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giovedì 28 marzo 2019

«SE CITOFONANDO» DEI BEGLES: IL NOSTRO IRONICO OMAGGIO ALLA GRANDE MINA

I Beagles. Da sinistra: Franco «French» Bagnasco, Pierangelo «Ando» Masarati e Luigi «Man» Brega. In una foto di Gloria Bressan e Manuel Venturella.
Nel Paese dove quasi tutto accade all’insaputa di qualcun altro (vero o meno che sia), poteva mancare all’appello la più grande interprete della nostra canzone?
Certo che no. Ecco allora che da oggi la voce al citofono, al 100% originale, della leggendaria Tigre di Cremona, è finita a impreziosire «Se citofonando», il primo singolo di «Vitinho», sesto disco dei Beagles, ironica band dell’Oltrepò Pavese della quale mi onoro di far parte.
La formazione, attiva dal 1992, è composta anche dagli altri due miei amici di sempre: Luigi «Man» Brega e Pierangelo «Ando» Masarati
Tutti tardo Peter Pan di 50 anni o giù di lì, un po’ Squallor, un po’ «Amici miei». Ma anche un po' Elio e Leone Di Lernia. 
Almeno nelle nostre velleità. E, naturalmente, da sempre fan di MINA.

Per capire la genesi di «Se citofonando», il cui titolo si rifà alla celebre «Se telefonando» di Maurizio Costanzo, cantata nel 1966 proprio dalla Divina bisogna fare un passo indietro.
Cinque anni fa, sotto Natale decisi di farmi un regalo e partii alla volta di Lugano con in testa una scommessa con me stesso: trovare, senza alcun aiuto se non quello dei passanti, la casa dell’idolo pagano della canzone italiana, provare a suonare il campanello e vedere che cosa succedeva. Parcheggiai in un auto-silos in centro, e iniziai a chiedere in giro: dopo ben tre ore di sfibranti ricerche mi ritrovai incredulo davanti al citofono di Mina e suonai. Registrando tutto, perché faccio pur sempre un mestiere che porta a documentare le cose. Con mia grande sorpresa, fu la stessa Mina a rispondere. Mi qualificai e lei, forse per eludere la visita di un potenziale scocciatore, cambiando leggermente il tono di voce per non essere riconosciuta, finse di essere la sua governante: “La signora non c’è, è a Forte dei Marmi”, disse.

Quell’audio imperdibile finì subito su YouTube (dov’è tuttora) e la singolare storia fu raccontata su un settimanale. Oggi le voci di quel blitz a Lugano sono diventate gli ingredienti di «Se citofonando», il singolo dance-pop che lancia «Vitinho», sesto album del nostro gruppo, realizzato con la supervisione del maestro Alberto Centofanti.

Negandosi al mondo Mina, che proprio tre giorni fa ha festeggiato i suoi 79 anni, ha costruito il proprio mito e le proprie fortune. Di più: con genialità e mestiere, ha fatto dell’assenza, presenza. È paradossalmente il più pubblico dei personaggi, pur non mostrandosi. Ed essendo una donna notoriamente provvista di grande sense of humor, siamo certi che vorrà perdonarci questa piccola bravata musicale. Che è un omaggio alla più grande interprete che l’Italia abbia espresso. Anzi, con un pizzico di presunzione pensiamo persino che questo pezzo le piacerà.
Trovate tutto sulla nostra fan page di Facebook: www.facebook.com/ibeagles

«Se citofonando» è accompagnato anche da un simpatico video trash-evocativo interpretato dalla ballerina 21enne Elisa Sciascia e realizzato da Roberto Pisani, Danilo Zapponi, Leonardo Torregiani e Adrian Toderas.

domenica 23 ottobre 2016

«AMAMI AMAMI» DI MINA & CELENTANO * VOGLIAMO DIRLO CHE È UN BRUTTO PEZZO?

Premessa: criticare i mostri sacri, di norma, non si fa. Non è carino. In quanto mostri sacri, appunto. Ma quando lo meritano, purtroppo, tocca. 
Se la premessa è il singolo «Amami amami», uscito un paio di giorni fa, il nuovo album di Mina e Celentano, «Le migliori», atteso per l'11 novembre, in un mix di inediti e classici reinterpretati, non fa ben sperare.

Il pezzo, una sorta di tango elettro-pop, è musicalmente furbetto assai, una marcetta orecchiabile con qualche basso che picchia. Della serie: dai su, modernizziamoci, facciamo i giova! Però, cribbio, lasciamo almeno echi di fisarmonica che ci riportano all'antico. 

Il problema della canzone è che è molto, molto debole su piano del testo. Con romantiche parole piazzate un po' «a muzzo» sulla struttura melodica. Da due pezzi grossi del calibro della signora Mazzini (sulla cui voce tuttora non si discute) e Adriano, a 18 anni dal precedente lavoro comune, ti aspetti come minimo una bomba. Non un petardo.

Dello stesso avviso è anche il noto e storico paroliere Cristiano Minellono, che sulla sua pagina Facebook non si fa problemi a definire la canzone «brutta e basta».
Che dire? Ci sarà di che discutere, perché quando si toccano le leggende i fan col paraocchi non ti fanno mai dormire sonni tranquilli.




giovedì 31 marzo 2016

ADDIO GIORGIO CALABRESE (MA NON S'ERA DETTO «ARRIVEDERCI»?)

Il pezzo che sapevo/temevo prima o poi di dover scrivere inizia così. Perché non so come iniziarlo. E perché non vorrei metterci troppa retorica, che era la cosa più lontana dall'uomo che vi voglio raccontare. D'altra parte la retorica in queste occasioni sfugge di mano, per i giornalisti è come una cassetta di pronto intervento. In caso di lutto, togliere i sigilli e recuperare qualche frase di circostanza.
Il fatto è che per me non è morto uno qualsiasi (lui già qui, alla decima riga, mi avrebbe stroncato con una battuta, forse una pernacchia), è morto Giorgio Calabrese. Chi era Giorgio Calabrese?, dirà qualcuno improvvidamente.

Per l'Italia, forse il più grande paroliere che il Paese abbia avuto (insieme con Mogol, Giancarlo Bigazzi e pochi altri). Un gigante, autore di canzoni immortali come «Il nostro concerto» (Bindi) «Arrivederci» (Bindi-Don Marino Barreto), «E se domani» (Mina), «Domani è un altro giorno» (Ornella Vanoni). Una colonna della «scuola genovese» che s'è piegata oggi a Roma sotto il peso di 86 anni pienamente vissuti.

Per me, era semplicemente Giorgio. Un signore assai brillante e allampanato dalla risata strana e arruffata e gli occhioni sbarrati che d'estate bazzicava casa mia a Santa Maria della Versa (Pavia) sin da quand'ero piccolo. Un tipo strano dal quale ho preso il gusto per l'ironia e la fissa di mettere insieme le parole più o meno con un senso compiuto. Se ho scelto di fare questo mestiere occupandomi proprio di spettacolo, lo devo senz'altro al condizionamento ambientale di Giorgio, che dello spettacolo era la quintessenza. Conobbe mio padre Gigi, cantiniere dell'Oltrepò Pavese e suo fan dai tempi del radiofonico «Pomeriggio con Mina», e da allora non si persero più di vista. Papà si metteva lì puntuale ogni domenica col suo Geloso a cassette e un microfonino improbabile e registrava malamente tutto il programma, spanzandosi di risate per la verve colto-umoristica di questo signore ligure che aveva grande dimestichezza con la più grande cantante italiana. Un giorno gli scrisse, e Giorgio, che amava e conosceva il vino come pochi, venne a trovarlo a caccia di sapori.

Da lì in avanti a casa «dei Bagnaschi alla Madonna», come propriamente diceva Giorgio traducendo dal dialetto, fu una formidabile Calabrese Parade. Quasi mai si annunciava, anche perché la puntualità non è mai stata tra le sue virtù. Faceva blitz all'insegna del politicamente scorretto, facendoci morire di risate con una battuta per tutti e su tutti, nel mondo dello spettacolo. Che
frequentava assiduamente anche come autore per la Tv, tra un memorabile scazzo e l'altro con Pippo Baudo, col quale fece «Fantastico», alcune «Domenica in» e Festival di Sanremo. Litigavano, Pippo lo metteva alla porta, o Giorgio se ne andava sbattendola (invariabilmente) e poi in genere puntalmente lo richiamava o si riconciliavano. Perché era bravo. Troppo. Dannatamente bravo e attento al dettaglio, pur in un mood d'approccio alla vita meravigliosamente cazzaro. Un mix, come si può ben immaginare, impagabile. Lo guardavo dal mio cantuccio gonfio di ammirazione e avrei dato una mano, forse entrambe, per diventare come lui. Ogni tanto passava per portare mamma Ida dai parenti a Caorso, e lasciava in libera uscita i due figli: Christian e Alessandro, miei coetanei, avuti dalla moglie, la bellissima Annamaria Baratta, in arte Suan, con lui nella foto in alto. Per lei scrisse «Canto di ringraziamento» (da «Partido alto» di Chico Buarque de Hollanda). Anche i figli, cresciuti a Roma, erano impagabili: Christian, all'epoca attentissimo all'immagine, passava con disinvoltura da uno specchio all'altro, e Alex, più naive, ne combinava più di Bertoldo.
Un giorno, insieme con l'illustre papà firma dello spettacolo nazionale, furono ricevuti da Antonio Denari, austero presidente della Cantina “La Versa”, che amava fregiarsi del titolo di Duca. Insomma, il signorotto di un potentato locale non indifferente in un paese di 3.000 e rotte anime le cui colline vivevano quasi in toto di vitivinicoltura che incontrava il famoso autore. Alle presentazioni, così narra la leggenda, arrivarono al figliolo minore di Giorgio. «Alex, questo è il Duca Denari». Risposta del figliolo, ridente, allungando la mano: «Sì, e io so' er Fante de coppe!». Gelo in sala tra i cortigiani del Duca (che inghiottì il boccone amaro senza fare una piega, ma contraendo leggermente le labbra in una smorfia di dolore sordo) in un momento epico destinato a entrare nella storia dell'Oltrepò Pavese.


Calabrese lanciò Orietta Berti («Secondo me è la voce più bella che abbiamo», diceva), e tradusse per l'Italia praticamente tutti i grandi brasiliani. Impossibile non citare «La pioggia di marzo» e «Il disertore» di Boris Vian, entrambe riprese da Ivano Fossati. Secondo solo a Mogol per numero di brani scritti per Mina, tradusse quasi tutto Charles Aznavour, con pezzi come «Lei», «E io tra di voi» e «L'istrione», cantata poi anche da Massimo Ranieri. Sigle ne abbiamo? Hai voglia... Se quando vai in discoteca balli «Cicale» di Heather Parisi, sappi che era una cosetta sua. Se t'innamori sulle note di un classicone come «L'aria del sabato
sera» di Loretta Goggi, siamo sempre dalle parti di Giorgio, che forse s'era ispirato un po' a «Strada notturna», un pezzo tratto da un album degli oltrepadani Oliva Gessi che gli aveva regalato mio padre. Calabrese per primo portò i testi della canzone italiana, sino a lì molto ingessati, a indulgere a giochi di parole, o a termini inusuali. Una piccola rivoluzione. In «E se domani» è diventato luogo comune il famoso, ammiccante «E sottolineo se» che faceva la differenza. 

Tra le immagini che mi resteranno per sempre stampate in testa c'è Giorgio, quando sedeva sul divano in cucina sorseggiando «un bel Brut dei Bagnaschi», veniva accudito da quel folletto di zia Piera, altra entertainer mancata. Poi iniziava a far roteare quelle manone dal pollice registrato all'Fbi come arma impropria, raccontando le imprese di nani, ballerine e Dei dello spettacolo. Da Mino D'Amato sui carboni ardenti, a Giucas Casella che ipnotizzava le sue cavie in studio e ordinava a loro e al pubblico di intrecciare le dita delle mani sopra la testa, bloccandole «Fin quando lo dico io!». Seguivano puntuali migliaia di telefonate da tutta Italia ai centralini Rai e alla redazione di «Domenica in» di gente suggestionabile rimasta con le dita intrecciate. Si mettevano tutti a rispondere, Giorgio compreso, e sbloccavano dita da Trento a Catania
improvvisandosi paragnosti collaboratori di Giucas. 
Quando aveva finito lo show in cucina da noi, Calabrese bofonchiava: «Bòn, andùma», si alzava dal divano e tornava al «Prato Gaio», hotel e ristorante dal nome sul quale tutti amavamo ironizzare e che aveva scelto come dimora in Oltrepò. Spariva per un po' senza lasciare tracce. Non sapevamo mai esattamente quando e come si sarebbe ripresentato. E se ti dava un giorno e un'ora, potevi star certo che non erano quelli.
La prima volta in cui lo vidi, raccontò la storiella di un prete che portava a spasso alcuni festanti boy-scout. Finiva con il sacerdote al quale sfuggiva di mano una pesante croce e gli cadeva sul piede. Esclamazione dolente del parroco: «E per la Madonna!». Risposta in coro dei garruli boy-scout: «Hip-hip, urrà!».
«Bòn, Giorgio». Questo è il mimimo che ti dovevo. Ora insegna agli angeli a scrivere una canzone. E nel caso a tirare due saracche con un bicchiere di Bonarda barricato davanti. Non barare: so qual è la cosa che farai per prima. 




UNA PAGINA FACEBOOK PER GIORGIO CALABRESE
I Figli di Giorgio hanno creato una Pagina Facebook (si trova cliccando su questo link) aperta a tutti e dedicata all'immenso papà. Un modo per avere uno spazio web permanente dove ricordare lui e i suoi capolavori.

martedì 11 dicembre 2012

CHIARA GALIAZZO * LA BIZZARRA VITA DELLA VINCITRICE ANNUNCIATA DI «X-FACTOR»

«Dai, per favore, sono chiusa qui da settimane, non ci dicono niente: raccontami che cosa ha detto Mina di me!».
È molto difficile resistere al guizzo negli occhi, ai modi naïf e alla cadenza veneta di Chiara Galiazzo, 26 anni da Saonara (Padova), favorita tra i favoriti per la vittoria alla sesta edizione di «X-Factor». È molto difficile, ma devo farlo, dal momento che l’intervista, in camerino, è sorvegliata a vista da un’addetta stampa e da una redattrice. Inflessibili come istitutrici tedesche. Quindi il commento di Mina: «Quest’anno a X-Factor c’è una ragazza pazzesca» (quasi sicuramente riferito al suo talento), lo devo tenere per me. Pena l’espulsione.

Chiara, mi spiace ma non posso dirti niente di quel che succede fuori. Sono le regole del talent…
«Lo so, ma per me è troppo importante, capisci? E poi è stato Morgan stesso a fare un accenno durante una puntata, quindi che male c’è? Mina ha davvero parlato di me? Ha parlato bene?».
Non posso, Chiara, non posso. Piuttosto, sembri un po’ ansiosa sul palco. Dopo qualche settimana di rodaggio, ti è passata la paura?
«Non mi passa mai, non si placa per tutta la settimana. Martedì ho il top del buco nero, nerissimo. La cosa va avanti mercoledì, e poi sparisce giovedì, un secondo prima di iniziare».
È vero che in passato hai fatto l’animatrice?
«Sì, avevo 20 anni, in un villaggio a Grado… Seguivo i bambini. Sono un po’ bambina anch’io».
Poi è arrivata la laurea in Economia, 100 su 110…
«Sai un casino di cose… Quindi, su, è fondamentale: dimmi che cos’ha detto Mina di me! Capisci, se canti e la più grande cantante italiana, il tuo mito, dice qualcosa di te, è importante!».
Capisco, ma non posso. Cantavi anche quando, per sei mesi, hai venduto fondi comuni d’investimento in una società di Milano, prima di entrare a «X-factor», o ti facevano fare solo fotocopie?
«Mannò, lì mica potevo cantare. Ero stagista, non facevo fotocopie ma l’assistente di un trader; però mica c’entravo poi così tanto con quel mondo lì...».
Se ti dico: «Prendi una matita, tutta colorata…». Che cosa mi rispondi?
«Che sei ubriaco?».
No! È il ritornello di una famosa canzone di Mina. Non mi puoi cadere su Mina…
«No! Davvero? Non la conoscevo; osti, che figura… Ma di lei ho cantanto alcune cose soprattutto in passato. Di recente, solo “L’ultima occasione”».
Anche perché ultimamente ti esibivi con un chitarrista, Giuseppe, in alcuni locali di Milano… Perché solo chitarra e voce?
«Perché a me non piacciono troppi sghiribizzi, può bastare così. E poi parliamoci chiaro, è più semplice: non devi portarti altri strumenti».
Ora, dopo essere stata scartata da due edizioni di «Amici», hai in repertorio anche un inedito firmato Eros Ramazzotti…
«È una cosa stupenda, bellissima».
E se domani (e sottolineo se), come direbbe Mina, vincessi «X-Factor», che cosa faresti?
(Prima di rispondere, per farsi perdonare la gaffe di prima, intona tutto l’attacco di “E se domani”, Ndr). «Ringrazierei tutti quelli che hanno lavorato a questo programma, e mi toglierei le scarpe prima di lanciarmi dalla gioia sulla platea».
L’intervista si conclude con Chiara scortata fuori dal camerino che – muta – ogni 30 secondi elude la sorveglienza, spalanca gli occhi, mi fissa e sorride annuendo più volte, in attesa di un mio cenno del capo. Ovviamente a proposito di Mina. Alla fine, lo sventurato rispose.

(TV SORRISI E CANZONI - DICEMBRE 2012)

martedì 3 luglio 2012

PAOLO LIMITI * «EMMA E ALESSANDRA AMOROSO? BRAVE, MA CAMBINO REPERTORIO»

 Sorriso convinto, risata che ti carica, completo ricercato ma cromaticamente irrisolto, Paolo Limiti s’aggira per i corridoi della sede Rai di Corso Sempione, a Milano, distillando buonumore. Da lunedì 2 luglio, a mezzogiorno, l’uomo della memoria, scatola nera vivente dello spettacolo, torna in video su Raiuno con «Estate con noi in Tv». Cinque appuntamenti alla settimana per parlare di intrattenimento con ospiti e musica dal vivo. Come ai tempi, peraltro gloriosi, di «Ci vediamo in Tv».

Limiti, immagino non si senta il nuovo che avanza… Forse il classico usato sicuro?
«Sono uno sempre in ebollizione. Diciamo che i miei 16 anni, che custodisco dentro quella casetta rossa nel cuore, non moriranno mai».
Come sarà il suo nuovo programma?
«Non un talent-show, ma un programma sul talento. Solo quello ha ragione di esistere. Un pezzo come “La voce del silenzio” non sarebbe vissuto 42 anni, cantato da Bocelli a Orietta Berti, se non fosse stato grandioso».
Ma il talento a volte non basta…
«E io ci ho messo anche la bellezza. Ho tanti nuovi ragazzi e li ho messi insieme puntando su talento e bellezza. Sono bravi e bellissimi. I raccomandati, rigorosamente fuori dalla porta».
Tornano anche la cagnetta Floradora e Justine Mattera, ovvero parte della sua rodata compagnia di giro…
«In realtà i miei casting li faccio sempre a ruoli. Mi serve una voce calda? La cerco. Una argentina? La recupero. Così per ogni tassello. Justine per esempio fa da fuoriclasse le canzoni dei musical».
Facciamo qualche nome dei nuovi, allora.
«Anzitutto due ragazze italiane strepitose, ancora sconosciute da noi, ma che lavorano in tutto il mondo: Ilaria e Alessia. Cantano, ballano, suonano, recitano… Tutto. Qualità a livello Metropolitan di New York. Poi Noemi Baiocchi, vent’anni. Il tenore Stefano Rigoni, con due occhi indimenticabili, Sara Rinieri, 13 anni, Giacomo Bertogli, e Sara Facciolini, ballerina già con Conti ne “I migliori anni”…».
Il suo mondo musicale televisivo prima si riferiva agli Anni 40-50-60… Che cosa farà, stavolta? Passerà ai 70-80? Da Natalino Otto a Gloria Gaynor? Da Gino Latilla ai Righeira?
«Ma non ci penso neanche. Io lavoro così: guardo la data del giorno, e mi ricollego a un momento storico. Che canzone si cantava in quel periodo? La ripropongo. Magari un pezzo con lo stesso titolo è andato a Sanremo l’anno prima. Eccolo. Creo la contaminazione, e la traccia del racconto».
Si dice che un direttore di giornale, in definitiva, faccia sempre lo stesso giornale. Anche se ne apre uno nuovo. Succede anche ai conduttori-autori di programmi come lei?
«Un conduttore-autore rifà qualcosa che inevitabilmente riflette la sua personalità. E sarebbe sbagliato il contrario. “Chi l’ha visto?” te l’aspetti fatto con lo stile della Sciarelli; Scotti, se cambiasse il suo, sbaglierebbe…».
La musica in Italia, com’è messa?
«Male. C’è troppa genuflessione verso il genere pop-rock, più o meno d’importazione, e poca ricerca sulla canzone italiana più vera».
Le faccio tre nomi: Arisa, Emma Marrone e Alessandra Amoroso.
«Arisa è quella più vicina alle mie corde, anche perché ha la voce più duttile: la comprime, ci gioca, ci lavora su. Le altre due mi piacciono, ma consiglierei loro di puntare su un repertorio diverso».
Magalli ci ha provato con ingredienti classici in «Mi gioco la nonna», ma il risultato non è stato dei migliori. Perché?
«Lui è bravo, ma i giochi del programma sapevano di già visto, e mancava la costruzione dei personaggi. E poi quel titolo l’ho subito detestato: in Italia può suonare non scherzoso, ma offensivo. Giocati la carriera, viene da dire, non la nonna».
Teme la critica, per questo suo ritorno?
«No. Le mie cose in genere vengono recensite abbastanza bene. C’è solo un critico che si accanisce. E dire che, a dispetto delle apparenze, non credo sia stato neanche strappato alla culla…».
Quali sono i limiti della tv di Limiti?
«Lo chieda a Caparezza, che mi ha citato in una sua canzone meragliosa: il ritornello diceva “Aiuto, sto diventando come Limiti…”. Ma anche Cristicchi mi ha tirato in ballo in “Vorrei cantare come Biagio Antonacci”».
Secondo alcuni il suo limite è il suo pubblico un po’ datato…
«Sbagliano. Se ai tempi avessero chiamato l’Auditel, avrebbero scoperto che i miei programmi sono molto visti anche nelle fasce scolari. E in ogni caso è un’audience ampia, trasversale».
Dice?
«Massì, ed è facilmente spiegabile: se tu vedi un duetto fra Tony Bennett e Lady Gaga, non ti fermi a guardarlo, a prescindere dalla tua età? Io ho sempre mostrato molte cose di grande qualità. Il talento ti conquista, ti rapisce».
Ha finito di bisticciare con Mina?
«Con lei direttamente, mai. Solo qualche scaramuccia col figlio per un paio di telefonate che mi fece, ma è acqua passata».
Le piace il Celentano esternatore?
«No, anche se posso intuire i motivi per cui lo fa. Però preferirei che a esprimersi su certi argomenti fossero persone più esperte. Non credo che l’ultimo Sanremo gli abbia giovato molto, però».
E di Beppe Grillo, che cosa pensa?
«Ha grande ironia, carisma, è un trascinatore… Detto questo, non vorrei che certe cose che dice fossero prese da qualcuno come verità assolute. Sarebbe un peccato».

(TV SORRISI E CANZONI - GIUGNO 2012)

venerdì 25 maggio 2012

NINA ZILLI * «ECCO IL MIO EUROFESTIVAL (SENZA MINA NÉ WINEHOUSE)»

Se (come chi scrive) non ricordate esattamente dove sia l’Azerbaijan, non è un problema. C’è buona probabilità che non lo sappia con certezza neppure buona parte dei 42 partecipanti – ognuno in rappresentanza di altrettanti Paesi – all’edizione 2012 dell’«Eurovision Song Contest». La finale del caro, vecchio «Eurofestival» (così è noto ai più), in onda in diretta su Raidue sabato sera da Baku, capitale della Repubblica caucasica. A rappresentare i nostri colori la talentosa Nina Zilli, la «Faraona di Gossolengo», dal nome del paesino in provincia di Piacenza che l’ha vista nascere.
«Questo soprannome me l’ha dato lei in un’intervista qualche anno fa» sorride Nina. «Ma se devo essere sincera preferisco “L’Airone della Val Trebbia”, appioppatomi da un altro; sì, perché ogni tanto alzo la gamba mentre canto». Resta la vera domanda di fondo: Nina Zilli sa dov’è l’Azerbaijan? «Dove Caucaso è, intende? Massì, che lo so: Baku, la capitale, si trova sul Mar Caspio, ma confesso di aver “googolato” un po’, prima. Non so perché abbiano scelto proprio me: in passato parteciparono anche Modugno e Battiato… Me lo annunciarono a Sanremo, prima della finale, Gianmarco Mazzi e chi rappresenta la manifestazione qui da noi. Andare ed essere la sola italiana in un contesto del genere mi onora, ma non vincerò mai. Io sono rock e vincere non è rock, quindi andrà storta. In palio, poi, non ci sono soldi, da quelli mi tengo sempre lontana. Al limite un trofeo. Scherzi a parte, sarebbe meraviglioso. Anche se non sono del tutto sicura che allo stesso Mazzi farebbe piacere, in quanto il Paese che vince deve organizzare la gara l’anno successivo e l’Eurofestival costa tanto: gli verrebbe un coccolone».

Miss Zilli si presenta con un brano, «L’amore è femmina (Out of Love)», dalla genesi complessa. «È una canzone mia» dice «scritta con altri quattro autori inglesi. Originariamente nasceva con un testo in inglese. Ho realizzato la cover italiana per l’album e ora per l’Eurofestival l’ho riscritta in parte in inglese, per arrivare a un pubblico più vasto, ma diversa rispetto all’originale. Per farla somigliare più alla mia versione». Insomma, un triplo carpiato. Emozionata per l’evento come al Concertone del primo maggio a Roma? «Quella non era tanto emozione» spiega «ma un problema tecnico alla frequenza degli auricolari, che ogni tanto scompariva. Mi fossi sentita bene in cuffia, avrei fornito una prestazione più consona ai miei standard, ma in quel momento non mi importava: il pubblico si divertiva, è andata bene così. Rispetto all’Eurofestival, ho un atteggiamento distaccato. Avendo già mille cose da fare, ognuna mi aggiunge stress, quindi non sono andata neppure ad ascoltare le altre canzoni in gara, che pure sono già on-line. Lo scoprirò là, assieme ai volti degli interpreti. L’unica che conosco per ora è Anggun».
Strano destino, quello di Nina Zilli, passata dalla ruvidezza dei concerti nei locali del piacentino con acconciature dreadlocks («Cofane alte e colorate di rosso, verde e azzurro, ma tacchi e vestiti curati anche all’epoca, sono pur sempre una donna…») ai palcoscenici nazionali, elegante e ripulita. Apprezzata da tanti per gli stessi motivi per i quali altri la criticano: capigliature vistose, abiti leziosi, generosi echi di Amy Winehouse e Mina. «Grazie a chi mi apprezza. Agli altri dico: faccio musica e scrivo canzoni dall’età di 11 anni. Se davvero pensano che il mio riferimento musicale possa essere Amy Winehouse, sbagliano. Quanto a Mina, mi viene da ridere: lei è eterea e inimitabile. La sola idea di farlo sarebbe controproducente».

(TV SORRISI E CANZONI - MAGGIO 2012)

mercoledì 1 dicembre 2010

BENEDETTA MAZZINI * «VI RACCONTO I MIEI ECO-SAFARI IN AFRICA» (PORTANDO GLI AMICI)

In attesa di portarci mamma Mina («Non credo verrebbe: andò con mio padre alla fine degli Anni 60 in una specie di viaggio di nozze. La cosa che fa più felice mia madre è lasciarla a casa propria»), Benedetta Mazzini (39 anni) dedica un programma di prima serata all’amata Africa. E lo fa proprio dalle 21 del 26 novembre, giorno del debutto della nascente Rai 5. «“Africa Benedetta”» racconta «nasce dal mio non recente colpo di fulmine per questo continente. Il business degli ecosafari, cioè quelli dove non si cacciano animali, occupa 3-4 compagnie. Per una di queste lavorai, in passato, come guida esperta. Stavolta invece ho girato 10 puntate portando ogni volta per una settimana un personaggio famoso, in genere amici, in vari itinerari tra la Namibia e il Sudafrica». Si comincia il 26 con Enzo Iacchetti (58), e poi, fra gli altri, verranno Marco Cocci, Max Gazzè, La Pina e Boosta dei Subsonica. «Tutti variamente stregati» conclude Benedetta «da questo posto incredibile che non può non regalare emozioni».
Non solo Mazzini. Gli altri volti noti in pista per il lancio di Rai 5 (che coincide con il completamento dello switch-off digitale in Lombardia e Piemonte) sono Renzo Arbore, lo chef Gualtiero Marchesi, Elio e le Storie Tese,  il critico d’arte Philippe Daverio, il ballerino Kledi Kadiu e Omar Pedrini. Ma non mancherà un rotocalco dedicato alla moda e al Made in Italy a cura di Gregorio Paolini.

(TV SORRISI E CANZONI - NOVEMBRE 2010)

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