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martedì 17 novembre 2020

PERCHÉ «SORRISI E CANZONI» HA CANCELLATO L'USCITA DEL LIBRO CHE FESTEGGIA CANALE 5?

Silvio Berlusconi, il figlio Pier Silvio 
e i loghi di Canale 5 e Tv sorrisi e canzoni.

Che cosa sta succedendo in Mondadori? Perché «Tv Sorrisi e canzoni» ha prima realizzato con cura il libro celebrativo «Buon compleanno Canale Cinque», dedicato ai 40 anni della rete ammiraglia Mediaset, e poi ne ha cancellato l'uscita, prevista ufficialmente per martedì scorso, 10 novembre, insieme con il settimanale?

Il mistero di Segrate fa chiacchierare (e un po' sorridere) anche i corridoi di Cologno Monzese, con un rimpallo di tam tam tra le due sedi delle aziende berlusconiane. La notizia dello stop, che mi viene segnalata da buone fonti interne redazionali a Sorrisi, trova facile conferma dando un'occhiata al profilo Facebook dell'autore del libro, Edmondo Conti, che appena il 18 ottobre scorso, con un post pubblico (lo riporto qui sotto), annunciava in pompa magna l'uscita del volume. Ecco le esatte parole dell'autore: «Adesso posso rivelarvelo: martedì 10 novembre, in tutte le edicole d'Italia, con il mitico Sorrisi e Canzoni, uscirà BUON COMPLEANNO CANALE CINQUE, il mio nuovo libro dedicato ai 40 anni del network più amato dagli italiani. Troverete 40 programmi con descrizioni, aneddoti esclusivi e foto inedite. Presto vi mostrerò la copertina: sarà una grande sorpresa!».

Conti sul su Facebook annuncia l'uscita del libro.

Sin qui Conti, con parole precise e lapidarie che infiammano molti appassionati di tv, davvero entusiasti. Dev'essere bello, infatti, poter sfogliare un volume che racconta la storia della rete fondata da Silvio Berlusconi e da lui amorevolmente vegliata per anni, e gestita dal 2015, assieme alle altre del Gruppo Mediaset, dal figlio Piersilvio Berlusconi, che ne è Vicepresidente esecutivo e Amministratore Delegato. Tutto bene, dunque. Benissimo. Invece no. Perché arriva il 10 novembre e del libro, in edicola, non c'è traccia. Sparito totalmente dal radar, nonostante il quarantesimo compleanno di Canale 5 fosse com'è noto, il giorno successivo. Niente di fatto neppure quest'oggi, una settimana dopo: in abbinamento con il settimanale, che ha in copertina Ambra Angiolini in una fiction Mediaset, in edicola c'è solo un diario-agenda del 2021. 

Con un articolo di Paolo Sutera dell'11 novembre, TvBlog, sito solitamente molto ben informato sulle cose televisive, raccontava un retroscena di taglia e cuci avvenuto di recente sul «Caduta libera» di Gerry Scotti per cancellare dalla puntata in onda proprio il giorno del quarantennale tutti i riferimenti alle piccole celebrazioni per Canale 5 già registrati da tempo. Una «vera e propria decisione editoriale» dice il sito citando generiche indiscrezioni, «in segno di rispetto di coloro che sono stati colpiti dall'emergenza sanitaria in corso». In pratica, niente festa né festicciola per dimostrare sensibilità verso i morti per Covid-19. Con una frase buttata lì nella parte finale del pezzo, Sutera recita (apparentemente) il de profundis anche per il libro, dicendo che «ci sarebbe dovuta essere anche una pubblicazione ad hoc per ricordare i 40 anni di Canale 5».

Edmondo Conti mostra il libro su Facebook.

Impossibile non pensare che si tratti del volume di Conti. Però i conti, se mi si passa il gioco di parole, non tornano comunque. Perché se la spiegazione della cancellazione dei video-festeggiamenti in segno di rispetto per le vittime della pandemia può avere un senso a livello televisivo (la tv ha un impatto d'immagine e mediatico molto forte), in tutta evidenza - a mio avviso - non sta affatto in piedi se si parla di un libro. Un semplice libro che esce in sordina in edicola, senza particolare clamore, e che non fa altro che celebrare una lieta ricorrenza; non offende, né può offendere nessuno. Tra l'altro, cancellarne la prevista uscita va palesemente contro la stessa linea editoriale di «Tv Sorrisi e canzoni», che con una pletora di copertine, settimana dopo settimana
, da una vita lancia e promuove volti e programmi di Canale 5. Che cosa sta succedendo, quindi?

Sul suo profilo Facebook Edmondo Conti non si dà pace: tre giorni fa, il 14 novembre, l'autore pubblica un post (lo trovate qui sopra) dove mostra, come promesso, anche la copertina di «Buon compleanno Canale Cinque»; il libro è piazzato al centro, vicino ad altre due sue opere pubblicate in passato e regolarmente uscite. E a un lettore che gli intima: «Fuori il terzo!», risponde non più con l'entusiasmo dell'annuncio del 18 ottobre, ma con un abbacchiato e laconico: «Lo spero tanto...»

Conti su Facebook risponde al lettore che reclama l'uscita del novo libro.

A Segrate (dove i rumors parlano di un numero notevole di copie stampate e bloccate) circola anche una spiegazione per lo stop o comunque l'improvvisa cancellazione della messa in vendita del libro dedicato a Canale 5. Non la pubblico per correttezza in assenza di un riscontro oggettivo, ma è in qualche modo coerente con un altro dato di fatto: è (almeno) dal 13 marzo 2018 (cioè ben prima della pandemia) che «Tv sorrisi e canzoni» annuncia ufficialmente ai media e sui suoi stessi media il ritorno dei Telegatti (diedero inizialmente per certo l'ottobre 2018), il leggendario premio televisivo soppresso nel 2008 e che fu punta di diamante della tv di Silvio Berlusconi. Telegatti che, però, di fatto, arrivati al dunque, non ritornano mai. Altro mistero gaudioso.

Al centro, il libro soppresso
sui 40 anni di Canale 5

Forse, per correttezza nei confronti del pubblico, dovrebbero essere proprio l'editore e/o la direzione del settimanale mondadoriano a disporre finalmente l'uscita di «Buon compleanno Canale Cinque», o quantomeno a spiegare i motivi di questa decisione che lascia a dir poco stupefatti. Questo spazio è a disposizione. È probabile che molti lettori e addetti ai lavori siano curiosi di sfogliarlo, questo benedetto libro, anche per fare un piccolo gioco di società e scoprire quanti e quali dei 40 programmi che illustra (il sottotitolo è: «Il racconto fotografico dei 40 programmi simbolo di Canale 5») appartengano alla tv dell'era di Silvio e quanti a quella di Pier Silvio Berlusconi.

giovedì 14 dicembre 2017

COMPIO 30 ANNI (DI GIORNALISMO) E LI CELEBRO CON LA LETTERA CHE MI SCRISSE INDRO

Il Telegatto che consegnai ad Anna Fontana per il suo prepensionamento.
La lettera che nel giugno 1993 mi scrisse Indro Montanelli.
Fatemi gli auguri perché compio 30 anni. Non ci credete? È vero, giurin giuretta. Non anagrafici, purtroppo (quelli sono 49), ma professionali. 30 anni passati a cercare di servire al (mio) meglio questo mestiere, sin dal lontano novembre 1987, quando firmai il primo pezzo su «La Provincia Pavese».
Oddio, sulla carta era stampato il mio nome, ma - per essere sinceri - il testo non era manco mio.
Avevo iniziato a collaborare da appena tre giorni seguendo la zona dell'Oltrepò collinare, quando un ragazzo del mio paese, Santa Maria della Versa, morì in un incidente stradale. Mi spedirono a cercare notizie e (soprattutto) a chiedere la sua foto alla famiglia. Il peggiore dei battesimi: forse potete immaginare che cosa voglia dire, psicologicamente, suonare al campanello di qualcuno che ha appena subito un grave lutto, per andare a cercare una foto del parente da mettere sul giornale. La cronaca (locale e non) a volte è spietata. Ti senti un verme, ti aspetti di essere cacciato a calci nel sedere, senti l'imbarazzo che ti si accende sul viso; vorresti sprofondare. Forse non avrei manco dovuto avere un senso di colpa, ma ero giovane, inesperto, e suonai quel campanello sentendomi né più né meno una merda. Perdonate il francesismo.

Poi in realtà mi accolsero con affetto, conoscendomi da anni, scelsero con cura quella foto e parvero persino felici che il giorno dopo si parlasse un gran bene sul giornale del loro povero ragazzo scomparso per una beffa del destino. Ero distrutto. Partii mogio per la redazione di Pavia con qualche informazione più o meno rabberciata (era tardi, e bisognava chiudere) e quella benedetta foto in mano. In uno stanzino per riunioni mi accolse un collega assunto, Claudio Salvaneschi, che raccolse foto e notizie. «Grazie mille, puoi andare», mi disse infine composto senza aggiungere altro. Il giorno dopo trovai il mio primo articolo sul giornale: quattro cartelle scritte da Claudio ma firmate col mio nome e quella foto grande grande. Non avrei mai voluto debuttare in quel modo: con una tragedia che fra l'altro mi toccava indirettamente e un pezzo che non avevo materialmente scritto. Ma andò così. E c'è poco da fare.
«La Provincia», come si dice spesso in questi casi con un luogo comune che mai avrebbe potuto essere più calzante, fu una vera palestra. Devi imparare a scrivere in genere tanto e con poche informazioni (quindi spesso rigirare frittate), pagato pochissimo, molto velocemente (l'equivalente del web per molti giovani colleghi oggi); devi reperire le notizie, farti venire spunti per animare il dibattito politico locale; e poi col tempo e con i tagli ai tuoi pezzi inizi pian piano a capire come si lavora. «Tagliamo, tagliamo: non affezionarti troppo alle tue parole», mi sfotteva un vecchio caposervizio. Oggi sono ancora affezionato alle mie parole, naturalmente, ma molto meno.

Iniziai con la cronaca, ma a me interessava lo spettacolo, sempre e solo quello. Ero in fissa con quello. Così pian piano (tra un pezzo sui lavori al manto stradale della provinciale e un consiglio comunale) m'intrufolai nel settore. Vennero i primi concerti, le prime conferenze stampa a Milano, per tv e musica (fra treno e metro, lavoravo in perdita), e poi il passaggio a «il Giornale», diretto da Feltri (il Feltri di allora, non l'odierno) con Maurizio Belpietro infaticabile uomo-macchina. M'inventai una rubrica di dietro le quinte della tv,
Pippo Baudo e Rosanna Mani.
«Bassa frequenza», che più di ogni altra mi aiutò a far girare la firma, e mi divertii parecchio in altri sei anni di adrenalina.
Così, dopo 12 anni da free lance, Pierluigi Ronchetti e soprattutto Rosanna Mani (l'eminenza grigia) mi assunsero al settimanale per il quale avevo sempre desiderato scrivere, quello che ogni mercoledì da tutta la vita mio padre comprava in edicola e poggiava accanto al televisore: «Tv Sorrisi e canzoni». «La Bibbia dello spettacolo», come veniva definito. Una storia intensa, durata 17 anni. Ora c'è questo periodo di cattività ma si lavora nelle sedi competenti e vedrete che presto, come è vero Iddìo, in un modo o in un altro le cose si sistemeranno al meglio. Giustizia e rispetto, si era detto. E Giustizia e rispetto riporteremo a casa.



Quello che ho allegato a questo scritto bio-celebrativo è un reperto storico. Una lettera che mi scrisse Indro Montanelli nel giugno 1993. A casa si leggeva «il Giornale» di Indro (il più grande di sempre, insuperato e inarrivabile) e io mi bevevo letteralmente tutti i suoi ficcanti editoriali e le taglienti, esilaranti recensioni cinematografiche di Massimo Bertarelli.
A 25 anni, giovane giornalista, scrissi a Indro dopo che nei Tg balenò l'ipotesi di farlo Senatore a vita. La risposta (che in tutta

onestà manco mi aspettavo, ma se uno è un signore si nota) è quella che potete leggere oggi.
Non sapete quanto l'abbia cercata per anni, questa lettera che credevo persa, sfuggita persino alle maglie di mio padre, buonanima, che archiviava tutti i miei scritti, anche i più infimi, e ciò che giornalisticamente mi riguardava; è sbucata due settimane fa improvvisamente da un cassetto. Non ci speravo più.
Ne faccio il simbolo di questi 30 anni, di ciò che verrà in futuro, e vi ringrazio per la pazienza di essere arrivati a leggere sin qui.

P.S.
Non facciamo parallelismi. Sia chiaro che non cado e non cadrò mai nella facile trappola (in cui cadono alcuni) di paragonarmi a Montanelli. Come Indro c'era soltanto Indro. Il resto, nel 90% dei casi, è solo cialtroneria.



lunedì 26 giugno 2017

CASO VITALI * MI HANNO PROPOSTO DI GIRARE UN DOCU-FILM SUL MOBBING

Franco Bagnasco
Buone notizie. In questi giorni, oltre alla solidarietà di tanti lettori, amici, colleghi, e gente di spettacolo, ho ricevuto il messaggio di un regista che sta girando un docu-film sull'inferno del mobbing
È rimasto molto colpito leggendo quella umiliante frase («Bagnasco, parlandone da vivo») rivoltami in redazione da Aldo

Aldo Vitali, Tv Sorrisi e canzoni e Il Mio Papa (Mondadori)
Vitali, direttore di «TV Sorrisi e Canzoni» e «Il mio Papa» e vorrebbe che raccontassi in questo suo lavoro che cosa ho provato durante la mia lunga esperienza lavorativa con questo signore che dirige testate così importanti e rispettabili e conoscere meglio le sue modalità operative.

Che cosa faccio, mi do al cinema
?

Qui sotto, il video tratto dal canale Youtube di Cristina Rossi, che ha deciso di raccontare e commentare la mia storia riprendendo la prima lettera aperta che inviai al signor Vitali.


venerdì 16 giugno 2017

QUANDO ALDO VITALI DAVANTI A TUTTI DISSE DI ME: «BAGNASCO, PARLANDONE DA VIVO»

Aldo Vitali, direttore di «Tv Sorrisi e canzoni» e «Il Mio Papa».
«Bagnasco, parlandone da vivo»
Credo di avere iniziato a stare male, di un disagio all'epoca solo strisciante e difficilmente descrivibile (poi è andata sempre peggio), una mattina di qualche anno fa, quando quella frase mi entrò sibilando nelle orecchie, pronunciata dal direttore del mio (ex) giornale, «Tv Sorrisi e canzoni». Ovvero Aldo Vitali, l'uomo che dirige anche il «Il mio Papa».
Eravamo tutti in una stanzetta al secondo piano del Palazzo Niemeyer a Segrate, che all'epoca veniva utilizzata per le riunioni di redazione. Un'occhiata al numero appena uscito e ai servizi e alle assegnazioni per quello successivo. All'improvviso il direttore, durante il suo lungo monologo, si girò verso di me, mi guardò sogghignando, e tirandomi in ballo totalmente a freddo disse, come fosse un inciso: «Bagnasco, parlandone da vivo», e poi proseguì il suo discorso.


Bang! Accusai il colpo. Forte, secco, implacabile, per giunta davanti a tutti i miei colleghi, ma per orgoglio non dovevo, anzi non potevo darlo troppo a vedere. Non sapendo come reagire, in pochi istanti, abbozzai a denti stretti un laconico: «Molto divertente». Ma intanto, dentro, vivevo un mix fra devastazione e voglia pulsante di reagire nell'impossibilità di farlo. Perché è questo il problema in situazioni simili: rispondendo a tono si rischia paradossalmente di passare dalla parte del torto. E devi tenerti tutto dentro, irrimediabilmente dentro. E alla lunga fa molto male.

Per fortuna, essendo dotato di un buon autocontrollo che mi è sempre stato di grandissimo aiuto in questi ultimi anni professionalmente e umanamente così difficili nei rapporti col signor Vitali, sono rimasto in silenzio, muto e rassegnato, ancora una volta. 
Poi, dallo strapuntone sul quale ero appollaiato insieme con altri colleghi, ho poggiato la testa al muro iniziando a guardarmi in giro, intontito. Quel che provai, per darvi un'idea più precisa, è come quando nei film esplode la bomba gigante vicino al protagonista, che si salva, ma quella forte esplosione, fra polvere e calcinacci che volano, lo scaraventa a terra rendendolo sordo per un po'. Cerco gli occhi di qualcuno. Proprio davanti a me, al tavolo, c'è il vicedirettore Bice Colarossi, sempre molto allineata sulle posizioni di Vitali, ma volge lo sguardo in basso. Mi piace pensare (ma magari sbaglio) che persino lei abbia trovato infelice quell'uscita. Altre facce, altri occhi. Quasi tutti puntano a terra, di lato, altrove, fintamente distratti o imbarazzati. C'è invece lo sguardo amaro di una collega saggia che da tempo mi ripeteva costantemente: «Perché ti sbatti sempre così tanto, quando poi ti trattano così?». E quello sguardo sembrava dirmi, netto e severo: Lo vedi? Ben ti sta.


Intanto, quel «Bagnasco, parlandone da vivo» mi martellava in testa senza tregua. Credo di non avere mai subito una pubblica umiliazione simile in vita mia. Ovviamente non ho sentito il resto della riunione. Sono rimasto lì come un tonno, avvolto nei miei pensieri e nelle domande. Perché qualcosa di così gratuito e mortificante? Perché la mia dignità doveva finire calpestata sul tavolo di una riunione? Perché arrivare a tanto? Perché l'uomo che è indiscutibilmente, in quanto Direttore del tuo giornale, il totale artefice del tuo destino professionale, ti sbatte in faccia ridacchiando la tua morte professionale? Provavo amarezza, un senso di nausea e disgusto che non mi hanno mai più abbandonato da allora. Complimenti davvero. Forse a qualcuno deve dare tanta potente euforia comportarsi così. E istintivamente, per uscire dal loop mentale, anche se non c'era proprio niente da ridere, ripensavo alla famosa gag di un film di Aldo, Giovanni e Giacomo, quando Giovanni gioca a braccio di ferro con un bambino di manco cinque anni, ovviamente lo batte, e poi scoppia in un'irrefrenabile, incontenibile gioia tipica dei veri trionfi agonistici. Forse questo signore davanti a me ora si sente così, pensai. Felice di poco. Tante volte l'ho visto felice di poco. E non importa se lì davanti c'è uno con la lettera scarlatta addosso (che non si è certo dipinto da solo) al quale ha appena gradevolmente ricordato che è un morto che cammina.

«Bagnasco, parlandone da vivo». Il tutto dopo 24 anni di immacolata carriera, senza una querela e con un nome e una rispettabilità nell'ambiente e fra i lettori guadagnati sul campo, sudando, con il rispetto assoluto (sia chiaro, doveroso) dei virgolettati di chiunque e della dignità e dei principi del mio mestiere, scrivendo con passione e leggerezza per i giornali della famiglia di Silvio Berlusconi. Sei anni al «Giornale» di Paolo. Diciotto nella Mondadori di Marina. Sempre occupandomi (tranne che negli ultimi anni, come da pubblica certificazione di cui sopra) dei servizi più importanti e delicati dello spettacolo, core-business dell'impero berlusconiano. E poi spunta un signore, un signore che in redazione può fare di te ciò che vuole, che una mattina davanti a tutti i colleghi ti butta lì felice un: «Bagnasco, parlandone da vivo». La gratitudine, lo so, non è di questo mondo, eppure (lo ricordo bene per averlo visto più volte con i miei occhi) è sempre stata un piacevole, signorile valore aggiunto del lavoro alle dipendenze delle aziende della famiglia Berlusconi. Qualora le cose fossero cambiate, un povero cristo si sarebbe accontentato almeno del rispetto. Quello basico, essenziale, l'entry level; buona norma in tutte le comunità civili. Invece, «Bagnasco, parlandone da vivo».


Bice Colarossi, Aldo Vitali e Papa Francesco.

Questo è solo un piccolo episodio - però grandissimo per me, visto che, stanti le mie condizioni di salute, non riesco davvero più a differire l'urgenza di raccontare almeno una scheggia della verità e dei fatti - ma piccolo in assoluto, rispetto alla complessità della vicenda che mi riguarda, che tocca anche punti ben più delicati inerenti l'essenza stessa dell'esercizio della professione giornalistica e alcuni principi costituzionali. Come forse avrete letto da qualche parte, se ne sta occupando l'Ordine dei Giornalisti, che ha aperto un procedimento per mobbing contro Aldo Vitali per l'attività ai miei danni. Ancora una volta, come ho sempre fatto, non entro nel merito della questione solo per non coinvolgere la mia Azienda, che in tanti anni ho sempre fatto di tutto per tutelare.

Mi piace ricordare, infine (perché in qualche modo sono strettamente legati), un altro episodio redazionale emblematico molto più recente, avvenuto poco prima che entrassi in malattia. Stavamo chiacchierando insieme con il caporedattore centrale Alex Adami, figura chiave di Sorrisi, e altre tre persone. A un certo punto Adami parla di me e mi tratteggia con questa frase: «Bagnasco è come la muffa: puoi provare a mandarla via, ma alla fine torna sempre fuori». Sgradevole, direte voi. Sgradevolissima. Cinica. Vero. Molto vero. In fondo perché uno deve sentirsi definire così?
Eppure io, quando Alex l'ha pronunciata, mi sono illuminato e, nell'amarezza complessiva, ero quasi felice; sapete perché? Perché sono sicuro che il collega, che è persona intelligente, competente, credibile, e che mi ha sempre dimostrato, anche pubblicamente, stima, correttezza e vicinanza nel tunnel di questi ultimi anni, stava descrivendo con una straordinaria metafora, meglio dell'intero ricorso del migliore degli studi legali, la mia situazione all'interno del giornale negli ultimi anni. Un giornale che non era certo lui a dirigere. Non era lui a provare a togliere quella «muffa» (chissà perché) così sgradevole a vedersi ma sino a qualche anno prima così richiesta, così pregiata, così ambita. 
Aldo Vitali e Raoul Bova.

Adami con quel colpo di genio sottintendeva (con una sintesi mirabile e inequivocabile, se sbaglio il collega mi corregga ma sarebbe grave se fosse altrimenti) la straordinaria resistenza umana e professionale di un giornalista che fa il suo dovere sempre e comunque e che non affoga ma alla fine riesce sempre a riemergere nonostante debba nuotare in una situazione ambientale avversa, da lui fotografata con grande lucidità. E così io, quella macchia di muffa che si prova ostinatamente a mandare via ma che alla fine torna sempre fuori (quasi sempre, purtroppo, visti gli eventi), l'ho fatta diventare da quel giorno la più grande medaglia da appuntarmi al petto. Senza contare che dalla muffa in fondo si ricava la penicillina, e non è poca cosa. La penicillina serve parecchio anche nell'editoria, credetemi.


Ammaccato, sempre più provato, insonne, straniato, ansioso, depresso, amareggiato oltre ogni limite, ma «Sono ancora qua», per dirla con Vasco. Un morto (professionale) vivente che barcolla con una macchia di muffa a forma di medaglia appuntata sulla maglietta bianca. Bella immagine, vero? L'unica consolazione (ci metto a fatica una punta di ironia, sennò non sarei io) è che gli zombie oggi sono assai trendy e, come il nero, vanno con tutto
Un grazie infinito, sempre e comunque, a tutti coloro che continuano a manifestarmi concretamente la loro vicinanza, capendo, condividendo e solidarizzando. Perché questa è senza dubbio - sino a oggi - la prova più difficile della mia vita. Sono un nano (non quello di Flavio Insinna, anche se avrei preferito di gran lunga sentirmi dare del nano davanti ai miei colleghi, che non il resto) tra i giganti e la mia unica forza siete voi che leggete. Vi voglio bene.
Franco Bagnasco

martedì 4 ottobre 2016

VI DEVO UN GRAZIE INFINITO PER LA VOSTRA SOLIDARIETA'

Due parole (assolutamente dovute) per ringraziarvi in modo commosso della valanga di affetto e solidarietà con la quale mi avete travolto dopo il post pubblicato ieri su Facebook e su questo blog. Copio e incollo qui sotto lo status che ho messo oggi. Grazie davvero di cuore. 
Franco Bagnasco



lunedì 3 ottobre 2016

STAVOLTA MI FACCIO SERIO PER DIRVI CHE NON POSSO PARLARE

Da settimane incontro o sento amici, colleghi, lettori, gente di spettacolo che mi chiedono come mai dopo 17 anni di onorato e orgoglioso servizio in quel di «Tv Sorrisi e canzoni», io sia stato trasferito al femminile «Tu Style».

Avrei tanto da dire. Tanto. Ma non posso farlo. Non posso riferire né commentare. Non è per codardia. È che in casi come questi ci sono regole condivise, che valgono ovunque e che impongono pubblicamente il silenzio. Sarebbe frustrante per chiunque, figurarsi per un giornalista (come potrete immaginare) non poter parlare. Ci si sente imbavagliati. Ma lo accetto.

Quel che posso dire è che continuerò a fare il mio lavoro con coscienza, passione, rispetto per me stesso e per i lettori (che troppo spesso si dimenticano e che sono invece l'unico punto dal quale dovremmo partire). Il tutto attenendomi alle basilari regole deontologiche di questo mestiere, al contratto a all'Articolo 21 della Costituzione.

Grazie di cuore a tutte le persone che in questo periodo mi stanno esprimendo in ogni modo solidarietà, affetto e comprensione.
Ho amici fantastici.
E un grazie particolare a chi vorrà convidere.


martedì 3 marzo 2015

GIGI VESIGNA * IL DIRETTORE CHE (PER I TASSISTI) NON SE N'ERA MAI ANDATO

Non l'ho avuto come direttore, Gigi Vesigna, ma negli anni ne ho sentito (de)cantare le gesta più e più volte da colleghi e addetti ai lavori.
Lo conobbi già nell'ultima fase della sua vita e della sua carriera, quando, dopo essere stato direttore del leggendario Tv Sorrisi e canzoni, che leggevo sin da ragazzo, me lo ritrovavo ogni tanto fianco a fianco alle conferenze stampa nei panni di collaboratore di Famiglia cristiana. E tutti i presenti lì, sbigottiti, a domandarsi, bofonchiando: «Perché dopo tanto splendore (sull'impero di Vesigna, ai tempi d'oro, non tramontava mai il sole), «adesso si riduce a fare il collaboratore?». Il problema è che questo è un mestieraccio che t'intriga: una volta che lo provi, se lo senti, forse non sai più dirgli di no.

Era «severo ma giusto, e soprattutto geniale nell'intercettare i gusti dei lettori», così me l'hanno sempre descritto un po' tutti. E soprattutto potentissimo. Le star erano ai suoi piedi. I suoi giornalisti dovevano alloggiare sempre nei migliori alberghi. Non tanto per i giornalisti in sé, ci mancherebbe, ma per garantire il prestigio della testata. E se di un nuovo programma in uscita circolavano, per esempio, tre servizi fotografici, non di rado li comprava tutti e tre, togliendoli di fatto alla concorrenza. 

L'uomo che portò la prima rivista italiana a vendere la cifra record di 3 milioni e 300 mila copie, un traguardo oggi impensabile, è stato per qualche lustro (e a volte lo è ancora) il mio incubo quando prendevo qualsiasi taxi a Milano. Alla domanda: «Ma lei che lavoro fa?». «Sono giornalista, lavoro a Tv sorrisi e canzoni». Il tassinaro invariabilmente rispondeva: «Ah, allora mi saluti il direttore Vesigna, l'ho portato in giro qualche volta!». Il problema è che Vesigna non è mai stato il mio direttore, lui se n'era andato da tempo da Sorrisi all'epoca del mio arrivo, ma era come se il Paese reale tutto ciò non lo volesse accettare. Dicevi Tv sorrisi e canzoni e automaticamente scattavano nel pubblico due password: «Vesigna» e «Supertelegattone». Che era poi l'icona di Maurizio Seymandi. Avevi voglia a spiegare, con dovizia di particolari, che no, che era arrivato già un altro, e poi un altro ancora, che Vesigna non era più direttore da tempo, ecc. ecc.
Niente. Scendendo dal taxi, dopo aver pagato, mentre chiudevo la portiera, il tassista mi guardava ammiccante, come si guarda un ragazzotto discolo che le spara grosse, strizzava l'occhio e chiosava: «Arrivederci. E mi saluti il direttore Vesigna!». 
Avevo parlato al vento per 20 minuti.

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