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sabato 10 settembre 2022

ELEZIONI POLITICHE * LA VOLTA IN CUI CI PROVO' ANCHE RED RONNIE (COL PSI)

Un documento cult. La locandina del 1992, quando Red Ronnie si candidò nelle liste del Partito Socialista Italiano.

Quando si parla di elezioni politiche (il prossimo appuntamento è per il 25 settembre, con ancora un 42% di indecisi, dicono i sondaggi) e di volti più o meno noti che tentano la sorte affidandosi alle urne, non si può non ricordare che nel 1992 ci provò anche lui. Il leggendario Gabriele AnsaloniRed Ronnie si accasò sotto l'insegna del rampantissimo Psi di Bettino Craxi. L'uomo di "Una rotonda sul mare" e "Roxy Bar", forte dell'allora rilevante successo televisivo che voleva capitalizzare, aveva uno slogan che più vago non si può: "Non hanno più rispetto per nessuno. Impariamo a stare insieme". Seguito da un laconico: "Se ci credi, votami". Che ricorda un po' l'attuale "Credo" della Lega di Matteo Salvini. Un atto di fede, in sostanza. Non Emilio. Nessuna promessa precisa, di fatto; solo disarmante qualunquismo. Che se vuoi è una cosa persino onesta. Tra i personaggi di spettacolo che sono stavolta nell'agone c'è Rita Dalla Chiesa, candidata in Liguria per Forza Italia. L'ex conduttrice di Forum riuscirà a essere più convincente del giornalista musicale bolognese?

giovedì 20 gennaio 2022

RED RONNIE * PREFERISCO RICORDARLO AI TEMPI DI «BANDIERA GIALLA»

Gabriele Ansaloni, in arte Red Ronnie, nato a Pieve di Cento.

Vi ricordate quando stuzzicava i ricordi dei telespettatori un po’ agée su Canale 5 nel suo «Una rotonda sul mare», monumento agli Anni 60 musicali? All’epoca Gabriele Ansaloni in arte Red Ronnie, 70 anni, originario di Pieve di Cento, era ancora un dj, critico e conduttore televisivo. Non uno tra i simboli (un po’ confusi ma ruggenti) di quel mondo a cavallo fra no-vax e no green pass. Corrente di pensiero debole che quest’anno ha calvalcato di buona lena insieme con altri volti come Enrico Ruggeri ed Enrico Montesano. Lo preferivo quando rimediava notorietà grazie a programmi come «Bandiera gialla», «Be bop a lula», e quel «Roxy bar» bolognese che è rimasto il suo club di riferimento. Meglio così che non a caccia di qualche titolo sulla scia pandemica. 

VOTO: 3

(TRATTO DAL PAGELLONE DELLO SPETTACOLO DI FRANCO BAGNASCO PER I SETTIMANALI VERO E VERO TV)

sabato 26 marzo 2016

I TALENT-SHOW SONO IL DEMONIO? NON SEMPRE, MA POSSIAMO SOLO CONVIVERCI

Si parla molto in questi giorni di un video sicuramente coraggioso e intelligente (lo posto in fondo) nel quale Gabriele Ansaloni, in arte Red Ronnie, spara a zero sui talent-show musicali. Con molte osservazioni assolutamente pertinenti e condivisibili. Questi programmi vengono additati dal padrone di casa di «Roxy Bar» per essere: non la fortuna di chi si approccia alla musica, ma solo l'anticamera dell'oblio e della depressione; solo «grandi karaoke» e nulla più; vetrine televisive illusorie che «soffocano la musica» e spremono voci con la complicità della discografia o delle emittenti, pronte a far firmare agli artisti contratti capestro; non stimolano la creatività ma solo l'emulazione, infatti senza autori buoni alle spalle per gli emergenti non esiste futuro. La conclusione di Red Ronnie è, suppergiù, un appello: ragazzi, disertate questi programmi e cercate di emergere crescendo pian piano e facendo musica attraverso altri canali. Tutto rigorosamente vero e ampiamente risaputo non solo tra gli addetti ai lavori ma anche agli occhi del pubblico più scafato.

Bisogna dire però, per essere onesti (e soprattutto realisti) sino in fondo, che in Italia non esistono grandi vetrine per la musica. Ci sono piccoli club, programmini carbonari, occasioni di visibilità minori, concorsi canori animati più dalla passione di chi li organizza che dal reale riscontro popolare. Inoltre, bisogna fare i conti con il presente e il futuro. E il presente e il futuro, piaccia o no al buon Gabriele, sono una melassa social, la società liquida, l'esaltazione dell'autoreferenzialità un tanto al chilo, della scorciatoia multimediale. Qualcosa che puoi tentare di picconare con ostinazione, che puoi persino odiare ma che - almeno per ora - non puoi vincere. Perché un ragazzo che sgomita per «uscire» non dovrebbe servirsi di un talent, se ne ha la possibilità, stando purtroppo alle regole del gioco? È vero, uno su mille ce la fa, forse anche meno. È vero, se ti sei giocato la tua occasione e non hai funzionato (buona la prima?), poi la discografia probabilmente ti dirà addio. Una scrematura che, siamo onesti, può essere un male ma anche un bene. Non è detto che tutti debbano per forza essere destinati a cantare anziché lavorare alla cassa dell'Esselunga, per richiamare il percorso di Giusy Ferreri, che con i talent ce l'ha fatta, così come il maiuscolo Marco Mengoni o altre stelle uscite dai programmi di Maria De Filippi, come Emma Marrone o Alessandra Amoroso. In ogni caso, se uno ha talento e passione vera, anche dopo una sconfitta (discografica) insiste sino a farcela. O cerca semmai di collocarsi in circuiti minori cantando per pura passione e non solo alla ricerca del successo.

La demonizzazione dei talent, onestamente, la capisco sino a un certo punto. Anche perché c'è talent e talent: c'è la macchina da guerra di «X-Factor» su Sky, che si pone ai vertici del settore con solido professionismo e maggiore resa, e c'è il sottoprodotto meno efficace «The Voice of Italy» (Raidue), che comunque dà una seconda opportunità anche a chi musicalmente ha già alcuni trascorsi. E poi l'accademia di «Amici», che, pur restando nella logica televisiva, ha un suo rigore.
Non vorrei che questo affannarsi a dare addosso ai talent fosse un'indice più di vecchiaia, che di reale preoccupazione. Come la tenera mamma che non vuole imparare a usare lo smartphone o il papà anziano che rifugge l'uso del computer (che diavoleria!). Credo che i ragazzi oggi siano molto più assuefatti ai mezzucci dei media e al loro uso di quanto pensi qualcuno. Credo che quasi tutti abbiano la consapevolezza di entrare nel tritacarne dell'effimero, e che la cosa non li spaventi granché. Magari sbaglio, intendiamoci.



domenica 29 maggio 2011

MA RED RONNIE (GABRIELE ANSALONI) E' MAI STATO QUALCUNO?

Credo che Red Ronnie (all'anagrafe Gabriele Ansaloni) non sia mai stato nessuno anche quand'era qualcuno. Cioè quando l'essere in video gli dava qualche chances in più di poterlo credere. Un piazzista di tele-corsi di chitarra dall'aria furbetta che ha brillato per un po' di luce riflessa sui cascami delle canzoncine Anni 60, aprendo un "Roxy Bar" che ha via via perso clienti, fra improbabili rotonde sul mare e la ricerca di band emergenti che servivano forse a far emergere più lui, che le suddette band.
Colpito oggi da improvvisa e ritengo meritata impopolarità - basta dare un'occhiata ai commenti sulla sua pagina Fecebook - per il sostegno, da molti ritenuto opportunistico, a Letizia Moratti, mi piace ricordare un aneddoto di tanti anni fa.
All'epoca scrivevo per un quotidiano locale, La Provincia Pavese, e mi dilettavo canticchiando con alcuni vecchi amici nei Beagles, gloriosa band dialettale pavese che riproponeva in dialetto oltrepadano le cover di alcuni cult della musica. Una goliardata, non certo un business, come è facile intuire. Presenziando a molte conferenze stampa per motivi di lavoro, mi capitava di incontrare quasi tutti i personaggi dello star system italiano, ai quali spesso chiedevo una cortesia: 15 secondi (cronometrati) del loro tempo per registrare al volo su cassettina un "saluto" ai Beagles. Saluto che avremmo poi piazzato in apertura dei bigoleschi dischi. Un piccolo vezzo che però ci galvanizzava. Hanno accettato tutti - ripeto, tutti - coloro ai quali l'ho chiesto. Alcuni con grande entusiasmo. Personaggi veri, del calibro di Eros Ramazzotti, Teo Teocoli, Antonio Ricci, Gene Gnocchi, Gerry Scotti, Raf, Marco Masini, la Gialappa's Band. Persino l'immenso Raimondo Vianello. E ne dimentico molti altri. L'unico - ripeto, l'unico - che si rifiutò con una punta di snobismo fu Red Ronnie (alias Gabriele Ansaloni). Già, ma all'epoca scrivevo per La Provincia Pavese.
E vedendo muoversi il nostro diplomaticamente dietro le quinte, ebbi la netta sensazione che se la stessa richiesta gli fosse arrivata da un collega, chessò, del Corriere della sera o di Repubblica, cioè di una grande testata, avrebbe acconsentito senza fare una piega.
Gabriele Ansaloni per me è morto quel giorno. Mi piace constatare come molti oggi stiano iniziando a conoscerlo ed apprezzarlo.

martedì 20 aprile 2010

RAIMONDO VIANELLO * UNO CHE HA FATTO TANTO PER I «BEAGLES»

Non credo che Raimondo Vianello avrebbe gradito la pacchianata che è stata allestita in morte di Raimondo Vianello. Chi lavora nello spettacolo ha qualche prezzo da pagare alla popolarità, d'accordo, ma il Signore dell'ironia aveva sempre cercato di evitare tutti i pedaggi. Schivo e inarrivabile, con quel sottofondo di umorismo nero e la zampata cattiva capace di stenderti senza che te ne accorgessi.
Senza nulla togliere a Sandra Mondaini, per me Vianello è sempre stato sposato con Ugo Tognazzi, nella coppia che ha (re)inventato il varietà televisivo. Sandra è stata la seconda parte della sua carriera,  fortemente voluta, e la prima l'aveva in qualche modo quasi rimossa. Non si capisce bene perché. 
Chi conosce bene Sandra e Raimondo riferisce che in realtà - a dispetto della fiction - era lui a comandare. Aveva gestito e indirizzato con rigore ogni passo della carriera della coppia, nella quale aveva il ruolo del dominatore assoluto. Lei aveva dovuto piegarsi, forse persino rinunciare a qualcosa per amore suo e della Ditta.
Il mio personale ricordo di Raimondo Vianello è tenero e grato. Quasi vent'anni fa, giovane cronista de «La provincia pavese», lo incontrai per la prima volta a una conferenza stampa Fininvest. All'epoca mi davo parecchio da fare per promuovere i «Beagles», stravagante formazione pop dialettale dell'Oltrepò Pavese nella quale militavo, e convinsi Raimondo ad aggiungersi all'elenco dei prestigiosi testimonial che avevo già intercettato. Si trattava di registrare solo una breve frase di saluto alla band, da piazzare all'inizio del nastro. Lui accettò di buon grado, con una leggera diffidenza iniziale, guardandomi strano con i suoi profondi occhi azzurri. «Ma devo proprio?» disse stropicciando le guance. «Mi farebbe un grande favore». Lo fece. Così come lo fecero altri che conoscevo da tempo, come Gene Gnocchi, Antonio Ricci, Gerry Scotti, la Gialappa's Band e Teo Teocoli. Ma persino Eros Ramazzotti e Marco Masini. Grande Raimondo. Grazie anche per questo.
L'unico che rifiutò, poco collaborativo, con una punta di supponenza, fu Red Ronnie. All'anagrafe Gabriele Ansaloni. Perché? Sarebbe bello domandarglielo, ma di lui disgraziatamente non esiste quasi più traccia.

P.S.
Ho il sospetto che questa chiosa sarebbe piaciuta a Raimondo.

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