domenica 7 giugno 2020

SMART WORKING E TELELAVORO * C'E' PERSINO CHI SE NE LAMENTA

Una donna mentre lavora a casa.
Ogni tanto mi capita di leggere sui social le lamentazioni (poche, a dire il vero, ma non così poche) di chi: "Non amo lo smart working: mi sembra di non avere più i miei spazi, rispondo sempre al telefono, anche negli orari delle pause, sì sono più libera però mi vesto sciatta, ecc.". Lagne che partono da gente che magari prima passava 365 giorni l'anno (anche i festivi) a lamentarsi di direttori stronzi, colleghi leccaculo, ambienti di lavoro invivibili, e quant'altro. Ma ringraziate Iddìo di non vederli, dico io.
 
Ora, a parte il fatto che si chiama smart working (con maggior precisione chiamiamolo telelavoro, che ha gabbie contrattuali più stringenti dello smart working) smart working perché è intelligente, lo dice la parola, sennò l'avrebbero chiamato coglion working, gli spazi siete voi che ve li create. Avete la libertà di gestirvi tempi e modalità senza gli occhi sempre puntati addosso di gente (non di rado) malevola. Soprattutto in tempi come questi, quando le aziende non vedono l'ora di lasciare a casa gente nei modi più fantasiosi. L'importante è fare al meglio ciò che si è chiamati a fare.
Personalmente, da sempre, la ragiono così. Il resto sono dettagli. E se fra le 13.30 e le 14.30 non vuoi rispondere al telefono perché sei in pausa, non rispondi. Se alle 18.30 stacchi, stacchi. Se ne faranno una ragione e richiameranno. E se finisci tutto in mezza giornata, l'altra metà fai un po' quel che ti pare. Impieghi meglio il tuo tempo. Invece di essere costretto a una scrivania davanti a un computer a far finta di produrre.
Quando fate così vi manderei ai lavori forzati. Anche quelli, a modo loro, sono smart.

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