domenica 4 novembre 2018

«FIRST MAN» * IL BI-ESPRESSIVO RYAN GOSLING E IL "DOVERE" DELL'EROISMO

Ryan Gosling in "First Man - Il primo uomo".
Stati Uniti. Alla Nasa c'è quel gran cazzuto di Neil Armstrong (Ryan Gosling), astronauta tutto d'un pezzo che, nonostante gli sia appena morta la figlioletta di cancro, non vede l'ora di partire con la Gemini 8 per tentare di mettere piede sulla Luna. Quei diavoli dei russi sono avanti, non facciamoci bagnare il naso. 
Con la Gemini è un disastro, l'opinione pubblica fibrilla, muoiono tre colleghi durante i nuovi test, e il Governo tentenna. Per fortuna Neil ha una moglie premurosa e due figli piccoli che però potrebbero restare orfani sulla strada del progresso. Che si fa, si va avanti verso l'ignoto o si pensa alla famiglia? 
Col groppo in gola, ma certo che si va avanti: puntiamo all'Apollo 11 e ci arriveremo alla fine a dire: "Questo è un piccolo passo per un uomo ma un grande balzo per l'Umanità".

Gosling ha due espressioni: triste con la tuta e triste senza. Eppure la sua carenza attoriale in questo caso è più che mai funzionale al film: serve a raccontare l'alienazione di un uomo gelido, un po' autistico nell'essere così devoto alla causa suprema. Si può rischiare di sacrificare la propria vita per il lavoro? Damien Chazelle sceglie il pretesto dell'allunaggio, del "first man on the moon", per raccontare questo dilemma rendendolo in qualche modo universale. 
Un po' troppo lento, con ottime ricostruzioni d'epoca e qualche scena da vero brivido, «First Man - Il primo uomo» è un Titanic col lieto fine. Il finale si conosce già, ma bisogna arrivarci.
VOTO: 7/8

Post più popolari

Lettori