Avuti da due signore diverse. Con le mie ex vado d'accordo e loro tre si sentono autenticamente fratelli. Matilde studia anche kickboxing e tecniche di sopravvivenza con me nel gruppo Survival di Luca Bartezzaghi".

Eppure molti dei suoi problemi sono nati dalla separazione.
"Ma non ho mai parlato male della mia ex moglie. Mi riferivo a una legislatura troppo sbilanciata verso le donne. Ora le cose stanno un po' cambiando e anche i padri hanno più tutele. Mi ha aiutato l'Associazione papà separati, che accoglie anche donne non sposate".

Quel che le è capitato è stato più una slavina o uno stillicidio, una lenta rovina?
"All'inizio una cosa lenta, poi il piano si è inclinato molto velocemente".
La maschera del clown, di quello che sorride e che fa ridere. E' più difficile uscire da una batosta se sei un tipo così?
"No, l'ironia e l'autoironia ti salvano, sono una grossa medicina. Poi impari a volerti più bene, a valutarti per quel che sei e non per quanto possiedi. Dell'avere e dell'essere ha parlato anche Erich Fromm".

Si vola alto. Mi dica l'essenza della vita, allora.
"L'armonia delle differenze. Il loro rispetto. In un campo di fiori ognuno vuole essere più colorato e bello degli altri, non imitarli".

La battuta più bella del suo Oriano.

"Erano gli anni delle rivalità Barrichello-Schumaker. Dicevo che in scuderia non c'era nessuna disparità: Schumi entrava nei box col telecomando, mentre Barrichello doveva scendere e citofonare. Ora non posso neanche più fare battute sulla Ferrari, perché fa più ridere di me".

(DAL SETTIMANALE GENTE - GIUGNO 2023)

martedì 14 novembre 2023

MAURIZIO FERRINI E SARA GUGLIELMI: «IL NOSTRO È UN GRANDE AMORE, MA SENZA SESSO»

Maurizio Ferrini, interprete della ben nota e arboriana Signora Coriandoli a Che tempo che fa, sul Nove, insieme con la compagna, la romana Sara Guglielmi. Il programma di Fabio Fazio, ricco di ospiti, ha raggiunto risultati d'ascolto insperati dopo il trasloco dalla Rai.

Due cuori e una partita Iva. Con tanto di famiglia allargata. Maurizio Ferrini, 70 anni, tornato splendidamente in auge in video nei panni della Signora Coriandoli, fa coppia fissa da tempo con la romana Sara Guglielmi, 50. Una storia che – assicurano – è amore senza profani benefit: «Ci vogliamo un bene dell’anima - dice lui - e stiamo spesso insieme, ma viviamo in case separate e non facciamo sesso perché non siamo attratti reciprocamente. Ma qualcosa di speciale tra noi c’è, eccome». E mentre Sara, che gli fa contemporaneamente da agente e ufficio stampa, parla di «fratellanza», tu ti fermi a scavare tra gli occhioni sbarrati di una tra le meglio riuscite creature arboriane.

Ferrini, qual è il segreto della signora Coriandoli?
«L’apologia della parrucchiera. Le parrucchiere sono il primo social della storia: una notizia affidata a una parrucchiera di Bruxelles, nel giro di 24 ore arriva alla collega di Bagnacavallo, e da lì si sparge ovunque. Se l’informazione viene immessa in una parrucchiera di Rabat ci metterà 48 ore per arrivare a Bagnacavallo, ma sempre lì arriva. Sa com’è, il traffico…».
In effetti…
«Ci pensi: è una rete mondiale eterna. Perfetta, efficientissima e non hackerabile».

Io stavolta ci vedo anche dell’autorevolezza in più nel personaggio, o sbaglio?
«Non a caso Fazio al tavolo di Che tempo che fa mi incaricava spesso di chiosare. Attingo alla saggezza popolare e aggiungo del mio. A quelle frasi che alla gente arrivano subito, mentre l’intellettuale, anche se avvertito, o non ce la fa, o ci mette un po’ di più. Non ho autori: mi faccio dare qualche dritta da amici affidabili».

La stessa tecnica di Nino Frassica, per quanto ne so.
«Infatti siamo i migliori amici l’uno dell’altro».

Com’è riuscito a far splendere ancora la Coriandoli?
«Prima ho chiesto all’agenzia che aveva curato l’immagine di Alessandro Cattelan e ad altre per un lancio anche su web. Chiedevano 80-100 mila euro l’anno e volevano una gestione totale, senza ingerenze. Ipotizzavano di mettere incinta la signora, di farla abortire… Per carità!».
Quindi?
«Prima, un’amica truccatrice ha ribaltato l’idea del make-up di Emma, che inizialmente era troppo trans, troppo drag queen, trasformandola nella vera casalinga di Voghera. Ora se ne occupa Dana, sorella di Sara. Invece sua cugina Giovanna, che è una grande stilista, me la veste da capo a piedi con gusto sublime. Ogni volta che esco ho un abito diverso, come le conduttrici di Sanremo. Ne ho già messi 35».

Prima di questo ritorno, però, ci sono stati anni di silenzio, il telefono che non squillava più… Come si è sentito?
«Negli Anni 90, dopo il successo a Striscia e un noto spot, ho detto un paio di no che non avrei dovuto dire: apriti cielo. Al Nord, se rifiuti un progetto, borbottano un po’ in mezzo milanese ma poi si passa ad altro: “Business is business”. Negli ambienti di spettacolo romani non puoi, sei spacciato».
In che senso?
«Massì, viene considerata lesa maestà: è come un affronto all’Imperatore Diocleziano: ti mandano contro tre legioni da 6.000 uomini. Non lavori più. E offendono. Dicono: “Aò, ma chi tte credi da èsse”. E se vai via, perdi il posto all’osteria. Per sempre. Io non lo sapevo: ero solo un ex ragazzo di Cesena refrattario a tutti i vizi con un diploma da grafico, anzi da visual designer».

Ha ricordato Cesena. Parliamo della sua Romagna, ferita in modo così brutale.

«Mi si stringe il cuore: è la prima volta che la Romagna – davvero - non può farcela da sola. Aiutiamola in ogni modo! Cesena è tra le più colpite, allagata ovunque; anche la sede della Polizia stradale. A Faenza distrutto il laboratorio creativo di Roberta Graziani, che a mano su un unico, interminabile filo di cotone infila Swarowski e altri brillanti per abiti da 40 mila euro che poi vanno a Versace e che indossa Jennifer Lopez. La forza dell’acqua ha infilato il manico di una scopa contro il soffitto: sono andati distrutti i vecchi modelli d’archivio, di capi portate da Charlize Theron e dalle grandi star internazionali e i nuovi progetti ai quali lavorava. Per non parlare delle ceramiche Gatti, sempre a Faenza, del cui forno approfittavano artisti di tutto il mondo per realizzare pezzi unici venduti a 200-300 mila euro. Devastato dal fango».
Veniamo al suo amore per la qui presente Sara Guglielmi.
«Lo è, a tutti gli effetti. Anche se agevoliamo entrambi i rispettivi appuntamenti con altre persone e le auguro di trovare qualcuno che la ami almeno quanto me. Ora per esempio faremo tre settimane di vacanza insieme dormendo nello stesso letto. Ma non ci sfioreremo neppure».

Sara, come vi siete conosciuti?
«Grazie a un’amica addetta stampa, che mi passò il “cliente”, per così dire. Io in realtà lavoravo (e ogni tanto lo faccio ancora) alla Farmacia della Scrofa, a Roma, occupandomi di cosmetica. Uscivo da una storia tormentata con il mio ex compagno; una cosa che mi ha portata alcune volte a rivolgermi a “Doppia difesa”. Con Maurizio si creò subito una tale complicità, che sulle prime credette l’avessi lasciato per lui».
Invece…
«Invece tra noi c’era solo un feeling, ma unico. Che si è allargato poi anche ai miei due figli: Edoardo, che ha quasi 18 anni, e Jacopo, di 11, che soffre di autismo. Non è semplice mandare avanti due ragazzi da sola, soprattutto in una città che può rivelarsi complicata e ostile come Roma. Certe serate per lo sconforto totale e la stanchezza ho rischiato quasi di svenire. Maurizio c’era sempre, con i suoi messaggi, i vocali, con un supporto che non è mai venuto meno. Ci siamo aiutati entrambi, anche economicamente, quando c’era la necessità».

Stato e Regione si sono defilati?

«Per Jacopo mi viene garantita un’assistenza di due ore e mezza al giorno. Sono poche, e spesso ho dovuto farmi aiutare anche da Edoardo, sottraendogli del tempo. Sia alla sua vita, sia come madre. E questa cosa mi ha fa molto soffrire. Maurizio mi è sempre stato accanto. Un giorno, candidamente, mi disse: “Dai, presto lo portiamo in quel posto meraviglioso, fra la natura, magari improvvisamente si riprende!”. Oggettivamente, dove lo trovi un uomo così?».

(DAL SETTIMANALE GENTE - MAGGIO 2023)

lunedì 16 ottobre 2023

IVA ZANICCHI: «CON QUELLA CADUTA DALLE SCALE ME LA SONO VISTA BRUTTA»

La cantate Iva Zanicchi subito dopo la rovinosa caduta dalle scale dell'aprile scorso. Dopo la parentesi in Rai, Iva tornerà presto in video su Canale 5 come giurata in uno show di Gerry Scotti.

Stavolta il tradizionale sorriso sul volto di Iva Zanicchi si è spento per un po’, a causa di un incidente domestico che ora le fa dire: «Me la sono vista veramente brutta!». L’ha comunicato con un breve video-racconto ai fan sulla sua pagina Instagram, dal letto di dolore nella sua villa in Brianza: «Non vorrei spaventarvi, ma tornando dalla finale de Il cantante mascherato sono caduta dalle scale. Una caduta orribile: altri si sarebbero ammazzati».


Invece Iva, per fortuna, è ancora qui a raccontarlo. Ci spieghi meglio: che cosa è successo?

«Eravamo in garage con mio marito Fausto, arrivati a casa da Roma. In auto c’erano alcune valigie, che stava prendendo lui. Mi sono messa in testa di portarne almeno una, nonostante lui non volesse. Ho iniziato a salire la scala che conduce all’appartamento, e verso la fine ho inciampato in un tappetino. Ho perso l’equilibrio, mi sono appoggiata per un istante, istintivamente, alla porta, e sono caduta rotolando e battendo forte il sedere e la schiena».

Un disastro.

«Ero a terra, per qualche minuto non ho capito più niente, mi si è annebbiata anche la vista, sopraffatta da un dolore fortissimo. Ho pensato: stavolta è finita. Mio marito stava per prendermi e provare a rialzarmi, ma gli ho detto: “No, non toccarmi, non muovermi, non fare niente. Può essere peggio. Chiama soccorso e i parenti”. Ero veramente spaventata. È risaputo che gli incidenti a casa sono spesso i peggiori, nelle graduatorie».

Ora com’è la situazione?

«Ho fatto carte false per restare a casa, nonostante volessero portarmi in ospedale, e l’ho avuta vinta. Le cose sembrano migliorare. Sono assistita dal mio medico, vado avanti a potenti anti-dolorifici, e poi mi mettono delle placche che danno piccole scosse elettriche».

Avrebbe potuto andare molto peggio.

«Ma ci pensa?! Però la Madonnina mi ha protetta, ringrazio veramente il cielo perché una donna della mia età poteva rompersi in modo irreversibile: il femore, la colonna, una gamba… Invece sospettano che ci siano solo alcune micro-fratture che curerò qui, a casa. Gli ospedali, se posso, li evito volentieri».

Ha avuto anche fortuna.

«La mia fortuna è tutto questo grasso che ha fatto da air bag naturale. Evidentemente rimbalzo. Ringrazio la mia ciccia. Ma quali diete? Queste rotondità si sono rivelate una fortuna.

Su Instagram, dove ha ormai un rapporto costante col suo pubblico, ha raccontato subito parte della storia…

«Io sono fatta così: quel che mi capita, lo dico, non nascondo niente e non mi tiene nessuno».

E ora, come gestirà la convalescenza?

«Starò a letto assistita amorevolmente da mia figlia per tutto il tempo necessario. Poi mi devo rimettere in pista perché a maggio parte il mio tour estivo, e voglio esserci. Lo sa che cosa fanno sempre gli artisti quando vogliono dare buca a qualche appuntamento, o saltare le serate? Un classico: si inventano malattie o malori. Io non sono mai stata così e non voglio diventarlo. Voglio riprendermi, e lavorare. In fondo sono ancora così giovane! Queste cose, se non le fai adesso, quando le fai?».


(DAL SETTIMANALE GENTE - APRILE 2023) 


mercoledì 27 settembre 2023

SAMIRA LUI: «SONO GEOMETRA, FIDANZATA, E NON CREDO ALL'ITALIA RAZZISTA»

La bellissima Samira Lui, passata da valletta de «L'eredità» su Rai1, a concorrente dei nuovo «Grande fratello» di Alfonso Signorini, in onda su Canale 5.

Si chiama Samira Lui, ha 25 anni (è nata a Udine il 6 marzo 1998), capelli indomabili, parlantina sciolta e un viso da depositare alla SIAE. Fa la Professoressa a «L’Eredità» di Rai1, ma la sensazione è che di strada ne farà tanta.

 

Samira, lei è la più bella fra le nuove leve del video.

«Grazie, mi fa piacere sentirlo dire, ma preferisco che si guardi alla mia interiorità, vorrei lasciare un segno».

È anche in crescita: oltre a «L’Eredità», ha fatto «Tale e quale show», ha transitato a «Stasera tutto è possibile»…

«Mi piace il mio percorso, fatto pian piano e con la testa. Ho voglia di fare, di mettermi in gioco. A Tale e quale c’erano: diretta, voce, ballo, trucco… Fattori che mettono in difficoltà anche i professionisti. Sono arrivata nelle case come sono: solare, allegra, appassionata».

Lei è geometra, ma io me li ricordavo diversi.

«Perché, esiste un geometra standard?».

No, ma nella media sono meno piacevoli.

«Eh, ma mica li conosce tutti! Non ho mai esercitato, però. Prima ferquentai il Liceo artistico… Ho fatto un sacco di cambiamenti nella mia vita perché non avevo le idee chiare; sin da bambina sognavo il palcoscenico. Il mio pallino. Poi mia mamma giustamente ha inistito per farmi studiare, ma alla fine andavo a parare sempre lì, verso lo spettacolo».

Che alla fine è arrivato.

«Sì, nell’estate dopo la maturità, in quel periodo che non vissi benissimo. Si è giovani, ribelli, confusi… Mi iscrissi a Miss Italia pur amando più l’arte che il mondo delle passerelle, ma mi è servito a toccare con mano la macchina televisiva che sta dietro quell’evento, e mi ha affascinata, facendomi sentire a mio agio».

Fascia di Miss Friuli, e terzo posto. Che ancora le brucia.

«All’inizio eravamo 300. C’erano ragazze altissime, bellissime. Non ci credevo minimamente. Quando poi arrivi fra le prime tre e non ce la fai, lì ti spiace tanto, ma è giusto così: ero giovanissima, la vincitrice più bella di me. Ma è irrilevante: dopo il concorso mi sono arrivate mille offerte».

Durante il galà, riferiscono le cronache, Facchinetti disse: «La ragazza che viene dal Senegal», il Paese di suo padre. E da lì partirono insulti razzisti.

«Ma neanche tanti. Poi le persone hanno sempre bisogno di parlare, di chiedere, di scrivere… Ci fu un’incomprensione. Chiarii subito che ero italiana. Fu una tempesta in un bicchier d’acqua. Hanno dato poi della razzista anche a me dicendo che rinnegavo le mie origini. Paradossale».

Anche perché uno che è razzista con lei è scemo due volte. Insomma, l’Italia non lo è.

«Non lo è. E più se ne parla, peggio è: più mettiamo in evidenza una differenza, più facciamo la differenza. Perché devo spiegare che sono italiana? È come il colore dei capelli, chi porta gli occhiali e chi no».

Sa recitare? Si è mai messa alla prova?

«Fin da bambina ho fatto teatro. Recito anche a casa, ogni tanto, e vorrei approcciarmi al mondo del cinema o della fiction».

Quale personaggio di serie tv avrebbe voluto interpretare?

«Avrei fatto volentieri Meredith Grey di Grey’s Anatomy, la mia preferita. Ma anche Tokyo de La casa di carta. O Jennifer Lawrence in Hunger Games: la ragazza di fuoco».

Ha altri hobby o passioni?

«Mi piace cucinare dolci. Torte stratificate giganti e strane, non quelle della nonna. Amo le passeggiate, i viaggi, il mondo del make up».

Veniamo alle note dolenti. Per gli altri. Lei è fidanzata da tempo con un modello che si chiama Luigi Punzo. Vi siete rivelati soltanto nel 2022 per la nota regola: meglio non dirlo sennò si perdono fans?

«Ahhh, mannò. Le stories su Instagram le avevo fatte: ogni tanto qualche foto la mettevo. Solo che le notizie hanno iniziato a girare quando volevano; forse chi mi segue se n’è accorto tardi. Ma mi avevano anche hackerato il profilo e non sono molto social. L’amore è meraviglioso, stiamo bene insieme da quattro anni».

Leggo che fa anche il «luxury concierge». Nel senso che un concierge normale non le bastava?

(ride). «In realtà lui è un imprenditore: a Formentera, Milano, Roma e Napoli organizza format di eventi e aperitivi nei locali, e alle Baleari si occupa anche di barche e yacht per i Vip. Non riceve persone negli alberghi, come hanno scritto sul web. È molto intraprendente».

Il suo sogno nel cassetto?

«Farmi una famiglia felice e serena. Il lavoro viene dopo, ma ne riparleremo».

(DAL SETTIMANALE GENTE - MARZO 2023)

domenica 9 agosto 2020

CRISTINA D'AVENA: "SAREBBE ORA CHE MEDIASET MI DEDICASSE UNO SHOW IN PRIMA SERATA"

Se dici Cristina D’Avena senti subito il profumo di pane e Nutella; e il suono ovattato di ingenui pomeriggi quando l’unica tua preoccupazione era cambiare canale. Tanto le sigle dei cartoon erano comunque tutte sue. In questi tempi balordi, dunque, aggrappiamoci alle certezze.
Cristina, come sta passando questo periodo in pandemia, nella sua casa milanese? Ha sviluppato nuovi hobbies o manualità, tipo maglia e cucito?
«Non ci ho pensato, ma avrei potuto fare uncinetto, che amo molto. Temo la fase 2 più della prima. All’inizio lo stop totale mi ha pesato, perché sono molto attiva, sempre in giro, faccio una marea di concerti e non passo un weekend a casa. Accettata la cosa, ho iniziato a creare con fanciullesca fantasia». 

E il percorso, dove l’ha portata?
«In cucina. Mi piace fare da mangiare ma non ho occasioni, anche perché finisco sempre al ristorante. Cucino la gramigna, una pasta arrotololata a virgola, tipica bolognese, con panna e salsiccia. Un “mattone” che mi ha fatto prendere due chili tutti da smaltire. Anche perché non mancavano poi tortelloni spinaci e ricotta e ravioli alla zucca».
Guardando alla prova costume della Fase 3?
«Anche alla quattro, volendo! La prova costume mi tranquillizza perché sarà un bel po’ avanti». 

Ma in casa è truccata, o pigiamone e «ciavatta», come dicono a Roma?
«Faccio anche molte dirette sul web, così mi trucco. Diciamo che è un mix tra tutone e magliettine, ma mai stile orso: cerco sempre di preservare la femminilità. Le ciabatte vanno e vengono, con questi virus non si sa mai…».
È anche lei tra coloro che lasciano le scarpe sul pianetottolo?
«No, però vicino alla porta, con la ciabatta, e disinfetto tutto. Sono anche un po’ maniacale. Quando esco per la spesa, nei negozi mi chiamano “Igienizzatrice mito”, perché oltre a mascherina e guanti porto anche l’alcol da spruzzare. Pulisco persino la sbarra del carrello dove appoggio i guanti, neanche le mani nude. Poi passo al resto del carrello, e quando lo lascio è ambitissimo: tutti lo vogliono». 

Per forza, è il più sanificato del mondo! È ossessionata, in pratica…
«Sì, ma non fate come me, perché faccio paura. Però mi dà sicurezza psicologica. Se ne sentono di tutti i colori…».
Lei non ha mai amato molto parlare del suo privato. Perché?
«Sono discreta e riservata. Ci sono persone che appena succede qualcosa, sbandierano tutto a chiunque. Io preferisco che le cose mie e della mia famiglia restino nostre, mi tengo tutto dentro. Al limite parlo alla mia più cara amica. Nel momento in cui dico per esempio che sono felicemente fidanzata, basta così».
Cosa che oggi noi confermiamo.
«Sì, è così. Sto molto bene. Ma lui chi sia, cosa faccia, dove sia, non mi piace dirlo. Questione di carattere». 

Immagino che viva con lei a Milano e venga disinfettato ogni giorno.
«Assolutamente, ci si disinfetta a vicenda!».
Essendo una leggendaria beniamina dei bambini, come si diceva anche dei grandi comici, non è che voi dovete essere, per definizione, un po’ “asessuati” agli occhi del pubblico?
«È vero. Diversi bimbi negli anni mi hanno detto: “Io ti amo e ti vorrei sposare, per cui tu non sei fidanzata vero?”. Io i primi tempi negavo sempre perché dirlo li avrebbe fatti piangere. Ora il problema è passato perché sono magari i ragazzi che mi dicono: vorrei sposarti. Ma i bimbi mi hanno sempre considerata la loro fidanzatina, e non potevo mandarli in crisi totale». 

Qual è la cosa più strana o folle che ha fatto per amore?
«A 22-23 anni, per fare una sorpresa a un mio fidanzatino di Napoli che amavo alla follia, convinsi un amico a partire di notte da Bologna per andare a portargli la colazione al risveglio».
È rimasta così romantica, o adesso i vassoi con la colazione, ai fidanzati, li tira sulle gengive?
«Purtroppo sono un’inguaribile romantica: cancro ascendente capricorno. E meno male, perché mi tiene un po’ più ancorata a terra. Il cancro ha la testa per aria». 

Il desiderio di avere un figlio, l’ha mai avuto?
«L’ho avuto. Per tantissimi anni sono stata totalmente assorbita dal lavoro dicendo: ho tempo, lo farò. Poi l’orologio biologico ti dice: che cosa vuoi fare? Qui chiudiamo tutto! Ho pensato e penso tantissimo alla maternità. Non sono ancora nella fase psicologica: mioddìo, che cavolata ho fatto, non ho fatto un figlio. Oppure: non l’ho fatto, pazienza. Sono in un limbo di grande riflessione, una fase di mezzo. Presto o piangerò tutti i giorni o me ne farò una ragione».
Un figlio potrebbe sempre adottarlo.
«Certo, assolutamente». 

È vero che è devota a Sant’Antonio da Padova?
«Molto, sin da bambina, come papà. L’ho pregato tanto anche in questo disastro di pandemia, perché aiutasse tutti. L’Antoniano di Bologna deve il nome a lui. È un santo che mi ha dato tanto, aiuto e segnali in momenti difficili».
Quale, per esempio?
«Ebbi un incidente anni fa con un amico, mia sorella e due sue amiche. Pioveva, dalle parti di Otranto, in una zona isolata e andammo fuori strada di notte e finimmo in un burrone. L’auto a tutta velocità evitò un palo e un grosso tronco, passò proprio in mezzo. Fu un impatto violentissimo. Io e il ragazzo eravamo completamente insanguinati. Metà macchina, dov’ero io, era intatta. L’altra semi distrutta. Mia sorella volò  sul cristallo posteriore. Non ci siamo fatti nulla, e salendo alla disperata per cercare aiuto si fermò un auto con un medico. Era un posto dove, ci disse la Polizia, avvenivano quasi solo incidenti mortali. Si potrà dire: questa è pazza. Eppure io so che è merito di Sant’Antonio, che mi protegge».  

Il prossimo anno festeggerà 40 anni di carriera. Credo che lei abbia fatto un percorso artistico intelligente e coerente. Non ha voglia però di un disco completamente diverso, di cover di brani altrui?
«Sì. Soprattutto dopo aver inciso “Duets” e “Duets Forever”, con tanti artisti che hanno cantato le mie sigle, mi è venuta voglia di un cd con pezzi che amo e che hanno fatto parte della mia vita; ne cito solo due: “E tu” e “Questo piccolo grande amore” di Baglioni. Credo che se le cantassi oggi, con l’esperienza di oggi e la mia vocalità attuale, sarebbe una bella cosa».
Dopo sette milioni di dischi venduti, non sarebbe ora che Mediaset, con la quale ha sempre lavorato, o la Rai, le facesse condurre uno show-tributo di prima serata, qualche puntata con ospiti?
«Magari, ben venga la televisione. Lo dico apertamente, e appoggio la sua idea girandola a chi di dovere. In fondo sono un personaggio trasversale, come pubblico. Sarebbe fattibilissimo. Basta solo la buona volontà di chi decide».

Se invece, con la sua immagine da eterna fatina e col placet dei genitori, una rete le chiedesse di fare una candid camera fatta di scherzi politicamente scorretti ai bambini, accetterebbe?
«No, non potrei mai farcela. Non è proprio nel mio mood portare via il gelato ai bambini. Farei invece molto volentieri una candid dialogando con loro e facendo con loro le cose più strane. Sarebbe divertentissima».

(DAL SETTIMANALE OGGI - MAGGIO 2020) 

 

venerdì 24 luglio 2020

MANUELA BLANCHARD: "VI RACCONTO LA MAGIA DEGLI ANNI DI BIM BUM BAM, CON BONOLIS"

Manuela Blanchard di "Bim bum bam" ieri e oggi.
Ventidue anni dopo torna in tv e sembra più giovane di prima. La dolce Manuela Blanchard, 60 primavere, conduttrice con Paolo Bonolis del classico per bambini «Bim Bum Bam», in onda sulle reti Mediaset dall’85 al ’98, riconquista un posto in video. Dal 20 marzo, ogni venerdì alle 14.20, sarà su DeAJunior (Sky, canale 623) con «Thai Chi One», programma che avvicina bimbi e genitori alla disciplina salutistica derivata dalle arti marziali.
«Ho sempre dimostrato dieci anni meno di quelli che ho» ammette. «Stupendo, ma la faccia da bambina è anche una fregatura sul lavoro: non hai mai l’età anagrafica che combacia col ruolo che ti viene proposto. Sul tema ho un aneddoto inedito che è una chicca. Lo vuole?».

Sono qui apposta.
«Tra le primissime cose che feci, da ragazza, fu bussare alla porta dell’agenzia Fashion Model, all’epoca la più famosa di Milano. Avevano stangone da 1.90, e io ero 1.65. Beh, mi presero. Esco per il primo servizio di moda. Solo al momento di fatturare, dai dati scoprono che ho 18 anni. In pratica realizzano drammaticamente che non mi sarei più sviluppata in altezza e mi danno il benservito dicendo: “Eh, sai scusa… Credevamo avessi 13 anni…”». 

Una porta chiusa in faccia.
«Era il loro modo elegante per scaricarmi. Non potevano certo dirmi: sei un tappo!».
Ma il suo primo ruolo ufficiale fu quello di annunciatrice su Italia 1.
«La prima della fascia pomeridiana. Con Licia Colò. In prima serata c’era Gabriella Golia».
Non ricordavo una Colò agli annunci, prima di diventare narratrice di terre lontane e natura.
«Certo che li fece. Oggi Licia ha trovato una dimensione che è quella che avrei voluto trovare io, quando da un giorno all’altro chiusero “Bim Bum Bam” e rimasi per strada». 

Una fregatura.
«Già. Mi dissero: televendite? Io: no, grazie. Allora mi diedi da fare, proposi un paio di idee, ma niente. Una si chiamava “Il libro di pietra”: partendo da una grande cattedrale, e dalle sue vetrate, arrivava alla teoria dei colori di Goethe».
Curiosa. Forse non proprio da tv commerciale.
«Eh, d’altra parte avevo Mediaset come interlocutore. L’altro progetto verteva sul mistero, prima del boom di Dan Brown: a metà fra la sit-com e i grandi misteri europei da indagare».
Anche questa non è che…
«Ma infatti non andò in porto, anche perché mi chiesero subito: ma quanto costa? E che cosa volete che ne sappia di quanto costa! Io porto contenuti. Allora mi proposi alla Rai; anche loro avevano programmi per bambini, tipo “Solletico”. Volevano che mi sottoponessi a un provino, dopo che da 13 anni ero in onda ogni giorno a “Bim Bum Bam”». 

Quantomeno indelicato.
«Beh, direi... Allora li salutai e decisi di non continuare a insistere con la tv. Presi un’altra strada».
Ma gli anni di «Bim Bum Bam» furono magici.
«Quando girai la sigla ero incinta di mio figlio Michael, che oggi fa il musicista e vive a Londra, e non lo sapeva nessuno. Dopo cinque mesi partorii. Paolo Bonolis mi disse: “Ecco perché eri un po’ gonfia: pensavo avessi fatto una cura di cortisone”».
Ora sarà affiancata dal pupazzo verde Tino, creato da Jim Henson dei Muppets, ma all’epoca c’era il leggendario Uan, rosa e incontenibile.
«Al quale prestava la voce il sempre poco valorizzato Giancarlo Muratori, un talento vero. Facevamo delle autentiche session di improvvisazione a tre davanti a una scrivania senza nient’altro. Solo un vago canovaccio di storia che ci davamo all’inizio. E piangevamo dal ridere. Oggi è tutto scritto». 

Perché fu chiuso?
«Durò tanto, ma avrebbe potuto proseguire. Un anno decisero di spezzare quest’alchimia a tre, che funzionava benissimo, e aggiunsero altra gente: Paolo se ne andò l’anno dopo, e misero me a fare le esterne. Decisione inspiegabile».
Fece anche «Un milione al secondo», con Baudo su Rete4.
«Un tipo tosto. Con Pippo noi ragazze avevamo un ruolo marginale: rappresentavamo squadre con nomi di stili musicali diversi. Io avevo il rock, un’altra il pop, e così via. Un giorno Pippo si fissa e vuole eliminare il rock, affibbiandomi il liscio. Ma a me il liscio faceva vomitare! Glielo dissi, però non avevo voce in capitolo. Alla fine gli autori riuscirono a farlo ragionare». 

In quel programma conobbe suo marito.
«Vittorio Bianco, che faceva il bassista. Oggi non siamo più insieme, ma c’è un buon rapporto. Galeotto fu un libro di Bernarino Del Boca che aveva sul leggìo. Lo stavo leggendo anch’io, casualmente, fra mille. Chiacchierammo. E da lì scattò la scintilla».
Veniamo al Tai Chi.
«Iniziai a 9 anni ma con lo Yoga: mia madre si convinse che potesse farmi bene alla schiena. Dopo un brutto incidente in motorino, passai al Karate e al Kung fu. Per il Thai chi, che ora insegno in un paio di scuole del Milanese, ho imparato tutto dal maestro Chang». 

Che cosa dà in più il Tai chi?
«Aiuta a instaurare relazioni morbide, armoniose, a smussare gli angoli. Se una forza ti viene incontro non la devi contrastare, ma assecondarla e poi restituirla all’altro in modo virtuoso».
Quindi lei asseconda, abbozza.
«Faccio del mio meglio: però guardi che io nella vita sono stata aggredita cinque volte».
Pazzesco. Racconti.
«La prima volta, da ragazza, un drogato sotto casa mi strappò la collanina d’oro. Ero già cintura nera, avrei potuto dargli una ginocchiata, ma rimasi impietrita. Non sai mai come reagisci in certe occasioni». 

E poi?
«Più in là, una notte in periferia, stavo facendo servizio con un dottorino su un’auto medica della Croce rossa che andò in panne. Ci raggiunse una banda i balordi e attaccabrighe. Io uscii, guardai negli occhi quello che mi sembrava il capo, e gli andai incontro con tutta la mia energia e violenza verbale facendoli andare via tutti».
Eh, ma questo l’ha aggredito lei, però!
«In un certo senso, sì. Ma ho solo intuito quel che stava per succedere. Poi ho bevuto comunque 10 grappini per riprendermi. È che il Thai chi ti fa comprendere anche questo, ti dà la percezione». 

Ora lo insegnerà ai bambini in tv.
«All’inizio ero titubante, poi ho deciso di accettare. Bisogna essere molto semplici e faremo in modo di esserlo. Fra tigri, draghi, la paura del buio da far passare…».
È tornata per restare, o le toccherà invidiare ancora Licia Colò?
«Nooo, niente invidia. Chi lo sa?! Mi piace anche la Sagramola. Sono talmente poco invidiosa che le dico che se Licia mi desse anche un piccolo spazio nel suo programma, accetterei».


(DAL SETTIMANALE OGGI - MARZO 2020)

CORONAVIRUS * MARCO PREDOLIN: "SO BENE COSA VUOL DIRE ESSERE CONSIDERATO UN UNTORE"

Il conduttore tv Marco Predolin.
Se c’è uno che si intende di psicosi da virus, quello è Marco Predolin. Classe 1951, parmigiano di Borgonovo Val di Taro, il conduttore che negli Anni 80 sfondò nell’allora Fininvest con «M’ama non m’ama» e «Il gioco delle coppie», fu perseguitato, alcuni lustri fa, da una nomea di potenziale untore che gli azzoppò la carriera.

Marco, ci ricorda che cosa successe?
«1992, ero al culmine della mia popolarità. Nell’ambiente, messa in giro non si sa da chi, circolò la falsa voce che fossi malato di AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita». 

Risultato?
«Qualcosa di strano, impalpabile ma incredibile: iniziarono di botto a non chiamarmi più, a non farmi più lavorare. Una cappa di silenzio, alimentata da voci e tam tam incontrollabili, fece sì che il mio nome mettesse paura: oddìo, il contagiato».

È un ambiente che a volte non ha pietà, quello dello spettacolo.
«C’era proprio il godimento di farla circolare, quella bufala, e ognuno, per renderla più credibile, aggiungeva particolari di fantasia frutto del passaparola. Una volta un produttore str… chiamò un amico, l’autore Marco Balestri, dicendogli: “Sono a Pavia, dove è ricoverato Predolin”». E lui gli rispose: “Peccato che Marco sia qui con me. Ora te lo passo”». 

All’ospedale di Pavia lei è anche morto, se non sbaglio.
«Non me ne parli: uscì La Notte, un quotidiano del pomeriggio che ora non esiste più, col titolo: “Marco Predolin morto a Pavia”. Presero per buono il lancio di uno speaker radiofonico locale. Anche voi giornalisti, soprattutto quelli della tv, ci avete marciato tanto».

Il vento della calunnia.
«Come quell’altra ghiotta perla che girò a lungo su due famose conduttrici tv che si volevano per forza amanti o su Richard Gere malato in un ospedale romano infettato da un topo finito chissà dove». 

E lei che cosa fece, per difendersi?
«Contro le leggende metropolitane non puoi fare nulla, ma quella cosa procurò alla mia carriera un danno davvero rilevante. E se dopo quasi trent’anni siamo ancora qui a parlarne…».

Girava anche con un certificato...
«Avevo fatto il test che accertava la mia sieronegatività: andai da Costanzo a mostrarlo in tv e poi tenevo sempre quel foglietto in tasca, per placare gli increduli. Fui letteralmente travolto da queste dicerie. In fondo andò peggio a chi ebbe la vita completamente rovinata perché tacciato di essere portatore di sfiga, come Mia Martini e Mino Reitano». 

Tra gli episodi più tristi?
«Quando mi fermai in un autogrill a predere un cappuccino, e poi andandomene sentii chiaro uno dei due baristi dire all’altro: “Lavala bene, quella tazza, perché quello è malato”. Cose che fanno male. Questo episodio mi ha ricordato quello recente di cronaca della signora di Ischia che ha preso a insulti i due pullman di presunti untori di Coronavirus dal Veneto. Ma ci rendiamo conto?».

Lei, con i dovuti distinguo, è come se avesse vissuto nell’ormai famosa «Zona Rossa».

«Non le invidio per niente, queste persone. Perché temo che anche quando tutta questa storia, gestita male dal nostro Governo, sarà finita, non riavranno la loro stessa vita sociale. Saranno sempre quelli di Codogno e dintorni. L’ignoranza impera». 

Perché dice che l’emergenza è stata gestita male?
«Perché gli altri Paesi europei hanno adottato un low profile, sono stati più “schisci”, come si dice a Milano. Noi subito a farci belli, a far vedere che siamo bravi, a pompare sui media, e ora col turismo agli occhi del mondo, come la mettiamo? Anche il Governatore della Lombardia, Fontana, che fa il video con la mascherina. Ma si può?».

Un danno d’immagine?

«Lo stesso che credo avrà Ischia per colpa di quell’incauta signora che crede di vivere in un talk del pomeriggio, e che credo ora sia ricercata da tutti gli albergatori ischitani». 

Come se ne esce?
«Oggi c’è più ironia, anche sui social. Ai miei tempi tutto fu preso molto più sul serio. Ma d’altra parte si tratta anche di situazioni in larga parte diverse».

Adesso lei che cosa fa?

«Sono rientrato appena in tempo da un viaggio a Bali, dove ho fatto incetta di vestiti: ho un negozietto di abbigliamento accanto al mio ristorante di Porto Rotondo, “Pirati italiani”. Necessitava di un approvvigionamento».


(DAL SETTIMANALE OGGI - MARZO 2020) 

JODY CECCHETTO: "ASCOLTO PAPA' CLAUDIO MA POI FACCIO QUEL CHE MI PARE"

Jody Cecchetto, figlio di Cladio e Maria Paola Danna detta Mapi.
Jody ha 25 anni, un eloquio invidiabile, e la stessa sicurezza di papà. Cosa non semplice quando papà si chiama Claudio Cecchetto ed è un gigante dello spettacolo. Che smanetta sullo smartphone seduto sul divano accanto a lui con aria fintamente distratta.
A occhio da mamma Maria Paola Danna detta Mapi ha preso invece l’attenzione per il look, curatissimo. «Sono a posto i miei capelli?» dice Jody fissandola durante alcuni scatti di questo servizio fotografico. Lei annuisce soddisfatta, e si riparte.
Il ragazzo nella vita ha deciso di fare il bravo presentatore. Ma non di quelli vecchio stile, per carità. Qui siamo alla tv 3.0. Come minimo. Dal 16 dicembre, ogni lunedì alle 20.25, è in onda su DeaKids (Sky, canale 601) con «Ready Music Play!». Due squadre miste composte da quattro giovanissime influencer (Sofia Dalle Rive, Caterina Cantoni, Giulia Savulescu e Virgitsch) si scontrano a colpi di «lip sync», ovvero  brani famosi cantati in playback.

«Non ho fatto neppure in tempo a mettermi in agitazione all’idea di debuttare come conduttore» dice Jody «perché tempo un mese dal primo contatto, tramite Matteo Maffucci, ero già in onda. E abbiamo registrato le 12 puntate praticamente in una settimana. Questo programma è figlio del successo di Tik Tok, l’app del momento, che prima si chiamava Musical.ly».
Parlare con Cecchetto junior significa invecchiare a vista d’occhio in soggiorno con la velocità con cui il cinematografico Benjamin Button ringiovaniva. Arrivi dicendo che bazzichi stabilmente Facebook, e lui: «Sì, Facebook ormai è dai 50 anni in su: circolano le foto con i fiori glitterati, le immagini dei cagnolini con scritto: “Condividi se hai un cuore”…». Però tu un po’ lo sapevi e pensi di fare bella figura dirottando subito su Instagram. «Sì, Instagram è dai 30 in su. Hanno preso il meglio di Facebook togliendo altre cose. In realtà ho notato che si va a decenni. Adesso sotto i 30 c’è Tik Tok, e poi vedremo». Morale, è dura: se sei un teenager oggi rischi di andare fuori moda nell’arco di un aperitivo, se fai giusto un po’ tardi.

Rapper, dj, attore di sitcom. «Ora sto facendo radio» prosegue Jody. «Rds Next, che è la prima web radio come si deve, attiva dalle 13 alle 20. Ma fare il conduttore in tv mi piace. Non penso a Sanremo. I miei punti di riferimento non sono Conti o Amadeus, ma piuttosto Alessandro Cattelan con X-Factor. Programma che farei al volo dedicandomici totalmente». Interviene papà Claudio: «Anche Cattelan non credo sia ancora uno da Sanremo, per sua fortuna. È giovane. Non vorrei fare il Pippo Baudo della situazione, ma quando collaboravo con Radio 105 l’avevano piazzato di notte. Dissi: questo signore merita di andare di giorno. E così fu. Mi prendo qualche merito per averlo valorizzato».
«X-Factor» però, da almeno un paio di stagioni, langue un po’ sia come ascolti che come verve. «È vero, perché si sono accorti che di gente brava a cantare ce n’è tanta, ma i talenti puri sono al massimo un paio» dice Cecchetto padre. «E allora fanno tv e spettacolo puntando tutto sui giudici e i loro litigi. A me chiesero all’inizio, anni fa, se volessi entrare in giuria, ma essendo io talent scout chiesi di mettere mano anche ai casting e al resto; mi fecero capire subito che non era aria, che volevano mantenere il controllo totale, e ci siamo salutati».  


Essere figli di Cecchetto è sicuramente un vantaggio, ma può diventare anche un problema. C’è più aspettativa attorno a te, e il sospetto della raccomandazione è sempre nell’aria. «L’ho sempre considerato un privilegio» dice Jody. «Certo alcune cose dispiacciono. Per questo cerco di far conoscere prima me stesso e quando mi presento non dico di certo: “Ciao sono Jody Cecchetto”, enfatizzando il cognome. Che poi esce comunque. Ma papà non mi ha mai raccomandato, né nello spettacolo né alla concessionaria per comprare l’auto con lo sconto».
«E qui fa male» ironizza Claudio «perché quando se ne accorgono magari qualcosina ci scappa. Io per esempio sono quello del “Gioca Jouer” (che in una versione riveduta e corretta è sigla di «Ready Music Play!») e grazie a ciò, per simpatia, non prendo multe dai vigili, e i parcheggiatori mi trovano posto più facilmente. Uscendo dall’auto preparo sempre l’attacco del pezzo: “Dormire, salutare, autostop”». 

Pesa il giudizio di papà, più o meno severo che sia? «Lo tengo sicuramente in grande considerazione, ma poi faccio le mie scelte», dice Jody. «Ma io non voglio mica essere uno spauracchio!» interviene mister Claudio. «E poi il padre è sempre un cretino rispetto ai figli. Non voglio dire cose per far sì che poi lui per ripicca faccia l’esatto contrario. La cosa importante è sapere dove si vuole arrivare, avere un progetto a lungo termine e una visione. E fare i passi giusti per arrivarci».
I Cecchetto hanno anche un altro figlio: Leonardo, 19 anni. «Per la musica ha forse più passione di me. Ha scritto un pezzo free style trap sulle focaccine dell’Esselunga che è diventato virale con due milioni di visualizzazioni» dice Jody con orgoglio.

Insomma, le vie del talento e della visibilità sono infinite?
«Mah, non so. Ogni tanto io incontro qualcuno che mi dice: “Sa che mia figlia canta bene?”» osserva Cecchetto senior. «E a volte rispondo: “Ottimo, se anch’io cantassi bene avrei un futuro sotto la doccia!”.  Non bisogna cantare per forza! Dio ci ha dato la bella voce per farci stare bene, non per rompere le p… al prossimo. Ma poi mi spiace essere troppo definitivo e smontare la gente. Se a un provino si presenta qualcuno che non mi piace non lo stronco; dico che fa un genere che conosco poco e porto esempi di qualcuno che ce l’ha fatta».

Uno che ce l’ha fatta, per esempio, è Max Pezzali, una delle  tante scoperte di Cecchetto: «Si è parlato di lui per Sanremo, ma farlo non gli interessa minimamente» rivela il mentore a Oggi. «Stiamo preparando il suo concerto del 10 luglio 2020 a San Siro. 32 mila biglietti venduti in pochi giorni. I testi delle sue canzoni le cantano tutti in coro. Per i quattro che non le sanno metteremo i testi sui maxi-schermi e faremo il più grande karaoke mai visto in Italia con 60 mila persone».

(DAL SETTIMANALE OGGI - DICEMBRE 2019)

mercoledì 22 luglio 2020

KATIA RICCIARELLI: "NON AVEVO LE CHIAVI DELLA CASA DOVE VIVEVO CON PIPPO BAUDO"

Katia Ricciarelli durante il periodo del matrimonio con Pippo Baudo. La soprano è attualmente in onda su Rai1 insieme con Pierluigi Diaco nel talk-show "Io e te".
La vera diva è Ciuffi, batuffolo bianco screziato che zampetta con alterigia in platea, nel foyer e tra gli austeri saloni del Teatro Verdi di Trieste. «È un incrocio fra un maltese e uno yorkshire, ce l’ho da un anno e ormai è la mascotte della compagnia» dice amorevole Katia Ricciarelli. Che lavora alacremente alla regia di due opere: «Turandot» di Puccini (debutto il 29 novembre nella stupenda città friulana) e a seguire la classica «Aida» verdiana.

Katia, esagero se la definisco «La regina della lirica italiana»?

«Beh, non sarebbe il primo… Massì, dai, diciamo che ci può stare».
Festeggia 50 anni di carriera. A che punto si sente della sua vita?
«Sono una che per il lavoro ha sacrificato tutto, e coerentemente continuo a lavorare, a cantare, a insegnare, a coltivare interessi, a fare tv quando capita». 

Con il pubblico dalla sua.
«Ho tanti sostenitori nonostante l’Italia sia un Paese che ama portare in vetta i propri beniamini e poi distruggerli. Quelli che non sopporto sono i tipi che escono dal teatro e dicono: “Certo che da ragazza la voce era un’altra cosa”, oppure: “Dai, tutto sommato se l’è cavata ancora”. Queste cose mi mandano in bestia ed è il motivo per cui ho smesso di fare opere».
Patisce così tanto il giudizio degli altri?
«Tiro dritta ma lo patisco. Le malelingue mi destabilizzano».
Prima ha glissato sul privato.
«Mannò, ho un passato con due storie importanti: una di 12 anni con Josè Carreras…». 

I sacri testi dicono 13.
«Sa che mi sta mettendo il dubbio? (Ride). Sì, ha ragione: tredici. E poi 18 di matrimonio con Pippo Baudo. Completando l’opera. Diciotto, capisce? Non ho neanche raggiunto i vent’anni di versamento di contributi sentimentali minimi. Che cosa vuole, la butto sul ridere».
E la battuta è anche buona. Ma che cosa non ha funzionato?
«Quando sono nati quegli amori c’era affetto, attrazione. Tutto. Quando le cose non funzionano più bisogna prenderne atto e chiudere».
Non ama accontentarsi.
«No, il tirare a campare non fa per me. Non ha senso. Altrimenti certe relazioni le avrei riprese». 

Lei è nota per coraggio e schiettezza. Litiga spesso?
«No, evito. Mia madre mi chiamava “Fiammifero”: mi accendo, brucio e mi spengo subito completamente. Invece l’altra persona magari se la lega al dito per tutta la vita».
Però scusi: lei e Pippo Baudo siete due indiscutibili dominatori. Avrete litigato di continuo.
«Pensi che ho rivisto Pippo quest’anno, per caso, all’inaugurazione della stagione dell’Arena di Verona, dopo che non ci vedevamo né ci parlavamo da ben 15 anni. Mi ha fatto piacere perché abbiamo chiacchierato e ci siamo abbracciati con estrema naturalezza. Con serenità».
Possibile, 15 anni di silenzio?
«Sì, c’è l’orgoglio, il caso che non ci ha fatti incontrare, nessuno che alza la cornetta per primo. Sono le macchie d’olio che si allargano, come le chiamo io». 

Torniamo ai litigi baudiani. Saranno stati memorabili.
«Non tanti, in realtà. Lui diceva sempre: “Io non voglio farli, preferisco vivere tranquillo”. Io invece penso che per far funzionare una storia si debba parlare e “baruffarsi” ogni tanto e poi fare pace. Se non si discute finisce che poi cala il silenzio e tutto muore. Allora ogni tanto prendevo e me ne andavo, ma poi non potevo rientrare perché non avevo le chiavi».
Mi sta dicendo che non aveva le chiavi della casa che abitava con Pippo?
«Eh, che cosa devo dirle… Non le avevo! Però in realtà c’era quasi sempre una signora dentro che apriva. Litigavamo, lui provava a trattenermi, me ne andavo e poi tornavo. Una volta, sposati da poco, mi trovai a dormire a Roma allo Sheraton. Avranno pensato: “Toh, Baudo l’ha già cacciata di casa”». 

Perché litigavate?
«Ero gelosa di tutte le donne belle che aveva sempre attorno. Lui mi diceva: “Scendi dal piedistallo, non fare la diva”. Ma quale diva? Ero in perenne sbattimento, che gli frugavo anche nelle tasche di nascosto per controllare. Poi quando le cose si guastano è finita, non le riaggiusti».
E con Carreras, come andò?
«Eravamo giovani e molto innamorati. L’ho lasciato, è tornato dall’ex moglie, poi ci siamo rivisti e rimessi assieme e poi lasciati di nuovo; è tornato ancora dall’ex moglie. Insomma, un casino: era tutto un ciàpa sü, ciàpa zò che non le dico. Poi è spuntato un figlio».  

Che tipo era José?
«Simpatico. Come molti catalani, imprecava tantissimo nella sua lingua. Quando si mise con me imparò anche le imprecazioni in italiano, che non capiva bene e gli sembravano meno gravi. Un giorno a Vienna lo dovetti fermare perché continuava a imprecare in italiano».
Solo due tenori nella sua vita sentimentale?
«Sì, al massimo qualche tenorino agli inizi. Ci fu anche un flirtino - perché con lui più di quelli non potevi avere - con Alberto Sordi. Le sue sorelle mi volevano molto bene, perché fra quelle che frequentava ero l’unica che lavorava. Debuttai e mi mandò 100 rose rose. Ma allora non è avaro come dicono, pensai. Scoprii poi che le aveva mandate la casa di produzione». 

Che cosa le è mancato, nella vita?
«Forse un figlio, ma mi sono anche detta tante volte che avendo sacrificato tutto al lavoro, sarei stata probabilmente una pessima madre. A un certo punto con Pippo l’abbiamo anche cercato, ma non è venuto. La natura ha detto la sua».
In compenso a Pippo ne spuntò uno all’improvviso, Alessandro, che non sapeva di avere.
«Sì, mi diceva: faccio il test del Dna. Ma quale test vuoi fare, gli ripetevo: non vedi che è uguale a te?».
Lei è un soprano senza la puzza sotto il naso. In tv ha fatto persino il reality «La fattoria», nel 2006.
«Mi ero appena lasciata con Pippo e avevo bisogno di andare lontano e distrarmi. Non mi posi neanche il problema di passare per quella che voleva rinfrescare la propria popolarità». 

Ha ricevuto altre proposte?
«Di tutto, in primis “L’isola dei famosi” e il “Grande Fratello Vip”, ma ho sempre declinato. Di recente persino “Tale e quale show”».
Come giurata. Non sarebbe stato male.
«Ma quale giurata? Avrei accettato. Volevano mettermi in gara a fare le imitazioni! Lei capisce che va bene tutto, ma…».
Ha ancora quella passionaccia per le slot machine?
«Certo, ma senza mai rovinarmi. Mi piacciono quelle lucine colorate, le rotelle che girano. E dovrebbe vedere che calci tiro a quelle macchine quando perdo. Le insulto e tiro calci. E siccome non vado mascherata e con i baffi, ogni tanto arriva quello che: “Scusi, ci facciamo un selfie?”. Ma che selfie vuoi fare con me e la slot? Ma lasciami in pace, che son qui a rilassarmi!».


(DAL SETTIMANALE OGGI - DICEMBRE 2019) 

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